Donne di et? superiore agli 80 anni con osteoporosi: il trattamento per 5 anni c

Le donne di et? superiore agli 80 anni costituiscono il 10% della popolazione, ma contribuiscono al 30% di tutte le fratture e del 60% di tutte le fratture non-vertebrali.
Nonostante questo pochi studi hanno esaminato l?efficacia anti-fratture dei trattamenti in questo gruppo ad alto rischio, e nessuno ha fornito evidenza di benefici oltre i 3 anni.

Ricercatori dell?University of Melbourne in Australia, hanno analizzato un sottogruppo di 1.489 pazienti di sesso femminile di et? superiore agli 80 anni ( et? media: 83.5 anni ) con osteoporosi, che avevano preso parte agli studi SOTI e TROPOS.

Gli studi SOTI ( Spinal Osteoporosis Therapeutic Intervention ) e TROPOS ( TReatment Of Peripheral OSteoporosis ) hanno messo a confronto il Ranelato di Stronzio ( 2 g/die ) con il placebo.
Tuttie le pazienti avevano anche ricevuto supplementazione a base di Calcio e Vitamina-D.

Il Ranelato di Stronzio ( Protelos ) ha ridotto il rischio di fratture vertebrali del 31% ( rischio relativo, RR=0.69 ), di fratture non-vertebrali del 27% ( RR=0.73% ), di fratture non-vertebrali maggiori del 33% ( RR=0.67 ) e il rischio di frattura dell?anca del 24% ( RR=0.75; non significativo ).

Dall?analisi ? emerso che il Ranelato di Stronzio riduce in modo significativo il rischio di fratture vertebrali e non-vertebrali nel corso di 5 anni di trattamento nelle donne in postmenopausa di et? superiore agli 80 anni. ( Xagena_2009 )

Seeman E et al, Bone 2009; Epub ahead of print

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Variabili cliniche per diagnosi artrite acuta gottosa

La validit? della diagnosi di artrite acuta gottosa tra i medici di famiglia (Mmg) risulta moderata, stando quanto meno ai risultati di uno studio olandese svolto su assistiti della primary care. Gli autori, Hein J. Janssens e collaboratori del Radboud University Nijmegen Medical Center, propongono pertanto un modello diagnostico di facile impiego, che non prevede l’analisi del fluido articolare. 328 pazienti affetti da monoartrite, provenienti dalla popolazione nazionale con una diagnosi di gotta effettuata dal Mmg, sono stati coinvolti nella ricerca. Per lo sviluppo di regole diagnostiche, sono state raccolte entro 24 ore le variabili cliniche (comprese la presenza di cristalli sinoviali di urato monosodico). Le variabili statisticamente significative e le variabili predefinite sono state inserite separatamente in modelli di regressione logistica multivariata per predire la presenza di cristalli sinoviali di urato monosodico. La performance diagnostica dei modelli ? stata testata mediante analisi della curva Roc. Il modello pi? appropriato ? stato quindi trasformato in regole diagnostiche clinicamente utili. I valori predittivi positivi e negativi delle diagnosi di gotta fatte dai Mmg sono risultati 0,64 e 0,87, rispettivamente. Il modello pi? appropriato conteneva le seguenti variabili predefinite: sesso maschile, precedenti attacchi artritici riportati dal paziente, comparsa dei sintomi entro un giorno, arrossamento delle articolazioni, coinvolgimento della prima articolazione metatarsofalangea, ipertensione o una o pi? malattie cardiovascolari, e livelli di acido urico nel siero eccedenti 5,88 mg/dL. L’area sotto la curva Roc in questo modello ? risultata 0,85. La performance non ? cambiata dopo trasformazione dei coefficienti di regressione in punteggi di facile uso ed ? rimasta quasi uguale a quella del modello statisticamente ottimale (area sotto la curva Roc: 0,87).

