Nel trattamento della psoriasi volgare l’efficacia dei farmaci anti-Tnf-alfa tende a ridursi con il trascorrere del tempo, come peraltro suggerito dalla progressiva perdita di aderenza del paziente alla terapia. Il principale motivo dell’interruzione del trattamento ? proprio la perdita di efficacia, seguita dalla comparsa di eventi avversi. Allo scopo di verificare l’efficacia nel tempo in relazione all’aderenza, per la prima volta sono stati posti a confronto tre biologici anti-Tnf-alfa (adalimumab, etanercept, infliximab) e quest’ultimo ? emerso come il farmaco caratterizzato dalla miglior aderenza a lungo termine, con il 70% di pazienti ancora in trattamento dopo 4 anni. Le nuove informazioni provengono da uno studio danese – condotto da Robert Gniadecki, dell’ospedale Bispebjerg di Copenhagen, e collaboratori – basato sui dati nazionali del database Dermbio riguardante pazienti con psoriasi trattati con farmaci biologici. In totale sono state praticate su 747 pazienti 882 serie di trattamenti con etanercept (n=331), adalimumab (n=427) o infliximab (n=144). Come significativi fattori predittivi di aderenza alla terapia si sono identificati il sesso, l’agente anti-Tnf-alfa e la risposta pregressa agli anti-Tnf-alfa. Nel gruppo dei pazienti na?ve a questa classe farmacologica il pi? lungo periodo di tempo in cui i pazienti hanno continuato ad assumere il farmaco ? stato osservato con infliximab, seguito da adalimumab ed etanercept. Il mantenimento della terapia a 4 anni si ? attestato attorno al 40% per etanercept o adalimumab rispetto al 70% di infliximab. Non sono state segnalate differenze tra i tre farmaci nel numero di eventi avversi.
In ordine all’attribuzione della indennit?? di rischio da radiazioni, la normativa di settore ha distinto le seguenti due categorie di personale: – personale medico e tecnico di radiologia, cui tali benefici vanno sempre riconosciuti; ?- altri operatori sanitari che operano nel servizio di radiologia, nonch? tutto il personale che si trova ad essere occasionalmente esposto a radiazioni ionizzanti, ai quali, invece, tali benefici possono essere concessi solo a condizione che la competente Commissione abbia accertato la concreta esposizione alle radiazioni.
L’indennit? di cui trattasi compete, pertanto, al personale che sia sottoposto con carattere di continuit? all’azione di radiazioni.
Un ampio studio internazionale pubblicato su The New england journal of medicine sostenuto da Merck & Co., rivela che il vaccino Gardasil, prodotto dall’azienda, protegge dal Papillomavirus umano (Hpv) i ragazzi con la stessa efficacia con cui protegge le ragazze. L’efficacia sui maschi, valutata su tre anni, in un campione di 4.000 ragazzi tra 16 e 26 anni, risulta del 90%, contro diversi ceppi di Hpv che provocano tumore della cervice nelle donne, ma che sono stati correlati anche a tumori vulvari, anali e della gola. Un risultato simile a quello osservato nelle sperimentazioni su campioni femminili, in cui era quasi del 100%. Secondo gli autori della ricerca vaccinare i maschi comporta un beneficio diretto su chi lo riceve e su tutta la comunit?, perch? riducendo le infezioni negli uomini si riduce la trasmissione alle partner, ottenendo la cosiddetta immunit? di branco (herd immunity). La Food and drug administration ha approvato l’indicazione per le ragazze nel 2008 e per i ragazzi nel 2009, nella fascia 9-26 anni. Ma, sebbene i Centers for disease control and prevention, chiedano uno sforzo affinch?, il vaccino possa essere inserito nelle vaccinazioni scolastiche per le ragazze tra 11 e 12 anni, una commissione consultiva ha votato contro l’uso di routine del vaccino nei ragazzi.
