Epatite C: rischio epatocarcinoma da diabete

Il diabete mellito sembra dotato di un effetto favorente l’epatocarcinogenesi nei pazienti non cirrotici, portatori del virus dell’epatite C (Hcv) e trattati con interferone. Inoltre, in base ai risultati ottenuti da un team guidato da Yusuke Kawamura del dipartimento di Epatologia dell’ospedale Toranomon di Tokyo, l’ottenimento di una risposta virologica sostenuta indotta dall’interferone elimina l’influenza del diabete e riduce in modo marcato il tasso di epatocarcinogenesi in tali pazienti. Lo studio di coorte retrospettivo ha riguardato 2.058 soggetti non cirrotici positivi ad Hcv trattati con interferone per un periodo mediano di follow-up di 6,7 anni. I tassi cumulativi di carcinoma epatocellulare, endpoint primario dello studio, erano significativamente pi? alti nei pazienti diabetici (3,2% a 4 anni, 8,5% a 8 anni, 24,4% a 12 anni) rispetto ai non diabetici (1,3% a 4 anni, 2,2% a 8 anni, 5,6% a 12 anni). Nei pazienti che mostravano una risposta virologica sostenuta, il diabete non si ? segnalato per un effetto significativo sul tasso di epatocarcinogenesi. Al contrario, nei pazienti che non riuscivano a ottenere una risposta virologica sostenuta il tasso di epatocarcinogenesi risultava significativamente maggiore nei diabetici rispetto ai non diabetici. L’analisi multivariata ha identificato il mancato ottenimento di una risposta virologica sostenuta e il diabete come fattori di rischio indipendente per l’epatocarcinogenesi.

Am J Med, 2010; 123(10):951-6.e1

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Reboxetina: messi in discussione i dati di efficacia

Un chiaro invito alla prudenza: un gruppo di ricercatori tedeschi afferma che reboxetina ? globalmente un antidepressivo inefficace e potenzialmente dannoso. L’evidenza pubblicata – scrivono – ? gravata dal publication bias e c’? urgente bisogno della pubblicazione obbligatoria dei dati emersi dalla ricerca. L’invito consegue ai risultati di una revisione sistematica e una metanalisi effettuate sugli studi randomizzati in doppio cieco che hanno valutato il trattamento acuto della depressione (sei o pi? settimane) con reboxetina in confronto a placebo o altri inibitori selettivi del reuptake della serotonina (Ssri). Gli autori – Dirk Eyding della Societ? oncologica tedesca di Berlino e collaboratori – hanno analizzato i dati di 13 trial sul trattamento in acuto controllati con placebo, Ssri o entrambi per un totale di 4.098 pazienti. Va sottolineato che i dati relativi al 74% dei pazienti arruolati nei vari studi non ? stato pubblicato. Non sono emerse significative differenze nei tassi di remissione tra reboxetina e placebo ma ? stata registrata una sostanziale eterogeneit? nella metanalisi degli otto trial che hanno indagato i tassi di risposta di reboxetina contro placebo. L’analisi di sensibilit? non ha dimostrato significative differenze nei tassi di risposta tra farmaco e placebo. Reboxetina ? invece risultata inferiore agli Ssri (fluoxetina, paroxetina e citalopram) nei tassi di remissione e risposta. Per quanto riguarda gli outcome di danno (tassi di pazienti con almeno un evento avverso e sospensione della terapia per eventi avversi), reboxetina ? risultata inferiore a placebo per entrambi e alla fluoxetina solo in relazione alle sospensioni. La conclusione ? duplice. I dati pubblicati hanno sovrastimato il beneficio del farmaco del 115% rispetto al placebo e del 23% rispetto ai Ssri, e sottostimato gli outcome relativi agli eventi avversi.

BMJ, 2010; 341: c4737

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Tumori vescicali sfavorevoli e patologia prostatica benigna

