Donne in sovrappeso di et? compresa tra 20 e 54 anni: rischio di tumore dell?end

Ricercatori dei CDC ( Centers for Disease Control and Prevention ) di Atlanta negli Stati Uniti, hanno esaminato il rischio di tumore dell?endometrio in donne in soprappeso, utilizzando le definizioni cliniche di obesit? della World Health Organization ( OMS ), basate sull?indice di massa corporea ( BMI ).

Portato a termine nei primi anni ?80 del secolo scorso, il Cancer and Steroid Hormone ( CASH ) era uno studio multicentrico, di popolazione, caso-controllo sui tumori di seno, ovaio ed endometrio in donne di et? compresa tra 20 e 54 anni.

Le partecipanti per il gruppo casi ( n=421 ) sono state identificate attraverso i registri oncologici e avevano una diagnosi di cancro dell?endometrio confermata dal punto di vista istologico.

Le partecipanti per il gruppo controlli ( n=3.159 ) sono state scelte in maniera casuale nelle stesse regioni di quelle del gruppo casi.

La relazione tra tumore dell?endometrio e indice di massa corporea ? risultata modificata dall?et? all?ultimo ciclo mestruale.

Tra le donne di et? inferiore ai 45 anni all?ultimo ciclo, quelle con indice BMI di almeno 35 hanno mostrato un maggior rischio di carcinoma dell?endometrio ( 56%, 30 su 54 ) rispetto a quelle con BMI nella norma ( 4%, 59 su 1.492; odds ratio, OR, aggiustato 21.7 ).

Tra le donne di et? uguale o superiore ai 45 anni al momento dell?ultimo ciclo mestruale, quelle con indice BMI di almeno 35 hanno mostrato un maggior rischio ( 40%, 24 su 60 ) rispetto a quelle con BMI nella norma ( 14%, 168 su 1.235; OR aggiustato 3.7 ).

Le donne di et? inferiore ai 45 anni al momento dell?ultimo ciclo e quelle con indice di massa corporea di almeno 25 a 18 anni e da adulte ( 25%, 31 su 123 ) hanno mostrato un aumento del rischio pari a circa 6 volte ( OR aggiustato 5.8 ) rispetto a quelle con indice BMI normale a 18 anni e da adulte ( 4%, 58 su 1.460 ).

In conclusione, le donne grandi obese di et? compresa tra 20 e 54 anni vanno incontro a un aumento del rischio di tumore endometriale, che sembra essere incrementato da una menopausa precoce.

Thomas CC et al, Obstet Gynecol 2009; 114: 22-27

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Associazione tra carcinoma prostatico e Acido Folico

I dati sull?associazione tra stato del folato e rischio di carcinoma prostatico sono scarsi e discordanti.

Ricercatori dell?University of Southern California a Los Angeles negli Stati Uniti, hanno studiato l?insorgenza di tumore della prostata nello studio Aspirin/Folate Polyp Prevention ( AFPPS ).

Lo studio AFPPS, randomizzato, placebo-controllato, ha valutato la supplementazione di Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) e di Acido Folico nella chemioprevenzione di adenoma colorettale nel periodo 1994-2006.

I partecipanti sono stati seguiti fino a 10.8 anni ( durata mediana: 7 ).

L?Acido Acetilsalicilico da solo non ha presentato effetti statisticamente significativi sull?incidenza di tumore della prostata, ma sono state osservate importanti differenze con il trattamento con Acido Folico.

Tra i 643 uomini assegnati in maniera casuale a placebo o supplementazione con Acido Folico, la probabilit? stimata di ricevere una diagnosi di carcinoma della prostata in un periodo di 10 anni ? stato del 9.7% nel gruppo Acido Folico e 3.3% nel gruppo placebo ( hazard ratio aggiustato per et?: 2.63; P ( Wald test ) = 0.01 ).

Al contrario, l?assunzione basale di Folato con la dieta e il Folato plasmatico negli utilizzatori di multivitaminici sono risultati inversamente associati al rischio di carcinoma della prostata, anche se queste associazioni non hanno raggiunto la significativit? statistica nelle analisi aggiustate.

Questi risultati hanno evidenziato il potenziale ruolo complesso del Folato nel cancro della prostata e i possibili differenti effetti dei supplementi alimentari a base di Acido Folico rispetto alle fonti naturali di Folato.

