Pi? vicina diagnosi prenatale non invasiva

Appare sempre pi? concreta la possibilit? di effettuare diagnosi prenatali in modo non invasivo, mediante un esame del sangue della madre. ? molto importante in questo senso il contributo di Yuk Ming Dennis Lo e altri ricercatori dell’Universit? di Hong Kong: gli studiosi sono partiti dalle evidenze a supporto della presenza di Dna fetale nel plasma delle donne in gravidanza. Tale Dna consiste in brevi sequenze frammiste ad altri frammenti di Dna materno. ? stato cos? possibile dimostrare che gli interi genomi del feto e della madre sono rappresentati nel sangue materno in una proporzione relativa costante. In base a un predicibile pattern di frammentazione i ricercatori sono stati in grado di separare le sequenze di Dna materne da quelle fetali. Infine, ? stata ricostruita la mappa genetica e determinato lo stato mutazionale del feto attraverso il confronto con il Dna dei genitori. Nel caso presentato dagli autori di Hong Kong la tecnica ? stata utilizzata con successo in una situazione di rischio di beta-talassemia.

Sci Transl Med, 2010

 413 total views

Rm ottimizza screening ca mammario

Nelle donne ad alto rischio di cancro mammario, di et? inferiore e superiore a 50 anni, lo screening effettuato con la risonanza magnetica si rivela superiore all’impiego di mammografia, ecografia e alla loro combinazione. Si tratta dei risultati finali dello studio High breast cancer risk italian 1 study (Hibcrit-1), effettuato da Francesco Sardanelli, Irccs Policlinico San Donato, e da un gruppo di collaboratori di 18 centri italiani. Gli autori hanno arruolato 501 donne asintomatiche di almeno 25 anni d’et? portatrici di mutazioni Brca, con parenti di primo grado di portatrici di mutazioni Brca o caratterizzate da una forte storia familiare di cancro mammario e ovarico, comprese le donne con una storia personale di carcinoma della mammella. Sono stati diagnosticati 49 tumori identificati dallo screening e 3 tumori intervallo di cui 44 invasivi e 8 carcinomi duttali in situ. Solo 4 tumori erano allo stadio pT2 e 32 erano di grado G3. La risonanza magnetica ? risultata pi? sensibile (91%) dell’esame clinico (18%), della mammografia (50%), dell’ecografia (52%) e della combinazione mammografia pi? ecografia (63%). La specificit? oscilla tra il 96% e il 99%, il valore predittivo positivo tra il 53% e il 71% e il quoziente di probabilit? positivo tra 24 e 52. La risonanza magnetica, inoltre, ha mostrato un miglior valore predittivo negativo e un miglior quoziente di probabilit? negativo rispetto alle altre modalit? di screening. Dei 52 tumori diagnosticati, 16 (31%) sono stati identificati solo dalla risonanza di cui 8 in 21 (38%) donne di et? inferiore a 51 anni e 8 in 31 (26%) donne di et? superiore a 50 anni.

Invest Radiol, 2010 Dec 6

 392 total views

Aderenza allo screening prenatale previene Hbv

Il protocollo per prevenire l’infezione perinatale da epatite B ? caratterizzato da una buona compliance. ? necessario per? impegnarsi per migliorare l’aderenza allo screening prenatale negli ospedali pubblici, negli ospedali dell’Italia meridionale e fra le donne straniere. La diffusione del virus dell’epatite B (Hbv) sta progressivamente declinando, anche tra la popolazione immigrata. Questi dati emergono da uno studio condotto da Enea Spada, Alfonso Mele e collaboratori dell’Istituto superiore di sanit? di Roma su donne che hanno partorito in ospedali pubblici e privati di 13 regioni italiane. Il protocollo esaminato prevedeva lo screening di HBsAg delle partorienti e l’immunizzazione dei neonati di madri infette. Su un totale di 17.260 donne in gravidanza arruolate, 16.858 (97,7%) sono state sottoposte allo screening prenatale di HBsAg. Sono stati evidenziati due fattori indipendenti di non-aderenza allo screening: il parto in un ospedale pubblico o negli ospedali del Sud Italia, ma anche le donne straniere avevano minori probabilit? di essere avviate allo screening. Globalmente, la prevalenza di HBsAg si ? attestata sullo 0,86%, ma era pari allo 0,4% nelle donne italiane e allo 2,5% in quelle straniere. Le differenze in termini di prevalenza in base al Paese d’origine e al grado di educazione sono risultate statisticamente significative. Dei 138 neonati di madri HBsAg-positive, 131 hanno ricevuto un’immunizzazione passiva/attiva mentre a sette neonati ? stato somministrato solo il vaccino.