Negli uomini l’et? influenza negativamente le caratteristiche cliniche dei tumori uroteliali della vescica: la percentuale di tumori sfavorevoli aumenta con l’et?. Variazioni degne di nota della differenziazione tumorale iniziano ad apparire a partire dall’et? di 50 anni e la storia naturale della neoplasia sembra differire in base alla presenza di ipertrofia/iperplasia prostatiche benigne. Si nota la tendenza a presentare un carcinoma con caratteristiche sfavorevoli negli uomini cui sono state diagnosticate ipertrofia/iperplasia prostatiche benigne. Queste informazioni scaturiscono da uno studio condotto da Nian-zhao Zhang, del dipartimento di Urologia dell’ospedale Qilu, presso l’universit? di Shandong a Jinan (Cina), e collaboratori, su 356 pazienti con nuova diagnosi di tumori uroteliali della vescica: in questo gruppo di tumori la percentuale di carcinomi aumentava in modo significativo con l’et? mentre sono state riscontrate differenze fra i tre gruppi d’et? nella distribuzione dei carcinomi di grado elevato. La percentuale di carcinomi di grado elevato aumentava in modo significativo insieme all’et? soprattutto nei casi di carcinoma non invasivo del comparto muscolare: le differenze risultavano significative fra il gruppo con et? =/< 50 anni e i gruppi di et? compresa tra 51 e 69 anni e =/> 70 anni. Un dato interessante ? che i pazienti con ipertrofia/iperplasia prostatiche benigne avevano una diagnosi pi? frequente di tumori scarsamente differenziati rispetto ai soggetti non portatori di patologia prostatica benigna: l’analisi di regressione logistica ha confermato le associazioni fra ipertrofia/iperplasia prostatiche benigne e carcinoma sfavorevole.

Urol Oncol, 2010 Sep 24. [Epub ahead of print]

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Dalla gabapentina un trattamento della fibromialgia

Nel trattamento della fibromialgia, la pregabalina, alla dose di 450 mg/die, ? molto probabilmente efficace, anche se gli eventi avversi non sono da ignorare. ? questo il risultato pi? significativo di una revisione sistematica con metanalisi sull’impiego di gabapentina e pregabalina condotta da Thrasivoulos G. Tzellos e collaboratori del dipartimento di Farmacologia dell’universit? Aristotele di Salonicco (Grecia). I ricercatori hanno preso in considerazione alcuni recenti trial clinici randomizzati, in doppio cieco e placebo-controllati compiuti utilizzando pregabalina e gabapentina, due alternative promettenti per la cura della fibromialgia. Gli outcome primari per valutare i due farmaci sono stati l’incidenza della risposta al trattamento (riduzione >30% del dolore) e i tassi di drop-out dovuto all’assenza di efficacia; ? stata valutata anche l’incidenza dei comuni outcome avversi e il loro impatto sui tassi di drop-out. Dei quattro studi sottoposti a revisione, e che hanno coinvolto 2.040 pazienti, sono stati sottoposti a metanalisi i tre in cui era stata utilizzata la pregabalina. Ai dosaggi di 600, 450 e 300 mg al giorno, questo farmaco ? risultato efficace in confronto al placebo (Number needed to treat, Nnt: 7). Tutti i dosaggi sono risultati associati in maniera consistente ad effetti indesiderati (capogiri, sonnolenza, secchezza delle fauci, aumento di peso, edema periferico), problema che in un paziente su quattro potrebbe determinare l’abbandono della terapia (Number needed to harm, Nnh: 6). La metanalisi indiretta di confronto suggerisce che pregabalina alla dose di 450 mg/die potrebbe essere pi? efficace di 300 mg/die: un dato da interpretare con prudenza perch? non sono emerse invece differenze tra dosaggi di 600 e 300 mg cos? come tra 600 e 450 mg. Per quanto riguarda la gabapentina, i dati sono da considerare limitati.

J Clin Pharm Ther, 2010; 35(6): 639-56

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Proteinuria totale o albuminuria, marker pi? facili

La proteinuria totale e l’albuminuria sono ugualmente valide come marker predittivi di outcome renale e mortalit? in pazienti affetti da nefropatia cronica (Ckd). Il rapporto albumina/creatinina (Acr) e quello proteine totali/creatinina (Crp) sono efficaci, ai fini prognostici, tanto quanto la raccolta di campioni urinari nelle 24 ore, ma pi? comodi sia per i pazienti che per i clinici e i laboratori di analisi. Sia l’Acr sia il Pcr, inoltre, permettono di stratificare il rischio nei soggetti con Ckd. Sono le conclusioni di uno studio di coorte retrospettivo longitudinale effettuato da Shona Methven della Johns Stevenson Lynch renal unit del Crosshouse hospital, a Kilmarnock (Scozia, UK), e collaboratori, su 5.586 pazienti con Ckd e proteinuria. Lo scopo della ricerca era quello di testare la validit? predittiva delle misure basali di Acr, Pcr, albuminuria e proteinuria totale nelle 24 ore rispetto a tre outcome primari quali la mortalit? per tutte le cause, l’inizio della terapia per il trapianto renale (Rrt) e il raddoppio del livello della creatinina sierica. I partecipanti sono stati seguiti fino a un periodo mediano di 3,5 anni. Per tutti gli outcome, i rapporti di rischio sono risultati simili per Pcr e Acr: rispettivamente 1,41 e 1,38 per exitus, 1,96 e 2,33 per Rrt, 2,03 e 1,92 per raddoppio della creatininemia. Le curve Roc hanno mostrato performance quasi identiche per Acr e Pcr nei confronti delle tre misure d’esito. I rapporti di rischio di Acr e Pcr, rispetto a ogni misura di outcome, si sono dimostrati simili quando derivati da campioni di urina raccolti in modo casuale o a intervalli regolari, e se posti a confronto con l’escrezione nelle 24 ore delle proteine totali oppure dell’albumina.

