Aritmologia ALERT !

La Commissione sulla Trasparenza della Sanit? francese, come riportato da Le Tribune,?ritiene che Multaq ( Dronedarone ) non rappresenti?un progresso rispetto agli altri farmaci antiaritmici.
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Per l’inglese NICE (?National Institute for Clinical Excellence?), nella valutazione ACD 2, Multaq ha impieghi limitati nella fibrillazione atriale. E’ meno efficace dell’Amiodarone, ache se ha un migliore profilo di sicurezza e tollerabilit?. Tuttavia il Dronedarone ? controindicato nella grave forma di scompenso cardiaco, e da usarsi con cautela nelle forme meno gravi; ci??rende il farmaco non paragonabile all’Amiodarone.
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Nello studio ANDROMEDA il Dronedarone ? risultato associato ad un aumento della mortalit? tra i pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia.
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Inoltre, Multaq?non ? stato valutato nei confronti degli antiaritmici Flecainide ( Almarytm )?e Propafenone ( Rytmonorm ), che rappresentano gli standard nelle forme lievi-moderate di fibrillazione atriale

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Miopatia con la terapia di combinazione statina e fibrato

Molti pazienti che ricevono terapia con statine per l?iperlipidemia, come i pazienti affetti da diabete mellito e sindrome metabolica, presentano rischio cardiovascolare residuo.
Questi pazienti spesso presentano dislipidemia, tra cui bassi livelli di colesterolo HDL ed elevati livelli di trigliceridi e di LDL small-dense ( sdLDL ).
Per questi pazienti, la combinazione di statine e fibrati rappresenta una strategia potenzialmente utile per migliorare i profili lipidici e delle lipoproteine e di ridurre il rischio cardiovascolare.

Tuttavia il regime terapeutico a base di statine e di un fibrato pu? essere associato ad effetti indesiderati a livello del muscolo scheletrico, tra cui la miopatia.

Ad oggi nessun ampio studio controllato, randomizzato, prospettico, su ampia scala, ha valutato la sicurezza e l?efficacia della combinazione di statine e fibrato.

Sulla base degli attuali dati disponibili, il Fenofibrato, o l?Acido Fenofibrico, ? il fibrato di scelta, quando impiegato in combinazione con una statina, poich? sembra associato a un pi? basso rischio di miopatia, rispetto al Gemfibrozil ( Lopid ).

Jacobson TA, Nat Rev Endocrinol 2009; 5: 507-518

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La terapia con statine associata a possibile sviluppo di diabete mellito

E? stata compiuta una meta-analisi con l?obiettivo di valutare il rischio di sviluppo di diabete mellito tra i pazienti che assumono le statine, farmaci che abbassano il colesterolo.

L?analisi ha riguardato solo studi con pi? di 1.000 pazienti, con identico follow-up, e con durata maggiore di 1 anno.
Sono stati esclusi studi clinici di pazienti con trapianto d?organo o che necessitavano di emodialisi.
Sono stati identificati 13 studi per un totale di 91.140 partecipanti, dei quali 4.278 ( 2.222 assegnati alle statine e 2.052 assegnati al trattamento di controllo ) che hanno sviluppato diabete nel corso di 4 anni ( valore medio ).

La terapia con statine era associata ad un aumento del 9% di diabete incidente ( odds ratio, OR=1.09 ), con una piccola eterogeneit? ( I2=11% ) tra gli studi.

La meta-regressione ha mostrato che il rischio di sviluppare diabete con le statine era pi? alto negli studi clinici con partecipanti pi? anziani, ma n? l?indice di massa corporea ( BMI ) al basale n? le concentrazioni di colesterolo LDL sono risultate responsabili della variazione residua del rischio.

Il trattamento di 255 pazienti con statine per 4 anni ha prodotto 1 caso in pi? di diabete.

