Antibiotici e probiotici: una associazione virtuosa

I “vecchi” medici di famiglia assieme al trattamento antibiotico erano soliti prescrivere i “fermenti lattici”, pratica questa mai completamente accettata dalla medicina accademica. Negli ultimi tempi sono invece comparsi alcuni reports che invitano ad utilizzare i “probiotici” quale mezzo di prevenzione della diarrea associata al trattamento antibiotico (DAA). L’ultimo in ordine di tempo è quello uscito sul primo numero di maggio di JAMA. È stata effettuata una revisione sistematica ed una meta-analisi sull’utilizzo del Lactobacillus, Bifidobacterium, Saccharomyces per la prevenzione o il trattamento della DAA. Un totale di 82 trial clinici controllati randomizzati è rientrato nei criteri di inclusione. La maggioranza degli studi ha utilizzato il Lactobacillus. Le determinazioni statistiche effettuate hanno dimostrato una associazione significativa tra somministrazione dei probiotici e riduzione della DAA [rischio relativo 0.58, 95% CI 0.50-0.68 p < 0.001; I2 54%; differenza di rischio -0.07, 95% CI -0,10 a -0,05; number needed to treat 13, 95% CI da 10.3 a 19.1]. È comunque emersa una significativa eterogeneità nei risultati aggregati e le prove sono insufficienti per stabilire se il risultato favorevole sia dipendente o meno dalla popolazione dei pazienti testati, dal tipo di terapia antibiotica o dalla preparazione del probiotico. In conclusione, le evidenze suggeriscono che la somministrazione di probiotici si associ con una riduzione della DAA, ma che sono necessarie ulteriori ricerche per determinare quali probiotici hanno la massima efficacia e quali siano le tipologie di pazienti e di antibiotici per i quali ci si debba aspettare il miglior risultato possibile. 

Hempel S et al. Probiotics for the Prevention and Treatment of Antibiotic-Associated Diarrhea A Systematic Review and Meta-analysis.JAMA 2012; 307(18): 1959-1969
doi: 10.1001/jama.2012.3507

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Ipertensione notturna, allarme sottovalutato

L’ipertensione notturna rappresenta un valore predittivo del rischio cardiovascolare più affidabilerispetto all’ipertensione diurna o misurata nelle 24 ore, e anche fenomeni quali l’ipertensioneclinica isolata e l’ipertensione mascherata andrebbero confrontati per verifica anche con i valoripressori notturni, non solo con quelli diurni. Lo sostiene uno studio pubblicato dall’AmericanJournal of Hypertension.

I ricercatori spagnoli del Bioengineering & Chronobiology Laboratory dell’Universidade de Vigocoordinati da Ramón C. Hermida hanno preso in esame nell’ambito dello studio MonitorizaciónAmbulatoria para Predicción de Eventos Cardiovasculares (MAPEC) 3.344 persone (1.718 uomini,1.626 donne) con un follow-up medio di 5,6 anni. “I dati di questo studio permettono di esaminarel’impatto della pressione notturna sulla definizione di ipertensione ambulatoriale e il valoreprognostico associato dell’ipertensione clinica isolata e dell’ipertensione mascherata”, spiegaHermida, “e di valutare i fattori di disaccordo nella diagnosi di ipertensione”.

È emerso che l’ipertensione out-of-office è associata ad un rischio cardiovascolare più elevatorispetto alla normotensione e all’ipertensione clinica isolata (P<0,001) solo quando questecondizioni sono definite sulla base di misurazioni notturne, non diurne e nemmeno sulle 24 ore.Utilizzando esclusivamente misurazioni diurne infatti addirittura nel 58,2% dei casi i soggetti conipertensione mascherata vengono erroneamente classificati come sani e il 26,3% dei soggetti conipertensione cronica vengono erroneamente ritenuti soggetti con ipertensione clinica isolata. Ilmonitoraggio notturno della pressione arteriosa deve diventare il metodo standard per la diagnosidell’ipertensione out-of-office, concludono i ricercatori spagnoli.

▼ Hermida RC, Ayala DE, Mojón A, Fernández JR. Sleep-time blood pressure and the prognosticvalue of isolated-office and masked hypertension. American Journal of Hypertension 2012;25(3):297-305.

