Mortalit? per cancro prostatico dimezzata da Psa

Nell’arco di 14 anni, grazie allo screening del Psa (prostate-specific antigen), ? stato possibile abbattere di quasi la met? la mortalit? per cancro prostatico. Il risultato, scaturito dall’esperienza di G?teborg, si affianca all’osservazione di un rischio sostanziale di sovra-diagnosi e di un alto numero di persone da trattare, simile a quello dei programmi di screening per il cancro mammario. Il beneficio della strategia, comunque, ? confrontabile con altri programmi di screening oncologici. Lo studio di popolazione svedese, firmato da Jonas Hugosson dell’Accademia Sahlgrenska dell’Universit? di G?teborg, e collaboratori, ha previsto la randomizzazione, nel 1994, di uomini nati tra il 1930 e il 1944 in un gruppo avviato a screening del Psa ogni due anni e in un gruppo di controllo non invitato allo screening. Dei 9.952 soggetti randomizzati per lo screening, 7.578 si sono sottoposti alla misurazione del Psa almeno una volta. Durante un follow-up mediano di 14 anni, la diagnosi di cancro prostatico ? stata posta in 1.138 uomini del gruppo screenato (incidenza cumulativa 12,7%) e in 718 persone del gruppo di controllo (8,2%), per una hazard ratio pari a 1,64. Al quattordicesimo anno, la riduzione del rischio assoluto di morte per cancro della prostata si ? attestata sullo 0,40% (dallo 0,90% nel gruppo di controllo allo 0,50% nel gruppo sottoposto a screening). Il rapporto tra tassi (rate ratio) di morte per tumore prostatico, rispetto al gruppo di controllo, era pari a 0,56 e 0,44 rispettivamente nel gruppo screening e in coloro che si sono effettivamente sottoposti al test. In totale, per prevenire una morte per cancro prostatico, ? stato necessario invitare allo screening 293 uomini e porre 12 diagnosi.

Lancet Oncol, 2010 Jun 30. [Epub ahead of print]

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Dolore colonscopia utile a diagnosi intestino irritabile

La percezione del dolore durante una colonscopia pu? essere utile ai fini della diagnosi differenziale tra la sindrome dell’intestino irritabile (Ibs) e altre patologie gastroenteriche. Il grado di percezione algica nel corso dell’esame, infatti, risulta pi? alto nei pazienti Ibs rispetto ai soggetti affetti da malattie non-Ibs; un ulteriore beneficio dell’indagine consiste nella possibilit? di poter contestualmente escludere patologie organiche a carico del tratto gastrointestinale inferiore. Lo segnala uno studio condotto da Eun Soo Kim e collaboratori della Scuola universitaria di medicina Keimyung di Daegu (Corea) su 217 soggetti suddivisi in un primo gruppo affetto da Ibs, un secondo interessato da altri disordini gastroenterici funzionali (Fgid) come gonfiore, diarrea e costipazione, e un terzo composto da controlli sani. Tutti i pazienti hanno completato i questionari previsti dai criteri di Roma III e riportato l’intensit? del dolore dopo colonscopia attraverso il punteggio 0-100 mm delle scale analogiche visuali. I punteggi del dolore dei pazienti Ibs (in mediana 52) sono risultati maggiori rispetto ai controlli sani (22) o ai pazienti Fgid (18). I sintomi del tratto gastrointestinale superiore sono stati osservati pi? spesso nel gruppo Ibs rispetto ai pazienti non-Ibs (83,2% vs 34,5%). A fronte di un punteggio pari a 31 dello score del dolore, la sensibilit?, la specificit?, il valore predittivo positivo e quello negativo si sono attestati, rispettivamente, sull’86,1%, 75,9%, 75,7% e 86,3%.