Secondo gli Autori, la terapia con statine ? associata ad un lieve incremento del rischio di sviluppare diabete, ma il rischio ? basso sia in termini assoluti sia quando confrontato con la riduzione degli eventi coronarici.
Pertanto, la pratica clinica nei pazienti a rischio cardiovascolare moderato o alto, oppure nei pazienti che presentano malattia cardiovascolare, non dovrebbe essere modificata.

Preiss SN et al, Lancet 2010; 375: 735-742

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Linee guida sui recettori ormonali nel ca mammario

Sono state pubblicate le nuove linee-guida statunitensi per l’analisi immunoistochimica (Ihs) dei recettori di estrogeni (Er) e progesterone (Pg) nel cancro mammario. Le raccomandazioni, sottoscritte dall’American society of clinical oncology (Asco) e dal College of american pathologists (Cap), sono frutto della revisione sistematica della letteratura disponibile, condotta da un panel di esperti e intendono migliorare la performance dei test IHC ER/PgR. Il documento completo, liberamente scaricabile sul sito web del Journal of clinical oncology (http://jco.ascopubs.org), parte dall’osservazione che nel mondo circa il 20% delle determinazioni dello stato dei recettori ormonali ? inaccurata, esponendo a un elevato rischio di falsi negativi e positivi. Com’? noto un test affidabile ? una condizione imprescindibile per modulare il ricorso alla terapia ormonale nelle pazienti: l’assenza di beneficio della terapia endocrina ? stata confermata dal panel nelle donne con tumori invasivi Er-negative. Secondo il documento i risultati degli esami devono essere considerati positivi in presenza di una positivit? pari almeno all’uno per cento de nuclei tumorali, in presenza della reattivit? attesa nei tessuti di controllo. La determinazione Er/PgR, inoltre, deve essere effettuata in tutti i tumori invasivi e nelle ricorrenze della malattia. Viene proposto anche un nuovo algoritmo per ottimizzare gli esami in modo riproducibile.
J Clin Oncol. 2010 Apr 19.

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Programmi multidisciplinari per ragazzi obesi

Il modo migliore per gestire l’obesit? adolescenziale ? attraverso specifici approcci polivalenti. La conferma arriva da un gruppo di ricerca italiano, coordinato da Alessandro Sartorio dell’Istituto auxologico italiano, Laboratorio sperimentale di ricerche auxo-endocrinologiche di Milano, che ha esaminato gli effetti di un trattamento integrato multidisciplinare (dietologico, rieducativo motorio e comportamentale) in adolescenti affetti da obesit? grave. Per venti ragazzi d’et? compresa tra 12 e 17 anni, con indice di massa corporea pari a 37,7 +/- 6,1 kg/m2 e massa grassa di 44,8 +/- 13,2 kg, sono state misurate le variazioni di leptina, grelina, ormone della crescita (Gh), fattore di crescita insulino simile (Igf-1), insulina, glucosio e acidi grassi non esterificati, in seguito all’assunzione di cibo e allo svolgimento d’attivit? fisica, prima e dopo il periodo di intervento integrato. Ebbene, al termine del programma ? stata registrata una significativa riduzione di peso e di massa grassa e, in risposta al consumo di alimenti e al movimento fisico, si ? avuto un decremento dei livelli di leptina ma nessun cambiamento dei parametri metabolici e dei livelli degli altri ormoni. ?Il soddisfacente controllo dell’appetito, ottenuto con questa gestione multidisciplinare, potrebbe essere spiegato con il fatto che la concentrazione plasmatica di grelina non si ? modificata dopo i pasti e l’esercizio fisico? concludono gli autori.
J Endocrinol Invest. 2010 Mar 25.

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? giusto non “screenare” gli ultra75enni con Psa?