Am J Kidney Dis, 2010 Oct 14. [Epub ahead of print]

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Hiv: nevirapina nel periparto, lopinavir/ritonavir nel post

La somministrazione di una singola dose di nevirapina nel periparto ? il trattamento d’elezione per la prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’Hiv nei Paesi poveri, pur esponendo alla selezione di ceppi resistenti. Due studi sul New England ora evidenziano che: nelle madri infette e in precedenza esposte al farmaco citato ? preferibile ricorrere a un trattamento antiretrovirale basato su lopinavir potenziato con ritonavir piuttosto che a nevirapina; nei bambini che hanno acquisito l’Hiv nonostante la profilassi periparto con nevirapina ? meglio sostituire quest’ultima con lopinavir negli schemi di trattamento. Il primo trial, coordinato da Shahin Lockman, del Brigham and women’s hospital di Boston, ha coinvolto 241 donne di sette Paesi africani, in precedenza sottoposte alla profilassi periparto e ora trattate con nevirapina (n=121) oppure con lopinavir e ritonavir (n=120). Un numero significativamente maggiore di pazienti incluse nel primo gruppo ha raggiunto l’endpoint primario (tempo trascorso fino al fallimento virologico o all’exitus) rispetto al secondo (26% vs 8%). Da sottolineare, per?, che in 500 donne senza precedente esposizione a nevirapina le percentuali dell’endpoint sono state uguali tra i due gruppi (14%). Ricapitolando, nelle donne gi? trattate con nevirapina nel periparto (non nelle altre) la terapia iniziale antiretrovirale basata su tenofovir-emcitrabina associata a lopinavir e ritonavir ? risultata superiore a quella associata a nevirapina. Analogamente, nei bambini Hiv-positivi nonostante la profilassi materna, ? apparsa migliore la terapia con zidovudina e lamivudina associata a ritonavir con lopinavir piuttosto che a nevirapina. Lo si evince dai risultati di un trial guidato da Paul Palombo, della Dartmouth medical school di Lebanon (Usa), su 164 bambini (et?: 6-36 mesi) di sei Paesi dell’Africa: il 39,6% dei pazienti trattati con nevirapina ha raggiunto l’endpoint primario (fallimento virologico o sospensione della terapia entro la 24ma settimana) contro il 21,7% di quelli in terapia con lopinavir e ritonavir.

N Engl J Med, 2010; 363(16):1499-1509

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Varianti Mutyh e rischio di cancro colorettale

La presenza biallelica di varianti difettose del gene Mutyh, coinvolto nei meccanismi di riparazione del Dna, determina un aumento del rischio di cancro colorettale di 28 volte. ? questo il risultato pi? rilevante di un’ampia metanalisi collaborativa internazionale, coordinata da Evropi Theodoratou, dell’istituto di Genetica e medicina molecolare dell’universit? di Edinburgo, effettuata su 20.565 casi e 15.524 controlli con lo scopo di definire e precisare le stime di rischio di cancro colorettale associate con la condizione di portatore di varianti mono- e bialleliche di Mutyh – noto per essere associato alla poliposi e per predisporre alla neoplasia intestinale come tratto autosomico recessivo – verificando anche l’influsso esercitato dall’et? e dal genere. Sono stati utilizzati tre modelli di regressione logistica: uno “crudo”, un secondo corretto per et? e sesso, e un terzo aggiustato per et?, sesso e studio. In tutti e tre i casi sono stati prodotti risultati molto simili. Oltre al dato citato, sono emersi significativi effetti biallelici anche per specifiche mutazioni di Mutyh, in particolare per G396D e per i soggetti eterozigoti Y179C/G396D; si ? rilevato anche un marginale effetto monoallelico per la mutazione Y179C. Infine, un’analisi raggruppata di tutti i dati pervenuti, pubblicati e non pubblicati, ha dimostrato effetti biallelici per Mutyh, G396D e Y179C e un effetto marginale monoallelico solo per le varianti Mutyh e Y179C.

Br J Cancer, 2010 Nov 9.

