Frattura dello stent medicato impiantato a livello coronarico: incidenza e predi

In clinica, la frattura dello stent ? stata riportata nell?1-2% dei pazienti dopo impianto di stent a rilascio di farmaco.

Uno studio ha valutato le fratture dello stent sotto l?aspetto patologico.

Sono state esaminate 177 lesioni consecutive radiografiche dal CVPath DES Autopsy Registry.

La frattura dello stent ? stata classificata come I ( frattura strut singola ), II ( 2 o pi? strut ), III ( 2 o pi? strut con deformazione ), IV ( con transezione senza gap ), V ( con transezione con gap nel segmento dello stent ).
L?incidenza di eventi avversi patologici ( trombosi e ristenosi ) ? stata valutata mediante esame istologico.

La frattura dello stent ? stata documentata in 51 lesioni ( 29%; grado I=10; II=14; III=12; IV=6; e V=9 ).

Le lesioni con frattura dello stent erano associate ad una maggiore durata dopo l?impianto ( 172 giorni versus 44 giorni; p=0.004 ), una pi? alta incidenza di impiego di stent Cypher ( 63% versus 36%; p=0.001 ), una maggiore lunghezza dello stent ( 30 mm versus 20 mm; p<0.0001 ), e una pi? alta incidenza di stent embricati ( 45% versus 22%; p=0.003 ). Sebbene le fratture di grado I-IV non abbiano avuto un significativo impatto sulla presentazione di eventi avversi patologici, come trombosi e ristenosi, il 67% delle lesioni da frattura di grado V erano associate a eventi patologici avversi al sito di frattura. Una maggiore lunghezza dello stent, l?uso di stent Cypher, e una maggiore durata dell?impianto sono stati identificati come fattori di rischio indipendenti di frattura dello stent dall?analisi di regressione logistica. In conclusione, l?incidenza di frattura dello stent con lesioni ? stata del 29% all?esame autoptico, molto pi? alta di quella riportata in clinica. Un?alta percentuale di eventi patologici ? stata riscontrata nelle lesioni con frattura dello stent di grado V, mentre la frattura con grado compreso tra I e IV non ha avuto un significativo impatto sull?outcome patologico. Nakazawa G et al, J Am Coll Cardiol 2009; 54: 1924-1931

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Epatite C, dalla clearance virale dipende la mortalit

I pazienti con infezione cronica da virus dell’epatite C (Hcv) sono esposti a un rischio maggiore di morte rispetto ai soggetti che sono andati incontro a clearance virale. La sostanziale associazione tra infezione cronica da Hcv e morte per cancro epatico primario supporta l’adozione di una strategia che preveda l’instaurazione precoce del trattamento antivirale. I dati in questione si riferiscono a una coorte di pazienti danesi sottoposti, tra il 1996 e il 2005, ad almeno una misurazione di Hcv Rna dopo essere risultati positivi ai test anticorpali. Gli autori dell’indagine, guidati da Lars Haukali Omland, del Dipartimento di malattie infettive al Rigshospitalet di Copenhagen, hanno esaminato la prognosi a lungo termine di 6.292 pazienti, di cui il 63% era portatore di un’infezione cronica da Hcv mentre nel restante 37% si era verificata la clearance virale. L’86% degli infetti in modo cronico e il 92% del gruppo clearance erano ancora vivi dopo cinque anni. L’infezione cronica ? risultata associata a una mortalit? globale (Mrr 1,55) e a un rischio di morte per cause epatiche (Sdhr 2,42) pi? alti. L’infezione cronica da Hcv, infine, ha comportato un notevole aumento del rischio di morte per cancro epatico primario (Sdhr 16,47).