Figueiredo JC et al, J Natl Cancer Inst 2009; 101: 432-435

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Avastin nel trattamento del tumore mammario: quali benefici ?

L?FDA ( Food and Drug Administration ) ha messo in discussione i benefici dell?impiego di Avastin ( Bevacizumab ) nel tumore alla mammella.

Il miglioramento osservato tra le donne trattate con chemioterapia pi? Bevacizumab, rispetto alle donne sottoposte solo a chemioterapia, non ? risultato clinicamente significativo.
Il rapporto rischio-beneficio di Avastin quando associato a regimi chemioterapici standard non pu? essere considerato favorevole.

Avastin ? stato approvato nel trattamento di diversi tipi di tumore, tra cui colon, polmone e tumore renale.
Nel 2008, l?FDA ha approvato Avastin nel trattamento del carcinoma mammario avanzato in combinazione con la chemioterapia a base di Paclitaxel, con procedura accelerata.

Il principale studio a sostegno di Avastin nel cancro al seno ha mostrato che Bevacizumab aggiunto a Paclitaxel produce un aumento della sopravvivenza libera da progressione di 5.5 mesi ( valore mediano ). .. Lo studio non ha mostrato un aumento statisticamente significativo nella sopravvivenza generale.

La societ? produttrice, Roche, ha poi compiuto altri 2 studi.
Secondo l?FDA i due studi aggiuntivi hanno fallito nel confermare la grandezza del beneficio riscontrato nel primo studio.
In uno studio il tempo di sopravvivenza libera da progressione ? stato inferiore a 1 mese, mentre nel secondo il beneficio non ? stato superiore ai 2.9 mesi.

I due studi saranno esaminati dall?Oncology Drug Advisory Committee dell?FDA.

Bevacizumab ? un anticorpo momoclonale verso VEGF, e interferisce con il processo di angiogenesi.

Fonte: FDA, 2010

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Malattia infiammatoria intestinale: disturbi linfoproliferativi nei pazienti in

L?aumento del rischio di disturbi linfoproliferativi in pazienti in trattamento con tiopurine per malattia infiammatoria intestinale ? argomento controverso.

Un gruppo di Ricercatori dell?Universit? Paris-IV in Francia, ha valutato tale rischio in uno studio di coorte osservazionale.

In totale, 19.486 pazienti con malattia infiammatoria intestinale, di cui 11.759 ( 60.3% ) con malattia di Crohn, 7.727 ( 39.7% ) con colite ulcerosa o malattia infiammatoria intestinale non-classificata, sono stati arruolati in una coorte nazionale in Francia.

Il rischio di disturbi linfoproliferativi ? stato valutato in accordo con l?esposizione a Tiopurina.
Il periodo osservazionale mediano ? stato di 35 mesi.

Al basale, 30.1% dei pazienti era in trattamento con tiopurine, il 14.4% aveva interrotto il trattamento e il 55.5% non ne aveva mai fatto uso di questi farmaci.

Sono stati diagnosticati 23 nuovi casi di disturbi linfoproliferativi: 1 linfoma di Hodgkin e 22 disturbi linfoproliferativi non-Hodgkin.

I tassi di incidenza del disturbo linfoproliferativo sono stati 0.90 per 1000 pazienti-anno tra le persone in trattamento con tiopurine, 0.20/1000 pazienti-anno tra quelle che avevano interrotto il trattamento e 0.26/1000 pazienti-anno in quelle che non ne avevano mai fatto uso ( p=0.0054 ).

L?hazard ratio ( HR ) aggiustato e multivariato di disturbo linfoproliferativo tra pazienti in trattamento con tiopurine e pazienti che non avevano mai assunto tali farmaci ? stato di 5.28 ( p=0.0007 ).

La maggior parte dei casi associati a esposizione a tiopurine rientrava nel range patologico di malattia post-trapianto.

In conclusione, i pazienti in trattamento con tiopurine per malattia infiammatoria intestinale presentano un maggior rischio di sviluppare disordini linfoproliferativi.

