Ema favorevole a nuova terapia leucemia mieloide cronica

L’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha espresso parere favorevole per dasatinib, molecola innovativa di Bristol-Myers Squibb, impiegata nel trattamento dei pazienti adulti con leucemia mieloide cronica. Si tratta del primo nuovo trattamento per questa malattia approvato in Europa dal 2001, quando fu introdotto l’imatinib, che fino a oggi ha costituito la terapia standard. Il via libera dell’Ema si basa sui risultati dello studio internazionale chiamato Dasision, pubblicato sul New england journal of medicine, dove in pazienti con leucemia mieloide cronica Philadelphia positiva in fase cronica di nuova diagnosi (cio? i casi della malattia in cui ? presente un’anomalia nel cromosoma cosiddetto Philadelphia, che ha preso il nome dalla citt? in cui fu osservato per la prima volta), questo farmaco ha dimostrato un’efficacia superiore rispetto all’imatinib, nella risposta citogenetica completa, vale a dire quando non si evidenzia pi? la presenza.

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L’elastografia transitoria rileva la cirrosi nell’affezione epatica cronica

New York (Reuters Health) 09 marzo – FibroScan, una tecnica noninvasive di elastografia che misura la rigidit? epatica, rileva esattamente la cirrosi in pazienti con l’affezione epatica cronica, secondo un rapporto pubblicato su Gut di marzo. “questo saggio dovrebbe essere molto utile nella pratica clinica per il trattamento dei pazienti cirrotici,” ha detto il Dott. Victor de Ledinghen dell’Ospedale Haut Leveque, Bordeaux, Francia a Reuters Health, Il sistema FibroScan applica una vibrazione a bassa ampiezza e a bassa frequenza sul tessuto, che propaga un’onda elastica riflessa attraverso il fegato. La velocit? della propagazione, che aumenta con l’aumentare della durezza del tessuto, viene mediante ecografia ad impulsi. Recentemente, il Dott. de Ledinghen ed i colleghi hanno riportato che il FibroScan rileva la fibrosi del fegato e la cirrosi in pazienti confetti con HIV e HCV (vedi il rapporto Reuters Heath, “L’elastografia noninvasiva valuta la fibrosi epatica nei pazienti HIV/HVC ” 24-02-2006 13:16:48)
Nel presente studio, i ricercatori hanno studiato l’esattezza del sistema nella rilevazione della cirrosi in 711 paziente con l’affezione epatica cronica. La rigidit? epatica mediana era significativamente pi? alta in pazienti con cirrosi (31.1 kilopascals) che in pazienti con fibrosi grave(kPa 18.7), secondo quanto rapportato dagli autori. Sulla base delle distribuzioni di misura di rigidit?, i ricercatori hanno stabilito i livelli di limite di kPa 7.2 per fibrosi moderata, kPa 12.5 per fibrosi grave e kPa 17.6 per la cirrosi. “Con un valore di limite di kPa 17.6, dei valori di previsione negativi e positivi per la diagnosi della cirrosi erano 92% e 91%, rispettivamente,” scrive il team. Per i pazienti con fibrosi grave, i ricercatori inoltre hanno stabilito i limito per la presenza della fase 2/3 deile varici esogagee (kPa 27.5), di cirrosi del bambino BC (kPa 37.5), del carcinoma epatocellulare (kPa 53.7) e dell’emorragia Esofagea(kPa 62.7).
“I risultati del presente studio condotto prospettivamente in un grande gruppo di pazienti con l’affezione epatica cronica hanno mostrato che il elastografia transitoria ? una tecnica efficiente per la diagnosi della cirrosi e della relativa gravit?,” concludono i ricercatori. ” potrebbe essere effettuato uno studio longitudinale del gruppo che sia svolto per predire le complicazioni della cirrosi usando FibroScan in modo che indagi sulle complicazioni della cirrosi e chiuda il follow-up,”aggiungono.
“Il FibroScan ?, finora, il miglior metodo non-invasivo per la valutazione della fibrosi e della cirrosi epatica e per la valutazione della gravit? della cirrosi,” ha detto il Dott. de Ledinghen. “Attualmente, molti studi stanno continuando per altre affezioni epatiche: HCV in pazienti trapiantati, pazienti alcolizzati e cos? via. FibroScan ? potuto essere molto utile per il follow-up dei pazienti.”
Gut 2006;55:403-408.

