Dovere di corretta tenuta della cartella clinica

Il fatto Una struttura ospedaliera e il medico operatore venivano chiamati in giudizio per essere condannati al risarcimento dei danni subiti da una paziente a seguito di un intervento di protesi al ginocchio. Dopo la dimissione la donna aveva ricevuto una copia della cartella clinica di ventiquattro pagine con all’interno atti relativi ad altra paziente e, successivamente, a seguito di rimostranze, le era stata consegnata una seconda copia della cartella clinica, questa volta composta da trentaquattro pagine. Diritto ed esito del giudizio Il Tribunale di Roma pur escludendo la responsabilità del sanitario e della struttura chiamati in giudizio, in ordine alla cartella clinica ha avuto occasione di affermare come nel caso specifico, il documento rilasciato fosse espressione di una scarsa attenzione nella sua tenuta e aggiornamento. La corretta tenuta della cartella clinica, oltre a rispondere a un interesse pubblico di tutela della salute del paziente, risponde anche a un interesse della struttura dal momento che ciò che in essa non è presente comunque rappresenta un pregiudizio per le sue ragioni, essendo il successivo giudizio operato sulla base del fatto che tali attività non sono state poste in essere. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

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Ordini europei, serve direttiva per evitare esodo pazienti

Potrebbero essere fino a 60 milioni i pazienti europei che si sposteranno in cerca di cure migliori a partire dal 2013, quando cadranno i confini tra i Paesi dell’Unione. Per evitare questo esodo è necessaria una direttiva europea che garantisca una qualità professionale standardizzata. Lo chiedono all’Europa i vertici delle associazioni e confederazioni europee degli Ordini dei medici, dei medici specialisti, dei medici di medicina generale, al termine del primo convegno internazionale ”Per uno specialista europeo accreditato” svoltosi a Udine. Secondo i medici, l”obiettivo è impedire che si creino flussi incontrollabili di nuovi pazienti che andrebbero ad appesantire le liste d’attesa e anche flussi di medici provenienti da Paesi con percorsi formativi difformi e diversi livelli di preparazione. «È necessario avere regole certe per creare un sistema sanitario comune europeo senza discriminazioni fra Paesi quanto a formazione, sanità erogata e livello tecnologico», ha affermato il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) Amedeo Bianco. «Ci preoccupa molto» ha aggiunto il presidente dell’Ordine dei Medici di Udine, Luigi Conte «la proiezione fatta dalla Società italiana di medici manager secondo la quale dal 2013 ci saranno circa 60 milioni di cittadini europei che cercheranno cure migliori rispetti ai loro paesi d’origine quanto a qualità, tecnologie e preparazione dei professionisti. Dobbiamo prevenire gli scenari peggiori».

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Lombardia, da destino province dipende riordino del Ssr

Il riordino di Asl e ospedali della Lombardia preannunciato a luglio dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, che avrebbe dovuto portare a economie e maggiori efficienze e avrebbe comportato anche una riduzione delle strutture pubbliche, andrà rivisto in base a come evolverà il progetto del Governo di eliminare le province. «Da luglio a oggi» spiega il presidente della Regione, intervenuto a margine di una conferenza stampa all’ospedale San Paolo, «è cambiato tutto: un conto è un riordino delle Asl nella permanenza delle dodici province lombarde e un altro è pensare a una Lombardia senza province, in cui probabilmente i presidi delle Asl potrebbero avere altri scopi». Diversi sono i progetti in cantiere che vanno nella direzione di un maggior efficientamento del servizio sanitario, annuncia Formigoni, «ma nessuno parli di tagli: con misure di massimizzazione ci riferiamo a progetti per migliorare i servizi spendendo meno». Il metodo, promette, sarà quello del dialogo: «Se ci confrontiamo con le altre Regioni abbiamo meno ospedali e Asl; e siccome dobbiamo fare cambiamenti omogenei ho aperto una fase di dibattito anche con gli altri presidenti di Regione». Ma rimane una certa preoccupazione per la Manovra di agosto: «C’è da due anni una diminuzione delle risorse disponibili per le Regioni, perché l’aumento del fondo sanitario è inferiore all’aumento dell’inflazione, soprattutto a quella in campo sanitario, che è più alta per convenzione internazionale».