J Gastroenterol Hepatol, 2010; 25(7):1232-8

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Uso del cellulare durante la guida, un comportamento ad alto rischio

La scena ? di tre giovani donne che viaggiano in auto. E’ una mattina serena, di sole, tutti indossano le cinture di sicurezza e sono sobri. Normali chiacchiere tra adolescenti. Poi la conducente decide di includere un amico nella conversazione e mentre gli manda un breve sms sterza. All’improvviso, la macchina sbanda, invade la carreggiata opposta e si schianta contro un’auto proveniente dalla direzione opposta. Il resto ? sangue e lamiere contorte e la consapevolezza finale della conducente, cosciente, di aver ucciso le sue due amiche per colpa di un messaggino. Questa scena appare in un video prodotto dall’Amministrazione britannica sull’educazione stradale. Il video ? ad alto impatto emotivo (www.youtube.com/watch?v=R0LCmStIw9E) e difficile da guardare. Anche se sappiamo che ? una finzione lo scenario purtroppo ? reale: la guida distratta da una conversazione o dall’invio di un sms aumenta la probabilit? di incidenti che possono avere conseguenze mortali.
Questo ? il tema ripreso da un editoriale apparso sul New England Journal of Medicine sul tema della guida distratta da attivit? come l’uso del cellulare e dalla possibilit? di capire se ? possibile e come identificare modi semplici, rapidi ed efficaci per un counseling breve su questo argomento da attuare nell’ambito delle cure primarie.
Sebbene non sia dimostrata una correlazione diretta, sappiamo che il counseling sui pazienti in relazione ai loro comportamenti a rischio pu? essere efficace. Secondo la US Preventive Services Task Force, anche un minimal advice di 3 minuti trascorsi a discutere i rischi del consumo di tabacco aumenta la probabilit? che un paziente possa smettere di fumare. Un altro aspetto ? il contesto in cui si discute. Quando un medico affronta i problemi del paziente fornendo al contempo attenzione alla prevenzione, il messaggio ha un impatto diverso rispetto a quello trasmesso ad un pubblico come annuncio di servizio incastonato tra annunci per gelati, patatine, o un avviso stampato su una confezione di un prodotto.
Anche se ? difficile valutare l’incremento assoluto del rischio di collisione imputabile a distrazione del guidatore, uno studio ha dimostrato che parlare al cellulare durante la guida determina un rischio quattro volte superiore a quello di guidatori non distratti e simile, a quella di guida in stato ebbrezza. Un altro studio ha dimostrato che scrivere messaggi di testo durante la guida potrebbe conferire un rischio di collisione 23 volte superiore a quello di una guida non distratti. E’ vero che i cellulari non rappresentano l’unica possibilit? di distrazione per i conducenti, ma ? anche vero che con pi? di 60 milioni di cellulari in Italia e pi? di 275 milioni in America le conseguenze negative di un loro uso improprio durante la guida ha raggiunto proporzioni epidemiche. Infatti, negli Stati Uniti l’81% dei proprietari di cellulari li usa durante la guida. I dati attuali disponibili suggeriscono che ogni anno almeno 1,6 milioni di incidenti stradali in Gran Bretagna sono causati da conducenti che parlano al cellulare o rispondono a un sms. Parlare al telefono causa pi? incidenti dei messaggi di testo, ma semplicemente perch? ? un’attivit? pi? frequente.
Consigliare ai pazienti di guardare questo video, ? un messaggio forte per dire che la guida distratta ? approssimativamente equivalente alla guida in stato di ebbrezza. Una dichiarazione che cattura l’attenzione sia sui rischi che sull’immoralit? implicita di questa pratica.
Bibliografia
1. Ship AN The Most Primary of Care ? Talking about Driving and Distraction N Engl J Med 2010;362:2145-7
2. Strayer DL, Drews FA, Crouch DJ. A comparison of the cell phone driver and the drunk driver. Human Factors 2006;48:381-91.

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Carcinoma a cellule renali metastatico: tossicit? cardiovascolare del Sunitinib

Dati recenti hanno messo in luce che la cardiotossicit? rappresenta un effetto collaterale potenzialmente importante in pazienti trattati con Sunitinib ( Sutent ).

I Ricercatori dell?Universit? Federico II di Napoli, hanno valutato gli eventi avversi cardiaci nei pazienti con carcinoma renale metastatico sottoposti a trattamento con questo farmaco.