J Hepatology, 2010; 53(1):36-42

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Olio d?oliva per il seno

Alimento tipico dell’area mediterranea, l?olio d?oliva ? un prodotto antichissimo e di pregio, di indiscusso valore nutrizionale per la composizione chimica e le caratteristiche organolettiche esaltate dal suo impiego quale condimento. La sua coltivazione ha coinvolto diverse epoche, popoli e culture, fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali il progresso tecnologico ha contribuito a determinare un enorme salto di qualit? per l’olivicoltura. Secondo le leggi vigenti gli oli di oliva presenti sul mercato, in relazione alle tecnologie di produzione e a determinate caratteristiche chimiche. Anticamente l’olio di oliva veniva particolarmente raccomandato per la conservazione dei capelli e per il mantenimento del loro colore naturale; per la cura dei sofferenti di stomaco , di fegato e di intestino; per rimarginare la pelle dalle ustioni e per preservarla dall’irraggiamento solare; era considerato indispensabile per i massaggi muscolari e articolari.
L’attuale ricerca medica, pur non smentendo le prescrizioni sopra indicate, anche se un po’ troppo generiche, raccomanda l’uso dell’olio di oliva nell’alimentazione per prevenire l’invecchiamento e per preservare l’organismo dalle malattie cardiocircolatorie. Infatti, gli approfondimenti clinici e terapeutici hanno dimostrato che il particolare rapporto fra gli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi che caratterizzano la composizione dell’olio di oliva e la naturale presenza di microcostituenti, quali tocoferoli e polifenoli, fanno s? che esso possegga una serie di preziose propriet?, quali, ad esempio, facile digeribilit? e resistenza alla cottura, azione ritardante l’invecchiamento cellulare, azione preventiva nei confronti della formazione di calcoli biliari, effetto favorevole per lo sviluppo cerebrale, effetto antitrombico ed ipocolesterolimizzante. Inoltre, un filo d’olio d’oliva al giorno pu? aiutare a tenere a bada il tumore al seno. Un gruppo di ricercatori dell’Universit? Autonoma di Barcellona ha dimostrato che l’olio ? in grado di attaccare lo sviluppo dei tumori, impedendone la crescita e proteggendo il DNA da eventuali danni. Secondo quanto riportato dalla rivista Carcinogenesis, i ricercatori avevano come obiettivo quello di capire perch? molti studi precedenti hanno collegato una dieta ricca di olio d’oliva con un calo del rischio tumori. Dagli esperimenti condotti sui topolini ? stato possibile dimostrare che l’olio vanifica l’attivit? di un gene responsabile della crescita del tumore al seno. L’olio d’oliva, ingrediente fondamentale della dieta mediterranea, avrebbe anche ‘disattivato’ le proteine che mantengono in vita le cellule del cancro. In questo modo si riesce anche ad avere una protezione dai danni che il cancro pu? causare al DNA.Per questo Eduard Escrich, uno degli autori dello studio, consiglia di consumare 50 ml, cio? 10 cucchiaini, di olio extravergine di oliva al giorno. Solo il consumo prolungato dell’olio pu? dare risultati.

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Antiaggreganti piastrinici: possibile associazione tra Prasugrel e cancro

E? stata riscontrata una possibile associazione tra l?uso di Prasugrel ( Effient / Efient ), un antagonista del recettore dell?ADP P2Y12, e un aumento del rischio di cancro.

Prasugrel, che ? stato approvato negli Stati Uniti e in Europa nel 2009, come trattamento dei pazienti con sindrome coronarica acuta, sottoposti a intervento coronarico percutaneo ( PCI ), sulla base dei risultati dello studio TRITON-TIMI 38.
I risultati dello studio hanno indicato un aumento dei tumori solidi tra i pazienti assegnati all?antiaggregante piastrinico.

Lo studio TRITON-TIMI 38 aveva mostrato un incremento statisticamente significativo di tumore del colon con l?uso di Prasugrel, rispetto a Clopidogrel ( 13 versus 4 pazienti; p=0.3 ).

Una dettagliata analisi di eventi tumorali, eseguita dall?FDA e resa pubblica nel febbraio 2009 durante l?incontro del Cardiovascular and Renal Drugs Advisory Committee aveva evidenziato un aumento di tumori solidi con l?impiego di Prasugrel.

