Mammografia di screening: indicazioni personalizzate nelle donne giovani

In tutto il mondo, ogni anno, viene diagnosticato un tumore al seno in pi? di 1 milione di donne e pi? di 500.000 muoiono a causa di questa malattia. Nel corso degli ultimi vent’anni si ? osservata una modesta, ma reale diminuzione di mortalit? per il tumore della mammella attribuibile al miglioramento della diagnosi precoce e alle strategie terapeutiche. In questo contesto dovrebbe essere considerato il recente e acceso dibattito aperto dalla pubblicazione delle nuove linee guida del US Preventive Services Task Force (USPSTF) sull’approccio ottimale dello screening per il tumore della mammella.
Nel 2002, la USPSTF ha raccomandato lo screening mammografico ogni 1 o 2 anni per tutte le donne ≥40 anni. Nella revisione di aggiornamento 2009 recentemente apparsa sugli Annals of Internal Medicine la task force ha rivisto i propri orientamenti sulla base di una revisione sistematica dei benefici e dei danni da screening, e su un’analisi dei dati con modelli statistici orientati a stimare i risultati associati a screening annuale rispetto al biennale con inizio e termine in et? differenti.
Nel documento riassuntivo la USPSTF fornisce alcune raccomandazioni e dichiarazioni che vanno a contrastare in modo rilevante con le strategie consolidate, in particolare:
non raccomanda lo screening di routine per il tumore della mammella nelle donne pi? giovani (fascia di et?, 40-49 anni), ma sostiene che la decisione di iniziare lo screening in donne con et? <50 anni dovrebbe essere individualizzata.
raccomanda lo screening mammografico biennale per tutte le donne di mezza et? (fascia di et?, 50-74 anni).
sostiene che le prove scientifiche attuali non sono sufficienti per una valutazione dei benefici e dei danni correlati allo screening mammografico nelle donne anziane (et?, ≥75 anni)
evidenzia che non esistono al momento dati scientifici sufficienti per valutare i benefici e i rischi connessi all’esame clinico del seno, eseguito in aggiunta alla mammografia di screening nelle donne di et? ≥40, nonch? per valutare i vantaggi e gli svantaggi della mammografia digitale o della risonanza magnetica rispetto alla mammografia su pellicola radiografica tradizionale.
scoraggia i medici a dare indicazione alle donne di eseguire l’auto-esame del seno.
Sicuramente lo screening del tumore al seno genera ansia in molte donne, ma poich? queste nuove linee guida affermano che la mammografia dovrebbe essere condotta in meno donne e meno frequentemente, ? facile comprendere come questo possa generare confusione. Se si considera inoltre che molte societ? scientifiche approvano lo screening mammografico annuale dopo i 40 anni, questa discrepanza aggiunge incertezza nei medici e nei pazienti. Un’articolo a commento di Ann Partridge del Dana Farber Institute di Boston apparso sul New England Journal of Medicine aiuta a ridefinire correttamente i termini del problema. Infatti l’autore afferma che se da un lato vi ? un consenso sul fatto che lo screening mammografico porti ad una riduzione della mortalit? per cancro al seno tra le donne da 40 a 74 anni di et?, dall’altra ? ampiamente riconosciuto che la mammografia ? un test altamente imperfetto. La mammografia non riescono a rivelare un certo numero di tumori, in particolare quelli che sono negativi per i recettori degli estrogeni. Allo stesso tempo, i falsi positivi sono frequenti con una sovra diagnosi in particolare di tumori invasivi. Inoltre alcune mammografie rilevano lesioni non invasive che probabilmente non avrebbero mai causato alcun problema alla donna. Ma nonostante la over-detection e la under-detection, la mammografia rimane lo strumento migliore di screening di popolazione per il cancro della mammella.
Quindi come interpretare le nuove raccomandazioni USPSTF, riconciliare le opinioni divergenti e consigliare i pazienti?
La task force non vieta la mammografia nelle donne tra i 40 e 50 anni, n? afferma che sia un esame di nessun valore. Al contrario, conferma un dato conosciuto da tempo e cio? che i vantaggi della mammografia sono pi? limitati nelle donne pi? giovani rispetto alle pi? anziane, e che le donne a rischio medio dovrebbe prendere una decisione con il loro medico di riferimento per un programma di screening che meglio si adatti alle loro preferenze. Una donna quarantenne deve sapere che per lei il beneficio assoluto dello screening mammografico ? abbastanza limitato. Pi? di 1900 donne devono essere sottoposte a controllo per 10 anni per prevenire 1 decesso da tumore della mammella e ci sono circa il 60% in pi? di risultati falsi positivi e di biopsie inutili che non ci sarebbero se lo screening fosse iniziato a 50 anni.
Le prove del fallimento dell’autoesame del seno come strumento di screening non significa che le donne non debbano esaminare se stesse. Se il regolare autocontrollo del seno ? un esame che non offre alcun vantaggio in un contesto di screening, ? opportuno che i medici incoraggino le donne a essere consapevoli dei loro seni e, se preoccupate, consultino il medico.
In conclusione queste raccomandazioni dovrebbero essere viste come un passo verso uno screening dei tumori pi? personalizzato in cui, in futuro, la comprensione delle basi molecolari base del cancro al seno potr? fornire strumenti utili per screening pi? efficaci. Al momento ? corretto ottimizzare quello che ? disponibile oggi, promuovendo approcci migliori per il futuro.
Bibliografia
U.S. Preventive Services Task Force. Screening for breast cancer: U.S. Preventive Services Task Force Recommendation Statement. Ann Intern Med 2009; 151:716
Mandelblatt JS et al. for the Breast Cancer Working Group of the Cancer Intervention and Surveillance Modeling Network (CISNET). Effects of mammography screening under different screening schedules: Model estimates of potential benefits and harms. Ann Intern Med 2009; 151:738.