Il limite d’et? di 75 anni per lo screening del tumore alla prostata mediante Psa, stabilito dalla Uspstf (United States preventive services task force) nel 2008, se ? vero che da un lato riduce il rischio di “overscreening”, dall’altro, proibisce la valutazione in individui anziani sani con lunghe aspettative di vita che potrebbero beneficiare di tale approccio preventivo. Cos? sintetizzano gli autori di uno studio pubblicato su Journal of urology che sono andati a indagare cosa sia successo negli Stati Uniti prima di tale data, quando lo stato di salute e l’aspettativa di vita rappresentavano, invece, i due parametri utilizzati per selezionare gli anziani da sottoporre allo screening. L’indagine si ? basata sui dati del National health interview survey del 2005, riguardanti oltre 700 uomini di 75 anni o pi? anziani con storia di carcinoma prostatico. Ecco i risultati: il 19% degli uomini era 85enni o pi? anziani; il 27% in cattivo stato di salute e il 52% era stato sottoposto a screening. Dopo gli aggiustamenti per et?, razza, istruzione e assistenza medica, si ? riscontrato che la valutazione della funzionalit? prostatica mediante Psa, ? stata effettuata con minore probabilit? nei partecipanti in cattiva salute rispetto a coloro che godevano di buone o eccellenti condizioni fisiche (odds ratio = 0,51). Nel complesso, il 42% degli uomini ai quali era stata predetta un’aspettativa di vita inferiore a 5 anni e il 65% di chi aveva ricevuto la previsione di vivere pi? di 10 anni riferivano di avere effettuato recentemente uno screening del Psa.
J Urol. 2010 May;183(5):1798-802.

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Arco temporale somministrazione bifosfonati

Poich? i bisfosfonati si accumulano nelle ossa e vengono rilasciati per mesi o anni anche dopo l’interruzione del trattamento, ? molto ragionevole il quesito che si sono posti i colleghi del Centro dell’Osteoporosi dell’Universit? di Cincinnati: quale ? il tempo di somministrazione ottimale di questi farmaci? Dopo una introduzione riguardante il loro meccanismo d’azione ed una revisione della letteratura volta a stabilire l’efficacia anti-fratturativa a lungo termine di questi preparati, gli AA hanno passato in rassegna i loro effetti collaterali, ribadendo quanto gi? noto in merito alle problematiche esofagee, alla risposta di fase acuta quando somministrati ev, all’incidenza dell’osteonecrosi della mandibola e delle fratture atipiche, effetti tutti che in ogni caso si verificano con una bassa incidenza nei pazienti con osteoporosi. Venendo poi al quesito iniziale, hanno identificato alcuni studi con Alendronato e Risedronato
che suggeriscono la persistenza di una efficacia anti-fratturativa per almeno 2 anni dopo la loro sospensione e su tale base hanno fornito le seguenti conclusioni operative, basate sul livello del rischio di frattura dei singoli pazienti:
? nei pazienti a rischio lieve il trattamento pu? essere interrotto dopo 5 anni e ripreso solo se la BMD si dovesse significativamente alterare o dovessero comparire fratture osteoporotiche
? nei pazienti a rischio moderato, il tempo di trattamento pu? considerarsi ottimale se corrispondente a 5-10 anni e se la eventuale ripresa della terapia ? suggerita dalle stesse condizioni di cui sopra
? i pazienti ad elevato rischio fratturativo devono invece essere trattati per almeno 10 anni, a cui dovrebbe precauzionalmente seguire la prosecuzione della terapia con un altro preparato antiosteoporotico, tipo Raloxifene o Teraparatide.
Metab. 2010 Feb 19.