L?analisi compiuta da James S Floyd e Victor L Serebruany ha mostrato, dopo aver escluso i tumori cutanei non-melanoma e i tumori cerebrali, che nel gruppo Prasugrel si sono presentati 92 nuovi tumori solidi ( 1.4% ), contro 64 ( 0.9% ) nel gruppo Clopidogrel ( RR=1.4; p=0.02 ).
Inoltre, il gruppo Prasugrel aveva una pi? alta incidenza di mortalit? per nuovi tumori.

Prasugrel ? anche associato ad alto rischio di sanguinamento. Per ogni 1.000 pazienti trattati con Prasugrel anzich? con Clopidogrel, Prasugrel ? associato a un numero minore di eventi ischemici ( 24 ) al costo di un numero pi? elevato di eventi emorragici ( 30 ).

Fonte: Archives of Internal Medicine, 2010

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Tips precoce nei cirrotici con sanguinamento varicoso

L’esecuzione precoce di uno shunt portosistemico intraepatico transgiugulare (Tips) pu? essere di beneficio per i pazienti cirrotici ospedalizzati per sanguinamento delle varici e ad alto rischio di fallimento terapeutico: la strategia comporta una significativa riduzione dell’insuccesso del trattamento e della mortalit?. L’indicazione ? suggerita da uno studio condotto da Juan Carlos Garc?a-Pag?n, dell’istituto di Malattie digestive e metaboliche dell’universit? di Barcellona, e da un gruppo di collaboratori affiliati all’Early tips cooperative study group, tra i quali Angelo Luca dell’Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione di Palermo. Gli autori hanno assegnato, entro 24 ore dal ricovero in ospedale, 63 pazienti con cirrosi e sanguinamento varicoso acuto che erano stati gi? trattati con farmaci vasoattivi pi? terapia endoscopica, all’effettuazione di una Tips precoce (mediante applicazione di uno stent rivestito di politetrafluoroetilene), entro 72 ore dalla randomizzazione (n=32) oppure al proseguimento del trattamento medico vasoattivo (n=31), seguito dopo 3-5 giorni da terapia con propranololo o nadololo e legatura endoscopica (Ebl), con l’inserzione di una Tips se era necessaria una terapia di salvataggio. In un periodo di follow-up mediano di 16 mesi solo un caso di ri-sanguinamento o insuccesso nel controllo del sanguinamento ? stato osservato nel gruppo Tips-precoce contro 14 casi del gruppo farmacoterapia-Ebl. A un anno la probabilit? attuariale di non incorrere in questo end-point composito era pari al 97% nel gruppo Tips-precoce e al 50% nel gruppo di confronto. La sopravvivenza attuariale a un anno era superiore nel gruppo Tips-precoce (86% vs 61%): sono deceduti 16 pazienti di cui 12 nel gruppo farmacoterapia-Ebl. In questo stesso gruppo il numero di giorni trascorsi in unit? di cure intensive e la percentuale di tempo trascorso in ospedale durante il follow-up sono risultati significativamente pi? alti. Non sono state invece osservate differenze significative per quanto riguarda l’impatto degli eventi avversi gravi.

N Engl J Med, 2010; 362(25):2370-9

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Adiposit? tardiva porta il diabete