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Rt-pa a mezza dose forse comunque efficace nella PTE

The China Venous Thromboembolism Study Group ha recentemente pubblicato su Chest il risultato di uno studio prospettico, randomizzato e multicentrico condotto su 118 pazienti che presentavano una tromboembolia polmonare acuta (PTE) anche massiva e con instabilit??emodinamica, selezionati a ricevere due diverse posologie dell’attivatore ricombinante del plasminogeno tissutale-type (rt-PA): a 65 pazienti ? stato somministrato il farmaco alla posologia di 50 mg/2 h, a 53 pazienti a 100 mg/2 h. L’efficacia del trattamento ? stata determinata osservando il miglioramento ecocardiografico della disfunzione del ventricolo destro (RVDs), il miglioramento dei difetti scintigrafici di perfusione polmonare e quelli angiografici relativi alla ostruzione dell’arteria polmonare. Sono stati anche valutati gli eventi avversi, compresa la morte, i sanguinamenti e la recidiva del PTE.

Questi i risultati:
il progressivo miglioramento della RVDs, dei difetti di perfusione polmonare e delle ostruzioni dell’arteria polmonare (vedi FIGURA) sono risultati essere ugualmente significativi in entrambi i gruppi di trattamento. Questo ? risultato vero sia per i pazienti con instabilit? emodinamica che in quelli con ostruzione massiva dell’arteria polmonare
Il 6% dei pazienti (3/53) trattati con rt-PA 100 mg/2h ed il 2% (1/65) nel gruppo di quelli a cui era stato somministrato l’rt-PA a 50 mg/2h sono morti a causa del PTE o di un sanguinamento
il numero di PTE fatali ? risultato simile nei due gruppi, ma il regime a 50 mg/2h dell’rt-PA ha mostrato una tendenza al sanguinamento inferiore a quello dei 100 mg/2h (3% vs 10%), soprattutto nei pazienti con peso corporeo <65 kg (14,8% vs 41,2%, p = 0,049).
Ne deriva che il trattamento con una posologia inferiore del farmaco pare avere una migliore bilancia rischio/beneficio.

Chest 2010;137(2):254-62.