Beaugerie L et al, Lancet 2009; 374: 1617-1625

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Riabilitazione musicoterapica dall’ictus

La musicoterapia, effettuata da un terapista esperto, potrebbe aiutare i pazienti colpiti da ictus a recuperare le funzioni motorie. Lo afferma una nuova revisione sistematica Cochrane, che comprende sette studi clinici condotti su un totale di 184 pazienti. Quattro studi si focalizzano specificamente su pazienti colpiti da ictus e tre di questi confrontano l’efficacia della stimolazione uditiva ritmica (Ras) con quella della terapia standard; la Ras ? una tecnica comunemente impiegata dai musico-terapisti per migliorare le funzioni cerebrali dei pazienti, e si basa sulle connessioni tra ritmo e movimento: in pratica la musica scandita a un determinato tempo ? utilizzata per stimolare i movimenti nei pazienti. Dalla revisione emerge che la Ras migliora la capacit? di cammino delle persone colpite da ictus, le quali in media riescono ad avanzare ogni minuto 14 metri in pi? rispetto a chi non ? stato curato con musicoterapia. La Ras, inoltre, aiuta i pazienti a compiere passi pi? lunghi. In uno studio, la medesima tecnica si dimostra in grado di far migliorare i movimenti delle braccia, misurati in termini di estensione dell’angolo del gomito. ?Come dimostrato dalla maggior parte delle sperimentazioni? commenta il capo ricercatore Joke Bradt del Centro di Ricerca per l’Arte e la Qualit? della Vita alla Temple University di Philadelphia ?il ritmo sembra essere il fattore chiave negli approcci con musico-terapia ai pazienti con ictus?. Altre tecniche musicoterapiche, incluso l’ascolto di musica dal vivo o registrata, sono state sperimentate per migliorare il linguaggio, il comportamento e ridurre il dolore nei pazienti con lesioni cerebrali. Malgrado in alcuni casi i risultati siano stati positivi, le prove di efficacia sono ancora limitate. ?Molti studi che abbiamo identificato sono di piccola entit?, alcuni coinvolgono meno di venti pazienti? afferma Bradt. ?Trial pi? estesi potranno fornire ulteriori raccomandazioni per la pratica clinica?.

Cochrane Database of Systematic Reviews, 2010; Issue 7, Art. No.: CD006787

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La storia della Dapoxetina: da antidepressivo a farmaco per l?eiaculazione preco

La Dapoxetina ? un inibitore del riassorbimento della serotonina ( SSRI ). Il farmaco ? stato sviluppato da Eli Lilly come un antidepressivo. Fu dato in licenza a Pharmaceutical Product Development ( PPD ) e poi fu acquistato da Alza Corporation, partner di Ortho-McNeil Pharmaceutical ( una sussidiaria di Johnson & Johnson ).

Inizialmente la Dapoxetina fu considerato un farmaco antidepressivo senza grandi ritorni economici, essendo un me-too degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, come Fluoxetina ( Prozac ), Sertralina ( Zoloft ) o Paroxetina ( Paxil ), e degli inibitori non-selettivi, come Venlafaxina ( Effexor ) e Duloxetina ( Cymbalta ).

Infatti, la Dapoxetina non ha propriet? farmacocinetiche favorevoli come antidepressivo: il farmaco ? assorbito e metabolizzato rapidamente e il suo effetto farmacodimanico ? molto breve.

Poich? la Paroxetina e la Sertralina venivano impiegati nel trattamento dell?eiaculazione precoce ma possedevano un?emivita troppo lunga per questo impiego, si ritenne che fosse questa l?indicazione pi? adatta per la Dapoxetina.

Nel 2004 Alza e Jonhson & Johnson presentarono domanda all?FDA per l?approvazione, ma l?FDA bocci? la richiesta e chiese ulteriori studi clinici.
I problemi posti dall?FDA erano essenzialmente due: l?eiaculazione precoce rientrava tra le patologie ? il rapporto rischio-beneficio della Dapoxetina con i tipici effetti indesiderati degli antidepressivi SSRI era ancora favorevole per questa malattia-non-malattia ?

Nel corso degli studi clinici furono riscontrati casi di nausea e perdita momentanea della coscienza ( svenimenti ) con la Dapoxetina.
L?efficacia del farmaco ? apparsa da subito modesta: il tempo all?eiaculazione per gli uomini, trattati con Dapoxetina, ? risultato aumentato a circa 3-4 minuti contro poco meno di 2 minuti per coloro che avevano assunto il placebo.

In un?indagine effettuata nel 2005 su 102 uomini che soffrivano di eiaculazione prematura, pi? dell?80% degli uomini partecipanti ha ritenuto che 6 minuti fosse un tempo ottimale all?eiaculazione.