Un’altra metanalisi del gruppo di Mismetti, conferma la maggiore efficacia e sicurezza della Enoxaparina (4000 IU OD) vs Eparina Non Frazionata (5000 UI BID/TID) per la profilassi del TEV nei pazienti medici. Nei 4 studi clinici randomizzati ammissibili per l’analisi sono stati presi in considerazione 3.600 pazienti (et? mediana di 71 anni, 49,3%donne); di questi 1.799 randomizzati a ricevere Enoxaparina e 1.801 trattati con UFH. Questi i risultati Enoxaparina ha ridotto del 37% il rischio totale per TEV (RR 0,63, 95% CI 0,51-0,77) e del 62% quello per TEV sintomatico (RR 0,38, 95% CI 0,17-0,85) nei pazienti con stroke questa riduzione ? risultata maggiore per l’Enoxaparina (0,59, 95% CI 0,47-0,74) rispetto alla UFH 0,87 (95% CI, 0,51-1,50) nessuna differenza vi ? stata nei tassi di sanguinamento che sono risultati essere bassi per entrambi i trattamenti (RR 1,13, 95% CI 0,53-2,44) nel solo gruppo dei pazienti trattati con Enoxaparina vi ? stata una tendenziale riduzione della mortalit? per tutte le cause (RR 0,83 Enoxaparina, 95% CI 0,64-1,08). Si conferma pertanto una superiore efficacia della Enoxaparina rispetto alla UFH nei pazienti medici ospedalizzati.
Laporte S et al. Individual patient data meta-analysis of enoxaparin versus unfractionated heparin for venous thromboembolism prevention in medical patients. J Thromb Haemost; 2011 Jan 13. doi: 10.1111/j.1538-7836.2011.04182.x.
New research released revealed that contrast-enhanced ultrasound (CEUS) could safely improve the diagnosis of a variety of medical conditions in children–without exposing them to ionizing radiation.
Dr. Martin Stenzel, a pediatric radiologist from the University Hospital Jena (Germany), reported that no adverse safety event was found when CEUS was used to image some 50 pediatric patients at his hospital. He presented his findings January 2011 at the 16th European Symposium on Ultrasound Contrast Imaging in Rotterdam, The Netherlands. The conference, which was cosponsored by the International Contrast Ultrasound Society (ICUS), featured the latest clinical and research developments in the CEUS field. ?Our experience shows that this technology works in children as well as adults,? Dr. Stenzel said.
The youngest patient Dr. Stenzel and his colleagues examined with CEUS, was two years old, he said. Unlike computed tomography (CT) and nuclear imaging, ultrasound scans do not expose patients to ionizing radiation, which is associated with an increased lifetime risk of cancer, according to Dr. Stenzel. ?It is especially important to avoid subjecting children to diagnostic tests that use ionizing radiation because children have many years to live and the risk of cancer is cumulative,? he said. ?In addition, we do not know how ionizing radiation may affect future reproductive capacity or the impact it may have on their unborn children.?
According to Dr. Stenzel, since CEUS images are not jeopardized by patient movement, the technique is particularly suitable for imaging young patients who will not lay still. ?This avoids the need for sedating children prior to imaging,? he said. Dr. Stenzel also stated that he and his colleagues have used CEUS to differentiate between a benign cyst and a perfused tumor, which could be quite dangerous and require immediate treatment. This helps avoid invasive tissue sampling, which presents additional risks and can be more difficult in children than in adults. According to Dr. Stenzel, severe forms of kidney infections can be evaluated more accurately with CEUS, which can help physicians detect tiny abscesses or pus formation that would require stronger antibiotic treatment. Moreover, he noted that CEUS is ?especially helpful? in evaluating an organ?s blood flow (perfusion). ?Bowel and testicular torsion, or twisting–typical diseases of the younger child–are medical emergencies in which confident ultrasound results will prevent unnecessary surgical explorations.? Dr. Stenzel also reported that CEUS was extremely useful in detecting internal abdominal injuries caused by a fall during play.