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Tempo antiaggreganti dopo stent coronarico

Supportato da un grant della the Cardiovascular Research Foundation of South Korea and the Korea Health 21 Research and Development Project e del Ministry of Health and Welfare, alcuni colleghi del Department of Cardiology della University of Ulsan , del College of Medicine, del Cardiac Center e dell’Asan Medical Center di Seoul hanno voluto verificare i potenziali benefici e rischi dell’uso di una doppia terapia antiaggregante al di l? di un periodo di 12 mesi nei pazienti trattati con stent coronarici medicati. A tale scopo hanno randomizzato in modo casuale 2.701 pazienti, a cui erano stati impiantati stent medicati e che non avevano presentato nei successivi 12 mesi gravi eventi avversi cardiaci o cerebrovascolari e sanguinamenti maggiori, a ricevere clopidogrel pi? aspirina o aspirina da sola. L’endpoint primario composito era rappresentato da infarto miocardico o morte per cause cardiache. La durata mediana del follow-up ? stata di 19,2 mesi. Il rischio cumulativo dell’endpoint composito a 2 anni non ? stato significativamente diverso nei due gruppi: 1,8% con la doppia terapia antiaggregante, 1,2% con la monoterapia con aspirina (HR, 1,65; 95% CI, 0,80-3,36, p = 0.17). Anche i rischi individuali di infarto del miocardio, ictus, trombosi dello stent, necessit? di rivascolarizzazione ripetuta, sanguinamenti maggiori, e la morte per qualsiasi causa non differivano significativamente tra i due gruppi (vedi FIGURA). Le ovvie conclusioni degli AA consentono di affermare che l’uso di una doppia terapia antiaggregante per un periodo pi? lungo di 12 mesi dopo il posizionamento di uno stent medicato non ? stato significativamente pi? efficace rispetto alla monoterapia con la sola aspirina nel ridurre la percentuale di infarto miocardico o di morte per cause cardiache, anche se i risultati di tale ricerca dovranno essere confermati da studi di maggiori proporzioni e durata.

NEJM 2010;362(15):1374-82.?

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Obesit?, miglioramenti pressori dopo calo ponderale

L’obesit? e l’ipertensione sono tra i maggiori fattori di rischio cardiovascolare e frequentemente coesistono, raggiungendo percentuali del 34-65% a seconda del grado di obesit?. Nel 2005 il 23% della popolazione adulta era iperteso ed il 10% era obeso ma questi dati sono destinati ad aumentare. Importantissimo dunque perdere peso, ma ci? serve realmente per abbassare la pressione? Ed i risultati sono duraturi? C’? un rapporto tra le diverse tecniche per ridurre il peso e la riduzione pressoria? Per rispondere a queste domande la European Society of Hypertension Working Group on Obesity analizza in una review gli effetti della perdita di peso sull’ipertensione attraverso la dieta e lo stile di vita, la chirurgia bariatrica e le terapie antiobesit?.

Dalla review emergono alcune realt?:
1.la perdita di peso del 3-9% attraverso il cambiamento dello stile di vita ? associata in tempi medio brevi (6 mesi-3 anni) ad una modesta riduzione della?pressione
2.La chirurgia bariatrica produce notevoli perdite di peso, ma non ? accompagnata da un abbassamento corrispondente della pressione: non sembra esserci in ogni caso una relazione lineare
3.I farmaci antiobesit? sembrano ottenere dei buoni risultati sulla riduzione del peso e sul suo mantenimento rispetto ai livelli raggiunti, ma mancano dati a lungo termine sulla pressione
Nel tempo le differenze di peso corporeo fra i gruppi di intervento sono diminuite e cos? anche il beneficio sulla pressione. Comunque la discrepanza della risposta pressoria alla perdita di peso con mezzi chirurgici e dietetici merita esami pi? approfonditi: sugli effetti separati della perdita di peso, del mantenimento del peso raggiunto o del suo recupero, considerando che ciascuna di queste fasi pu? richiedere strategie di trattamento distinte per ottimizzare i risultati.

Journal of Hypertension 2010;28:637-643.

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Anemia e carenza di ferro nel paziente scompensato