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Istud: cure a casa, il distretto è centrale nel 92% dei casi

Le cure domiciliari rappresentano ormai una realtà consolidata e funzionante del sistema sociosanitario e costituiscono in caso di bisogno la soluzione preferita da una fetta sempre crescente di italiani. E’ il quadro che emerge dall’indagine condotta dall’Osservatorio sulle cure a casa dell’Istud in collaborazione con la Card (Confederazione associazioni regionali di distretto) e Cittadinanzattiva. Alla ricerca, presentata ieri nel corso di un convegno ospitato al Fatebenefratelli di Roma, hanno risposto distretti sanitari, comuni, servizi privati e del terzo settore di 15 regioni e un campione di 210 cittadini. Il quadro che risulta conferma tendenze già registrate nella precedente indagine, risalente al 2009: il distretto territoriale copre ormai un ruolo centrale nell’organizzazione delle cure a casa (92% di copertura della domanda), nella fornitura di “dimissioni protette” (87% dei casi) e nell’erogazione di assistenza domiciliare integrata (Adi, 93,5% dei casi). Inoltre migliora qualità e gestione dell’assistenza, perché nell’81% dei casi non vengono segnalate liste d’attesa e, dove esistono, viene comunque assicurata la presa in carico dell’emergenza nell’arco delle 72 ore. «I dati» sintetizza Maria Giulia Marini, responsabile Practice sanità e salute della Fondazione Istud «rivelano che il settore delle cure a casa è in costante sviluppo e gode di sempre maggiore attenzione, anche da parte delle amministrazioni. I nostri dati non sono completi ma si può affermare che dove le cose funzionano il livello di efficienza è più che alto e la complessità delle prese in carico cresce di pari passo con l’incremento della cronicità». Anche dal lato dei cittadini si nota una maturazione nell’approccio alle cure domiciliari: l’86% degli italiani dà la propria preferenza alle cure a casa offerte da un assistente familiare professionale e il 70% sarebbe disposto a versare un contributo al servizio pubblico, commisurato al proprio reddito, pur di usufruire di assistenza domiciliare. «E’ un dato sul quale occorrerebbe riflettere» rimarca Marini «perché c’è il rischio che i tagli impartiti al livello ospedaliero dall’ultima Manovra possano far mancare risorse e personale alle cure domiciliari. Diventa sempre più cruciale valutare l’apporto del terzo settore e il fatto che gli italiani siano disposti a contribuire pur di usufruire di servizi efficienti a casa è un elemento di novità importante».

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Fazio, la tassa sul fumo vale un miliardo di euro

Un’eventuale tassa sul fumo potrebbe valere un miliardo di euro. La proposta è stata già in parte discussa al Consiglio dei Ministri, ma l’impegno del ministero della Salute è per fare in modo che gli introiti siano destinati alla sanità. A dirlo il titolare del dicastero Ferruccio Fazio, in un intervento a Empoli. «Se va in porto la tassa sul tabacco» è il commento del Ministro «si riuscirebbe a dare una bella boccata di ossigeno, sia in relazione ai ticket, sia agli effetti della manovra in generale». A questo proposito, il Ministro ricapitola l’incidenza del provvedimento di agosto sulla sanità, che «per ora è poca cosa». Quanto alla manovra di luglio, invece, che aveva introdotto i ticket su specialistica e pronto soccorso, «comincerà a farsi sentire in cifre rilevanti dal 2013 e 2014 con un peso che ricadrà su farmaceutica, servizi e dispositivi». Sui ticket il Ministro ricorda che «hanno una iniquità intrinseca e vanno in parte rimodulati dalle regioni e in parte rivisti alla luce della manovra complessiva».

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Addio a certificati cartacei. Cgil, persistono carenze strutturali

Dopo più di un anno di incontri, discussioni e polemiche tra sindacati medici e ministro della Pubblica amministrazione, l’ora X è fissata per domani 13 settembre, quando entrerà ufficialmente a regime, dopo un periodo transitorio durato 3 mesi, il nuovo sistema di comunicazione online delle malattie dei lavoratori dipendenti privati. Una piccola rivoluzione digitale che dovrebbe portare, secondo i calcoli del dicastero della P.A., risparmi per 500 milioni di euro l’anno (calcolati in base al costo di ogni pratica, stimata in 10 euro), oltre all’eliminazione di quasi 100 milioni di fogli di carta. L’ultimo via libera è arrivato la scorsa settimana dal Comitato tecnico di monitoraggio messo in piedi dal ministero. «Qualche piccola perplessità esiste sempre ma la stragrande maggioranza dei medici è pronta per l’avvio del sistema, direi circa il 90%», spiega Giacomo Milillo, presidente della Fimmg, la Federazione dei Medici di Medicina Generale, aggiungendo però che «resta ancora da stabilire la collaborazione con le Regioni». «Oggi si dimostra che le nostre ragioni erano corrette e che ci voleva del tempo per organizzarsi», aggiunge Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg), secondo il quale i medici operativi sarebbero «intorno al 95%». «È una buona notizia» è il commento di Massimo Cozza, segretario nazionale FpCgil Medici e di Nicola Preiti, coordinatore nazionale Fp Cgil Medici Medicina Generale. «Ma» precisano, «nonostante i tanti comunicati del Ministro Brunetta zeppi di cifre e statistiche, persistono carenze strutturali del sistema, in particolare al pronto soccorso, nella specialistica ambulatoriale e nei ricoveri ospedalieri». «Per queste ragioni» conclude la nota «da domani i lavoratori privati potranno avere quasi sempre il certificato di malattia on line quando si recano dal medico di famiglia, meno se chiamano la guardia medica e quasi mai se si recano al pronto soccorso o vengono ricoverati».