CARD-1035431-0000-UNV-W-04/2014 

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Responsabilità del farmacista nella prescrizione di un farmaco

Criteri per un appropriato intervento nel processo prescrittivo

Il farmacista, non essendo abilitato alla prescrizione di farmaci esclusiva del medico, non è autorizzato a sindacare i trattamenti terapeutici farmacologici prescritti dal medico e deve viceversa attenersi a quanto prescritto da quest’ultimo, secondo la sentenza n.8073 del 28.03.2008 della Cassazione sezione Civile III°. Ne deriva pertanto che il farmacista, a cui sia stata presentata una precisa ricetta medica, non è tenuto ad accertare se il farmaco e la posologia del farmaco prescritto siano corrispondenti alle effettive esigenze terapeutiche del paziente. Deve limitarsi a dispensare il farmaco che il medico ha prescritto. Se il medico non appone la nota “non sostituibile sulla prescrizione di un farmaco originale a brevetto scaduto, il farmacista acquisito il consenso informato dell’assistito può dispensare un farmaco generico equivalente. Nulla vieta al medico di apporre la nota “non sostituibile” anche sulla prescrizione di un farmaco equivalente di un produttore che ritiene più affidabile, nel qual caso a parità di costo il farmacista è tenuto a dispensare esattamente ciò che il medico ha prescritto. L’art.26 del codice deontologico del farmacista afferma che in caso di prescrizione dubbia il farmacista è tenuto a prendere contatto con il medico proscrittore per il necessario chiarimento, poiché la spedizione della ricetta medica presuppone certezza nel farmacista e sicurezza per il paziente.Il farmacista ha il dovere di acquisizione del consenso informato dell’assistito per la dispensazione del farmaco equivalente in sostituzione al farmaco originale prescritto, quando il medico non appone sulla ricetta l’indicazione “non sostituibile”, ai sensi della legge n.405/2001 e della legge n.149/2005 di conversione del D.L. 87/2005 art.1.
Questo dovere è precisato anche dal suo codice deontologico che all’art. 12 afferma : l’informazione fornita deve essere chiara, corretta e completa in riferimento ai medicinali.

Dunque per una corretta acquisizione del consenso informato alla sostituzione del farmaco originale col farmaco equivalente generico, il farmacista può dire all’assistito che il farmaco equivalente è simile, non che è uguale all’originale. Dire che è uguale infatti orienta in modo non corretto la scelta autonoma dell’assistito perché non corrisponde al vero e quindi potrebbe apparire come una pubblicità ingannevole, vietata anche dalla legge n.49/2005 sulla pubblicità ingannevole e dal D.Lgs. 216/2006 sulla pubblicità ai farmaci.

Il farmacista, non essendo abilitato alla prescrizione di farmaci esclusiva del medico, non è autorizzato a sindacare i trattamenti terapeutici farmacologici prescritti dal medico e deve viceversa attenersi a quanto prescritto da quest’ultimo, secondo la sentenza n.8073 del 28.03.2008 della Cassazione sezione Civile III°. Ne deriva pertanto che il farmacista, a cui sia stata presentata una precisa ricetta medica, non è tenuto ad accertare se il farmaco e la posologia del farmaco prescritto siano corrispondenti alle effettive esigenze terapeutiche del paziente. Deve limitarsi a dispensare il farmaco che il medico ha prescritto. Se il medico non appone la nota “non sostituibile sulla prescrizione di un farmaco originale a brevetto scaduto, il farmacista acquisito il consenso informato dell’assistito può dispensare un farmaco generico equivalente. Nulla vieta al medico di apporre la nota “non sostituibile” anche sulla prescrizione di un farmaco equivalente di un produttore che ritiene più affidabile, nel qual caso a parità di costo il farmacista è tenuto a dispensare esattamente ciò che il medico ha prescritto. L’art.26 del codice deontologico del farmacista afferma che in caso di prescrizione dubbia il farmacista è tenuto a prendere contatto con il medico proscrittore per il necessario chiarimento, poiché la spedizione della ricetta medica presuppone certezza nel farmacista e sicurezza per il paziente.

