Hcv, interferone riduce rischio di epatocarcinoma

La terapia con interferone (Ifn) ? efficace nel ridurre il rischio complessivo di carcinoma epatocellulare (Hcc) nei pazienti con infezione cronica da virus dell’epatite C (Hcv); se la somministrazione in questa sottopopolazione di soggetti con epatite virale mostra un’efficacia promettente, in altre per? occorrono ulteriori verifiche. ? la conclusione di una metanalisi effettuata da Chuan-Hai Zhang, dell’universit? medica di Tianjin, e collaboratori del Centro per lo studio del cancro epatico dell’universit? medica di Anhui (Cina), con lo scopo di valutare gli effetti dell’Ifn sul rischio di Hcc nei pazienti con epatite C o B, sulla progressione locale del tumore e sulla sopravvivenza nei soggetti con Hcc avanzato. Sono stati selezionati 11 trial randomizzati controllati, basati sul confronto tra Ifn e trattamenti non antivirali, per un totale di 1.772 pazienti. ? emerso, come detto, che l’Ifn riduce in modo significativo l’incidenza globale di Hcc nei soggetti Hcv positivi e, in modo pi? marcato, in quelli con cirrosi Hcv-correlata. All’opposto, il mantenimento di una terapia con Ifn non diminuisce l’incidenza di Hcc nei soggetti non responsivi alla terapia antivirale iniziale; inoltre, non modifica i tassi di incidenza della neoplasia nei soggetti Hbv positivi, nonostante un trend favorevole. Infine, l’Ifn non sembra in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza a un anno dei pazienti con Hcc avanzato. L’analisi relativa alla progressione locale della malattia non ? stata possibile per mancanza di uniformit? dei metodi descrittivi nei trial.

Int J Cancer, 2010 Nov 12. [Epub ahead of print]

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Impianti di buprenorfina contro dipendenza da oppioidi

Nei pazienti con dipendenza dagli oppioidi gli impianti di buprenorfina determinano, rispetto al placebo, un minor consumo di oppioidi a 16 settimane, accertato attraverso l’esame delle urine. ? questa l’evidenza emersa da una ricerca statunitense portata a termine da un gruppo guidato da Walter Ling, del dipartimento di Psichiatria e scienze biocomportamentali della university of California, a Los Angeles. Lo studio, randomizzato e placebo-controllato, ? durato sei mesi e ha coinvolto 163 adulti, di et? compresa tra 18 e 65 anni, con diagnosi di dipendenza da oppiacei. Di questi, 108 hanno ricevuto impianti di buprenorfina e i rimanenti 55 impianti di placebo. L’obiettivo era quello di valutare la presenza o meno nelle urine di oppioidi tra la prima e la sedicesima settimana e tra la diciassettesima e la ventiquattresima. I risultati si sono dimostrati nettamente a favore di buprenorfina rispetto al placebo. Nel dettaglio, tra la prima e la sedicesima settimana si registra in questo gruppo una percentuale media pari al 40,4% di campioni di urine negative per gli oppioidi contro una percentuale del 28,3% riscontrato nel gruppo placebo. Tra i 108 soggetti inseriti nel gruppo che ha avuto un impianto di buprenorfina, 71 hanno completato lo studio (65,7 %); tra quelli che venivano trattati con impianti di placebo, 17 su 55 (30,9 %). Inoltre, nei soggetti che hanno ricevuto buprenorfina si sono verificati con minore frequenza sintomi di astinenza e desiderio di assumere sostanze oppiacee e globalmente il quadro clinico ? migliorato rispetto a chi invece assumeva soltanto placebo. Tra gli eventi avversi, pressoch? simili in entrambi i gruppi, il pi? frequente, ma di lieve entit?, ? stato la reazione allergica nel sito in cui venivano posizionati gli impianti.

JAMA, 2010; 304(14):1576-83

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Epatite C cronica: bene inibitore di polimerasi e proteasi per os

