Tumore al seno in fase avanzata positivo per il recettore e resistente all?inibi

? stato ipotizzato che la terapia di deprivazione estrogenica con inibitori dell?aromatasi possa sensibilizzare le cellule del tumore alla mammella positivo per il recettore degli ormoni ( HR ) a basse dosi di terapia a base di Estradiolo.

Ricercatori dell?Washington University School of Medicine, a St Louis negli Stati Uniti, hanno condotto uno studio per determinare se 6 mg al giorno di Estradiolo rappresentassero una terapia valida per le donne in postmenopausa con cancro al seno in fase avanzata, recettore-positivo, e resistente agli inibitori dell?aromatasi.

Lo studio randomizzato di fase 2 ? stato condotto nel periodo 2004-2008, e ha messo a confronto 6 mg vs 30 mg/die di Estradiolo per os.

Le pazienti eleggibili per lo studio avevano tumore mammario metastatico trattato con un inibitore dell?aromatasi con sopravvivenza libera da progressione ( magggiore o uguale a 24 settimane ) o recidiva ( dopo 2 o pi? anni ) di uso adiuvante dell?inibitore dell?aromatasi.

Sono state escluse le pazienti ad alto rischio di eventi avversi legati all?Estradiolo.

Le pazienti sono state esaminate dopo 1 e 2 settimane per valutare la tossicit? clinica e di laboratorio e flare reaction, e in seguito ogni 4 settimane.
Ogni 12 settimane ? stata effettuata una valutazione radiologica del tumore.

Per la risposta del tumore ? stata valutata almeno ua lesione misurabile o 4 lesioni misurabili ( malattia solo ossea ).

Le pazienti sono state randomizzate a ricevere 1 compressa per via orale di 2 mg di Estradiolo 3 volte al giorno o 5 compresse da 2 mg 3 volte al giorno.

L?endpoint primario era rappresentato dal tasso di beneficio clinico ( risposta pi? malattia stabile a 24 settimane ).
Gli esiti secondari includevano tossicit?, sopravvivenza libera da progressione, tempo al fallimento del trattamento, qualit? di vita e propriet? predittive di flare reaction metaboliche rilevate con PET/TC [ tomografia a emissione di positroni / tomografia computerizzata ] con 18F-Fluorodeossiglucosio.

Il tasso di eventi avversi ( maggiore o uguale a grado 3 ) nel gruppo 30 mg ( 34% ) ? risultato pi? alto che nel gruppo 6 mg ( 18%; P=0.03 ).

I tassi di beneficio clinico erano pari al 28% nel gruppo 30 mg e al 29% in quello 6 mg.

Un aumento stimolato dall?Estradiolo dell?assorbimento di 18F-Fluorodeossiglucosio ( maggiore o uguale al 12%, definito in modo prospettico ) ? risultato predittivo di risposta ( valore predittivo positivo: 80% ).

Sette pazienti con malattia sensibile all?Estradiolo sono state trattate nuovamente con inibitori dell?aromatasi alla progressione dell?Estradiolo e 2 di loro hanno mostrato risposta parziale, mentre 1 ha mostrato malattia stabile, facendo pensare a una nuova sensibilizzazione da deprivazione estrogenica.

In conclusione, nelle donne con cancro al seno in fase avanzata e resistenza acquisita agli inibitori dell?aromatasi, una dose giornaliera di 6 mg di Estradiolo fornisce un tasso di beneficio simile a quello ottenuto con dosi di 30 mg, limitando gli eventi avversi gravi.
L?efficacia del trattamento con dosaggi pi? bassi deve comunque essere ulteriormente esaminato in studi clinici di fase 3.