J Infect. 2010 Nov 30.

 584 total views

Vampate notturne associate a coronaropatia

Le donne che soffrono di sudorazioni notturne in menopausa sono esposte a un moderato incremento del rischio di coronaropatia, che non si spiega completamente in base ai livelli dei fattori di rischio cardiovascolare. Ci? si evince da uno studio condotto in Olanda e Svezia su una popolazione di 10.787 donne di et? compresa tra 46 e 64 anni in assenza di malattie cardiovascolari al basale. Dopo un follow-up medio di 10,3, il gruppo di studio che ha firmato l’indagine, guidato da Gerrie-Cor de Gast del Centro medico universitario di Utrecht, ha diagnosticato una coronaropatia in 303 donne. Tra i sintomi accusati, le vampate di calore non sono risultate associate al rischio di coronaropatia mentre le sudorazioni notturne comportavano un modesto ma significativo incremento del rischio, con un rapporto di rischio (hazard ratio, Hr) aggiustato per le variabili multiple pari a 1,33. Tale associazione veniva attenuata ma non eliminata dopo correzione per indice di massa corporea, pressione arteriosa e colesterolemia totale (Hr: 1,25).

Menopause, 2010 Nov 24.

 392 total views

Gonartrosi e coxartrosi: alta mortalit? da comorbilit

La gestione dei pazienti con artrosi a carico del ginocchio e dell’anca e con disabilit? deambulatorie dovrebbe focalizzarsi sul trattamento efficace dei fattori di rischio cardiovascolare e sulle comorbilit?, cos? come su un’accresciuta attivit? fisica. Questo perch? i pazienti artrosici hanno un rischio di morte maggiore rispetto alla popolazione generale, specie se sono presenti diabete, cancro, malattia cardiovascolare e disabilit? motoria. Lo ha dimostrato il team di Eveline N?esch, dell’istituto di Medicina sociale e preventiva dell’universit? di Berna, in uno studio di coorte basato sulla popolazione che ha coinvolto 1.163 assistiti (et? media: =/>35 anni) di ambulatori di medicina generale del Sud-Est dell’Inghilterra, con sintomi e conferme radiologiche di gonartrosi e coxartrosi. Dopo un follow-up mediano di 14 anni, i pazienti artrosici hanno evidenziato un eccesso di mortalit? per tutte le cause rispetto alla popolazione generale (rapporto standardizzato per et? e sesso di mortalit?: 1,55). Tale eccesso si ? osservato per tutte le specifiche cause di malattia, ma ? apparso particolarmente pronunciato per la mortalit? associata a eventi cardiovascolari e a demenza (rapporto standardizzato di mortalit?: 1,71 e 1,99, rispettivamente). Inoltre, la mortalit? ? risultata aumentare con il crescere dell’et? e in caso di sesso maschile (rapporto di rischio, Hr, aggiustato: 1,59), storia autoriferita di diabete (Hr: 1,95), cancro (Hr: 2,28), malattia cardiovascolare (Hr: 1,38) e disabilit? deambulatoria (Hr: 1,48). In ogni caso, esistono poche evidenze di una maggiore mortalit? legata a pregressa sostituzione articolare, obesit?, depressione, malattia infiammatoria cronica, patologia oculare o presenza di dolore al basale. Quanto pi? grave ? la disabilit? motoria, tanto superiore ? il rischio di exitus.

BMJ, 2011; 342:d1165

 374 total views

La presentazione dei rischi sanitari influenza le decisioni

Esporre chiaramente e nel dettaglio gli eventuali problemi a cui si pu? andare incontro affrontando un intervento sanitario ? il metodo da adottare affinch? un paziente faccia scelte informate e consapevoli. La percezione del rischio da parte di un soggetto che si appresta a sottoporsi a un’operazione chirurgica o a seguire una determinata terapia farmacologica, quindi, dipende da come si prospettano i probabili risultati. La domanda allora da porsi ? quale sia il migliore approccio al paziente, in buona sostanza che cosa bisogna dirgli. Questo argomento ? stato affrontato da una recente revisione sistematica Cochrane che si ? focalizzata su tutti gli studi pubblicati, randomizzati e non, che avessero come oggetto la presentazione del rischio, intesa come frequenze versus probabilit?, riduzione del rischio relativo (Rrr) versus riduzione del rischio assoluto (Arr), Rrr versus numero di pazienti da trattare (Nnt) e Arr versus Nnt. Dai 35 studi presi in considerazione, i cui partecipanti erano professionisti della salute e fruitori dei servizi, ? emerso che le frequenze naturali vengono recepite meglio delle probabilit? (differenza media standardizzata, Smd, 0,69). Confrontato con l’Arr, il Rrr presenta minime o nessuna differenza nel venire compreso (Smd 0,73) ma ? stato percepito come pi? ampio (Smd 0,41) e maggiormente persuasivo (Smd 0,66). Rispetto all’Nnt, il Rrr viene inteso pi? chiaramente (0,73), considerato maggiore (Smd 1,15) e pi? persuasivo (Smd 0,65). Confrontato con il Nnt, l’Arr ? un concetto pi? comprensibile (Smd 0,42) e considerato maggiore (Smd 0,79). ?Se i risultati vengono espressi come riduzioni di rischio relativo, il beneficio viene generalmente sopravvalutato, rendendo pi? propenso il paziente a sottoporsi a quello specifico intervento?, conclude Elie A. Akl del dipartimento di Medicina della State university of New York a Buffalo, e autore della revisione.