Nella sezione dell’ACP Journal Club dell’ultimo numero degli Annals of Internal Medicine [April 20,2010;152 (8)] viene riportato un interessante commento del lavoro che Stefan Anker et al. hanno pubblicato verso la fine del 2009 sul New Engl J Med (Ferric carboxymaltose in patients with heart failure and iron deficiency. New Engl J Med. 2009;361:2436-48.) relativo ad una problematica clinica che molto spesso sottovalutiamo: una terapia marziale ben condotta pu? migliorare i sintomi nei pazienti con scompenso cardiaco cronico (HF), ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra e carenza di ferro?
Lo studio multicentrico, randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo e condotto con la metodica dell’intention-to-treat, ha avuto un periodo di follow-up di 24 settimane per i risultati di efficacia e di 26 settimane per i risultati di sicurezza ed ha interessato 461 pazienti (et? media 68 anni, 53% di sesso femminile) con scompenso cronico, frazione di eiezione ventricolare sinistra Sono stati valutati la qualit? della vita, le modificazioni della classe funzionale NYHA ed il test del cammino in 6 minuti.
I principali risultati sono riportati in QUESTA tabella acclusa e possono essere cos? sintetizzati:
1.a 24 settimane, il gruppo trattato con Ferro ha migliorato tanto la classe funzionale NYHA, quanto la qualit? della vita (KCCQ punteggio medio 66 vs 59, p<0,001; EQ-5D punteggio medio 63 vs 57, p<0,001); anche i risultati del test di autovalutazione (PGA) e di quello delcammino [maggiore distanza percorsa in 6 minuti (media 313 vs 277 m, p<0,001)] sono risultati migliori
2.i gruppi dei trattati e dei controlli non hanno evidenziato differenze significative per tassi di ricovero o morte a 26 settimane
3.il miglioramento della classe NYHA e nel questionario di autovalutazione erano simili per i sottogruppi di pazienti con o senza anemia (p=0,98 e p=0,51 rispettivamente).
Nel commento, a firma di Robb D. Kociol e di L. Newby Kristin, del Duke Clinical Research Institute di Durham, North Carolina, USA, pur sottolineando che vi sono tutte le basi fisiopatologiche per ritenere appropriato un approccio di questo tipo che dimostrerebbe fra l’altro come il miglioramento non sia imputabile al solo aumento dei livelli di Hb (? stato infatti osservato anche nei pazienti non anemici), si sottolineano tuttavia alcune precisazioni metodologiche relative alla validit? pi? o meno acclarata dei questionari di autovalutazione, alla scarsit? della casistica e alla non uniformit? delle cause dello scompenso che non consentono di consigliare con una adeguata “forza” tale metodologia terapeutica.

Rimane comunque il problema che troppo spesso noi clinici sottovalutiamo gli aspetti di base del paziente, in questo caso un deficit marziale fino all’anemia, concentrandoci unicamente sulla sola problematica emergente.

ACP Journal Club 2010;152(4).

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Marker di cancro prostatico: alternative al Psa

Nel 1980, l?avvento del test del Psa determin? una rivoluzione nelle modalit? di rilevazione del cancro prostatico; oggi il suo valore ? controverso. Un recente studio, condotto al Johns Hopkins Hospital di Baltimora (Usa) da Ashley E. Ross e collaboratori, sottolinea l?inaffidabilit? del test in fase postdiagnostica, nell?ambito dei piani di sorveglianza attiva per soggetti con patologia a basso rischio. Sono stati valutati 290 uomini rispondenti ai criteri per il monitoraggio (tra cui densit? del Psa<0,15 ng/mL/cm3 e Gleason score < o =6) mediante due o pi? misure seriali del PSA, tra il 1994 e il 2008. Il follow-up comprendeva una biopsia all?anno di controllo. Mediante analisi Roc sono state calcolate la sensibilit? e la specificit? della Psav (velocit? di aumento del Psa) e del Psadt (tempo di raddoppiamento del Psa) come fattori predittivi di progressione cancerosa e di patologia aggressiva. Un indicatore carente anche nel monitoraggio In tutto 188 uomini (65%) sono rimasti in sorveglianza attiva mentre 102 (35%) hanno evidenziato una progressione del tumore alla biopsia eseguita a un follow-up mediano di 2,9 anni. Il Psadt non ? apparso associato significativamente con i riscontri patologici successivi e il Psav in modo solo marginale. I valori soglia di Psav e Psadt non hanno dimostrato n? elevata sensibilit? n? specificit? per l?avanzamento del cancro. Nei soggetti sottoposti a prostatectomia radicale, inoltre, i due indicatori non sono risultati correlati alla presenza di patologia chirurgica sfavorevole. Pertanto, ? la conclusione, la cinetica postdiagnostica del Psa non predice in modo affidabile una malattia ostile e non andrebbe utilizzata come sostituzione della biopsia annuale nei piani di sorveglianza attiva. Promettenti il Pca 3, il K1-67 e i geni di fusione Sono stati proposti perfezionamenti al test del Psa ma nessuno, anche per motivi pratici, ha trovato la strada di un ampio impiego clinico. Dan Berney, del Centro di oncologia molecolare della Queen Mary University di Londra, su Drug News & Perspectives descrive le alternative al Psa: la pi? promettente ? forse il Pca 3, ossia il prostate cancer gene 3, contenuto ad alti livelli nelle cellule tumorali che lo liberano nell?urina dopo esplorazione digitorettale. Il grado patologico del tumore comunque resta il pi? potente fattore prognostico; molto affidabile ? anche l?estensione della neoplasia nella biopsia. Tra i marcatori tissutali, finora deludenti, spicca la proteina Ki-67, indicatore cellulare di proliferazione. La recente scoperta, nella prostata, di una famiglia di geni di fusione (riarrangiamenti aberranti della struttura del Dna), ha suscitato un ampio dibattito riguardo al loro ruolo prognostico.
(J Clin Oncol, 2010 May 3. [Epub ahead of print]
Drug News Perspect, 2010;23(3):185-94)