CORP-1043415-0000-UNV-W-06/2014 

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Fitosteroli e proteine della soia

I fitosteroli rappresentano un valido aiuto non farmacologico per il controllo della colesterolemia. Accanto allo sviluppo di prodotti a base di latte arricchiti con steroli vegetali sta aumentando l’attenzione verso i prodotti a base di soia che potrebbero rilevarsi anche più efficaci poichè ai benefici ipocolesterolemizzanti dei fitosteroli si aggiungono quelli delle proteine della soia.

L’efficacia dei fitosteroli nella riduzione delle concentrazioni ematiche di colesterolo totale e LDL è stata valutata in numerosi tipi di alimenti, la maggior parte delle sperimentazioni sono state realizzate testando creme spalmabili o prodotti lattiero-caseari.
Come alternativa ai latticini, spesso causa di intolleranze alimentari, sono presenti in commercio numerosi prodotti a base di soia. Tuttavia le sperimentazioni riguardanti l’efficacia degli alimenti a base di soia addizionati con fitosteroli per aiutare gli ipercolesterolemici intolleranti al lattosio sono ancora scarse.

Un gruppo di ricercatori francesi de l’Université de Nantes ha pubblicato sulla rivista Lipids in Health and Disease uno studio riguardante l’efficacia di un drink di soia arricchito con steroli vegetali sul miglioramento del profilo lipidico in soggetti moderatamente ipercolesterolemici.

Lo studio randomizzato, doppio cieco, controllato con placebo, monocentrico, ha coinvolto 50 soggetti di nazionalità francese, 19 uomini e 31 donne di età compresa tra 19 e 65 anni, con una moderata ipercolesterolemia non trattata farmacologicamente.
Dopo un periodo preventivo di 2 settimane di dieta controllata è iniziata la somministrazione giornaliera di un drink di soia (200 ml) arricchito con 2,6g di esteri di steroli vegetali (equivalenti a 1,6g al giorno di steroli vegetali) oppure senza steroli vegetali (gruppo di controllo) per 8 settimane.
Il consumo della bevanda avveniva a colazione o durante la mattinata e i partecipanti sono stati invitati a proseguire l’abituale dieta affiancata dall’abituale attività fisica.
Le concentrazioni plasmatiche dei lipidi sono state misurate all’inizio dello studio, dopo 4 settimane e dopo 8 settimane.

Dopo 8 settimane di trattamento si è osservata una riduzione significativa del colesterolo totale e LDL (pari al 7% , in accordo con precedenti studi che riportavano risultati nell’ordine di almeno il 5% rispetto al controllo), mentre trigliceridi e HDL non hanno subito variazioni. Le riduzioni medie sono state maggiori rispetto al gruppo di controllo che non ha mostrato cambiamenti significativi del profilo lipidico.

I ricercatori hanno anche verificato il livello di soddisfazione dei soggetti coinvolti nello studio riguardo al drink di soia: il sapore è stato ritenuto accettabile, il consumo è avvenuto preferenzialmente al mattino, inoltre il prodotto è stato ben tollerato e non ci sono state differenze di apprezzamento tra il drink di controllo e quello arricchito con fitosteroli.

I ricercatori valutano perciò che questo possa essere un prodotto molto interessante per controllare l’ipercolesterolemia lieve e moderata considerando anche che la compliance dei soggetti coinvolti nello studio è stata molto alta.

Elevate concentrazioni ematiche di colesterolo totale e LDL sono tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari.

Un’adeguata alimentazione, povera di grassi saturi e colesterolo, è la base per il trattamento non farmacologico dell’ipercolesterolemia quando è lieve o moderata.
In questo contesto, il consumo regolare di alimenti arricchiti in fitosteroli e l’assunzione di fibre sono utili strumenti per aumentare l’effetto di una dieta volta alla riduzione del colesterolo totale e LDL.

Numerosi studi clinici evidenziano che il consumo giornaliero di 2 g di fitosteroli si traduce in una riduzione delle LDL pari a circa il 10%, a questo va spesso aggiunta l’azione benefica di una dieta povera di grassi, infatti, chi è attento alla propria salute mette in atto tutta una serie di comportamenti alimentari e di stile di vita atti al miglioramento delle proprie condizioni fisiche.