Tra gli anziani, la presenza di adiposit? generalizzata o centrale, e l’aumento di peso durante la mezza et? e dopo i 65 anni, sono associati al rischio di sviluppare diabete di tipo 2. ? quanto emerge da uno studio prospettico di coorte condotto tra il 1989 e il 2007 su 4.193 soggetti di entrambi i sessi e di et? pari o superiore a 65 anni, i cui dati sono stati analizzati da Mary L. Biggs, del dipartimento di Biostatistica dell’universit? di Washington, a Seattle, e collaboratori. Le misure di adiposit? sono state ricavate con metodi antropometrici e mediante impedenzometria bioelettrica, mentre la rilevazione di diabete si ? basata sul dato anamnestico dell’uso di farmaci antidiabetici o di un livello di glicemia a digiuno di 126 mg/dL o superiore. A un follow-up mediano di 12,4 anni, sono stati riscontrati 339 casi di diabete incidente (7,1/1.000 persone-anno). La hazard ratio (Hr) aggiustata per diabete di tipo 2 per i partecipanti nel quintile superiore delle misure basali paragonata a quelli del quintile inferiore ? risultata di 4,3 per indice di massa corporea (Bmi), 3,0 per Bmi a 50 anni d’et?, 4,2 per peso, 4,0 per massa grassa, 4,2 per circonferenza vita, 2,4 per rapporto vita-fianchi e 3,8 per rapporto vita-altezza. In ogni caso, dopo stratificazione per et?, i partecipanti di et? pari o superiore a 75 anni avevano valori di Hr approssimativamente dimezzati rispetto a quelli dei soggetti di et? compresa tra 65 e 74 anni. Messi a confronto con soggetti di peso stabile ( /- 2 kg), quelli che avevano guadagnato il massimo peso dai 50 anni d’et? rispetto al basale (> o = 9 kg) e dal basale alla terza visita di follow-up (> o = 6 kg) mostravano un Hr per diabete di tipo 2 di 2,8 e 2,0, rispettivamente. I partecipanti con un incremento superiore a 10 cm nelle dimensioni della vita dal basale alla terza visita di follow-up avevano un Hr per diabete di tipo 2 di 1,7, rispetto a quelli che avevano acquistato o perso 2 cm o meno.

JAMA, 2010; 303(24):2504-12

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Poca recidiva con trombosi cerebrale seno venoso

Il rischio di recidiva di una trombosi cerebrale del seno venoso (Csvt) ? basso e, comunque, risulta pi? alto nel primo anno, dopo la cessazione del trattamento con anticoagulanti, e negli uomini. Lievi anomalie trombofiliche non sono associate con recidive di Csvt, ma una grave trombofilia comporta un aumentato rischio di trombosi venosa profonda degli arti inferiori o di embolia polmonare. Sono questi, in sintesi, i riscontri di uno studio effettuato al Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi dell’Ospedale Policlinico di Milano da un team guidato da Pier Mannuccio Mannucci. 105 pazienti con una prima Csvt sono stati seguiti per un periodo mediano di sei anni dopo la sospensione della terapia antipiastrinica. Si sono avute recidive di Csvt in cinque pazienti (3%) e si sono riscontrate altre manifestazioni di tromboembolismo venoso (trombosi venosa profonda degli arti inferiori o embolia polmonare) in dieci soggetti aggiuntivi (7%), per una frequenza di recidiva di 2,03 per 100 persone-anno per tutte le manifestazioni di tromboembolismo venoso e di 0,53 per 100 persone-anno per Csvt. Quasi la met? delle recidive ? occorsa entro il primo anno di discontinuazione della terapia anticoagulante. I fattori di rischio per trombosi venosa ricorrente sono risultati il genere maschile (Hr aggiustato: 9,66) e, per fenomeni trombotici differenti dalla Csvt, una grave trombofilia risultante da carenza di antitrombina, proteina C e proteina S, presenza di anticorpi antifosfolipidi e di anomalie combinate (Hr: 4,71).

Circulation, 2010; 121(25):2740-6

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PROVIAMO A CONOSCERCI… PER AIUTARE DI PIU’