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Ca mammario, aspirina riduce metastasi a distanza

Le donne che hanno completato il trattamento per un cancro della mammella in fase iniziale e che prendono l’aspirina hanno un rischio di morte e di metastatizzazione a distanza ridotto di quasi il 50% rispetto alle donne che non l’assumono.?L’affermazione si basa su una analisi specifica dei dati ricavati dal Nurse’s Health Study, un ampio studio prospettico osservazionale che ha coinvolto pi? di 125.000 infermiere americane con lo scopo di studiare i fattori di rischio per il cancro e le malattie cardiovascolari. La sottopolazione studiata comprendeva 4.164 infermiere (di et? compresa tra i 30 ed i 55 anni, nel 1976) cui era stato diagnosticato un cancro del seno in stadio I, II, III e che avevano assunto ASA a vario dosaggio per pi? di 1 anno dal termine di un trattamento chirurgico o radioterapico o chemioterapico. Questi i risultati:
alla fine del follow-up si sono verificati 341 decessi per cancro al seno
usare l’aspirina era associato ad un ridotto rischio di morte del cancro al seno
il rischio relativo aggiustato (RR) per 1 giorno, 2-5 giorni e 6-7 giorni di uso di aspirina a settimana, rispetto al non uso, ? stato pari rispettivamente a 1,07 (95% CI, 0,70-1,63), 0,29 (95% CI, 0,16-0,52) e 0,36 (95% CI, 0,24-0,54; il valore di p per il trend lineare ? risultato <0,001)
questa riduzione del rischio non differisce sensibilmente per stadio della neoplasia, stato menopausale, indice di massa corporea, o stato dei recettori degli estrogeni
i risultati sono stati simili per le recidive a distanza; il RR ? stato dello 0,91 (95% CI, 0,62-1,33), 0,40 (95% CI, 0,24-0,65) e 0,57 (95% CI, 0,39-0,82; test per il trend P = 0,03) per 1,2-5 e da 6-7 giorni di utilizzo di aspirina, rispettivamente.
Gli investigatori pur ammettendo che non ? al momento ancora chiaro il motivo per il quale l’aspirina esplica questi benefici, suppongono che, riducendo l’infiammazione – fattore strettamente associato allo sviluppo del cancro – l’ASA possa portare a questi risultati, anche se l’assunzione di altri FANS non ottiene i medesimi outcome.

Journal of Clinical Oncology 2010;28(9):1467-72.

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FDA: dubbi sulla sicurezza degli agonisti GnRH, farmaci comunemente usati nel tu

Una revisione preliminare suggerisce che negli uomini trattati con agonisti dell’ormone GnRH, si assiste ad un aumento del rischio di diabete e di alcune malattie cardiovascolari

Secondo un’analisi preliminare e dall’analisi di numerosi studi in corso, da parte della Food and Drug Amministration ( FDA ), l?impiego degli agonisti dell’ormone liberante le gonadotropine ( GnRH ), una classe di farmaci che trova indicazione principalmente nel trattamento degli uomini con tumore alla prostata, ? stato associato un piccolo aumento del rischio di diabete, di infarto miocardico, di ictus e di morte improvvisa.