Ellis MJ et al, JAMA 2009; 302: 774-780

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Spettro di esami allargato per ernia del disco

In pazienti con dolore alla schiena e alle gambe, molti dei test fisici utilizzati per diagnosticare radiculopatia da ernia del disco lombare e selezionare i pazienti da sottoporre a ulteriori specifiche indagini o a chirurgia, risultano poco efficaci se condotti isolatamente. A stabilirlo sono gli autori di una Cochrane review alla luce di 16 studi di coorte (range di pazienti compreso tra 71 e 2.504) e tre studi caso-controllo (30-100 casi). In breve, tutti gli esami fisici eseguiti singolarmente per verificare la presenza di scoliosi, paresi, debolezza muscolare, alterazione dei riflessi e deficit sensoriale sono apparsi poco conclusivi ai fini della diagnosi di ernia del disco lombare. ?Molti dei risultati da noi analizzati derivavano da pazienti sottoposti a chirurgia e, conseguentemente, non possono essere applicati a situazioni di pronto intervento o a gruppi non selezionati di pazienti? ha commentato Dani?lle AWM van der Windt del Department of Primary Care & Health Sciences, Keele University, Staffordshire, UK. ?Tuttavia, a nostro avviso, migliori performance diagnostiche possono essere ottenute dalla combinazione delle diverse indagini fisiche?.
?
Cochrane Database of Systematic Reviews 2010, Issue 2.

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Gli inibitori della pompa protonica associati a rischio di fratture

Tre studi di ampie dimensioni, retrospettivi, hanno mostrato un?associazione tra inibitori della pompa protonica ed un?aumentata incidenza di fratture.

Uno studio di revisione, canadese, che ha preso in esame il periodo 1996-2004 ha mostrato un aumentato rischio di fratture dell?anca per le persone esposte agli inibitori della pompa protonica per 5 anni o pi?.
Dopo 7 anni o pi? di esposizione agli inibitori della pompa protonica il rischio di fratture dell?anca ? aumentato ulteriormente ( OR=4.55; p=0.002 ).

Una revisione dei dati a partire dall?anno 2000, contenuti nel Danish National Hospital Discharge Registry, ha mostrato che l?esposizione, entro l?anno precedente, agli inibitori della pompa protonica era associato ad un aumentato rischio di fratture ed anche a un pi? grande rischio di frattura dell?anca ( OR=1.45 ).

In modo simile, uno studio statunitense che ha esaminato i dati, dal 1987 al 2003, dell?UK General Practice Database, ha identificato un aumento, statisticamente significativo, delle fratture dell?anca con l?esposizione agli inibitori della pompa protonica per pi? di 1 anno, ed ha anche trovato che il rischio aumenta con l?aumentare della durata della terapia e con la terapia ad alto dosaggio.

Questi studi sono osservazionali e sono pertanto soggetti a confondimento.
Ulteriori studi sono necessari per verificare e per meglio definire l?associazione.

Il meccanismo biologico sottostante a questa associazione non ? noto. Una spiegazione potrebbe essere che l?assorbimento del calcio con la dieta dipende da un basso valore di pH nello stomaco, e poich? gli inibitori della pompa protonica sono potenti inibitori della secrezione acida da parte delle cellule parietali gastriche, la conseguenza ? un innalzamento del pH.
E?anche possibile che altri fattori possano contribuire all?aumento del rischio di fratture.

Il TGA ( Therapeutic Goods Administration ) ha ricevuto solo due segnalazioni di associazione tra una frattura patologica e/o osteoporosi e l?esposizione a un inibitore della pompa protonica; in 1 caso l?inibitore della pompa protonica era il solo farmaco sospettato.
Questa bassa percentuale di segnalazione pu? riflettere un basso indice di sospetto clinico data l?alta prevalenza di fratture dell?anca in Australia e la comune prescrizione degli inibitori della pompa protonica.

Secondo l?ADRAC ( Adverse Drug Reactions Advisory Committee ) i medici dovrebbero prescrivere la pi? bassa dose efficace per le indicazioni riconosciute e periodicamente rivalutare i singoli casi per determinare la necessit? di continuare la terapia con inibitori della pompa protonica.
Inoltre, i prescrittori dovrebbero essere consci del potenziale rischio cumulativo per i pazienti che assumono pi? di un medicinale noto aumentare il rischio di fratture. Questo rischio dovrebbe essere considerato anche quando si prescrivono farmaci concomitanti noti per aumentare il rischio di cadute.