Nel 2009, Johnson & Johnson ha presentato all?FDA domanda di commercializzazione per la Dapoxetina.
Nello stesso anno, il farmaco ha ottenuto l?autorizzazione alla vendita in alcuni Paesi europei tra cui Svezia, Finlandia, Austria, Portogallo, Germania, Italia e Spagna, con il nome commerciale di Priligy.

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Artrite giovanile idiopatica, bene abatacept

Nei bambini affetti da artrite giovanile idiopatica (Jia) il trattamento con abatacept migliora la qualit? di vita associata allo stato di salute (HrQoL) con benefici tangibili per la vita dei piccoli pazienti e dei loro genitori/caregiver. Lo ha dimostrato uno studio placebo controllato in doppio cieco di fase III che ha arruolato pazienti con artrite in fase attiva poliarticolare e inadeguata risposta/intolleranza ad almeno un Dmard, inclusi i farmaci biologici, avviati a trattamento con abatacept (10 mg/Kg) pi? metotrexate per un periodo di quattro mesi in aperto (periodo A). Successivamente, i responder (Acr 30) sono stati randomizzati in un gruppo abatacept o placebo (pi? metotrexate) per un periodo in doppio cieco di sei mesi (periodo B). La valutazione di HrQoL ha incluso i 15 concetti per lo stato di salute del Child Health Questionnaire (Chq), gli score physical health/psychosocial summary (PhS e PsS), la scala Vas per il dolore, il Children’s Sleep Habits Questionnaire e il questionario sulla partecipazione alle attivit? quotidiane. Nel periodo A si sono notati con abatacept sostanziali miglioramenti in tutti i domini Chq (specie per il dolore/discomfort) e nei punteggi PhS (8,3 unit?) e PsS (4,3 unit?). Al termine del periodo B, i pazienti trattati con abatacept hanno mostrato maggiori miglioramenti rispetto al placebo in tutti i domini Chq, a eccezione del comportamento, e negli score PhS e PsS. Simili pattern di miglioramento si sono visti sul dolore e sul sonno. Riguardo la partecipazione alle attivit? quotidiane, nel periodo A i responder hanno guadagnato 2,6 giorni al mese di attivit? usuali a scuola e 2,3 per i genitori. Ulteriori guadagni in termini di giorni dedicati alle normali attivit? quotidiane sono stati osservati nel periodo B: 1,9 vs 0,9 e 0,2 vs -1,3 per le attivit? scolastiche e parentali rispettivamente nei bambini trattati con abatacept o con placebo. Lo studio ? frutto del lavoro del Pediatric Rheumatology Collaborative Study Group (Prcsg) – per la Paediatric Rheumatology International Trials Organization (Printo) – con la prima firma di Nicolino Ruperto dell’Irccs G. Gaslini, Universit? di Genova.

Arthritis Care Res, 2010 Jul 1. [Epub ahead of print]

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Procalcitonina predice polmoniti di comunit

Il valore iniziale di procalcitonina (Pct), misurato al momento dell’ammissione ospedaliera, predice in modo accurato la positivit? dell’emocoltura batterica in pazienti con polmonite acquisita in comunit? (Cap). La rilevazione della Pct ha dunque la potenzialit? di ridurre il numero delle emocolture da effettuare nel Dipartimento d’Emergenza e di consentire una pi? mirata allocazione delle limitate risorse sanitarie. Lo sostengono Fabian M?ller e collaboratori dell’Ospedale universitario di Basilea, autori di uno studio di coorte prospettico con un gruppo di derivazione e uno di validazione comprendenti in tutto 925 pazienti Cap con emocolture in fase di ammissione. In tutto 73 soggetti (7,9%) hanno mostrato una batteriemia vera. L’area sotto la curva Roc della Pct era simile nelle coorti di derivazione e validazione (0,83 e 0,79). Nel complesso, la Pct si ? dimostrata un elemento predittivo circa la positivit? dell’emocoltura significativamente migliore rispetto alla conta dei bianchi, alla proteina C-reattiva e ad altri parametri clinici. A un’analisi di regressione multivariata, soltanto il pretrattamento antibiotico (Or corretta: 0,25) e i livelli sierici della Pct (Or: 3,72) sono risultati fattori predittivi indipendenti. In generale, un cut-off della Pct di 0,1 ng/L permetterebbe di ridurre il numero totale di colture ematiche del 12,6% e di identificare ancora il 99% delle emocolture positive. In modo analogo, valori soglia posti a 0,25 ng/L e a 0,5 ng/L consentirebbero di diminuire le emocolture del 37% e del 52%, permettendo ancora l’identificazione del 96% e dell’88% delle emocolture positive.