Sulla base dei risultati iniziali l’ FDA consiglia:

? Gli operatori sanitari devono essere consapevoli di questi potenziali rischi e valutare attentamente i rischi e i benefici degli agonisti del GnRH quando scelgono la terapia per i pazienti con cancro alla prostata.

? I pazienti trattati con un agonista GnRH devono essere monitorati per lo sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari.

? I fattori di rischio cardiovascolare come il fumo e l’aumento della pressione arteriosa, il colesterolo, la glicemia e il peso corporeo, devono essere gestiti secondo la pratica clinica corrente.

? I pazienti non devono interrompere il trattamento con gli agonisti del GnRH se non sotto la guida dello specialista.

Al momento, l’FDA non ? giunta a nessuna conclusione sulla possibilit? che siano gli agonisti del GnRH a causare un aumento del rischio di diabete e di malattie cardiache nei pazienti sottoposti a terapia con questa classe di farmaci per il trattamento del tumore alla prostata.

I farmaci appartenenti alla classe dei GnRH sono commercializzati con i nomi di: Eligard, Lupron, Synarel, Trelstar, Vantas, Viadur e Zoladex. Ci sono anche disponibili molti prodotti generici.

La prostata fa parte del sistema riproduttivo maschile. Negli Stati Uniti il cancro alla prostata ? il secondo tipo di tumore pi? comune che colpisce gli uomini, seguito dal cancro della pelle, e di solito si verifica negli uomini pi? anziani. Secondo i CDC ( Centers for Disease Control and Prevention ), si stima che nel 2010 saranno diagnosticati 203.415 nuovi casi di carcinomi alla prostata e circa 28.372 uomini moriranno.

Gli agonisti del GnRH sono farmaci che sopprimono la produzione di testosterone, un ormone coinvolto nella crescita del tumore della prostata. Questo tipo di trattamento ? denominato terapia di deprivazione androgenica, o ADT. La soppressione della produzione di testosterone ha dimostrato di ridurre o rallentare la crescita del tumore prostatico.

Alcuni agonisti del GnRh sono usati anche nelle donne per aiutarle a gestire il dolore provocato dall’endometriosi, per migliorare l’anemia associata ai fibroidi uterini prima dell’intervento di isterectomia e in alcuni casi per il trattamento palliativo del tumore mammario in stadio avanzato. Il tempo di utilizzo di questi farmaci, per le donne, non deve superare l’anno, tranne che nel trattamento del cancro al seno. Non sono noti studi analoghi che hanno valutato il rischio di diabete e di malattie cardiovascolari nelle donne trattate con agonisti del GnRH.

Alcuni agonisti del GnRH sono usati anche nei bambini per il trattamento della pubert? precoce centrale. Non sono noti studi che hanno valutato il rischio di diabete e di malattie cardiache nei bambini che assumono agonisti del GnRH.

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FDA: aumentato rischio di danno muscolare con alti dosaggi di Zocor

Sulla base della revisione dei dati di uno studio clinico di ampie dimensioni e di dati di altre fonti, l?FDA ( Food and Drug Administration ) ha informato i medici e i pazienti riguardo a un aumentato rischio di danno muscolare per coloro che assumono il pi? alto dosaggio, approvato, di Simvastatina ( Zocor; in Italia anche Sinvacor, Sivastin ), 80 mg, rispetto ai pazienti trattati con dosaggi pi? bassi e probabilmente con altri farmaci della classe delle statine.

Lo studio sottoposto a revisione ? SEARCH ( Study of the Effectiveness of Additional Reductions in Cholesterol and Homocysteine ).
L?FDA sta anche compiendo una revisione di altri studi clinici, di studi osservazionali, segnalazioni di eventi avversi, e dati sull?uso prescrittivo della Simvastatina per meglio comprendere la relazione tra l?impiego di alti dosaggi di Simvastatina e il danno muscolare.

Il danno muscolare, anche noto come miopatia, ? un noto effetto indesiderato di tutte le statine, farmaci ipocolesterolemizzanti.
I pazienti con miopatia generalmente presentano dolore muscolare, dolorabilit? al tatto o debolezza, e un aumento della creatin-chinasi a livello plasmatico.
Pi? alta ? la dose utilizzata, maggiore ? il rischio di sviluppare miopatia.