Il giudizio ? positivo: una combinazione orale costituita da un inibitore analogo nucleosidico della polimerasi insieme a un inibitore della proteasi si rivela promettente nei pazienti affetti da epatite C cronica. La conclusione ? firmata da Edward J. Gane, Auckland clinical studies in Nuova Zelanda, e collaboratori, ed ? il frutto di uno studio randomizzato placebo-controllato effettuato su 88 pazienti con infezione cronica da Hcv, genotipo 1. In totale 74 pazienti, allocati in sette gruppi di trattamento, hanno ricevuto la combinazione orale costituita da Rg7128, inibitore analogo nucleosidico della polimerasi (500 o 1.000 mg due volte al giorno) e danoprevir, un inibitore della proteasi (100 mg o 200 mg ogni 8 ore oppure 600 o 900 mg due volte al giorno). Il placebo ? stato somministrato a 14 pazienti. La variazione media dal valore basale della concentrazione di Hcv Rna al giorno 14 era compresa nel range -3,7/-5,2 log10 IU/mL nelle coorti trattate con 13 giorni di combinazione. Alle dosi pi? alte, la variazione mediana nella concentrazione di Hcv Rna dopo due settimane era pari a -5,1 e -4,9 log10 IU/mL rispettivamente nei pazienti naive per il trattamento e in quelli che non avevano risposto alla pregressa terapia standard. Nel gruppo placebo, invece, si ? registrato un incremento di 0,1 log10 IU/mL di Hcv Rna. Sul versante della sicurezza, la combinazione Rg7128 e danoprevir si ? rivelata ben tollerata. Non sono stati osservati gravi eventi avversi correlati al trattamento e nemmeno variazioni di grado 3-4 dei parametri laboratoristici. Di conseguenza non si sono verificate interruzioni della terapia correlate alla sicurezza.

Lancet, 2010 Oct 14. [Epub ahead of print]

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Raccomandazioni Oms su influenza per l’Europa

L’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanit? (Oms) ha rilasciato le raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzale per la stagione invernale 1010/2011. Il documento informa i 53 stati membri sui gruppi a rischio che devono essere inclusi nella campagna vaccinale, sui virus influenzali da includere nella vaccinazione e sulla sicurezza del vaccino. La definizione dei gruppi a rischio dipende da quale ceppo virale sar? dominante nella stagione che sta per iniziare. Dal momento che, i dati sulla stagione invernale dell’emisfero Sud (Australia, Nuove Zelanda, Sud America e Sud Africa) indicano che i virus dell’influenza stagionale A(H3N2) e l’influenza B sono attualmente in circolazione con il virus pandemico H1N1, i gruppi a rischio per la stagione influenzale 2010/2011 nell’emisfero Nord, devono includere persone a rischio di esiti gravi causati sia dall’influenza stagionale sia dalla pandemica. Stando quindi a questi dati, suscettibili di aggiornamento, l’Oms include tra i gruppi da considerare prioritari nella campagna vaccinale, soggetti di sei mesi di et? o pi? con patologie croniche cardiache o polmonari, patologie metaboliche o renali, epatopatie croniche, malattie neurologiche croniche, immunodeficienze; persone anziane, indipendentemente da altri fattori di rischio; donne in gravidanza; operatori sanitari inclusi quelli che lavorano nelle istituzioni per persone anziane o con altre disabilit?; residenti in istituti per anziani o per persone disabili; altri gruppi definiti in base a dati nazionali. Per quanto riguarda la strategia vaccinale, il vaccino trivalente che include i tre virus raccomandati dall’Oms rappresenta la soluzione logistica per evitare iniezioni multiple e per affrontare l’impatto dell’influenza nella popolazione anziana. (S.Z.)

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Senza angiogenesi, recidiva tardiva del tumore ovarico

L’impiego di bevacizumab nelle donne colpite da tumore dell’ovaio aumenta di circa il 15% a un anno le probabilit? che la malattia non si ripresenti. ?Si tratta di una svolta importante nel trattamento di una malattia che negli ultimi anni non ha offerto nuove opzioni terapeutiche? spiega Sandro Pignata dell’Istituto dei tumori fondazione “G. Pascale” di Napoli. ?In questa forma di cancro la diagnosi precoce ? difficile perch? non vi sono sintomi che la consentano. Con la conseguenza che nell’80% dei casi il tumore viene scoperto solo quando ? gi? in fase avanzata. Uno dei problemi pi? importanti nel trattare questa patologia non ? la risposta iniziale alla chemioterapia, ma il fatto che per la maggior parte delle pazienti la neoplasia si ripresenta dopo un certo periodo di tempo, nella maggior parte dei casi entro 15 mesi dalla diagnosi iniziale?. Ed ? proprio su questo versante che lo studio Icon7 ha fornito risultati promettenti. L’indagine ha arruolato 1.528 donne, suddivise in due gruppi: al primo ? stato somministrato il trattamento standard, al secondo la chemioterapia tradizionale associata a bevacizumab. I dati presentati all’Esmo, da considerare preliminari (quelli definitivi sono attesi tra un paio d’anni), confermano i positivi riscontri evidenziati dal trial Gog 0218 presentato lo scorso giugno al congresso dell’American society of clinical oncology (Asco). Bevacizumab ? un inibitore dell’angiogenesi gi? approvato in Europa per il trattamento degli stadi avanzati di quattro tipi di tumori (carcinoma del colon-retto, del seno, del polmone e del rene); i risultati di Icon7 aprono ora la strada al trattamento del cancro ovarico, malattia che in Italia colpisce ogni anno 4.500 donne provocando 3.000 decessi.