Le cartelle cliniche di 175 pazienti con carcinoma a cellule renali metastatico trattati con Sunitinib in 8 Centri italiani sono state riviste in maniera retrospettiva e sono state valutate le alterazioni nella frazione di eiezione ventricolare sinistra e nella pressione sanguigna.

L?ipertensione di grado 3 ? stata osservata in 17 pazienti ( 9.7% ); in 12 di questi 17, l?ipertensione si ? sviluppata dopo il terzo ciclo di terapia con Sunitinib.

Tra i 17 pazienti, 12 ( 70.6% ) hanno anche mostrato disfunzione sistolica ventricolare sinistra; in totale, 33 dei 175 pazienti ( 18.9% ) hanno sviluppato anomalie cardiache di qualche grado, 12 delle quali sono state classificate come disfunzione sistolica ventricolare sinistra di grado 3 e/o insufficienza cardiaca congestizia ( 6.9% ).

Associazioni univariate significative per i predittori di insufficienza cardiaca congestizia sono risultate essere una storia di ipertensione ( P = 0.008) , di coronaropatia ( P = 0.0005 ) e un precedente trattamento con Ace inibitori ( P = 0.04 ).

L?analisi multivariata ha mostrato che gli unici predittori indipendenti significativi di insufficienza cardiaca congestizia fossero una storia di coronaropatia [ odds ratio, OR=18; P = 0.005 ] e una storia di ipertensione ( OR=3; P = 0.04 ).

In conclusione, i pazienti sottoposti a terapia a base di Sunitinib, e in particolare quelli con una precedente storia di ipertensione e coronaropatia, hanno un maggior rischio di eventi cardiovascolari e dovrebbero essere tenuti sotto controllo per le esacerbazioni della loro ipertensione e per segni di disfunzione sistolica ventricolare sinistra durante il trattamento.

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Tumore del testicolo: funzione polmonare nei pazienti sopravvissuti

La tossicit? a lungo termine dopo trattamento oncologico ? tema di interesse clinico.

Ricercatori dell?University of Troms?, in Norvegia, hanno valutato la funzione polmonare nei sopravvissuti a lungo termine a un tumore del testicolo.

La funzione polmonare di 1.049 sopravvissuti a questo cancro trattati nel periodo 1980-1994 in 3 ospedali universitari norvegesi ? stata valutata con spirometria e con un questionario ( dal 1998 al 2002 ).

I pazienti sono stati divisi in 5 gruppi di trattamento: solo chirurgia ( n=202 ), solo radioterapia ( n=449 ), chemioterapia ( Cisplatino ad un dosaggio uguale o inferiore a 850 mg; n = 306 ); chemioterapia ( Cisplatin a un dosaggio superiore a 850 mg [ gruppo ad alta dose ]; n=62 ) e chemioterapia e chirurgia polmonare ( n=30 ).

Le variabili di spirometria includevano la capacit? vitale forzata ( FVC ) e il volume espiratorio forzato in 1 secondo ( FEV1 ).

Sono stati riportati i valori attuali e le percentuali di valori normali predetti ( FVC%pred e FEV1%pred, rispettivamente ).

Una malattia polmonare restrittiva ? stata definita come FEV1/FVC maggiore o uguale al 70% e FVC%pred inferiore a 80%.

Il periodo mediano di osservazione ? stato di 11.2 anni.

Rispetto al gruppo chirurgia, i gruppi ad alta dose e chemioterapia associata a chirurgia polmonare hanno mostrato valori pi? bassi per capacit? vitale forzata aggiustata per et? ( gruppo alta dose: beta: -0.37; P=0.001; gruppo chemioterapia e chirurgia polmonare: beta: -0.58; P<0.001 ), FEV1 ( alta dose: beta: -0.24; P=0.014; chemioterapia e chirurgia polmonare: beta: -0.55; P<0.001 ), FVC%pred ( alta dose: beta: -8,3; chemioterapia e chirurgia polmonare: beta: -10,5; entrambi P<0.001 ) e FEV1%pred ( alta dose: beta: -6,8; P=0.003; chemioterapia e chirurgia polmonare: beta: -12.4; P<0.001 ). L?aggiustamento per testosterone totale, indice di massa corporea, abitudine al fumo e attivit? fisica non hanno modificato queste associazioni. L?8% dei pazienti ha mostrato malattia polmonare restrittiva e la prevalenza pi? alta ? stata osservata nel gruppo ad alta dose ( 17.7% ) e in quello chemioterapia e chirurgia polmonare ( 16.7% ). Rispetto ai pazienti sottoposti solamente a chirurgia, questi gruppi hanno mostrato un odds ratio ( OR ) per malattia restrittiva di 3.1 e 2.5, rispettivamente. In conclusione, alte dosi di chemioterapia a base di Cisplatino e la combinazione chemioterapia/chirurgia polmonare sono significativamente associate a una diminuzione della funzione polmonare diversi anni dopo il trattamento per tumore del testicolo. ( Xagena_2009 ) Haugnes HS et al, J Clin Oncol 2009; 27: 2779-2786