Arch Intern Med, 2010; 170(13):1120-6

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EPICONDILITE LATERALE IN UN GIOCATORE DI TENNIS OVER 60: CASO CLINICO

Le affezioni ai tessuti molli del braccio sono molto diffuse tra la popolazione che svolge lavori manuali e tra gli sportivi praticanti tennis e golf. Tra le situazioni patologie di maggiore riscontro clinico, l’epicondilite laterale (o gomito del tennista) ? forse quella pi? frequente.
Definita clinicamente come un dolore localizzato nella regione dell’epicondilo, l’epicondilite laterale ? principalmente causata da overuse dell?inserzione mio-tendinea dei muscoli estensori del polso ed ? sintomatologicamente caratterizzata da dolore e impotenza funzionale.
Viene qui presentato un caso clinico di un paziente maschio di 63 anni che riferiva alla visita dolore al gomito destro da circa sette giorni e difficolt? ad eseguire i movimenti di flesso-estensione.
L’anamnesi iniziale descriveva un soggetto forte fumatore, BMI normale, nessun precedente per traumi o contusioni; dall’anamnesi remota non risultavano pregresse patologie vascolari, diabete o ipertensione. Il paziente riferiva di essere uno sportivo e che pratica tennis almeno 2 volte alla settimana, prima di essere impossibilitato dal dolore al braccio destro.
Il dolore era insorto durante lo svolgimento di un torneo amatoriale di tennis, durante il quale il paziente affermava di aver giocato pi? ore del solito nella stessa giornata e di avere fatto alcuni movimenti sbagliati nell’effettuare un rovescio.
Nonostante avesse assunto di sua iniziativa ibuprofene 200mg per 4 giorni, ed aver mantenuto il gomito a riposo, il paziente non riscontrava miglioramenti, decidendo cos? di rivolgersi ad uno specialista.
Dall’anamnesi e dall’esame clinico, in cui risultavano positivi i test di di Mills e di Cozen, ? stata posta diagnosi di epicondilite laterale di grado lieve-moderato in quanto si riscontrava dolore alla palpazione a livello dell’epicondilo laterale e limitazione funzionale di grado medio.
Al paziente veniva prescritto riposo dall?attivit? tennistica, terapia farmacologica con piroxicam al dosaggio di 20mg al giorno per 10 giorni, associato ad un trattamento topico a base di Escina+Dietilamina salicilato per favorire la riduzione dell’infiammazione e del dolore ed un protocollo fisioterapico e riabilitativo per favorire il riequilibrio muscolo-tendineo.
Alla fine si consigliava la ripresa di una graduale attivit? funzionale con l?utilizzo l?utilizzo di ortesi specifica per le epicondiliti.

DOMANDE & RISPOSTE

1 – In cosa consistono i test di Mills e di Cozen?
A Mills: pronazione dell’avambraccio a gomito esteso e polso flesso; Cozen: estensione del polso contro resistenza a gomito flesso
B Mills: flessione palmare del polso contro resistenza; Cozen: pronazione dell’avambraccio a gomito esteso e polso flesso
C Mills: pronazione dell’avambraccio a gomito flesso e polso esteso; Cozen: pronazione dell’avambraccio a gomito e polso esteso
D Nessuna delle precedenti
Commento
L’epicondilite, nota anche come gomito del tennista, ? una tendinopatia inserzionale della muscolatura laterale del gomito. Tuttavia, non va intesa come una patologia che riguarda solo i tennisti ma anche altri sportivi e lavoratori che utilizzano in modo eccessivo i tendini della parte esterna o interna del gomito (muratori, carpentieri, ecc.). E’ considerata una sindrome da overuse la cui causa ? riconducibile, sia ad una eccessiva sollecitazione che ad un fisiologico logoramento involutivo delle strutture tendino-inserzionali.
Il sintomo classico ? il dolore localizzato nella regione laterale del gomito, a livello dell?epicondilo, dove si inseriscono i muscoli epicondiloidei, che si irradia a volte lungo il bordo radiale dell?avambraccio e viene risvegliato nei movimenti di estensione e supinazione. Il dolore ? molto variabile come intensit? e va da un lieve fastidio alla vera e propria impotenza funzionale.
Dopo un?accurata anamnesi si procede all?esame clinico per individuare i principali segni legati a tale patologia. In genere, si accerta la provenienza del dolore attraverso la palpazione diretta dell?epicondilo radiale – omerale, verificando contemporaneamente che non vi sia la presenza di una eventuale modesta tumefazione locale. Poi si constata l?insorgenza del dolore tramite due test specifici che sono:
Test di Mills: pronazione dell’avambraccio a gomito esteso e polso flesso, se positivo evoca dolore.
Test di Cozen: flessione palmare del polso contro resistenza, se positivo evoca dolore .
2 – L’approccio terapeutico suggerito ? corretto?
A Si
B No
C Inutile
Commento:
Il presidio terapeutico fondamentale nel trattamento della epicondilite omerale ? rappresentato dal riposo da proseguire sino alla scomparsa della sintomatologia dolorosa; a questo si associano terapie mediche e fisiche con lo scopo di favorire la riparazione del danno anatomico. Nelle fasi di dolore acuto risulta utile associare ai FANS assunti per via sistemica o applicati localmente la fisioterapia, mediante trattamenti di massaggi, ipertermia, laser e diatermia da contatto e in caso di persistenza della sintomatologia anche le onde d?urto. Nelle situazioni pi? gravi o in cui si constata un evidente ritardato sollievo dal dolore e recupero della funzionalit? pu? anche essere utilizzata l’infiltrazione locale con preparati a base di cortisonici, ma solo per un numero limitato di volte.
Durante il trattamento il paziente deve interrompere l’attivit? sportiva specifica ed evitare quei movimenti giornalieri che coinvolgono i muscoli dell’avambraccio.
3 – Nel programma di riabilitazione suggerito al paziente quali dei seguenti metodi sono pi? indicati?
A Contrazioni isometriche ed isotoniche che coinvolgano i muscoli dell’avambraccio
B Esercizi di allungamento
C Tecniche di correzione del gesto atletico
D Tecniche per un corretto utilizzo dell’attrezzo sportivo
E Tutte le precedenti
Commento:
E’ stato dimostrato che, oltre alla terapia farmacologica ed alla fisioterapia, la strategia determinate il rapido recupero sintomatologico e funzionale ? favorito in maniera significativa dalla fase di riabilitazione che dovr? consistere in esercitazioni di forza (contrazioni isometriche ed isotoniche per i muscoli dell’avambraccio) alternate ad esercizi di allungamento.
Grande attenzione deve essere prestata inoltre alle caratteristiche dell’attrezzo sportivo (nel caso del tennis, la racchetta) ed all’esecuzione del gesto tecnico. Il medico specialista, in collaborazione con l’allenatore, deve assicurarsi che tutte le precauzioni tecniche possibili siano state prese onde impedire la recidiva della patologia.