Fonte: Australian Adverse Drug Reactions Bulletin, 2009

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Inibitori della pompa protonica: l?uso per lunghi periodi pu? causare dipendenza

Ricercatori della Copenhagen University hanno trovato che soggetti adulti sani senza sintomi di reflusso acido, trattati con gli inibitori della pompa protonica, hanno sviluppato sintomi di dipendenza quando hanno interrotto l?assunzione dei farmaci dopo 8 settimane.

Lo studio ha coinvolto 120 adulti sani, che sono stati assegnati ad assumere Esomeprazolo ( Nexium ) 40 mg per 8 settimane e placebo per le ultime 4 settimane, oppure placebo per l?intero periodo di 12 settimane.

All?inizio dello studio, i partecipanti di entrambi i gruppi avevano riportato sintomi gastrointestinali simili, ma tra la 9.a e la 12.a settimana, il 44% di quelli che stavano assumendo Esomeprazolo hanno riferito un aumento dei sintomi, mentre nel gruppo placebo solo il 15% ha riportato un incremento della sintomatologia.
Alla fine dello studio, il 22% dei soggetti assegnati ad Esomeprazolo ha riportato ancora i sintomi, nonostante non venisse pi? assunto l?inibitore della pompa protonica da 4 settimane, contro solo il 2% degli individui assegnati al trattamento con placebo.
I sintomi sono scomparsi dopo 3 mesi dall?interruzione di Nexium.

I Ricercatori hanno ipotizzato che questo effetto rebound fosse con buona probabilit? una risposta alla soppressione acida causata dall?Esomeprazolo, con iperproduzione della gastrina, un ormone che stimola il rilascio acido nello stomaco.

Recentemente diversi studi hanno messo in dubbio la sicurezza degli inibitori della pompa protonica.
Uno studio canadese ha evidenziato un legame tra l?uso nel lungo periodo degli inibitori della pompa protonica e l?aumentato rischio di fratture all?anca, polso o alla colonna vertebrale.

La Society for Cardiovascular Angiography and Interventions ( SCAI ) ha raccomandato ai pazienti che assumono Clopidogrel ( Plavix ) di evitare gli inibitori della pompa protonica dopo l?impianto di uno stent, perch? la combinazione aumenta il rischio di infarto miocardico ( 70% ), di ictus ( 48% ) e di ripetizione della procedura di rivascolarizzazione del 35%.

Inoltre, uno studio canadese ha trovato una connessione tra prescrizione di routine degli inibitori della pompa protonica durante l?ospedalizzazione ed un aumento del rischio ( 30% ) di acquisire polmonite.

Fonte: Gastroenterology, 2009

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Perdita ossea associata agli inibitori dell?aromatasi nelle donne in postmenopausa con tumore al seno trattate con Letrozolo: prevenzione con Acido Zoledronico

Le donne in postmenopausa con tumore del seno trattate con terapia adiuvante con inibitori dell?aromatasi sono a rischio di perdita ossea accelerata e di conseguenti fratture.

Lo studio Zometa-Femara Adjuvant Synergy Trial ( Z-FAST ) sta valutando l?efficacia e la sicurezza dell?Acido Zoledronico ( Zometa ) nella prevenzione di tale perdita ossea.
In questo studio multicentrico, le donne in postmenopausa con tumore del seno positivo per il recettore dell?ormone in fase iniziale in terapia adiuvante con Letrozolo ( Femara ) sono state assegnate in modo casuale a ricevere sin dall?inizio o con tempistica ritardata Acido Zoledronico ( 4 mg per via endovenosa ogni 6 mesi ) per 5 anni.

L?endpoint primario consisteva nel comparare il cambiamento dal basale nella densit? minerale ossea ( BMD ) della colonna lombare tra i gruppi al 12? mese; gli endpoint secondari includevano il confronto tra i cambiamenti nella BMD dell?anca, nella BMD della colonna lombare e i marcatori del turnover osseo, l?incidenza di fratture e il tempo alla recidiva.