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Regioni, spesa sanitaria +74% in dieci anni

In dieci anni la spesa delle Regioni è passata da 119 a 209 miliardi di euro. E il merito, se così lo si può definire, va soprattutto alla Sanità, le cui uscite sono aumentate di quasi 46 miliardi. Mentre i governatori proseguono nelle loro contestazioni alla Manovra e ai tagli che impartisce agli enti locali, dalla Cgia di Mestre arrivano dati che non fanno fare bella figura alle Regioni. Nel periodo che va dal 2000 al 2009, infatti, la spesa delle amministrazioni è cresciuta del 75,1%, un valore di circa tre volte superiore al tasso di incremento dell’inflazione (+22,1% nello stesso periodo). Le medie rivelano andamenti regionali profondamente differenti: le Regioni che hanno fatto registrare i balzi più consistenti sono Umbria (+143,7%), Emilia Romagna (+140,3%) e Sicilia (+125,7%), mentre le più “parsimoniose” risultano Provincia autonoma di Trento (+43,2%), Veneto (+40,9%) e Campania (+40,3%). Stessa eterogeneità per quanto concerne le voci di spesa che hanno inciso sulla crescita. In termini percentuali al primo posto c’è l’assistenza sociale (+185,8%), seguita da oneri non attribuibili (ammortamenti, interessi, fondi di riserva, spese non classificabili: +112,6%), istruzione/formazione (+86,9%) e Sanità (+74,3%). Quest’ultima tuttavia passa al primo posto se la valutazione è sulle cifre assolute: nei dieci anni compresi tra il 2000 e il 2009, infatti, la spesa per assistenza sanitaria è cresciuta di 45,9 miliardi di euro, seguita a grande distanza (+20 miliardi) dagli oneri non attribuibili. «Maggior spesa non sempre è sinonimo di spreco o di una cattiva gestione» è il commento di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre «ma non possiamo nascondere che alcune Regioni, come quelle a Statuto speciale, presentano livelli di spesa che solo in parte sono coperte dalle entrate proprie. Ciò vuol dire che la specificità di alcuni territori è stata in gran parte garantita dallo sforzo fiscale fatto dai contribuenti delle realtà a Statuto ordinario. Un meccanismo, quest’ultimo, che andrebbe eliminato per ripristinare il principio di equità ed uguaglianza tra tutti i territori regionali».

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Recidiva di mieloma multiplo, sì a talidomide e desametasone

L’impiego di talidomide e desametasone (thal-dex) si propone come una efficace terapia di salvataggio per i pazienti con mieloma multiplo alla prima recidiva: si nota infatti un controllo protratto nel tempo della malattia e una sopravvivenza globale prolungata. Thal-dex è anche ben tollerato, come emerge dal lungo periodo in cui i pazienti sono rimasti in trattamento senza progressione della malattia (25 mesi in mediana) e dal ridotto tasso di interruzione della terapia per problemi di tossicità (8%). È l’esito di uno studio condotto da Elena Zamagni e collaboratori dell’Istituto di ematologia Seràgnoli dell’università di Bologna, utilizzando un regime che comprendeva una dose quotidiana di talidomide da 100 o 200 mg fino a progressione e desametasone 160 mg al mese. Sono stati arruolati 100 pazienti con una terapia di prima linea costituita da trapianto autologo di cellule staminali (72%) e chemioterapia convenzionale (28%). Il 59% dei pazienti ha ricevuto una dose fissa di talidomide pari a 100 mg al giorno. Gli eventi avversi più frequenti sono risultati costipazione (42%), neuropatia periferica (58%, nel 5% dei casi di grado 3), bradicardia (20%), rash cutaneo (11%) e tromboembolismo venoso (7%). La sospensione di talidomide conseguente a eventi avversi è stato osservata in 8 pazienti. All’analisi intention-to-treat, il 46% dei pazienti ha raggiunto almeno una risposta parziale. La mediana della durata della risposta si è attestata su 28 mesi e il tempo mediano alla successiva terapia sui 15,5 mesi. I valori mediani di sopravvivenza globale, tempo alla progressione e sopravvivenza libera da progressione sono risultati pari rispettivamente a 43, 22 e 21 mesi. Il tempo alla progressione e la sopravvivenza libera da progressione sono stati significativamente maggiori nei pazienti che mostravano almeno una risposta parziale a talidomide. Ann Hematol, 2011 Sep 8. [Epub ahead of print]