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Donne in postmenopausa: effetti della Genisteina, un fitoestrogeno, sui fattori

L?ampia famiglia dei fitoestrogeni ? diventata un?alternativa alla classica terapia ormonale in menopausa; tuttavia alcuni dati sono ancora contrastanti.

Ricercatori dell?Universit? cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno esaminato l?effetto della somministrazione di Genisteina sui parametri metabolici e sulla reattivit? vascolare tenendo in considerazione lo stato endocrino basale dei pazienti.

Lo studio randomizzato, placebo-controllato, ha riguardato 50 donne in postmenopausa.

A 30 donne ( gruppo A ) sono stati somministrati 54 mg/die di Genisteina, mentre le altre 20 ( gruppo B ) sono state trattate con placebo per 24 settimane.
Nel gruppo A sono stati identificati 2 sottogruppi: 14 donne con livelli di insulina normali e 12 con iperinsulinemia.

I valori basali di insulina sono diminuiti significativamente nel gruppo A, mentre l?indice del modello omeostatico ( HOMA ) della sensibilit? all?insulina e dei livelli di glicemia a digiuno sono migliorati significativamente rispetto al gruppo placebo.

La somministrazione di Genisteina ha diminuito la glicemia a digiuno e l?area sotto la curva ( AUC ) dei livelli di glucosio nelle pazienti con livelli di insulina normali dopo il trattamento.
Nelle pazienti con iperinsulinemia ? stata osservata una riduzione significativa nell?insulina a digiuno, nel peptide-C a digiuno e nell?area sotto la curva dei livelli di insulina, cos? come un aumento della clearance dell?insulina epatica.

In queste pazienti i livelli di colesterolo HDL sono migliorati in modo significativo.

Nel gruppo trattato, la dilatazione dipendente e indipendente dall?endotelio ? migliorata.
Le pazienti con normoinsulinemia hanno mostrato un significativo aumento della dilatazione flusso-mediata e nitrato-mediata, mentre non sono stati osservati cambiamenti significativi nel gruppo con iperinsulinemia.

Dallo studio ? emerso che il metabolismo glicoinsulinemico e la funzione endoteliale vengono influenzati significativamente da Genisteina.
In particolare le pazienti con livelli normali di insulina hanno mostrato un miglioramento negli indici di reattivit? glicemica e vascolare. Di contro, in quelle con iperinsulinemia ? stato notato un miglioramento negli indici di sensibilit? all?insulina.

Villa P et al, J Clin Endocrinol Metab 2009; 94: 552-558

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Donne con tumore alla mammella: terapia con Letrozolo in monoterapia o in associ

L?inibitore dell?aromatasi Letrozolo ( Femara ), rispetto al Tamoxifene ( Nolvadex ), migliora la sopravvivenza libera da malattia tra le donne in postmenopausa con cancro al seno recettore-positivo in stadio precoce, ma non ? noto se il trattamento sequenziale con Tamoxifene e Letrozolo sia superiore alla terapia con solo Letrozolo.

In uno studio randomizzato, di fase 3, in doppio cieco sul trattamento del tumore del seno recettore-postivo in donne in postmenopausa, i ricercatori del BIG 1-98 Collaborative Group hanno assegnato in maniera casuale le pazienti a ricevere 5 anni di monoterapia con Tamoxifene, 5 anni di monoterapia con Letrozolo o 2 anni di trattamento con un farmaco seguiti da 3 anni di trattamento con l?altro farmaco.