According to Dr. Stenzel, CEUS is safe, accurate, and less expensive than alternative imaging techniques. He called for additional clinical trials to validate the use of CEUS in pediatric patients. Traditional ultrasound is a first-line imaging tool used to diagnose a wide variety of medical conditions throughout the body. Ultrasound contrast agents may be used during an ultrasound examination to improve the clarity and accuracy of a conventional ultrasound image. They consist of suspensions of biocompatible and biodegradable microbubbles that are smaller than red blood cells. Unlike contrast agents used in MRI and angiography procedures, ultrasound contrast agents do not contain dye, which may produce allergic reactions in some patients.
After an ultrasound contrast agent is injected into a patient?s arm vein, it flows through the circulatory system, mimicking the flow patterns of red blood cells while reflecting ultrasound signals. An ultrasound probe placed over a region of interest, such as the abdomen or heart, will pick up the reflected signals and transmit them to a moving, real-time image of the target organ system. A few minutes after injection, the contrast agent is essentially breathed out of the body.
Ultrasound contrast agents have been approved for use in adult patients only. Their use in children is off-label and requires informed consent, according to Dr. Stenzel. CEUS is used in the United States to improve specific forms of cardiac imaging, and in Europe, Canada, Asia, and Brazil for evaluating medical conditions throughout the body–including the heart, liver, brain, digestive tract, and kidneys.
? nota una correlazione tra corticosteroidi sistemici ed insorgenza di diabete, ma non ? documentato l’effetto di corticosteroidi somministrati per via inalatoria ad alte dosi. Studi precedenti hanno fornito risultati contrastanti, anche perch? privi della sufficiente potenza statistica o condotti con trattamenti a basso dosaggio. Suissa e collaboratori hanno eseguito uno studio caso-controllo per valutare l’incidenza di sviluppo e di progressione del diabete, esaminando il database sanitario del Quebec. ? stata costituita una coorte di pazienti non diabetici ed affetti da patologia respiratoria in terapia con corticosteroidi inalatori dal 1990 al 2005. I casi sono stati seguiti fino al 2007 o fino all’insorgenza di diabete. Una sottocorte in trattamento con ipoglicemizzanti orali ? stata seguita fino alla progressione della malattia. ? stata effettuata un’analisi caso-controllo per stimare il rischio di insorgenza di diabete e di progressione associato all’impiego di corticosteroidi inalatori, aggiustato per et?, sesso, gravit? della patologia respiratoria e comorbilit?. La coorte comprendeva 388.584 pazienti; di questi 30.167 hanno sviluppato il diabete durante i 5,5 anni di follow-up (incidenza 14,2/1000/anno) e 2.099 hanno mostrato una progressione della malattia tale da richiedere il passaggio dalla terapia ipoglicemizzante orale all’insulina (incidenza 19,8/1000/anno). L’impiego dei corticosteroidi inalatori era associato ad un aumento del 34% dell’incidenza di diabete (rate ratio [RR] 1,34) e di progressione della malattia (RR 1,34). L’aumento del rischio era maggiore con le dosi pi? alte di farmaci, equivalenti a 1.000 mcg/die o pi? di fluticasone (RR 1,64) rispetto al non uso. In pazienti con malattie respiratorie l’uso dei corticosteroidi inalatori ? associato ad un modesto, ma non trascurabile, aumento del rischio di sviluppare diabete e/o di progressione della malattia diabetica. Questo rischio ? pi? pronunciato alle dosi pi? elevate di farmaci prescritti nei pazienti con malattia polmonare cronica ostruttiva (BPCO). Questi risultati devono indurre ad una pi? attenta valutazione del profilo rischio-beneficio quando si prescrive un farmaco per la BPCO, malattia in cui l’efficacia dei corticosteroidi per via inalatoria resta controversa.