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Pazienti con tumore mammario unilaterale sottoposte a mastectomia profilattica:

Bench? la mastectomia profilattica controlaterale riduca il rischio di tumore del seno controlaterale nelle persone con tumore del seno unilaterale, ? difficile determinare quali pazienti abbiano maggiori probabilit? di trarre beneficio dal trattamento.

I Ricercatori del MD Anderson Cancer Center di Houston, Texas (Stati Uniti ) hanno condotto uno studio con l?obiettivo di identificare i fattori clinico-patologici in grado di predire il tumore del seno e quindi di guidare le decisioni sulla mastectomia profilattica controlaterale nei pazienti con questa neoplasia.

Sono stati inclusi nello studio 542 pazienti con tumore alla mammella unilaterale sottoposti a mastectomia profilattica controlaterale presso l?Anderson Cancer Center nel periodo 2000-2007.

Un?analisi di regressione logistica ? stata utilizzata per identificare i fattori clinico-patologici predittivi del carcinoma mammario controlaterale.

Dei 542 pazienti coinvolti nello studio, 25 ( 5% ) hanno mostrato un tumore occulto nel seno controlaterale.
Il 15% ( n = 82 ) dei pazienti ha mostrato evidenze istologiche di rischio da moderato ad alto, identificate al momento della valutazione patologica finale nel seno controlaterale.

L?analisi multivariata ha rivelato che 3 fattori indipendenti erano in grado di predire il tumore controlaterale: un?istologia lobulare invasiva ipsilaterale, un tumore multicentrico ipsilaterale e un rischio a 5 anni secondo il modello di Gail maggiore o uguale a 1.67%.

Questa analisi ha anche evidenziato che un?et? maggiore o uguale a 50 anni al momento della diagnosi iniziale di cancro e una patologia aggiuntiva ipsilaterale a rischio moderato-alto sono predittori indipendenti di evidenze istologiche di rischio da moderato ad alto nel seno controlaterale.

In conclusione, questi risultati hanno indicato che la mastectomia controlaterale profilattica potrebbe essere una scelta adatta per le pazienti con cancro della mammella con rischio di Gail a 5 anni maggiore o uguale a 1.67%, una patologia aggiuntiva ipsilaterale a rischio moderato-alto, un tumore ipsilaterale multicentrico o un tumore ipsilaterale con istologia lobulare invasiva.

Yi M et al, Cancer 2009;115: 962-971

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Osteoartrosi sintomatica dell?anca: inefficacia dell?Acido Ialuronico

Un gruppo di Ricercatori francesi ha valutato l?efficacia e la tollerabilit? di una singola iniezione intra-articolare di Acido Ialuronico per il trattamento dell?osteoartrosi dell?anca.