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Ticagrelor attivo come inibitore priastrinico

Il RESPOND ? il primo studio a dimostrare che il ticagrelor (nuovo antagonista reversibile orale del recettore P2Y dell’ADP, chimicamente diverso dalle tienopiridine) migliora l’inibizione piastrinica sia nei pazienti non responder sia in quelli responder al clopidogrel. Lo studio, pubblicato su Circulation del 16 marzo 2010, parte dai risultati del PLATO, che ha dimostrato un beneficio clinico complessivo del ticagrelor superiore a quello del clopidogrel; nel RESPOND ? stato evidenziato un vantaggio farmacodinamico del ticagrelor in tutti i pazienti, non solo nei non-responder al clopidogrel. Nel RESPOND l’effetto antiaggregante del ticagrelor (alla dose utilizzata nel PLATO) ? stato valutato mediante un aggregometro a trasmissione luminosa ed ? stata studiata la funzione delle piastrine durante la commutazione da clopidogrel a ticagrelor e viceversa. Nel gruppo clopidogrel non-responder, l’aggregazione piastrinica ? scesa dal 59% al 35% dopo che i pazienti sono passati dal clopidogrel al ticagrelor ed ? aumentata dal 36% al 56% nei pazienti passati dal ticagrelor al clopidogrel. Nei responder al clopidogrel, l’aggregazione piastrinica era ancora pi? bassa dopo ticagrelor rispetto alla terapia con clopidogrel in entrambi i periodi di trattamento (25% vs 47% nella fase 1,32% vs 45% nella 2).

In tutta la popolazione – responder e non responder al clopidogrel – la reattivit? piastrinica era al di sotto del cut point associato al rischio ischemico in una percentuale compresa tra il 98% ed il 100% dei pazienti durante la terapia con ticagrelor, rispetto ad una percentuale tra il 44% ed il 76% dei pazienti durante la terapia con clopidogrel.
Occorre sottolineare che, se ticagrelor ? destinato a diventare il farmaco antiaggregante principale, l’attenzione deve essere posta alla compliance, visto il duplice dosaggio quotidiano, ed ai suoi effetti collaterali (in particolare dispnea e bradi aritmia) che possono portare all’interruzione del trattamento.

Circulation 2010;121:1188-1199.

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Riscoperta della variabilit? pressoria

In fondo sappiamo poco sui meccanismi con cui l’ipertensione provoca gli eventi cardiovascolari: forse l’attenzione della ricerca si ? incentrata troppo sui valori pressori e sulla terapia, trascurando fattori come la variabilit? pressoria che non sembrano proprio irrilevanti. Infatti The Lancet del 13 marzo ha dedicato due articoli di Rothwell e coll. (2010;375:895 e 906) e una review (2010;375:938) sulla variabilit? della pressione in visite successive a lungo termine e sul suo impatto sul rischio cardiovascolare. Inoltre, un terzo articolo ? stato pubblicato online su un simile argomento su The Lancet Neurology (March 12, 2010). I risultati possono essere riassunti in 3 sintetiche considerazioni:

1) in un’analisi post-hoc di trial randomizzati sulla malattia cardiovascolare, la variabilit? della pressione sistolica (PAS) si ? rivelata fortemente predittiva dello stroke, indipendentemente dalla pressione media (PAM)
2) in una review sistematica di trial randomizzati sul trattamento dell’ipertensione i calcioantagonisti (CCB) ed i diuretici (D) hanno mostrato una maggiore riduzione della variabilit? pressoria e questo si ? tradotto in una pi? efficace prevenzione dello stroke rispetto ai betabloccanti (BB), che invece aumentavano in modo dose dipendente la variabilit? della pressione
3) in due grandi trial (ASCOT-BPLA e MTC) la variabilit? rendeva ragione della differenza negli effetti del trattamento (CCB, D vs BB). La variabilit? pressoria aggiungerebbe quindi importanti informazioni sul rischio di stroke. L’idea non ? nuova, ma lo studio di Rothwell ? il primo studio che esamina la variabilit? in visite successive a lungo termine (ogni 3 mesi per due anni). Conferma inoltre le raccomandazioni delle linee guida soprattutto europee che non consigliano l’uso dei BB come prima scelta, se non in condizioni particolari. L’argomento ? molto stimolante, ma saranno necessari ulteriori studi per approfondire, ad esempio, su quale tipo di stroke la terapia va ad interferire, gli effetti sulla rigidit? arteriosa e l’importanza dello stile di vita.