Suissa S, Kezouh A, Ernst P. Am J Med 2010; 123: 1000-1006
Anche se non di frequente riscontro, la fibrosi retroperitoneale quando correttamente diagnosticata pone sempre dei notevoli interrogativi terapeutici. Un recente studio, seppure di limitate dimensioni, di ricercatori della John’s Hopkins University School of Medicine of Baltimore, pu? contribuire alla chiarificazione della terapia. Gli AA hanno seguito 28 pazienti da loro messi in terapia con Prednisone (ad iniziali 40 mg/die per 30 giorni, poi gradualmente ridotti fino alla sospensione dopo 6 mesi di terapia) associato all’immunosoppressore Micofenolato mofetile 1.000 mg due volte al giorno, per una media di 24,3 mesi. Il follow-up ? stato di 1.012 giorni, e tutti i pazienti lo hanno completato. Il trattamento ha comportato la scomparsa dei sintomi sistemici in tutti i pazienti. Nel 25% di questi la massa retro-peritoneale si ? ridotta di oltre il 50%. I controlli degli accertamenti laboratoristici (VES, Emoglobina e Creatinina) sono significativamente migliorati (vedi Figura acclusa). Solamente 2 dei 28 pazienti hanno avuto una recidiva della malattia. In questa serie di pazienti il trattamento immunosoppressivo si ? quindi rivelato efficace nel controllare l’evoluzione, i sintomi e le alterazioni laboratoristiche correlate con la presenza della Fibrosi retroperitoneale.
Scheel Jr PJ et al. Combined Prednisone and Mycophenolate Mofetil Treatment for Retroperitoneal Fibrosis. A Case Series Ann Intern Med 2011, 154 (1):31-36
Nei pazienti che afferiscono a cure specialistiche per rinosinusite cronica (Crs) e poliposi nasale di grado almeno moderato, una strategia di trattamento basata su una terapia iniziale con steroidi orali seguita da trattamento steroideo topico, si ? rivelata in grado, rispetto alla sola terapia topica, di ridurre le dimensioni dei polipi e migliorare l’olfatto nel giro di 6 mesi. ? la conclusione di uno studio randomizzato condotto su 60 pazienti adulti con Crs e polipi nasali di dimensioni moderate o ampie da Sriram Vaidyanathan e collaboratori dell’universit? di Dundee (Gran Bretagna). I partecipanti sono stati assegnati a ricevere prednisolone orale (25 mg/die) o placebo per 2 settimane e in seguito, in entrambi i gruppi, fluticasone propionato in gocce nasali (400 mcg/2 die) per 8 settimane e attraverso spray nasale (200 mcg/2 die) per 18 settimane. A 2 settimane la riduzione media del grado del polipo rispetto al valore basale era pari a 2,1 unit? nel gruppo prednisolone e 0,1 nel gruppo placebo, per una differenza media fra i gruppi di -1,8 unit?. La stessa differenza si ? ridotta a -1,08 unit? alla decima settimana e a -0,8 dopo 28 settimane. La riduzione media dello score per l’iposmia rispetto al valore di partenza si ? attestata su 31,12 mm nel gruppo in terapia steroidea e su 1,41 mm in quello placebo, per una differenza media tra i gruppi di -28,33 mm a 2 settimane, -16,06 a 10 settimane e -12,13 mm a 28 settimane. Il trattamento con prednisolone ha dato luogo a una soppressione transitoria della funzione surrenalica e a un incremento del turnover osseo dopo 2 settimane, ma i valori sono ritornati nella norma alla decima e alla 28ma settimana.?