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Ecografia e malformazioni del feto: il tema della prova

Cassazione civile – il fatto stesso che una donna sostenga che si sarebbe avvalsa della facolt? di interrompere volontariamente la gravidanza se fosse stata informata della grave malformazione del feto, presuppone l’implicita affermazione della sussistenza ipotetica delle condizioni di legge per farvi ricorso, tra le quali si annovera, dopo il novantesimo giorno di gestazione, la qualificabilit? come pericolo per la salute fisica o psichica del trauma connesso all’acquisizione della notizia.
La Corte di cassazione ha delineato il profilo sopra richiamato applicandolo al caso originato da una azione giudiziaria intrapresa nei confronti di due medici ecografisti allorquando, in una clinica ostetrica e ginecologica di un Policlinico universitario, nasceva un bambino affetto da una gravissima malformazione (“mielomeningocele lombosacrale ed idrocefalia”, comportante un’invalidit? permanente del 100%), non diagnosticata a seguito dei controlli ecografici cui la madre s’era sottoposta presso lo stesso reparto sanitario.
I genitori del piccolo sostennero che, per non essere stata informata della malformazione del feto, la madre non era stata posta in condizione di interrompere la gravidanza. [Avv. Ennio Grassini]

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Melanoma sottile: identificato un segno demoscopico

Isola dermoscopica. ? questo il termine con il quale ? stato definito un nuovo descrittore specifico per il melanoma sottile (di difficile diagnosi) da un’?quipe di ricercatori dei dipartimenti di Dermatologia e Patologia delle Universit? di Modena e Reggio Emilia, guidata da Stefania Borsari. Il reperto si presenta come un’area ben circoscritta, caratterizzata da un pattern dermoscopico uniforme, che differisce dal resto della lesione pigmentata. Allo scopo di determinare la frequenza e le caratteristiche dell’isola dermoscopica nelle lesioni melanocitiche e di stabilirne la specificit? nella diagnosi di melanoma, sono state esaminate le immagini di 96 melanomi in situ, 266 melanomi invasivi e 612 nevi atipici, ricavate da lesioni escisse tra il 2003 e il 2008 di cui si sono studiate anche le caratteristiche istologiche e cliniche. L’isola dermoscopica ? stata riscontrata nel 10,4% dei melanomi in situ, nel 4,1% dei melanomi invasivi, e nel 3,1% dei nevi atipici. Il rapporto incrociato (odds ratio) per melanoma ? risultato pari a 1,922, mentre la specificit? si ? attestata sul 96,9%. I melanomi invasivi in cui si riconosceva l’isola – di aspetto principalmente reticolare su sfondo pure reticolare – erano pi? sottili di quelli privi del descrittore. Inoltre, pi? della met? dei melanomi con il reperto sotto studio aveva preso origine da un nevo. L’isola dermoscopica, concludono gli autori della ricerca, ? caratteristico del melanoma sottile che insorge da un nevo e pertanto pu? essere considerato un potenziale segno precoce di trasformazione di un nevo in un melanoma.

Arch Dermatol, 2010; 146(11):1257-62

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Otite media acuta: antibiotici poco utili

Pubblicata da Jama una metanalisi pensata per supportare l’aggiornamento delle linee guida della American academy of pediatrics sul trattamento dell’otite media acuta non complicata. L’analisi della letteratura ha incluso 135 studi concludendo che gli antibiotici sono solo modestamente pi? efficaci rispetto a nessun trattamento e provocano effetti avversi nel 4-10% dei bambini. Inoltre, nei casi in cui l’uso degli antibiotici ? raccomandato, la maggior parte di essi ha un’efficacia clinica sovrapponibile: vecchi farmaci come l’amoxicillina agiscono allo stesso modo di quelli nuovi e pi? costosi. In particolare, non ci sono evidenze a sostegno dell’uso in prima linea di antibiotici pi? recenti il cui costo ? circa tre volte pi? alto rispetto all’amoxicillina. Per altro, fanno notare gli autori ?gli antibiotici pi? nuovi generalmente producono pi? effetti collaterali perch? sono farmaci pi? complessi?. L’Academy propone dal 2004 un approccio osservazionale come opzione di trattamento delle infezioni dell’orecchio in assenza di complicanze, nei bambini tra i 2 e i 12 anni, ma sulle nuove linee guida non ci sono anticipazioni: Allan Lieberthal, pediatra e presidente del comitato di revisione delle linee guida della Academy, auspica una conclusione della revisione in primavera ma fa sapere che ?i dati emersi dalla metanalisi verranno considerati per elaborare nuove raccomandazioni?. I pediatri americani ribadiscono l’importanza dell’educazione dei genitori, anch’essi target della campagna, all’uso degli antibiotici nella gestione dell’otite media acuta: ?I genitori devono conoscere i benefici e gli effetti collaterali, per esempio, devono sapere che in tre casi su 10 compare rash cutaneo e in cinque su 10 diarrea? afferma Tumaini Coker, autore della metanalisi pubblicata.

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