Ho 60 anni, sono un MMG-ginecologo. Da alcuni anni faccio parte di un’associazione di volontariato AVIAT (Associazione Volontari Italiani Amici Togo) una onlus di Imola che opera in Togo, un piccolo e povero stato dell’Africa Occidentale sub sahariana. Periodicamente mi reco in quello stato per portare la mia opera di medico e ginecologo. Mi rendo conto che ? una goccia in un oceano di bisogni, ma come diceva Madre Teresa ?Sappiamo bene che quello che facciamo non ? che una goccia nell’oceano, ma se questa goccia non ci fosse, mancherebbe all’oceano?. Questa mia presenza se viene analizzata per i risultati che ottiene pu? apparire poca cosa, ma di sicuro arricchisce me, poi io la immagino, per le persone che incontro e che aiuto, come un ?raggio di sole? che illumina una vita trascorsa a cercare ?il pugno di riso? per il pasto quotidiano; per le donne che incontro vedere nel monitor dell’ecografo il proprio bimbo prima di nascere ? immaginata come una magia, una bella cosa? un bel regalo, che purtroppo non cambia fondamentalmente la loro esistenza.
Non vuole sembrare ostentazione questa mia presentazione, ma un modo di inquadrare una situazione che, mi rendo conto, ? parte di molti colleghi medici: molti infatti dedicano del proprio ?tempo libero? ad aiutare chi ? nell’indigenza, nel bisogno, ed in particolare tanti si recano nei paesi del terzo mondo.
Proprio per questo mi piacerebbe creare un blog o una “rubrica” di scambio di esperienze con questi colleghi.
Le possibilit? di interscambio possono essere tante: pratiche quali la condivisione di informazioni su organizzazioni presenti nei vari stati del terzo mondo, possibili problemi e soluzioni a situazioni critiche, consigli, scambio di esperienze e opinioni, impressioni, ansie e disillusioni, che credo assalgano chiunque si accosti ai paesi poveri. Ad esempio nel marzo 2009 in 15 giorni in collaborazione con alcuni amici oculisti di un’associazione di Bologna AMOA (Associazione medici oculisti Africa), conosciuti quasi per caso, siamo riusciti a eseguire in Togo oltre 100 interventi di cataratta ed uno screening per l’oncocercosi, che ha coinvolto oltre 1000 persone. Tramite altri colleghi ho scoperto associazioni che forniscono farmaci a prezzi ridotti, materiale sanitario in disuso, ma in buono stato che si pu? utilizzare.
Allargare le conoscenze per essere di maggiore aiuto.
Se la cosa interessa proviamo a parlarne per poterla realizzare: unendo le idee si creano cose fantastiche.
?Io sogno cose non ancora esistite e chiedo, perch? no?? George Bernard Shaw
Gian Franco Mirri

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Fibrillazione atriale sintomatica: spesso ? necessaria pi? di un?ablazione

La maggior parte degli studi che stanno valutando l?efficacia dell?ablazione della fibrillazione atriale riportano periodi osservazionali di 1-2 anni, pochi studi hanno valutato la procedura per 5 anni o oltre.

Ricercatori dell?University of California ? San Diego negli Stati Uniti hanno valutato l?efficacia nel lungo periodo ( maggiore o uguale a 5 anni ) dell?isolamento segmentale della vena polmonare per la fibrillazione atriale parossistica.

Lo studio ha riguardato 71 pazienti, di et? media 60 anni ( di cui 56 di sesso maschile ), sottoposti a procedura d?ablazione nel periodo 2002-2003.
Il periodo osservazionale ? stato di almeno 5 anni.

Dopo l?intervento ablativo, senza l?ausilio di farmaci antiaritmici, l?86% dei pazienti era libero da fibrillazione atriale sintomatica ad 1 anno, il 79% a 2 anni, e il 56% a 63 mesi ( valore medio ).
Il 22.5% dei pazienti ha presentato recidiva di fibrillazione atriale dopo il secondo anno dall?ablazione.

Trentun pazienti si sono sottoposti a una o pi? procedure ablative ( in media: 1.6 per paziente ).
Dopo procedure multiple, l?81% dei pazienti era libero da fibrillazione atriale sintomatica senza l?ausilio degli antiaritmici a 63 mesi, in media, dall?intervento iniziale; tuttavia in 18 di questi pazienti che hanno ricevuto procedure multiple d?ablazione, la durata media del periodo osservazionale dopo l?ultima ablazione era di soli 13.5 mesi, in media.