E? stata compiuta un?analisi a 36 mesi.
A 3 anni, la differenza assoluta nella densit? minerale ossea media della colonna lombare e dell?anca tra i gruppi a inizio immediato e ritardato ? stata del 6.7% e del 5.2%, rispettivamente ( P < 0.0001 per entrambi ). Bench? lo studio non fosse stato disegnato per mostrare l?efficacia contro le fratture, l?incidenza di fratture ? risultata leggermente pi? alta nel gruppo a inizio ritardato ( inizio immediato: 5.7% vs. inizio ritardato: 6.3% ), ma il dato non ha raggiunto la significativit? statistica ( P = 0.8638 ). La piressia ( 9% vs. 2%; P = 0.0002 ) e il dolore osseo ( 13% vs. 6,7%; P = 0.01 ) sono risultati pi? comuni nei pazienti del gruppo a inizio immediato; la tosse ( 4,3% vs. 9%; P = 0.03 ) in quelli del gruppo a inizio ritardato. Non sono state osservate gravi disfunzioni renali o casi di osteonecrosi della mandibola. La recidiva di malattia si ? verificata nel 3% dei pazienti del gruppo a inizio immediato e in 16 di quello a inizio ritardato ( 5.3% ) ( analisi di Kaplan-Meier, P = 0.127 ), con una diminuzione assoluta del 2.3%. In conclusione, il trattamento immediato con Acido Zoledronico ? risultato pi? efficace nel prevenire la perdita ossea legata all?uso di inibitori dell?aromatasi in donne in post-menopausa con cancro al seno allo stadio iniziale rispetto alla terapia ritardata fino al verificarsi di una sostanziale perdita ossea o di una frattura. Fonte: Clinical Breast Cancer, 2009

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Nessuna associazione tra rischio di demenza e una pi? alta aderenza alla dieta mediterranea

Una buona aderenza a una dieta di tipo Mediterraneo ? associata a un minor rischio di mortalit? e di malattie croniche, ma la sua relazione con il decadimento cognitivo non ? ben definita.

Un gruppo di Ricercatori francesi ha studiare l?associazione di una dieta Mediterranea con il cambiamento della performance cognitiva e con il rischio di demenza in persone anziane.

Lo studio prospettico di coorte ha coinvolto 1.410 adulti ( di et? uguale o superiore a 65 anni ) di Bordeaux ( Francia ), inclusi nella coorte Three-City nel 2000-2001 e riesaminati almeno una volta nel corso di 5 anni.

L?aderenza a una dieta mediterranea ( punteggio da 0 a 9 ) ? stata calcolata mediante un questionario di frequenza alimentare e un contatto telefonico a 24 ore.

La performance cognitiva ? stata valutata con 4 test neuropsicologici: MMSE ( Mini-Mental State Examination ), IST ( Isaacs Set Test ), BVRT ( Benton Visual Retention Test ) e FCSRT ( Free and Cued Selective Reminding Test ).

I casi incidenti di demenza ( n=99 ) sono stati validati da un Comitato indipendente di Esperti neurologi.

Dopo aggiustamento per et?, sesso, educazione, stato coniugale, calorie introdotte, attivit? fisica, sintomatologia depressiva, assunzione di 5 o pi? farmaci al giorno, genotipo dell?apolipoproteina E, fattori di rischio cardiovascolare e ictus, un punteggio della dieta Mediterranea pi? alto ? risultato associato a meno errori nel test MMSE ( beta = -0.006; P = 0.04 per 1 punto nel punteggio di dieta mediterranea ).

La performance negli altri test neuropsicologici utilizzati non era, invece, associata in modo significativo all?aderenza a una dieta mediterranea.

Una maggiore aderenza come variabile categoriale ( punteggio da 6 a 9 ) non ? risultata associata a meno errori nel test MMSE e a migliori punteggi nel test FCSRT nell?intera coorte, ma tra gli individui rimasti liberi da demenza nei 5 anni, l?associazione per il gruppo a maggiore aderenza rispetto a quello con minore aderenza ? risultata significativa ( aggiustata per tutti i fattori, per il test MMSE: beta = -0.03; P = 0.04; per il test FCSRT: beta = 0.21; P =0.04 ).