Gli steroli vegetali sono composti naturali presenti nella parete cellulare di numerosi alimenti come la frutta secca a guscio, cereali, verdura e semi. La loro struttura chimica è simile a quella del colesterolo, differisce solo per la presenza di un gruppo metile o etile in più al C-24.
Gli steroli vegetali hanno la funzione di ridurre il colesterolo, principalmente per competizione durante la formazione delle micelle: spiazzano il colesterolo che così viene assorbito con minore efficacia a livello intestinale.

Tradizionalmente gli steroli vegetali vengono incorporati in prodotti ad elevato contenuto di grassi come le creme spalmabili e le margarine che servono da matrice in virtù della loro buona solubilità.
Una meta-analisi, randomizzata, controllata con placebo, ha verificato che l’uso di una matrice grassa a cui sono stati aggiunti steroli vegetali ha portato ad una riduzione delle LDL nell’ordine del 6,7% fino all’11,3% in base alla dose somministata.
Studi che hanno coinvolto adulti con ipercolesterolemia lieve, riportano che il consumo di steroli vegetali addizionati a creme spalmabili porta ad una riduzione delle LDL pari al 5,4%, mentre il consumo di latte e yogurt arricchiti comporta una riduzione del 7,1% e del 6% rispettivamente.
Più recentemente sono state indagate le proprietà ipocolesterolemizzanti di alimenti a basso contenuto di grassi arricchiti con fitosteroli, come yogurt, yogurt magri, latte, bevande a base di yogurt o di latte e succhi di frutta. Questi prodotti, associati ad una dieta povera di grassi saturi, svolgono un effetto interessante per un efficace controllo dell’ipercolesterolemia.

Nonostante tutti questi studi, sono state condotte relativamente poche indagini sui prodotti non a base di latte come ad esempio i prodotti a base di soia che sono poveri di grassi saturi e possono essere una matrice alimentare appropriata per l’aggiunta di steroli vegetali.

Dati epidemiologici indicano che le popolazioni asiatiche che consumano soia come alimento principale della dieta hanno un minor rischio di sviluppare patologie cardiovascolari rispetto a coloro che seguono un’alimentazione di tipo occidentale. Inoltre, alcuni studi clinici hanno evidenziato un benefico effetto delle proteine della soia come parte di una dieta a basso contenuto di grassi che ha portato a una significativa riduzione delle LDL.

Quindi, oltre ai già disponibili prodotti a base di latte arricchiti con steroli vegetali, gli alimenti a base di soia addizionati con steroli vegetali potrebbero essere usati come un’ulteriore opportunità alimentare per le persone ipercolesterolemiche poichè ad essi sono associati benefici cardiovascolari dovuti sia alle proteine della soia sia ai fitosteroli.

Tutti questi dati sono molto incoraggianti e fanno ben sperare sulle potenzialità di questi prodotti nel contrastare il rischio cardiovascolare, tuttavia seviranno ulteriori studi per verificare la reale efficacia degli alimenti arricchiti con fitosteroli, infatti, non tutte le ricerche hanno riportato dati positivi.
Numerosi studi evidenziano dati inconsistenti riguardo agli effetti dei prodotti a basso contenuto di grassi arricchiti con fitosteroli, mentre altri studi riportano l’efficacia di tali prodotti nella riduzione del colesterolo ematico.

Il livello di solubilizzazione e dispersione degli steroli vegetali e il momento dell’assunzione sembrano essere le principali cause della variabilità dei risultati. 
Poichè gli steroli vegetali riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo attraverso competizione, sembra plausibile che i fattori che influenzano il transito gastrointestinale possano influire sull’efficacia degli steroli vegetali.

In base a questa ipotesi l’assunzione di prodotti arricchiti con fitosteroli risulterebbe più efficace in concomitanza con un pasto principale come il pranzo o la cena piuttosto che durante la colazione o in un altro momento della giornata.

Questo studio ha voluto verificare l’efficacia di un drink di soia arricchito con fitosteroli partendo dai risultati di studi clinici che evidenziano come il consumo giornaliero di 25-50 g di proteine della soia possa condurre ad un effetto ipolesterolemizzante con una riduzione delle LDL dal 4% all’8%.

Se da una parte i fitosteroli riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo, le proteine della soia si pensa possano ridurre le concentrazioni ematiche di colesterolo attraverso una riduzione della sintesi di questa sostanza a livello epatico o attraverso un aumento della clearance plasmatica. Perciò si potrebbe ipotizzare che la combinazione di proteine della soia e fitosteroli possa svolgere un effetto additivo e modificare favorevolmente il profilo lipidico.