Cochrane Database Syst Rev, 2011; 3:CD006776

 329 total views

Prescrizione appropriata dei tests tireofunzionali nei pazienti ricoverati per p

L’interpretazione dei tests funzionali tiroidei nei pazienti ricoverati per patologie acute non ? sempre agevole. La “malattia” pu? infatti di per s? indurre modificazioni metaboliche che possono riflettersi sui risultati laboratoristici, senza tuttavia che tali alterazioni siano in realt? espressione di una vera disfunzione ghiandolare. Tale situazione deve essere tenuta presente per due fondamentali motivi
qualora ne derivi una decisione terapeutica, questa potrebbe comportare un possibile danno per il paziente
occorre attenersi ad una maggiore appropriatezza nella richiesta della valutazione tireofunzionale.
Alcuni colleghi inglesi – della Section of Diabetes and Endocrinology del Department of Medicine del Caerphilly Miners’ Hospital di Caerphilly – si sono posti il problema ed hanno approntato una analisi retrospettiva per valutare la frequenza, l’utilit? ed i costi dei test tireofunzionali effettuati sui pazienti ricoverati nel loro ospedale per patologie acute. Da una prima valutazione dei dati hanno rilevato che in oltre il 50% dei pazienti ricoverati sono stati prescritti tests tireofunzionali. Solo nel 43.9% dei casi l’indicazione all’esame era appropriata. Le alterazioni pi? frequentemente riscontrate riguardavano l’fT4 ed il TSH; quest’ultimo in pi? del 50% dei soggetti testati risultava abbassato nonostante la normalit? dei valori della fT4. A seguito di questa prima fase analitica, sono stati condotti audit clinici durante i quali ? stata discussa – con riferimento alle pi? recenti Linee Guida – l’appropriatezza prescrittiva dei tests e la loro interpretazione. Successivamente ? stata di nuovo effettuata una indagine retrospettiva per valutare se l’intervento educazionale avesse modificato i comportamenti prescrittivi. I risultati emersi hanno in modo inequivocabile dimostrato l’utilit? degli audit. Infatti dopo la loro effettuazione si ? assistito ad una riduzione del 21,7% delle richieste dei tests tireofunzionali e vi ? stata una maggiore percentuale di appropriatezza prescrittiva, passata dal 43,9 % della prima indagine al 73,7%, e con una migliore identificazione di reali disfunzioni ghiandolari confermate da un significativo aumento di riscontro di alterazioni del TSH. Il tutto si ? tradotto in un pi? efficace ed appropriato intervento terapeutico e di follow-up ed un risparmio dei costi sostenuti. Gli AA concludono con un consiglio pratico: nei pazienti ricoverati per patologie acute la appropriatezza della richiesta di indagini tireofunzionali ? tale solo per quelli che abbiano avuto precedenti malattie della tiroide, che presentino caratteristiche cliniche e fattori di rischio per queste malattie, che utilizzino farmaci potenzialmente interferenti con la funzione tiroidea o che abbiano tachiaritmie “inspiegabili”.