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Da Siommms, commissione per linee guida su Vitamina D

in seguito a studi contraddittori sulle dosi di supplementazione della vitamina D nel trattamento e prevenzione dell’osteoporosi, la Societ? italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms) avvia un’indagine per stilare linee guida per la popolazione italiana. In un comunicato la Societ? spiega che ?? stata messa in dubbio la necessit? dell’utilizzazione di quantit? elevate di vitamina D e questa informazione ha generato confusione non solo tra gli stessi operatori sanitari, ma soprattutto nel pubblico fruitore di tale terapia?. Con queste premesse, la Siommms ha deciso di avviare una revisione della letteratura e di creare una commissione per stilare delle linee guida adattabili alla popolazione italiana, dal momento che le indagini condotte in Italia hanno documentato una carenza di vitamina D talora pi? diffusa e severa di quella riscontrata in altri paesi dell’Europa o del nord America. Fino a che tale documento non verr? elaborato, la Siommms raccomanda che chiunque intende assumere la vitamina D, ne deve discutere direttamente con il proprio medico.

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Diminuiscono le epatiti ma aumentano le steatosi epatiche

I dati dell’Associazione europea per lo studio del fegato
Ben 29 milioni di europei (6%) sono affetti da epatopatie che rappresentano la quinta causa di morte nel mondo e ogni anno il solo carcinoma epatico miete 40.000 vittime . Su questi dati piu’ di 6.000 medici e scienziati provenienti dal tutto il mondo si sono dati appuntamento a Milano per partecipare alle sessioni di apertura della 43o Meeting annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL) che si protrarra’ fino al 27 aprile.
Molte relazioni sono state dedicate al trend di prevalenza di ognuna delle principali epatopatie; si e’ segnalata la costante riduzione dei casi di epatite B e C, e il fatto che il numero di casi di steatosi epatica dovuta all’abuso di sostanze alcoliche o non associata all’uso di alcol (NAFLD – steatosi epatica non alcolica) si mantiene stabile o in leggero aumento. Tra le epatopatie piu’ diffuse, molte possono insorgere prima in forma acuta e poi diventare croniche; tra queste ci sono l’epatopatia alcolica, l’epatite B, C, e D, la steatosi non alcolica (NAFLD) e la NASH (steatoepatite non alcolica, la stadio piu’ avanzato di NAFLD).
Il passaggio dallo stato acuto a quello cronico si verifica quando il paziente non guarisce e l’infezione, o la patologia acuta, continua nel tempo a danneggiare il fegato.
La cirrosi, patologia nella quale si assiste alla morte delle cellule epatiche, all’alterazione della rigenerazione cellulare, alla formazione di tessuto fibroso cicatriziale e, infine, all’alterazione della funzione epatica, rappresenta lo stadio finale di numerose epatopatie croniche. Inoltre, la cirrosi e’ una patologia solo parzialmente reversibile, sebbene i trattamenti oggi disponibili possano rallentare o arrestare il suo decorso.
Quando la cirrosi provoca complicanze che non possono essere trattate in altro modo, o quando danneggia il fegato a tal punto da comprometterne la corretta funzionalita’, diventa indispensabile procedere a un trapianto di fegato.
La cirrosi, inoltre, e’ il principale fattore di rischio per lo sviluppo del carcinoma epatocellulare (HCC), una forma di cancro che colpisce le cellule epatiche e puo’ anch’essa determinare la necessita’ di un trapianto. Si stima che in tutta Europa vi siano 10 milioni di portatori di epatite virale, di cui oltre 8 milioni hanno contratto l’infezione da virus dell’epatite C (HCV). Sebbene le statistiche presentino scenari diversi da paese a paese, l’HCV e’ responsabile di molti (o della stragrande maggioranza in alcuni Paesi) dei casi di cirrosi e di HCC.

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Dieta, cirrosi e tumori epatici

La composizione della dieta pu? influenzare la progressione di cirrosi e tumori epatici. I fattori dietetici sono importanti elementi di rischio, e probabilmente anche causali, per obesit?, insulinoresistenza e diabete, che a loro volta sono i pi? importanti fattori di rischio noti di steatosi epatica; ? possibile inoltre che la quantit? e la composizione dei lipidi nella dieta possano tanto promuovere quanto prevenire lo sviluppo o la progressione della steatosi epatica.

E’ probabile peraltro che se una certa composizione della dieta influenza questi elementi, essa svolga anche un ruolo nella storia naturale delle tre pi? importanti malattie epatiche, ossia la steatosi epatica non alcolica, l’infezione da Hcv e l’epatopatia alcolica. Precedenti ricerche avevano dimostrato che una dieta ad elevato contenuto di colesterolo ? ingrado di produrre steatosi profonda, infiammazione e fibrosi centrolobulare nell’animale, mentre nello stesso contesto una dieta a basso contenuto di proteine animali ? associata ad una diminuzione del danno epatico e dell’incidenza del carcinoma epatocellulare in presenza di epatite B.
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Mentre il consumo di colesterolo ? stato associato per la prima volta ad un aumento del rischio di cirrosi o tumore epatico, non sono state riscontrate correlazioni fra elementi dietetici ed infezione da Hcv, il che suggerisce che la presenza di malattie epatiche di base non causa alcuna variazione nella dieta, ma anzi rende pi? plausibile che differenze nell’apporto di proteine, carboidrati, colesterolo ed altri componenti lipidici contribuiscano allo sviluppo di cirrosi o tumori epatici.