Il rischio di miopatia ? anche aumentato quando la Simvastatina, soprattutto a pi? alte dosi, ? impiegata in associazione a certi farmaci [ controindicazioni assolute: Itraconazolo ( Sporanox ) , Ketoconazolo ( Nizoral ), Eritromicina ( Eritrocina ), Claritromicina ( Klacid ), Telitromicina ( Ketek ), inibitori della proteasi per infezione da HIV ].
La pi? grave forma di miopatia ? detta rabdomiolisi. Si presenta quando una proteina ( mioglobina ) ? rilasciata come conseguenza della distruzione delle miofibrille. La mioglobina pu? danneggiare i reni.
I pazienti con rabdomiolisi possono presentare urine scure o rosse, avvertire senso di affaticamento, in aggiunta ai sintomi muscolari.
Il danno ai reni da rabdomiolisi pu? essere cos? grave che i pazienti possono sviluppare insufficienza renale, con esito talora fatale.

I fattori di rischio noti alla base dello sviluppo di rabdomiolisi comprendono: et? maggiore di 65 anni, bassi livelli di ormone tiroideo ( ipotiroidismo ), e scarsa funzione renale.

La miopatia e la rabdomiolisi sono segnalati come possibili effetti indesiderati nella scheda tecnica della Simvastatina e di altre statine.

Lo studio SEARCH ha preso in esame nel corso di 6.7 anni il numero di eventi cardiovascolari maggiori ( infarto miocardico, rivascolarizzazione, e morte cardiovascolare ) in 6.031 pazienti che stavano assumendo 80 mg di Simvastatina rispetto a 6.033 pazienti che invece assumevano 20 mg di Simvastatina.
Tutti i pazienti nello studio avevano sofferto in precedenza di un infarto miocardico.

I risultati preliminari dello studio SEARCH hanno rivelato che pi? pazienti nel gruppo Simvastatina 80 mg hanno sviluppato miopatia, rispetto ai pazienti nel gruppo Simvastatina 20 mg [ 52 casi ( 0.9% ) contro 1 caso ( 0.02% ) ].
Le analisi preliminari dell?FDA dei dati primari hanno inoltre indicato che 11 pazienti ( 0.02% ) nel gruppo Simvastatina 80 mg hanno sviluppato rabdomiolisi, contro nessun paziente nel gruppo Simvastatina 20 mg.

Nel 2008, l?FDA aveva allertato il pubblico riguardo a un aumentato rischio di sviluppare rabdomiolisi quando i dosaggi maggiori di 20 mg di Simvastatina sono somministrati assieme all?Amiodarone ( Cordarone ).

Nel marzo 2010, l?FDA ha approvato una revisione della scheda tecnica della Simvastatina basata sui risultati ad interim di uno studio clinico in corso, HPS2 ( Heart Protection Study 2 ).
Si afferma che i pazienti di discendenza cinese non dovrebbero assumere Simvastatina 80 mg con dosi modificanti il colesterolo di prodotti a base di Niacina. Inoltre, viene raccomandata cautela quando tali pazienti sono trattati con Simvastatina 40 mg o meno in combinazione con dosi modificanti il colesterolo di prodotti contenenti Niacina.
I risultati ad interim di HPS2 hanno mostrato che l?incidenza di miopatia era pi? alta nei pazienti di discendenza cinese ( 0.43% ) rispetto ai pazienti di discendenza non cinese ( 0.03% ), che stavano assumendo 40 mg di Simvastatina pi? un farmaco modificante i livelli di colesterolo ( maggiore o uguale a 1 g/die ) di un prodotto contenente Niacina. Non ? noto se altri pazienti di discendenza asiatica fossero ad aumentato rischio di miopatia.

Inoltre, l?FDA ha avvisato i medici di evitare la prescrizione di dosi di Simvastatina superiori a 40 mg/die, quando i pazienti assumono Diltiazem ( in Italia: Dilzene, Tildiem ), a causa di un aumentato rischio di miopatia.