Lo studio multicentrico, randomizzato, a gruppi-paralleli e placebo-controllato ha coinvolto 85 pazienti di et? superiore ai 30 anni con osteoartrosi sintomatica dell?anca ( grado del dolore maggiore di 40 mm su una scala analogica visuale [ VAS ] ) e grado di Kellegren/Lawrence di 2 o 3.
I pazienti sono stati trattati con un?iniezione intra-articolare di Acido Ialuronico guidata da fluoroscopia ( 2.5 ml; n=42 ) o di placebo ( n=43 ).

Il periodo osservazionale ? stato di 3 mesi.

La principale misura di esito era il grado del dolore alla scala VAS ( 100 mm ) al terzo mese rispetto al basale.
Gli esiti secondari erano la proporzione di pazienti che rispondevano alla terapia in base ai criteri internazionali della Osteoarthritis Research Society; i punteggi per il dolore del Western Ontario – McMaster Universities Osteoarthritis Index ( WOMAC ), la rigidit? e la disabilit?, oltre alla valutazione globale di pazienti e medici.

Le caratteristiche basali erano simili tra i 2 gruppi.

A 3 mesi la riduzione nel grado del dolore non ha mostrato differenze tra i 2 gruppi all?analisi intent-to-treat ( diminuzione media 7.8 mm con Acido Ialuronico contro 9.1 mm con placebo; P=0.98 ).

I tassi di risposta sono stati pari a 33.3% e 32.6% nel gruppo Acido Ialuronico e placebo, rispettivamente ( P=0.94 ).

Altri esiti secondari non sono risultati diversi tra i due gruppi, cos? come i trattamenti di salvataggio o la frequenza di eventi avversi.

In conclusione, questi risultati hanno mostrato che una singola iniezione intra-articolare di Acido Ialuronico non ? pi? efficace del placebo nel trattamento dei sintomi dell?osteoartrosi dell?anca.

Richette P et al, Arthritis Rheum 2009; 60: 824-830

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Negli uomini il rischio di gotta ? ridotto da un?alta assunzione di Vitamina-C

Diversi studi metabolici e un recente studio randomizzato, in doppio cieco, placebo-controllato, hanno mostrato che l?assunzione di alte dosi di Vitamina C riduce in maniera significativa i livelli sierici di acido urico, ma la relazione con il rischio di gotta resta ignota.

Un gruppo di Ricercatori dell?University of British Columbia a Vancouver in Canada, ha esaminato in modo prospettico, dal 1986 al 2006, la relazione tra l?assunzione di Vitamina C e il rischio incidente di gotta in 46.994 uomini senza storia di gotta al basale.

Nel corso dei 20 anni di follow-up, sono stati documentati 1.317 casi di gotta.

Rispetto agli uomini con un?assunzione di Vitamina-C inferiore a 250 mg/die, il rischio relativo (RR) multivariato di gotta ? stato pari a 0.83 per l?assunzione totale di Vitamina C da 500 a 999 mg/die, di 0.66 per assunzioni da1.000 a 1.499 mg/die. e di 0.55 per assunzioni uguali o superiori a1.500 mg/die ( P<0.001 per la tendenza ). Il rischio relativo multivariato per 500 mg di aumento giornaliero di assunzione di Vitamina C ? stato pari a 0.83. Rispetto agli uomini che non hanno fatto uso di supplementazione di Vitamina C, il rischio relativo di gotta ? stato di 0.66 per un?assunzione supplementare di Vitamina C da 1.000 a 1.499 mg/die e di 0.55 per un?assunzione uguale o superiore a 1500 mg/die ( P<0.001 per la tendenza ). In conclusione, una maggiore assunzione di Vitamina C ? associata in maniera indipendente a un pi? basso rischio di gotta.
L?assunzione supplementare di Vitamina C potrebbe essere utile nel prevenire la gotta.

Choi HK et al, Arch Intern Med 2009; 169: 502-507

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Il dosaggio ottimale di Aspirina nella prevenzione della malattia cardiovascolar

Il dosaggio ottimale di Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) per la prevenzione di eventi cardiovascolari rimane controverso.

Ricercatori dello studio CHARISMA hanno valutato l?incidenza di esiti clinici avversi e i fattori di rischio per questi esiti legati alla dose di Aspirina determinata dai Ricercatori in uno studio di prevenzione primaria.