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(Hepatology. 2009; 50: 175-84)

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Utile lo shunt epatico in corso d’ascite

Rispetto alla paracentesi, l’impiego di uno shunt portosistemico intraepatico transgiugulare (TIPS) pu? migliorare il tasso di sopravvivenza in alcuni pazienti con cirrosi epatica che presentano un’ascite difficile da trattare. Il TIPS ? infatti un trattamento per l’ascite refrattaria nei pazienti cirrotici che pu? migliorare sia la sopravvivenza che la qualit? della vita.
Tale tecnica tuttavia non ? applicabile a tutti i pazienti: et?, livelli di bilirubina, sodio plasmatico ed allocazione del trattamento risultano indipendentemente associati alla sopravvivenza libera da trapianto. Il successo dell’applicazione di un TIPS, inoltre, ? correlato all’esperienza del radiologo. (Gastroenterology 2007; 133: 825-34)

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Pi? indice di massa corporea pi? cirrosi

Si chiama Million women study ed ? un studio prospettico di corte svolto dall’Unit? di epidemiologia del cancro dell’Universit? di Oxford, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su Bmj.
Scopo del trial: stabilire la relazione tra indice di massa corporea (Bmi) e cirrosi epatica e capire il contributo che il Bmi e il consumo di alcol determinano sulla cirrosi epatica nelle donne di mezza et? nel Regno Unito. Le partecipanti sono state coinvolte dal 1996 al 2001 nei centri per lo screening del cancro mammario del servizio sanitario nazionale inglese. In tutto, 1.230.662 donne (con et? media di 56 anni all’arruolamento) sono state seguite per una media di 6,2 anni. 1.811 donne hanno avuto una prima ammissione ospedaliera con cirrosi epatica o ne morirono durante il follow-up. Tra i soggetti con un Bmi di 22,5 o superiore, valori crescenti di Bmi erano associati a un’incidenza crescente di cirrosi epatica; il rischio relativo aggiustato di cirrosi era aumentato del 28% (rischio relativo 1,28, 95% intervallo di confidenza da 1,19 a 1,38, P<0,001) per ogni 5 unit? di aumento del Bmi.
Nonostante l’aumento relativo del rischio di cirrosi epatica per un aumento di 5 unit? del Bmi non differisse in modo significativo all’ammontare dell’alcol consumato, tale differenza era evidente nel rischio assoluto. Tra le donne che asserivano di bere meno di 70 g di alcol a settimana, il rischio assoluto di cirrosi epatica per 1.000 donne in oltre 5 anni era 0,8 per quelle con un Bmi tra 22,5 e 25 e 1,0 per quelle con Bmi di 30 o pi?. Tra le donne che sostenevano di bere 150 g di alcol o pi? per settimana, i valori corrispondenti erano 2,7 e 5,0. L’eccesso di peso corporeo aumenta dunque l’incidenza di cirrosi epatica. In particolare, tra le donne di mezza et? in Regno Unito, si stima che un 17% di cirrosi fatali sia attribuibile all’eccesso di peso e che ci? sia attribuibile nel 42% dei casi all’alcol.

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I dolcificanti delle bibite hanno effetti dannosi sul fegato

Lo sciroppo di fruttosio ottenuto dal mais (HFCS,High Fructose Corn Syrup), il dolcificante utilizzato nella maggior parte delle bevande e dei succhi di frutta zuccherati, ha effetti molto dannosi sul fegato, soprattutto se si ? gi? affetti da steatosi epatica non alcolica.

Lo rivela uno studio pubblicato dalla rivista specializzata Hepatology. I ricercatori del Duke University Medical Center coordinati da Manal Abdelmalek hanno preso in esame 427 pazienti con steatosi epatica non alcolica, e scoperto che solo il 19% di loro non consuma bevande zuccherate. Incrociando i dati sulle abitudini dietetiche di questi pazienti e i referti delle biopsie epatiche alle quali sono stati sottoposti, ? emerso che il consumo di sciroppo di fruttosio ? associato allo sviluppo di fibrosi epatica.