Sono stati confrontati i trattamenti sequenziali con la monoterapia con Letrozolo tra 6.182 donne ed ? stata anche riportata un?analisi del Letrozolo versus Tamoxifene in monoterapia in 4.992 donne.

A un follow-up mediano di 71 mesi dopo la randomizzazione, la sopravvivenza libera da malattia non ? migliorata significativamente con il trattamento sequenziale rispetto al solo Letrozolo ( hazard ratio per Tamoxifene seguito da Letrozolo 1.05; hazard ratio per Letrozolo seguito da Tamoxifene 0.96 ).

Si sono verificate pi? recidive precoci tra le donne assegnate al gruppo Tamoxifene seguito da Letrozolo che tra quelle assegnate alla monoterapia con Letrozolo.

Le analisi aggiornate sulla monoterapia hanno mostrato una differenza non-significativa nella sopravvivenza generale tra le donne assegnate al trattamento con Letrozolo e quelle assegnate al trattamento con Tamoxifene ( hazard ratio per Letrozolo 0.87; P=0.08 ).

Il tasso di eventi avversi ? stato quello atteso sulla base di precedenti report sulla terapia con Letrozolo e Tamoxifene.

In conclusione, tra le donne in postmenopausa con cancro al seno responsivo agli ormoni, il trattamento sequenziale con Letrozolo e Tamoxifene non ha migliorato la sopravvivenza libera da malattia rispetto al trattamento con il solo Letrozolo.
La differenza nella sopravvivenza generale con Letrozolo in monoterapia e con Tamoxifene in monoterapia si ? rivelata non significativa dal punto di vista statistico.

BIG 1-98 Collaborative Group, N Engl J Med 2009; 361: 766-776

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Donne in postmenopausa con bassa massa ossea: prevenzione della perdita ossea co

Un gruppo di Ricercatori statunitensi ha valutato l?efficacia dell?Acido Zoledronico ( Aclasta ) nella prevenzione della perdita ossea in donne in postmenopausa con ridotta massa ossea.

In uno studio randomizzato, multicentrico, in doppio-cieco, placebo-controllato e della durata di 2 anni, donne in postmenopausa con basso valore della massa ossea sono state selezionate in maniera casuale per ricevere Acido Zoledronico per via endovenosa ( 5 mg ) al momento della randomizzazione e al mese 12 ( gruppo Acido Zoledronico 2 x 5 mg ), Acido Zoledronico per via endovenosa ( 5 mg ) solo alla randomizzazione ( Acido Zoledronico 1 x 5 mg ) o placebo alla randomizzazione e al mese 12 ( gruppo placebo ).

L?endpoint primario di efficacia era la percentuale di cambiamento nella densit? minerale ossea della colonna lombare al mese 24 rispetto al basale.

Sia il regime a base di Acido Zoledronico 2 x 5 mg sia quello Acido Zoledronico 1 x 5 mg hanno aumentato la densit? minerale ossea della colonna lombare al mese 24 (rispettivamente 5.18% e 4.42% rispetto a -1.32%; P<0.001 per entrambi ). In modo simile, sono stati osservati aumenti maggiori per entrambi i regimi basati sull?Acido Zoledronico rispetto al placebo per la densit? minerale ossea della colonna lombare al mese 12 e per quella ai siti femorali prossimali ( anca totale, collo del femore, trocantere ) ai mesi 12 e 24 ( P<0.001 per tutti ). Entrambi i regimi a base di Acido Zoledronico hanno ridotto in maniera significativa i marcatori di turnover osseo rispetto al placebo ( P<0.001 per tutti ), anche se i cambiamenti con Acido Zoledronico 2 x 5 mg sono risultati sostanzialmente superiori nel secondo anno rispetto a quelli ottenuti con Acido Zoledronico 1 x 5 mg. L?incidenza generale di eventi avversi e di eventi avversi gravi ? risultata simile tra i gruppi di trattamento In conclusione, sia una dose annuale sia una dose singola da 5 mg di Acido Zoledronico per via endovenosa sono in grado di prevenire la perdita ossea per 2 anni e sono ben tollerate nelle donne in postmenopausa con bassa massa ossea. McClung M et al, Obstet Gynecol 2009; 114: 999-1007

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L?effetto antiriassorbimento di una singola dose di Zoledronato nelle donne in p

La somministrazione annuale endovenosa di 5 mg di Zoledronato ( Acido Zoledronico; Aclasta ) riduce il rischio di fratture, ma l?intervallo ottimale di dosaggio del farmaco non ? noto.