Serviranno sicuramente ulteriori studi per verificare un eventuale effetto sinergico delle proteine della soia associate ai fitosteroli.

Contrariamente a quanto aspettato, in questo studio il drink di soia di controllo non ha prodotto significativi cambiamenti nel profilo lipidico dei partecipanti. Il risultato neutro potrebbe essere dovuto sia all’assenza dei fitosteroli sia alla ridotta presenza delle proteine della soia in quella particolare formulazione.

Sebbene basse dosi di prodotti contenenti proteine della soia non possano da sole permettere una riduzione della colesterolemia, rappresentano tuttavia un’ottima matrice per l’incorporazioe di steroli vegetali, inoltre, i prodotti della soia non inducono significative modifiche nè dell’introito energetico giornaliero nè delle abitudini alimentari e ciò consente un’ottima compliance nel tempo.

Bisogna inoltre considerare che la sostituzione controllata dei prodotti a base animale con prodotti a base di soia nella dieta può ridurre l’apporto di grassi saturi e colesterolo, contribuendo al miglioramento del profilo lipidico e alla potenziale riduzione del rischio cardiovascolare.

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Vaccino anti-meningococco sierogruppo B

Allo scopo di offrire un’ampia copertura contro diversi ceppi di meningococco invasivo di sierogruppo B è stato messo a punto un vaccino ricombinante bivalente lipoproteico, denominato “2086”, che si è dimostrato immunogeno, in grado di indurre una robusta attività battericida sierica complemento-mediata (hSba) contro la Neisseria meningitidis, e ben tollerato. La valutazione è stata effettuata su 511 adolescenti sani, dislocati in 25 centri in Australia, Polonia e Spagna. I criteri di esclusione sono stati: precedente meningite invasiva o vaccinazione con agente del sierogruppo B, note reazioni avverse o ipersensibilità al vaccino, comorbilità significative, terapie immunosoppressive in corso. I partecipanti sono stati randomizzati a uno schema vaccinale a dosi crescenti (60, 120 o 200 ug) oppure placebo a 0, 2 e 6 mesi. L’immunogenicità è stata misurata mediante hSba contro 8 diversi ceppi di meningococchi di sierogruppo B; un altro endpoint è stata la sieroconversione nei confronti di due ceppi indicatori (Pmb1745 e Pmb 17). Dei 511 partecipanti, 116 erano nel gruppo placebo, 21 in quello 60 ug, 191 in quello 120 ug, e 183 in quello 200 ug. Sono risultate sempre molto elevate le quote di sieroconversione al ceppo di riferimento in tutti e 3 i gruppi (tra 89,5 e 94% per Pmb1745 e tra 81 e 86,6% per Pmb17). La risposta battericida è stata robusta, così come testimoniato dall’elevata quota di soggetti che raggiungevano titoli hSBA elevati. La reazione locale più comune è stata un dolore da lieve a moderato nel sito di iniezione (più frequente con i dosaggi più alti). Anche eventi sistemici, quali fatica e cefalea, sono stati generalmente di grado lieve, come pure gli episodi febbrili.

Lancet Infect Dis, 2012 May 4. [Epub ahead of print]

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Ruolo delle ‘piccole’ riviste medico-scientifiche: l’esperienza della Croazia

In una recente riflessione sulle funzioni che una rivista medico-scientifica può svolgere, Richard Smith – in passato ‘editor in chief’ del British Medical Journal – si pone la domanda se un giornale medico sia in grado di promuovere cambiamenti all’interno della comunità medica o della società nel suo insieme, o soltanto seguirli. La risposta che si dà a questo quesito è che una rivista medico-scientifica solo in limitati casi è in grado iniziare un cambiamento che diversamente non sarebbe avvenuto, ma ciò può capitare specialmente se più giornali medici si coordinano nelle loro pubblicazioni.