Nelle donne con una storia di cancro mammario (Phbc) lo screening mammografico permette di identificare a uno stadio precoce le recidive tumorali ma, rispetto alle donne che in precedenza non si erano ammalate del tumore, si caratterizza per una minore sensibilit? e per un pi? alto tasso di tumori intervallo. E ci? nonostante il fatto che le donne Phbc siano state sottoposte a un numero maggiore di valutazioni e presentino un pi? alto tasso di tumori. Lo ha accertato uno studio condotto da Nehmat Houssami, dell’universit? di Sydney, insieme a un gruppo di colleghi statunitensi, dopo aver sottoposto a screening 19.078 donne con Phbc allo stadio precoce (in-situ e invasivo allo stadio I-II) e 55.315 controlli abbinati per et?, densit? mammaria, anno dell’esame e registro ma in assenza di una storia di tumore pregresso. Entro un anno dallo screening sono stati osservati 664 tumori nel gruppo Phbc contro 342 nel gruppo non-Phbc. In relazione agli outcome e all’accuratezza dello screening, rispetto alle donne non-Phbc, nelle donne Phbc si sono registrati tassi del tumore di 10,5 per 1.000 mammografie (vs 5,8 per 1.000), tasso di identificazione della malattia di 6,8 per 1.000 esami (vs 4,4 per 1.000), tasso di cancri intervallo pari a 3,6 per 1.000 (vs 1,4 per 1.000). Nelle pazienti Phbc per lo screening ? emersa inoltre una sensibilit? del 65,4% (vs 76,5% nei casi non-Phbc), una specificit? del 98,3% (vs 99%) e una percentuale di risultati anomali dell’imaging pari al 2,3% (vs 1,4%). Sempre nelle donne Phbc la sensibilit? dello screening ? apparsa maggiore in relazione all’identificazione dei tumori in situ (78,7%) rispetto a quelli invasivi (61,1%); inferiore nei primi 5 anni (60,2%) rispetto ai 5 anni successivi al primo tumore (70,8%) e simili per quanto riguarda l’identificazione del cancro ipsilaterale (66,3%) e controlaterale (66,1%). Sia nelle donne Phbc sia nelle non-Phbc, infine, i tumori diagnosticati con lo screening e i tumori intervallo sono risultati soprattutto allo stadio precoce.
Interventi articolati, mirati ai pazienti ad alto rischio per osteoporosi e ai loro medici curanti, possono migliorare la gestione della patologia dell’osso, ma spesso i miglioramenti clinici sono modesti. ? l’esito dell’analisi effettuata da Marie-Claude Lalibert?, della facolt? di Farmacia dell’universit? di Montr?al (Canada), e collaboratori, sulla base di studi che comprendevano pazienti a rischio (donne =/>65 anni, uomini =/>70 anni, e uomini/donne =/>50 anni con almeno un fattore maggiore di rischio per osteoporosi) oppure soggetti ad alto rischio per osteoporosi e fratture (uomini/donne in trattamento con glucocorticoidi orali o con pregresse fratture di ossa fragili). I ricercatori hanno considerato, come outcome, il test della densit? minerale ossea (Bmd), l’inizio del trattamento per l’osteoporosi, e la comparsa di fratture.?
Alla fine, sono stati inclusi nell’analisi 13 studi. La maggior parte di questi si riferiva a interventi articolati, e includevano materiale educazionale per il paziente, notificazioni al medico e/o educazione del personale curante. Le differenze assolute nell’incidenza del test della Bmd sono risultate comprese tra 22% e 51% per i pazienti ad alto rischio e tra 4% e 18% considerando insieme sia i pazienti a rischio sia quelli ad alto rischio. Riguardo all’incidenza dell’inizio del trattamento dell’osteoporosi, differenze assolute si sono rilevate tra il 18% e il 29% tra i soli pazienti ad alto rischio e tra il 2% e il 4% considerando quelli sia a rischio sia ad alto rischio. Raggruppando i risultati di sei studi ? infine emersa un’aumentata incidenza dell’inizio del trattamento dell’osteoporosi (differenza tra rischi, Rd: 20%) e del test della Bmd e/o inizio del trattamento (Rd: 40%) per i soggetti ad alto rischio in seguito all’intervento. ? Osteoporos Int, 2011 Feb 19