Ricercatori dell?University of Auckland in Nuova Zelanda, hanno condotto uno studio in doppio cieco, randomizzato, placebo-controllato per determinare la durata dell?azione anti-assorbimento di una singola dose di Zoledronato per via intravenosa.

Lo studio, della durata di 2 anni, ha coinvolto 50 donne volontarie in postmenopausa con osteopenia trattate con 5 mg di Zoledronato.

Le principali misure di esito erano i marcatori biochimici di turnover osseo e la densit? minerale ossea di colonna lombare, femore prossimale e corpo intero.

Rispetto al placebo, il trattamento con Zoledronato ha diminuito i livelli medi di ognuno dei 4 marcatori del turnover osseo almeno del 38% ( range: 38-45% ) per la durata dello studio ( P<0.0001 per ciascun marcatore ). Dopo 2 anni, la densit? minerale ossea ? risultata superiore nel gruppo Zoledronato rispetto al gruppo placebo di un valore medio pari a 5.7% per la colonna lombare, 3.9% per il femore prossimale e 1.7% per l?intero corpo ( P<0.0001 per ciascuna regione dello scheletro ). Le differenze nei marcatori del turnover osseo e della densit? minerale ossea sono risultate simili tra i gruppi a 12 e 24 mesi.
Nel corso dello studio ? stato osservato un lieve iperparatiroidismo secondario nel gruppo Zoledronato.

Grey A et al, J Clin Endocrinol Metab 2009; 94: 538-544

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Fratture vertebrali osteoporotiche dolorose: nessun beneficio della vertebroplas

La vertebroplastica ? diventata un trattamento comune per le fratture vertebrali osteoporotiche dolorose ma esiste limitata evidenza a supporto dell?uso.

In uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, placebo-controllato, i pazienti con 1 o 2 fratture vertebrali osteoporotiche dolorose da meno di 12 mesi e non-guarite, come confermato dalle immagini di risonanza magnetica, sono stati assegnati in maniera casuale a sottoporsi a vertebroplastica o a una procedura simulata.

L?esito primario era rappresentato dal dolore generale ( su una scala da 0 a 10, con 10 come massimo dolore immaginabile ) a 3 mesi.

Sono stati arruolati 78 partecipanti e 71 ( 35 su 38 nel gruppo vertebroplastica e 36 su 40 nel gruppo placebo ) hanno completato il periodo di follow-up di 6 mesi ( 91% ).

La vertebroplastica non ha portato un vantaggio significativo in nessuno degli esiti.

Si ? verificata una significativa riduzione del dolore generale in entrambi i gruppi di studio in ciascuna valutazione di follow-up.

A 3 mesi la riduzione media nel punteggio per il dolore nel gruppo vertebroplastica e in quello controllo sono stati, rispettivamente, 2.6 e 1.9 ( differenza non-aggiustata tra i gruppi: 0.6 ).

Miglioramenti simili sono stati osservati in entrambi i gruppi rispetto il dolore notturno e a riposo, il funzionamento fisico, la qualit? di vita e la percezione del miglioramento.

Nel corso del periodo di follow-up di 6 mesi si sono verificate 7 fratture vertebrali ( 3 nel gruppo vertebroplastica e 4 in quello placebo ).

In conclusione, non sono stati osservati effetti benefici della vertebroplastica rispetto a una procedura simulata in pazienti con fratture vertebrali osteoporotiche a 1 settimana o a 1, 3 o 6 mesi dopo il trattamento.

Buchbinder R et al, N Engl J Med 2009; 361: 557-568

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