Sono state effettuate analisi osservazionali post hoc dei dati ottenuti con uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco e placebo-controllato, che ha coinvolto 15.595 pazienti con malattia cardiovascolare e fattori di rischio multipli.

L?endpoint di efficacia era rappresentato dall?incidenza dell?esito composito di infarto del miocardio, ictus e morte per cause cardiovascolari, mentre quello di sicurezza era rappresentato dall?incidenza di sanguinamento grave o pericoloso per la vita nel corso di un periodo osservazionale mediano di 28 mesi ( range interquartile da 23 a 31 mesi ).

Le dosi giornaliere di Aspirina sono state suddivise come inferiori a 100 mg ( 75-81 mg ) ( n=7.180 ), 100 mg ( n=4961 ) e superiori a 100 mg (150-162 mg ) ( n=3.454 ).

Il rischio per l?endpoint primario di efficacia ? stato lo stesso, indipendentemente dalla dose ( hazard ratio aggiustato, HR=0.95 per 100 mg vs meno di 100 mg; HR=1 per oltre 100 mg vs meno di 100 mg ).

Anche il rischio per l?endpoint primario di sicurezza si ? dimostrato indipendente dalla dose ( hazard ratio aggiustato, HR=0.85 per 100 mg vs meno di 100 mg; HR=1.05 per oltre 100 mg vs meno di 100 mg ).

Nei pazienti che hanno ricevuto anche Clopidogrel ( Plavix ), una dose giornaliera di Aspirina superiore a 100 mg sembra essere associata in maniera non-statisticamente significativa a una ridotta efficacia ( hazard ratio corretto, HR=1.16 ) e a un aumento del danno ( HR=1.30 ).

L?analisi post hoc costituisce un limite dello studio cos? come il fatto che l?uso dell?Aspirina non era randomizzato o in cieco.

In conclusione, una dose giornaliera di Aspirina uguale o superiore a 100 mg ? risultata associata a benefici non ben definiti nei pazienti che assumevano solo Acido Acetilsalicilico e a un possibile danno in quelli che assumevano anche Clopidogrel.
Dosi giornaliere tra 75 e 81 mg potrebbero ottimizzare l?efficacia e la sicurezza nei pazienti che necessitano di Aspirina per una prevenzione a lungo-termine, in particolare in quelli sottoposti a duplice terapia antipiastrinica.

Steinhubl SR et al, Ann Intern Med 2009;150: 379-386

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Il trattamento dei soggetti apparentemente sani con statine: rilettura dello stu

Lo studio JUPITER ( Justification for the Use of Statins in Prevention: An Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin ) ha preso in considerazione soggetti apparentemente sani, selezionati principalmente sulla base delle concentrazioni di proteina C-reattiva ad alta sensibilit? ( hs-CRP ) maggiori o uguali a 2 mg/L.
Lo studio JUPITER ha mostrato che la Rosuvastatina ( Crestor ) ? in grado di ridurre l?incidenza di eventi cardiaci, rispetto al gruppo controllo.

La popolazione di studio ( et? mediana: 66 anni ) comprendeva uomini e donne con sindrome metabolica ( circa il 41% ), pressione sanguigna nel range di pre-ipertensione, abitudine al fumo ( circa il 15% ), indici di massa corporea mediani pi? alti rispetto al normale, e rischio di Framingham a 10 anni maggiore del 10% ( circa il 50% ).
La presenza di questi fattori di rischio sta a indicare che una significativa proporzione di soggetti non era sana e necessitava di trattamento aggressivo, senza la misurazione di hs-CRP.

Inoltre, meno del 17% dei partecipanti allo studio stava assumendo Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), e il 25% presentava pressione sistolica maggiore di 145 mmHg e poteva avere necessit? di terapia antipertensiva.

E? probabile che molti dei soggetti che hanno preso parte allo studio non abbiano ricevuto cura in base agli attuali standard. Perci? il beneficio della terapia con statine sarebbe stato pi? difficile da dimostrare se le raccomandazioni terapeutiche standard fossero state seguite.

In conclusione, queste considerazioni fanno sorgere dubbi sull?asserzione che il trattamento con statine dovrebbe essere iniziato in individui apparentemente sani sulla base dei livelli di proteina C-reattiva ad alta sensibilit?.