Ma le riviste medico-scientifiche più piccole possono indurre cambiamenti al di fuori del loro limitato contesto, per esempio nella comunità medica a cui si rivolgono o nella società nel suo complesso? Un esempio concreto di questa possibilità viene da una ‘piccola’ rivista medico-scientifica pubblicata in un Paese assai vicino al nostro, la Croazia. Il Croatian Medical Journal (CMJ) ha iniziato le sue pubblicazioni circa 20 anni fa durante la recente guerra nei Balcani, con la finalità di collegare i medici croati alla comunità scientifica internazionale. Certamente un giornale medico non è in grado di modificare l’andamento di una guerra, ma può contribuire allo sviluppo della pace e della giustizia sociale, attraverso la promozione della salute ed il miglioramento della organizzazione sanitaria. Ma sicuramente una ‘piccola’ rivista medico-scientifica può rappresentare una opportunità per presentare alla comunità scientifica internazionale una ricerca di buona qualità svolta in un contesto geografico di limitate dimensioni. L’obiettivo principale non è tanto quello di ottenere in un breve periodo un alto impact factor (l’impact factor del CMJ è di 1.455, che si posiziona nella metà superiore dei giornali medici di questa categoria), ma piuttosto di seguire le migliori regole e metodologie adottate nelle pubblicazioni scientifiche; in particolare, eccellenza e trasparenza della ricerca clinica fonte dei dati pubblicati, capacità di scrivere con chiarezza i contributi scientifici. Alcuni di questi temi sono affrontati da Ana e Matko Marusic – del Dipartimento della Ricerca in Biomedicina e Salute dell’Università di Spalato – Croazia, in un loro recente contributo pubblicato su Lancet. Le loro considerazioni possono costituire una fonte di riflessione sui compiti che una Società Scientifica (e di conseguenza una rivista scientifica, suo organo ufficiale) dovrebbe svolgere. In particolare

  • richiesta ai ricercatori di registrare sempre i loro studi, specie prima di presentare i dati raccolti in un articolo da pubblicare
  • promozione della Evidence-Based Medicine attraverso revisioni sistematiche della letteratura, utili per indirizzare in modo corretto la pratica clinica corrente
  • promozione della cultura della trasparenza nella ricerca clinica e nella presentazione dei contributi scientifici, attraverso la creazione di un insieme di regole etiche
  • controllo obbligatorio (mediante ‘CrossCheck’) per tutti gli articoli proposti per la pubblicazione di eventuali somiglianze o forme di plagio rispetto a precedenti lavori pubblicati in altre riviste
  • attivazione di corsi di formazione dedicati non solo a saper svolgere ricerche cliniche, ma anche a saper scrivere al meglio un articolo (non di rado può capitare che dati di notevole interesse vengono presentati con scarsa chiarezza); quindi, non solo corsi sulla metodologia della ricerca clinica, ma anche su come si scrive un articolo
  • attivazione di corsi di formazione per lo sviluppo del ragionamento critico quale base per la ricerca clinica, per la presentazione di contributi scientifici, e ovviamente per la pratica medica quotidiana. 

Marusic Ana and Marusic Matko. Can small journals provide leadership? Lancet 2012; 379: 1361-1363

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Stimolazione cerebrale profonda allevia i sintomi del Parkinson

Attraverso una revisione critica della letteratura, tre studiosi dell’Istituto di neurologia dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma hanno esaminato le potenzialità offerte dalla stimolazione cerebrale profonda, o Dns (deep brain stimulation) per il trattamento dei pazienti affetti da malattia di Parkinson. I numerosi studi pubblicati e archiviati su Pubmed mostrano che diversi nuclei cerebrali profondi sono stati stimolati da ricercatori e clinici, portando a un’ampia gamma di effetti sui sintomi motori e non-motori che tipicamente si associano al morbo di Parkinson. Esistono evidenze di alta qualità sui benefici a lungo termine della stimolazione del nucleo subtalamico e del globo pallido interno: in entrambi si ottiene un miglioramento delle funzionalità motorie. Altrettanto provata è la riduzione del tremore che si può conseguire stimolando il nucleo talamico ventrale intermedio. Dati sugli effetti a breve termine sono disponibili riguardo alla stimolazione di altre aree cerebrali profonde, quali il nucleo peduncolo-pontino e il complesso talamico centromediano-parafascicolare. Alcuni sintomi non motori migliorano dopo la Dbs, in parte come effetto diretto della stimolazione e in parte indirettamente, in conseguenza dei benefici ottenuti nelle funzionalità motorie e grazie a terapie farmacologiche meno intense.