35? Congresso ESMO, 8-12 ottobre 2010, Milano

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Anticorpi armati: risultati nel ca mammario metastatico

Sono stati presentati a Milano, nel corso del congresso dell’European Society of Medical Oncology (Esmo) i primi risultati di uno studio che ha posto a confronto l’anticorpo Tdm-1 all’attuale standard terapeutico in 137 donne con tumore al seno metastatico non trattato in precedenza. ?I primi risultati di questo trial sono estremamente positivi? osserva Luca Gianni dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. ?La riduzione del tumore ha mostrato di essere simile nelle donne trattate con Tdm-1 e in quelle a cui ? stato somministrato trastuzumab in combinazione con la chemioterapia, ma con effetti collaterali molto modesti. Si ? aperta una nuova strada maestra che ci si augura possa portare a un notevole passo in avanti nella lotta al tumore del seno. Viste le premesse c’? da augurarsi che lo sviluppo del Tdm-1 proceda rapidamente e il farmaco sia presto disponibile per le nostre pazienti?. Lo studio Tdm4450 ? il primo lavoro randomizzato di fase 2 che ha indagato Tdm-1, capostipite di una nuova classe di molecole conosciute come “anticorpi armati”. ?Tdm-1 coniuga un anticorpo, per andare a bersaglio sulle cellule che si vogliono distruggere, e una tossina per ucciderle? continua l’oncologo milanese. ?Nel Tdm-1, il Dm1, chemioterapico molto potente della famiglia delle maitansine e non somministrabile da solo per i gravissimi effetti collaterali, si fa portare sull’obiettivo del tumore dal trastuzumab senza quasi lasciare traccia sui tessuti sani? spiega ancora. Ne consegue che gli effetti collaterali risultano decisamente inferiori rispetto a quelli causati dal trattamento tradizionale con l’anticorpo e la chemioterapia. Per esempio l’alopecia si riduce dal 45% al 2%, cos? come la neutropenia e la diarrea. ?Si apre una nuova era su due fronti? ribadisce Marco Venturini, presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom). ?Da un lato abbiamo a disposizione un’arma rivoluzionaria da utilizzare nel tumore del seno Her2 positivo, dall’altro Tdm-1 ? un esempio efficace di quella che viene definita veicolazione specifica della chemioterapia alle cellule bersaglio. Sar? sempre pi? frequente in futuro la messa a punto di molecole con queste caratteristiche?.

35? Congresso ESMO, 8-12 ottobre 2010, Milano

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Deficit tiroideo predittivo di preeclampsia tardiva

Una deficienza della funzione tiroidea nel corso del primo trimestre di gravidanza pu? predisporre allo sviluppo di preeclampsia tardiva: la misurazione dell’ormone tireostimolante (Tsh) nel siero materno pu? migliorare le possibilit? di predizione di preeclampsia tardiva basate sulla combinazione di fattori relativi alla storia materna e sulle misurazioni della pressione arteriosa media e dell’indice di pulsatilit? dell’arteria uterina. Lo rivela un’indagine che ha previsto la misurazione dei parametri tra l’11ma e la 13ma settimana di gestazione in 102 gravidanze singole che successivamente hanno sviluppato preeclampsia e il confronto con i risultati di 4.318 gravidanze normali. In entrambi i gruppi preeclampsia, precoce (parto prima della 34ma settimana di gestazione) e tardiva, il multiplo della mediana (Mom) sia della pressione arteriosa media sia dell’indice di pulsatilit? dell’arteria uterina ? risultato significativamente aumentato rispetto ai valori registrati nelle donne prive di sintomi. Gli autori dell’indagine, Ghalia Ashoor e collaboratori dell’Harris Birthright research centre al King’s college hospital di Londra, riferiscono inoltre che nel gruppo preeclampsia tardiva, ma non precoce, il Mom del Tsh appariva significativamente aumentato mentre quello della tiroxina libera (Ft4) era significativamente ridotto. L’analisi di regressione logistica ha dimostrato che il MoM del Tsh fornisce un significativo contributo alla predizione della preeclampsia tardiva.

Prenat Diagn, 2010 Sep 23. [Epub ahead of print]

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Rischio endometriosi: meno coi grassi, pi? con la frutta

Specifiche componenti dietetiche possono essere associate al rischio di endometriosi. Lo suggerisce uno studio caso-controllo effettuato da Britton Trabert e collaboratori del Dipartimento di epidemiologia della University of Washington, a Seattle, su 684 casi con nuova diagnosi di endometriosi, confermata chirurgicamente, e 660 controlli appaiati per et? senza una storia di endometriosi. Nutrienti e gruppi selezionati di cibi sono stati valutati attraverso il Food frequency questionnaire della Women’s health initiative e il rischio associato all’esposizione agli alimenti ? stata calcolato mediante regressione logistica incondizionata. L’aumento del consumo totale di grassi risulta associato a un ridotto rischio di endometriosi. A fronte di un aumentato consumo giornaliero di beta-carotene e di porzioni di frutta si osserva un aumento del rischio di endometriosi. ? emersa anche un’indicazione congruente con la riduzione del rischio di endometriosi in associazione al consumo di prodotti caseari (due o pi? porzioni al giorno sembrerebbero protettive rispetto a una o nessuna porzione) ma tale associazione non ? statisticamente significativa.