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Steatosi non alcolica pediatrica: no a metformina e vitamina E

Nei bambini e negli adolescenti con steatosi epatica non alcolica (Nafld), n? la vitamina E n? metformina sono superiori al placebo nell’ottenere una riduzione sostenuta delle Alt (alanino aminotrasferasi).

? questo il risultato dello studio multicentrico randomizzato Tonic, compiuto da un’?quipe medica coordinata da Joel E. Lavine, della divisione di Gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica presso la Columbia university di New York. La ricerca ha coinvolto 173 pazienti, di et? compresa tra 8 e 17 anni, con diagnosi di Nafld confermata da biopsia: il campione arruolato ? stato suddiviso in tre gruppi: 800 IU/die di vitamina E (58 pazienti), 1.000 mg/die di metformina (57 pazienti) o placebo (58 pazienti) per un periodo di 96 settimane. Outcome principale ? stata la riduzione sostenuta di Alt, definita come il 50% o meno del livello al basale oppure 40 U/L o meno alle visite eseguite ogni 12 settimane dalla quarantottesima alla novantaseiesima settimana di trattamento. La riduzione sostenuta del livello di Alt ? stata simile al placebo (10/58; 17%) sia nel gruppo che assumeva vitamina E (15/58; 26%) sia in quello a cui veniva somministrata metformina (9/57; 16%). La variazione media del livello di Alt dal baseline alla settimana 96 ? stata di -35,2 U/L con placebo, -48,3 U/L con vitamina E e -41,7 U/L con metformina. La variazione media al termine dello studio dei punteggi del ballooning epatocellulare ? stata di 0,1 con placebo, -0,5 con vitamina E e -0,3 con metformina; la variazione del Nafld activity score ? stata di −0,7 con placebo, −1,8 con la vitamina E e −1,1 con metformina.

Tra i bambini con steatoepatite non alcolica (Nash), la percentuale di risoluzione a 96 settimane ? stata di 28% con placebo, 58% con la vitamina E e 41% con metformina. Rispetto al placebo, nessuna terapia ha mostrato un miglioramento significativo di altre caratteristiche istologiche.

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Gestione?dolore ancora inadeguata in 24 ospedali italiani

Negli ospedali italiani il livello di organizzazione e standardizzazione del management del dolore postoperatorio ? ancora inadeguato. Il trattamento analgesico dopo la chirurgia ? subottimale, al punto che quasi due terzi dei pazienti continuano a sperimentare dolore. La segnalazione giunge dallo studio Italian observational study of the management of mild-to-moderate post-operative pain (Itospop), coordinato da Rosalba Tufano dell’universit? Federico II di Napoli. Gli autori hanno analizzato i dati di 24 ospedali della penisola relativi alla gestione del dolore postoperatorio e all’intensit? del dolore riferito dai pazienti durante le prime 48 ore dopo l’intervento chirurgico. Questi i risultati: solo il 16,7% degli ospedali sono dotati di un servizio per il trattamento del dolore acuto e il 41,7% ha applicato un protocollo standardizzato per il controllo della sintomatologia dolorosa. La maggioranza dei 1.952 pazienti (>60%) monitorati ? stato sottoposto alle sei valutazioni previste, che in pi? del 70% dei casi sono state effettuate da un medico. La percentuale dei pazienti con dolore moderato si ? ridotta durante il periodo di studio ma circa il 10% dei soggetti ha continuato a lamentare dolore moderato alla fine dell’indagine. Dolore di intensit? lieve ? stato riportato nel 50% dei casi per l’intera durata dello studio. Alla valutazione finale, il 5% dei pazienti presentava ancora dolore incidente che spesso interferiva sulle attivit? quotidiane. La maggior parte dei soggetti studiati, infine, ? stato trattato con analgesici, ma nel 20% dei casi non sono state somministrate terapie del dolore nonostante le sofferenze lamentate dai pazienti.

Minerva Anestesiol, 2011 Jun 30. [Epub ahead of print]

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