Lancet Neurol, 2012; 11(5):429-42

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Probiotici efficaci nella diarrea da antibioticoterapia

Un’ampia metanalisi statunitense sembra definitivamente sancire l’efficacia dei probiotici nella riduzione della diarrea associata a trattamenti antibiotici (Aad). Servono però ancora studi per chiarire quali siano, all’interno di un’ampia categoria, i probiotici più validi, per quali pazienti e per quali antibioticoterapie. Sono queste, in sintesi, le conclusioni tratte un gruppo di studiosi californiani basandosi sui dati contenuti in 82 trial clinici randomizzati (Rct). Tra i probiotici considerati nella selezione dei lavori (Lactobacillus, Bifidobacterium, Saccharomyces, Streptococcus, Enterococcus, e/o Bacillus), la maggior parte degli studi ha fatto impiego del Lactobacillus, da solo o in combinazione con altri generi; i ceppi peraltro erano scarsamente documentati. Il rischio relativo raggruppato, in una meta-analisi effettuata su 63 Rct corrispondente a 11.811 partecipanti, ha evidenziato una associazione statisticamente significativa tra la somministrazione di probiotici e la riduzione della Aad (rischio relativo: 0,58) nei trial che riportavano il numero di pazienti con Aad. Questo risultato è apparso relativamente non influenzato nelle analisi dei vari sottogruppi. Comunque, vi è una significativa eterogeneità nei risultati raggruppati e l’evidenza non è sufficiente a stabilire se tale associazione possa variare sistematicamente a seconda della popolazione, delle caratteristiche dell’antibiotico o della preparazione probiotica.

JAMA, 2012; 307(18):1959-69

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Ema, cautela in prescrizione di terapia antiosteoporosi

Al termine della revisione del profilo di sicurezza di due farmaci contenenti ranelato di stronzio, il Chmp dell’Ema ha concluso che questi medicinali rimangano un importante trattamento per le donne con osteoporosi, ma che, al fine di gestire meglio i rischi associati, sono necessarie delle modifiche agli avvisi per i prescrittori. La revisione è stata avviata quando uno studio condotto in Francia aveva rilevato 199 gravi reazioni avverse riportate con questi medicinali. Circa la metà di queste erano eventi di tromboembolismo venoso (Tev), e circa un quarto era relativo a reazioni cutanee. La revisione sulla sicurezza ha evidenziato che il rischio Tev è maggiore in chi ne ha sofferto in passato e così come nei pazienti che sono temporaneamente o permanentemente immobilizzati, pertanto in questi i medici non devono prescriverlo e devono rendere i pazienti consapevoli del tempo di insorgenza e dei probabili segni e sintomi di reazioni cutanee. Inoltre, il proseguimento della terapia va rivalutata in pazienti sopra gli 80 anni di età.

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Con gravidanze tardive più rischio endometriosi

Le donne italiane tendono a posticipare l’arrivo dei figli e ricorrono alla contraccezione ormonale, per evitare gravidanze non programmate. Tutto ciò è attualmente uno degli elementi alla base dell’aumento di endometriosi, patologia che è figlia delle gravidanze tardive. È quanto ha sostenuto Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano, nell’ambito del 15° Congresso mondiale di endocrinologia ginecologica, presieduto da Andrea Genazzani, e svoltosi a Firenze dal 7 al 10 marzo scorsi. Secondo i dati diffusi nel corso dei lavori congressuali, la fecondità attuale in Italia è pari a 1,4 figli. «Un numero insufficiente» sostiene Graziottin «a mantenere gli italiani. Oggi si fanno figli a 31 anni, ovvero quasi 16 anni dopo rispetto a quello che avveniva 100 anni fa. L’Italia, insieme all’Irlanda, è il Paese europeo con le nascite più tardive e quello con la più alta percentuale di ultraquarantenni al primo figlio». Oggi – è la conclusione – bisogna fare i conti con numeri che sono molto cambiati rispetto a un secolo fa: da una parte abbiamo una speranza di vita di oltre 84 anni, dall’altra è stata abbassata a 3,3 ogni mille, rispetto a 160, la quota dei bambini che muoiono nei primi giorni di vita.

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