Br J Nutr, 2010 Sep 28. [Epub ahead of print]

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Depressione prenatale: pi? a rischio esiti alla nascita

Le donne che soffrono di depressione durante la gravidanza sono da ritenere a maggiore rischio di parto pretermine (Ptb) e basso peso alla nascita del bambino (Lbw), anche se l’entit? dell’effetto varia in funzione delle scale per la misurazione della depressione, del Paese e dello stato socioeconomico (negli Stati Uniti). Un’importante implicazione di questi risultati ? che la depressione prenatale dovrebbe essere identificata attraverso uno screening universale e trattata. Il verdetto consegue a una metanalisi effettuata da Nancy K. Grote e collaboratori della university of Washington di Seattle sugli studi prospettici che riportavano dati sulla depressione prenatale e almeno un outcome avverso alla nascita: Ptb (< 37 settimane di gestazione), Lbw (< 2.500 g) o restrizione della crescita intrauterina (Iugr, < 10? percentile per l'et? gestazionale). In totale sono stati analizzati 29 studi. In quelli che hanno utilizzato una misurazione della depressione per categorie, le dimensioni dell'effetto combinato su Ptb, Lbw e Iugr erano significativamente maggiori rispetto agli studi che hanno fatto riferimento a misurazioni su scale continue (rischio relativo, Rr, combinato per Ptb, Lbw e Iugr: 1,39, 1,49 e 1,45 vs 1,03, 1,04 e 1,02). Le stime del rischio per depressione prenatale definita in categorie e per Ptb e Lbw sono rimaste invariate anche dopo l'esecuzione di una procedura "trim-and-fill" (taglia-e-riempi) per la correzione del bias di pubblicazione. Il rischio di Lbw associata a depressione prenatale ? risultato significativamente pi? grande nei Paesi in via di sviluppo (Rr: 2,05) rispetto agli Stati Uniti (Rr: 1,10) o alle socialdemocrazie europee (Rr: 1,16). Infine, la depressione prenatale definita per categorie ha mostrato la tendenza a essere associata a un aumento del rischio di Ptb fra le donne statunitensi appartenenti alla fascia socio-economica pi? bassa. Arch Gen Psychiatry, 2010; 67(10):1012-24

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Saccarosio non analgesico per i neonati

Nuovi dati suggeriscono che la somministrazione di saccarosio orale non influenza in modo significativo l’attivit? cerebrale neonatale o i circuiti nocicettivi spinali: contrariamente a quanto si ritiene quindi il saccarosio potrebbe non essere un’efficace sostanza analgesica. Nei neonati, pertanto, la capacit? del saccarosio di ridurre i punteggi dell’osservazione clinica dopo stimoli dolorifici non dovrebbe essere interpretata come un’azione analgesica. La conclusione di Rebeccah Slater del Nuffield department of anaesthetics, university of Oxford, e collaboratori, giunge al termine di un trial randomizzato in doppio cieco su 59 neonati assegnati a ricevere 0,5 mL di soluzione di saccarosio al 24% o 0,5 mL di acqua sterilizzata due minuti prima di essere sottoposti a puntura del tallone praticata per esigenze cliniche. Come outcome primario ? stata assunta l’attivit? cerebrale specifica per il dolore evocata dalla puntura del tallone, registrata tramite elettroencefalografia e identificata attraverso l’analisi delle componenti principali. Nell’analisi sono stati inclusi 20 bambini cha hanno ricevuto saccarosio e 24 acqua sterilizzata. L’attivit? cerebrale nocicettiva dopo lo stimolo doloroso non ha mostrato significative differenze tra i bambini pretrattati con saccarosio e quelli cui ? stata somministrata acqua. Per quanto riguarda gli outcome secondari, tra i due gruppi non sono emerse differenze in termini di entit? e latenza del riflesso nocicettivo spinale registrato a livello dei bicipiti femorali dell’arto stimolato, mentre il punteggio del dolore Pipp (Premature infant pain profile) ? risultato significativamente inferiore nei bambini del gruppo saccarosio (in media 5,8 contro 8,5) e un numero significativamente superiore di bambini non ha mostrato variazioni dell’espressione facciale dopo somministrazione di saccarosio (7 su 20 rispetto a 0 su 24).

Lancet, 2010; 376(9748):1225-32

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