Chest, 2010 Mar 18. [Epub ahead of print]

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Complesso Les ad attivit? sierologica ma quiescente

Alcuni pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (Les) presentano una malattia clinicamente quiescente nonostante una persistente attivit? sierologica. Uno studio effettuato da Amanda J. Steiman e collaboratori del Centro per gli studi prognostici nelle malattie reumatiche dell’Universit? di Toronto, ha ora accertato che in questa categoria di pazienti il 59% ? destinato a sviluppare riacutizzazioni della sintomatologia (flare) ma dopo un tempo mediano di tre anni. Inoltre, le fluttuazioni dei livelli del complemento e degli anti-dsDna non hanno potere predittivo sui flare: le decisioni terapeutiche pertanto devono basarsi su una stretta osservazione clinica e sar? necessario studiare marker predittivi alternativi. Su una casistica di 924 soggetti con Les gli autori canadesi hanno identificato 56 pazienti (6,1%) con malattia sierologicamente attiva (aumento di anti-dsDna e /o ipocomplementemia) ma clinicamente quiescente (Sacq) per un periodo di almeno due anni. Questi pazienti differivano dalla popolazione non-Sacq solo in base all’Sle Disease Activity Index 2000 (7,34 vs 10,1 nei non-Sacq) e la frequenza d’impiego di steroidi (33,9% vs 60,8%) e farmaci immunosoppressori (3,6% vs 19,4%) alla prima visita. Si ? osservato che 33 pazienti Sacq (58,9%) sono andati incontro a flare (dopo 155 settimane, in mediana), mentre sei soggetti sono diventati quiescenti sierologicamente e clinicamente (per 236 settimane) e 17 sono rimasti Sacq (per 159 settimane). Le pi? comuni manifestazioni dei flare sono consistite in artrite, coinvolgimento della membrana mucosa e piuria sterile.

J Rheumatol, 2010 Jul 1. [Epub ahead of print]

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La menopausa modula i livelli di omocisteina nelle donne con e senza diabete

Alti livelli plasmatici di omocisteina totale possono contribuire ad aumentare il rischio cardiovascolare delle donne affette da diabete mellito di tipo 2.
Tuttavia, i dati sui fattori modulanti la concentrazione di omocisteina totale in questa popolazione sono scarsi.

Uno studio, compiuto da Ricercatori dell?Universit? di Messina, ha confrontato i livelli plasmatici di omocisteina totale, vitamina B12 e folato, ed il genotipo MTHFR C677T in 91 donne diabetiche ed in 91 controlli non-diabetici ( 49 donne in premenopausa e 51 in postmenopausa, per ciascun gruppo ).

E? stato osservato che la concentrazione di omocisteina totale a digiuno non differiva tra le donne con diabete e senza.

In entrambi i gruppi i livelli di omocisteina totale sono aumentati dopo la menopausa, ma le differenze sono risultate deboli dopo aggiustamento per le variabili.

La distrubuzione del genotipo MTHFR era in accordo con l?equilibrio di Hardy-Weinberg, con una frequenza TT simile tra le donne con diabete ( 22.2% ) e le donne controllo ( 19.8% ).

In generale, la concentrazione plasmatica di omocisteina totale era pi? alta negli omozigoti TT, rispetto ad altri genotipi.

E? stata osservata un?interazione genotipo-menopausa riguardo ai livelli di omocisteina, l?aumento della concentrazione di omocisteina totale nei soggetti TT era limitato alla premenopausa, e questo ? stato confermato dopo aver preso in considerazione le donne affette da diabete ed i controlli, separatamente.

All?analisi multivariata, la menopausa era un correlato indipendente della concentrazione dell?omocisteina totale, assieme alla creatinina, folato e genotipo MTHFR.

I dati dello studio hanno mostrato che la menopausa ha una forte influenza sulla concentrazione dell?omocisteina totale anche nelle donne con diabete mellito di tipo 2, inoltre la menopausa pu? modulare l?associazione tra omocisteina totale ed il comune polimorfismo MTHFR sia nelle donne con diabete che senza.

Russo G T et al, J Endocrinol Invest 2008; 31 : 546-551

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