Spiega Fabio Marra del Dipartimento di Medicina Interna dell’Universit? di Firenze: “Con il termine di fibrosi epatica si intende l’accumulo di tessuto di tipo “cicatriziale” nell’ambito del fegato. Con il progredire della fibrosi la matrice si accumula tra i vasi capillari e le cellule epatiche, impedendo i processi di scambio. Inoltre nuovi vasi si formano nell’ambito del tessuto cicatriziale, ed sangue non fluisce pi? come in precedenza, prendendo contatto con le cellule nobili, ma “sfugge” dal contatto con le cellule, determinando quindi una mancata detossificazione da parte del fegato.

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Bioingegneria: creato in laboratorio il primo fegato umano

02/11/2010
L’Istituto di medicina rigenerativa del Wake Forest University Baptist Medical Center di Winston-Salem, nel North Carolina, ha creato nei suoi laboratori un fegato in miniatura con tutte le funzionalit? del fegato umano. I ricercatori, che hanno presentato la ricerca al congresso annuale dell’Associazione americana per lo studio delle Malattie del Fegato a Boston, anticipano che i prossimi passi saranno quelli di verificare come funzionera’ l’organo trapiantato in un modello animale e se i ‘microfegati’
creati in laboratorio potranno essere usati per testare la sicurezza di nuovi farmaci.

“Siamo entusiasti delle possibilita’ che questa ricerca rappresenta, ma sottolineo che siamo in una fase iniziale e ci sono molti ostacoli tecnici da superare prima di poter beneficiare i pazienti”, ha precisato Shay Soker, professore di medicina rigenerativa e direttore del progetto. “Non dobbiamo solo imparare come far crescere miliardi di cellule epatiche in una sola volta, al fine di creare fegati abbastanza grandi per i pazienti, ma dobbiamo valutare se questi organi sono sicuri per i pazienti stessi”.

In ogni caso, ha spiegato l’autore principale dello studio, Pedro Baptista, e’ la prima volta che cellule epatiche umane vengono utilizzate per creare in laboratorio, tramite bioingegneria, un fegato completo. “La nostra speranza e’ che una volta che questi organi verranno trapiantati, conservino le loro funzioni e continuino a svilupparsi”.

Per creare il fegato umano, gli scienziati sono partiti da fegati animali, trattati con un delicato detergente per rimuovere tutte le cellule, secondo un processo chiamato decellularizzazione, lasciando solo il collagene, una sorta di “scheletro” del fegato originario. Hanno poi sostituito le cellule originali con due tipi di cellule umane: le cellule del fegato immaturo, note come progenitrici, e le cellule endoteliali che allineano i vasi sanguigni. Le cellule sono state introdotte nello ‘scheletro’ del fegato animale attraverso un vaso sanguigno di grandi dimensioni che alimenta un sistema di piccoli vasi nel fegato. Questa rete di vasi rimane intatta dopo il processo di decellularizzazione e gli scienziati la hanno utilizzata come una sorta di vuota autostrada su cui far passare i ‘Tir’ carichi di cellule umane destinate a rimpiazzare quelle animali. Il fegato e’ stato successivamente posto in un bioreattore, un dispositivo speciale che fornisce un flusso costante di sostanze nutritive e ossigeno in tutto l’organo. Dopo una settimana nel bioreattore, gli scienziati hanno documentato la progressiva formazione di tessuto di fegato umano, cosi’ come le funzioni associate. E’ stata osservata anche una crescita diffusa di cellule all’interno dell’organo ‘biotech’.

I ricercatori hanno detto che lo studio suggerisce un nuovo approccio alla bioingegneria di organi interi che potrebbe rivelarsi fondamentale non solo per il trattamento di malattie del fegato, ma anche per rene e pancreas.

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L’effetto protettivo dell’olio d’oliva sul fegato

Un gruppo di ricercatori dell’University of Monastir (Tunisia) e della King Saud University di Riyadh (Arabia Saudita) guidati Mohamed Hammami ha scoperto che l’olio d’oliva, oltre ad esercitare un effetto protettivo contro lo stress ossidativo, pu? giocare un ruolo anche nella attenuazione dei danni epatici. Lo studio e’ stato pubblicato su Nutrition and Metabolism.

I ricercatori hanno diviso i topolini in 8 gruppi e li hanno esposti a un erbicida tossico, provocando danni epatici significativi in tutti gli esemplari. Gli studiosi hanno poi somministrato agli animaletti diversi estratti dell’olio d’oliva, gruppo per gruppo: e’ emerso che in tutti i gruppi si registravano segni di miglioramento nella salute del fegato, ma che in particolare l’estratto idrofilo dell’olio si e’ dimostrata la sostanza piu’ in grado di attivare gli enzimi antiossidanti e di diminuire i marker del danno epatico.

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