Kappagoda CT, Ezra A. Amsterdam EA, Am J Cardiol 2009; 104: 1603-1605

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Indici di rigidit? arteriosa correlati a ictus ischemico

I pazienti con ictus ischemico acuto mostrano i pi? elevati valori degli indici di rigidit? arteriosa. Inoltre, tra i pazienti con ictus, il sottotipo lacunare ? quello che evidenzia i pi? alti livelli di tali indici. Queste evidenze riportano d’attualit? dati preesistenti relativi alla stretta associazione esistente tra ipertensione, diabete e rigidit? arteriosa, che giustificano l’alta percentuale di ipertesi e diabetici riscontrata nel sottotipo lacunare. Sono le conclusioni che trae Antonino Tuttolomondo che, con collaboratori del Dipartimento biomedico di Medicina interna e Specialistica dell’Universit? di Palermo, ha effettuato uno studio su entrambi gli indici di rigidit? arteriosa, ossia la velocit? dell’onda sfigmica carotido-femorale (Pwv) e l’Augmentation index (Aix), in soggetti con un evento cerebrovascolare acuto. Sono stati arruolati consecutivamente (tra il novembre del 2006 e il gennaio del 2009) 107 pazienti con ictus ischemico acuto (la classificazione ? stata effettuata in accordo alle direttive Toast) e 102 controlli appaiati per et?, sesso, rischio cardiovascolare e morbilit? cardiovascolare pregressa. I pazienti colpiti da ictus, rispetto a quelli senza ictus ischemico acuto, manifestavano un valore medio maggiore di Aix (103 /-3,5 mmHg vs 99 /- 4,6 mmHg) e di Pwv (11,8 /- 3,3 m/s vs 10,02 /- 2,29 m/s). I valori di Augmentation index e di Pwv nei soggetti lacunari risultavano significativamente maggiori rispetto a quelli osservati in altri sottotipi ischemici, quali il Laas (Large-artery atherosclerosis) e il Cei (Cardioembolic infarct).

Atherosclerosis, 2010 Feb 18. [Epub ahead of print

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Rituximab vs ciclofosfamide nelle vasculiti gravi

Per oltre quarant’anni la ciclofosfamide e i glucocorticoidi hanno rappresentato le pietre angolari della terapia delle gravi vasculiti associate agli Anca (anticorpi citoplasmatici antineutrofili). Alcuni studi non controllati hanno indicato che rituximab possa essere efficace e pi? sicuro del regime basato sulla ciclofosfamide e recentemente il New england ? tornato sul tema pubblicando due lavori. Il primo, condotto da John H. Stone, del Massachusetts General Hospital (Boston) e collaboratori, ? un trial multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, in cui rituximab ? posto a confronto a ciclofosfamide per la remissione della vasculite Anca-associata senza uso di prednisone a sei mesi (endpoint primario). Sono stati coinvolti, in nove centri, 197 pazienti con granulomatosi di Wegener o poliangite microscopica. 63 soggetti del gruppo rituximab (64%) hanno raggiunto il primo endpoint contro i 52 del gruppo controllo (53%): un risultato che soddisfa il criterio di non inferiorit? (P<0,001). Il regime basato su rituximab ? apparso pi? efficace di quello con ciclofosfamide nell'indurre la remissione della patologia: 34 pazienti su 51 del gruppo rituximab (67%) rispetto ai 21 su 50 dei controlli (42%) hanno raggiunto l'endpoint primario. La terapia con rituximab, concludono gli autori, non ? apparsa inferiore al trattamento con ciclofosfamide nell'indurre la remissione della vasculite e pu? essere superiore in caso di malattia recidivante. L'altro trial, svolto da Rachel B. Jones, dell'Addenbrooke's Hospital di Cambridge e collaboratori, si ? focalizzato sulle vasculiti renali Anca-associate. Quarantaquattro pazienti di nuova diagnosi (et? media: 68 anni) sono stati divisi in due gruppi di trattamento: 33 (rituximab) e 11 (controllo/ciclofosfamide). venticinque pazienti rituximab (76%) e nove controlli (82%) hanno ottenuto la remissione; gravi eventi avversi sono occorsi in 14 pazienti rituximab (42%) e in quattro controlli (36%). Sei soggetti su 33 del gruppo rituximab (18%) e due degli 11 tra i controlli (18%) sono deceduti. Il regime basato su rituximab, ? la conclusione, non si ? dimostrato superiore allo standard endovenoso con ciclofosfamide nella terapia delle gravi vasculiti Anca-associati. I tassi di remissione/recidiva sono stati alti in entrambi i gruppi ma il regime basato su rituximab non ? risultato associato a diminuzioni di precoci eventi avversi gravi. N Engl J Med, 2010; 363:211-20
N Engl J Med, 2010; 363:221-32

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