In conclusione, l?esito a 5 anni dopo isolamento della vena polmonare per la fibrillazione atriale parossistica ? risultato simile a quello precedentemente riportato per periodo osservazionali di pi? breve termine ( minori o uguali a 2 anni ). Tuttavia, le recidive tardive superiori a 2 anni dopo l?ablazione iniziale sono state frequenti, ed ? stato spesso richiesto intervento ablativo ripetuto per mantenere il paziente libero da fibrillazione atriale sintomatica.

Sawhney N et al, Am J Cardiol 2009; 104 : 366-372

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New Tools Devised for Earlier Breast Cancer Diagnosis

Advanced techniques for investigating suspected breast cancer are now complementing traditional mammography. A team of European and U.S. researchers is developing ways to combine all these data to help physicians make earlier and more accurate diagnoses.

As the causes of breast cancer are not well understood, the priority is to detect it early so that effective treatment can be given. The earlier the cancer is detected the more likely the treatment is to be successful. Many countries now employ X-ray mammography screening for women over 40 or 50, but cases still go undetected because of the difficulty of making an accurate diagnosis. Even with a mammogram, some cancers will be unnoticed and there will be many cases of false positives that require further investigation. Validation is typically made by ultrasound and biopsy but many biopsies will show that a suspected lump is not cancerous.

?From mammography you can?t always really see if there is something serious or if it?s just something that is not cancer,? said Dr. Sonja Guttenbrunner of the European Institute for Biomedical Imaging (Vienna, Austria). ?Sometimes it?s very difficult to detect breast cancer and often unnecessary biopsies are taken.?

Even if cancer is confirmed, some types will never pose a risk to health but they cannot easily be differentiated from tumors that are likely to spread. The result is that many women undergo surgery, radiotherapy, and chemotherapy that would not have been necessary if a more precise diagnosis were possible.

Other diagnostic tools, such as ultrasound, are typically used as a follow-up to mammography. Newer techniques include X-ray tomosynthesis, magnetic resonance imaging (MRI), positron emission mammography (PEM), and automated three-dimensional (3D) ultrasound. All these techniques reveal diverse data about any suspicious lump and together they can help the clinician make a more informed and accurate diagnosis.

But what is the best way to use all these sources of information? That is where the European Union (EU)-funded HAMAM Project (Vienna, Austria) comes in. The HAMAM (Highly Accurate Breast Cancer Diagnosis through Integration of Biological Knowledge, Novel Imaging Modalities, and Modeling) is developing a tool that will be more accurate in the diagnosis of breast cancer and be able to integrate all these different modalities in one clinical workstation, suggests Dr. Guttenbrunner, who is coordinating the project.

The clinicians will be able to compare different images side by side while viewing the patient?s history and other information. HAMAM also aims to help clinicians with an element of computer-assisted diagnosis. The workstation will be connected to an extensive database of images and other clinical data. It will be able to suggest further investigations to guide the doctor in coming to a diagnosis.

The project has a prototype workstation that is being evaluated in preparation for a public demonstration. A prototype database is available and the clinical partners have supplied anonymized patient information.

Clinical partners in the project include hospitals in Berlin (Germany), Dundee (UK), Nijmegen (The Netherlands), and a partner in the United States. Boca Raton Community Hospital (FL, USA) was chosen for their experience in using multimodal imaging in the diagnosis of breast cancer. They are supplying much of the information that is being used to construct the database.

?Breast cancer is a worldwide issue, both epidemiologically and economically, but handled differently in Europe than in the U.S.,? Dr. Guttenbrunner added. ?Therefore, joint research is a good way to combine the different perspectives.? They are supported by technological partners in London [UK], Bremen [Germany], Nijmegen, and Zurich [Switzerland]. ?At the end of the project, we want to have a workstation that can be brought to the market,? she said. ?We have an industrial partner, Mevis Medical Solutions [Bremen], who will further develop the workstation to actually bring it to the market for clinicians.?

HAMAM builds on two earlier EU-funded projects, SCREEN and SCREEN-TRIAL, which developed approaches to reading mammograms from a digital display screen rather than from traditional X-ray films.

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