 343 total views

Rischio di frattura e sistema nervoso simpatico: effetto favorevole dei beta-blo

Il sistema nervoso simpatico, attraverso le catecolamine che si legano ai recettori beta-adrenergici presenti sugli osteoblasti, inibisce la neoformazione di tessuto osseo e ne stimola il riassorbimento mediante una via c-AMP dipendente, che porta ad un incremento del nuclear factor κB (RANK) ligando. Uno studio australiano, il DOES (Dubbo Osteoporosis Epidemiology Study), ha verificato il ruolo dei betabloccanti nella riduzione del rischio di frattura. ? stata studiata la densit? minerale ossea (BMD) a livello della colonna lombare e femorale, mediante metodo DEXA. Negli uomini, l’utilizzo di beta-bloccanti ha comportato una pi? elevata densit? minerale ossea a livello femorale (0.96 versus 0.92 g/cm2, p<0.01 ) e vertebrale (1.31 versus 1.25 g/cm2, p<0.01), nonch??un minor rischio di fratture (Odds Ratio 0.49; intervallo di confidenza al 95% 0.32-0.75). Anche nelle donne si ? ottenuta una pi? elevata densit? minerale ossea a livello femorale (0.83 versus 0.81 g/cm2, p<0.01) e vertebrale (1.11 versus 1.06 g/cm2, p<0.01) e?un rischio di frattura inferiore rispetto ai soggetti non trattati (Odds Ratio 0,68; intervallo di confidenza al 95% 0.53-0.87). Va inoltre ricordato che lo studio MONICA/KORA - pubblicato nel 2007 - aveva evidenziato che i beta-bloccanti selettivi?esercitavano un migliore effetto protettivo.

 785 total views

Buon controllo fattori di rischio riduce impatto aterotrombosi

Meno del 60% dei pazienti con malattia aterotrombotica stabile ha un buon controllo dei cinque fattori maggiori di rischio cardiovascolare, ma un migliore controllo di questi ultimi si associa a un impatto positivo sui tassi di eventi cardiovascolari e sulla mortalit? a tre anni. Sono questi i risultati salienti dello studio Reach (Reduction of atherothrombosis for continued health), condotto in diciotto paesi europei su 20.588 pazienti sintomatici, di et? media pari a 67 anni e per il 70,6% di sesso maschile, con malattia aterotrombotica o tre o pi? fattori di rischio. I ricercatori che hanno condotto il Reach, coordinati da Patrice P. Cacoub, dell’Ospedale La Piti?-Salp?tri?re di Parigi, hanno valutato i pazienti arruolati al basale, al dodicesimo, al ventiquattresimo e al trentaseiesimo mese, definendo come “buon controllo” dei fattori di rischio cardiovascolare almeno tre dei cinque fattori di rischio con valori in linea con quanto raccomandato dalle linee guida internazionali (pressione sistolica <140 mmHg; pressione diastolica <90 mmHg; glicemia a digiuno <110 mg/dl; colesterolemia totale <200 mg/dl; non fumatore). Nel dettaglio, il 59,4% dei partecipanti allo studio era caratterizzato da un buon controllo dei fattori di rischio al basale. Al trentaseiesimo mese, un buon controllo dei fattori di rischio, rispetto a un adeguato controllo, era associato a una riduzione della morte per cause cardiovascolari, dell'ictus non fatale, dell'infarto miocardico non fatale (rapporto crociato, Or: 0,76) e della mortalit? (Or: 0,89). I fattori predittivi indipendenti che hanno contribuito al buon controllo dei fattori di rischio includevano la residenza in Europa occidentale piuttosto che in quella orientale (Or: 1,29), un alto livello di scolarizzazione (Or: 1,16), una malattia coronarica stabile (Or: 1,18), una terapia con uno o pi? antitrombotici (Or: 1,59) e con uno o pi? ipolipidemizzanti (Or: 1,16). Heart, 2011 Feb 25

 375 total views

Ancora da decidere lo standard terapeutico per epatite B

La scelta del trattamento ottimale per l’epatite cronica B ? ancora oggi un tema di vitale importanza a livello mondiale. Tra le varie opzioni terapeutiche a disposizione, si raccomanda l’uso di tenofovir e adefovir, ma i risultati degli studi di confronto tra le due molecole non sono concordanti. Di qui l’idea – da parte di Shu-Shan Zhao e colleghi, del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Xiangya di Changsha, in Cina – di eseguire una revisione sistematica coordinata con metanalisi degli studi clinici di confronto tra tenofovir e adefovir finora pubblicati. Al termine di un lavoro di ricerca e selezione, sono stati presi in considerazione sei studi che hanno coinvolto un totale di 910 pazienti, di cui 576 trattati con tenofovir e 334 con adefovir. Dopo 48 settimane di trattamento, tenofovir ? risultato superiore ad adefovir nella soppressione del Dna virale (rapporto di rischio, Rr: 2,59), mentre non sono emerse differenze significative a proposito della normalizzazione di alanina aminotransferasi (Rr: 1,15), della sieroconversione HBeAg (Rr: 1,32) e del tasso di perdita di HBsAg (Rr: 1,19). Si tratta comunque di dati insufficienti per cui, sostengono gli esperti, c’? assoluto bisogno di ulteriori trial multicentrici e randomizzati per favorire l’evoluzione degli standard di trattamento dell’epatite cronica B.

Virol J, 2011; 8(1):111

 351 total views

1 42 43 44 45 46 143

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?