Fonte: FDA, 2010

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Efficacia clinica del Dronedarone nella fibrillazione atriale: valutazione ACD 2

Appraisal Committee del NICE ha revisionato i dati disponibili sull?efficacia clinica del Dronedarone.
Gli studi clinici randomizzati e controllati ( ATHENA, EURIDIS, ADONIS e DIONYSOS ) hanno dimostrato che il Dronedarone era pi? efficace del placebo nel ridurre le recidive di fibrillazione atriale, ma meno efficace dell?Amiodarone ( Cordarone ).

E? stato valutato l?effetto del Dronedarone sulla frequenza ventricolare.
Gli studi EURIDIS e ADONIS hanno valutato questo parametro: ? emerso che il Dronedarone abbassa la frequenza ventricolare in misura maggiore rispetto al placebo.
Tuttavia, il Committee ritiene che l?evidenza a sostegno della riduzione della frequenza ventricolare con il Dronedarone nella fibrillazione atriale non-permanente sia insufficiente per trarre una conclusione.

Riguardo all?effetto del Dronedarone sulla mortalit?, il Committee ha preso in considerazione i risultati dello studio ATHENA, che ha riportato pi? bassa mortalit? cardiovascolare nel gruppo Dronedarone rispetto al placebo, ma nessuna differenza statisticamente significativa riguardo alla mortalit? generale.
L?analisi post-hoc di sottogruppi dello studio ATHENA ha riportato un pi? basso rischio di mortalit? per qualsiasi causa nel gruppo Dronedarone rispetto al gruppo placebo per i pazienti con punteggio CHADS2 di 4 o superiore.
Secondo gli Esperti, il punteggio CHADS2 ? un utile metodo per valutare il rischio di ictus nelle persone con fibrillazione atriale in modo da determinare la necessit? di trattamento anticoagulativo, ma non trova impiego nel predire la mortalit?.
Pertanto, il Committee ritiene che non ci sia evidenza a sostegno dell?uso del punteggio CHADS2 come predittore di mortalit? per qualsiasi causa nelle persone affette da fibrillazione atriale.

Riguardo allo studio DIONYSOS, che aveva mostrato una minore incidenza di mortalit? nel gruppo Dronedarone rispetto all?Amiodarone, il Committee ritiene che nessuna conclusione pu? essere tratta.
Nello studio, infatti, il numero delle persone morte ? piccolo, e il periodo osservazionale ? breve.

Per quanto riguarda l?affermazione che il Dronedarone ? associato a pi? bassa mortalit? generale rispetto al placebo, il Committee ha concluso che esiste una considerevole incertezza sull?effetto del Dronedarone sulla mortalit? per qualsiasi causa.
L?Evidence Review Group ( ERG ) ha criticato la metodologia impiegata nello studio ATHENA.

L?analisi post-hoc dello studio ATHENA ha messo in evidenza che l?osservazione di una ridotta incidenza di ictus tra i pazienti riceventi Dronedarone non pu? essere considerata conclusiva.
Il Committee ritiene che la riduzione del rischio di ictus con Dronedarone rispetto ad altri farmaci antiaritmici non ? stato dimostrato.

Nello studio ANDROMEDA, il Dronedarone ? risultato associato ad un aumentato rischio di mortalit? tra le persone con grave insufficienza cardiaca congestizia e ha notato che questo studio non aveva incluso pazienti con fibrillazione atriale.
La scheda tecnica di Multaq sottolinea che il Dronedarone ? controindicato nelle persone con insufficienza cardiaca di classe NYHA III instabile e IV, e che non ? raccomandato nelle persone con insufficienza cardiaca NYHA III stabile, recente, e nelle persone con frazione d?eiezione ventricolare sinistra inferiore del 35%.

Il Committee ha osservato che i pi? comuni eventi avversi emersi nel corso degli studi clinici con Dronedarone sono di tipo gastrointestinale.

Il Committee ha indagato su possibili gravi eventi avversi, come fibrosi polmonare, malattia tiroidea, e torsione di punta, trovando che la loro incidenza era molto bassa nel corso degli studi. Tuttavia gli studi clinici randomizzati e controllati erano tutti relativamente di breve durata.
Dallo studio DIONYSOS ? emerso che le persone nel gruppo Dronedarone presentavano un numero minore di eventi avversi rispetto al gruppo Amiodarone.
Il Committee ha concluso che il profilo di eventi avversi del Dronedarone ? probabilmente pi? favorevole rispetto a quello dell?Amiodarone.

Fonte: NICE, 2010

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