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La Societ? scientifica SIOMMMS pubblica le nuove Linee guida per la diagnosi, prevenzione e terapia della malattia, di cui soffrono oltre cinque milioni di italiani

La Societ? Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) ha pubblicato le nuove Linee guida per la diagnosi, prevenzione e terapia dell’osteoporosi, malattia di cui nel nostro paese soffrono circa 5 milioni di persone, per due terzi donne.

Il documento rappresenta un fondamentale contributo nella gestione clinica dell’osteoporosi e delle altre malattie metaboliche dello scheletro. Le raccomandazioni contenute nella pubblicazione nascono sulla base di rigorosi criteri, che assegnano livelli di evidenza agli articoli della letteratura usati per l’applicazione delle linee guida nella pratica clinica.

Il documento si articola in una serie di sessioni, che definiscono l’osteoporosi primitiva e secondaria, sottolineano l’importanza della diagnosi densitometrica della malattia attraverso l’utilizzo della DXA (densitometria a raggi) e analizzano il ruolo di molteplici fattori di rischio nel contribuire alla riduzione della massa ossea.
Notevole importanza ? data alla diagnosi differenziale dell’osteoporosi, con particolare riguardo alle malattie che, con meccanismi pi? o meno diretti, possono aumentare il rischio di frattura. In questo ambito si sottolinea la necessit? di sottoporre tutti i pazienti all’esame clinico e a una serie di semplici indagini biochimiche destinate a escludere le osteoporosi secondarie, ribadendo l’assoluta inutilit? della scelta, spesso irrazionale, di ulteriori indagini, a volte molto costose e non efficacemente orientate.

Le linee guida concedono inoltre largo spazio alla diagnosi strumentale dell’osteoporosi attraverso la densitometria ossea, definendo anche il ruolo delle indagini (ultrasonografia e tomografia computerizzata) che valutano il trofismo osseo. In pi?, si sottolinea la capacit? predittiva del rischio di frattura delle varie metodiche, il loro ruolo nel monitoraggio terapeutico e i livelli di evidenza circa le raccomandazioni sul loro impiego diagnostico. In proposito, due punti molto importanti riguardano: A) l’individuazione dei soggetti da sottoporre a densitometria ossea, B) il monitoraggio nel tempo.

Un ampio capitolo delle linee guida ? infine dedicato sia ai provvedimenti non farmacologici di prevenzione e trattamento, sia alla terapia farmacologica dell’osteoporosi. Si evidenzia, tra l’altro, l’importanza dello stile di vita nell’impedire o rallentare la perdita di massa ossea: dieta congrua, attivit? fisica sufficiente, apporto adeguato di calcio e vitamina D e/o correzione dei fattori di rischio modificabili quali fumo e abuso di alcool.

Nell’ambito della terapia farmacologica si ribadisce invece l’importanza di sottoporre al trattamento soggetti gi? osteoporotici, con o senza fratture preesistenti, comunque seriamente a rischio di una prima frattura o di ulteriori fratture.

Al riguardo, una novit? importante sottolineata nelle linee guida ? il possibile sviluppo e utilizzo di modelli, o algoritmi, sia internazionali che nazionali, capaci di stimare il rischio frattura. Questi modelli si sviluppano attraverso la combinazione del risultato densitometrico con i fattori di rischio del singolo soggetto, e possono cos? fornire informazioni utili circa la necessit?, per quell’individuo, di sottoporsi a terapia specifica. Il documento si conclude con un ampio esame delle terapie attualmente approvate in Italia per il trattamento dell’osteoporosi nei due sessi.
Prof. S. MINISOLA – Prof. Straordinario di Medicina Interna – Universit? di Roma “Sapienza” – Presidente della Societ? Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS)

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