L?aderenza alla dieta mediterranea non era associata a rischio di demenza incidente ( modello completamente aggiustato: hazard ratio, HR=1.12; P = 0.72 ), nonostante la potenza dello studio nell?identificare una differenza fosse limitata.

Dallo studio ? emerso che una pi? alta aderenza a una dieta mediterranea ? associata a un declino cognitivo pi? lento al test Mini-Mental State Examination, ma questo dato non ? consistente con quello degli altri test cognitivi effettuati.
Una maggiore aderenza alla dieta mediterranea non ? associata al rischio di demenza incidente.

F?art C et al, JAMA 2009; 302: 638-648

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La supplementazione con minerali e vitamine aumenta la mortalit? totale e la mortalit? per tumore nelle persone di et? superiore ai 55 anni

Il General Population Nutrition Intervention Trial ha studiato la prevenzione del cancro primario esofageo e gastrico condotto tra il 1985 e il 1991 in Cina su una popolazione di 29.584 adulti mediante l?assunzione giornaliera di supplementazione con vitamine e minerali.

Il trattamento con il fattore D, una combinazione di 50 microgrammi di Selenio, 30 mg di Vitamina-E e 15 mg di Beta-Carotene, ha portato a una diminuzione della mortalit? per qualsiasi causa, del cancro in generale e del tumore gastrico.

Sono stati presentati i dati osservazionali a 10 anni dopo la fine dell?intervento attivo.

Fino al 31 maggio 2001, 276 partecipanti sono stati persi per il follow-up, 9.727 sono deceduti, inclusi 3.242 per cancro ( 1.515 di cancro esofageo e 1.199 di tumore gastrico ).

I partecipanti che hanno ricevuto il fattore D hanno mostrato una minore mortalit? generale ( hazard ratio, HR= 0.95; P = 0.009; una riduzione della mortalit? cumulativa dal 33.62% al 32.19% ) e per tumore gastrico ( HR = 0.89; P = 0.043; riduzione nella mortalit? cumulativa per tumore gastrico da 4.28% a 3.84% ) rispetto ai soggetti che non hanno ricevuto il fattore D.
Le riduzioni sono risultate attribuibili soprattutto ai benefici nei soggetti di et? inferiore ai 55 anni.

Le morti per tumore esofageo tra i pazienti che hanno e non hanno ricevuto il fattore D non sono, in generale, risultate diverse; tuttavia, sono diminuite del 17% tra i partecipanti di et? inferiore ai 55 anni ( HR = 0.83; P = 0.025 ), ma sono aumentate del 14% tra quelli di et? uguale o superiore a 55 anni ( HR = 1.14; P = 0.47 ).

La supplementazione con Zinco e Vitamina-A ? risultata associata a un aumento della mortalit? totale e per ictus; la supplementazione con Vitamina-C e Molibdeno a una diminuzione della mortalit? per ictus.

In conclusione, gli effetti benefici di Selenio, Vitamina E e Beta-Carotene sulla mortalit? sono evidenti fino a 10 anni dopo il termine della supplementazione e sono consistentemente superiori nei partecipanti pi? giovani.
Sono stati osservati anche effetti tardivi di altri regimi di supplementazione.

Qiao YL et al, J Natl Cancer Inst 2009;101: 507-518

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Ictus ALERT !

Diversi pazienti che assumono Plavix sono a rischio di infarto miocardico, ictus e di morte cardiovascolare

Il 2-14% della popolazione non ? in grado di trasformare in modo efficiente il principio attivo di Plavix ( Clopidogrel ), un profarmaco, nella forma attiva. Queste persone sono definite scarsi metabolizzatori.
L’effetto antiaggregante piastrinico di Plavix negli scarsi metabolizzatori ? ridotto o assente, pertanto questi pazienti sono a maggior rischio di formazione di trombi.

Che cosa fare ?

1) individuazione dei pazienti scarsi metabolizzatori mediante analisi genotipica

2) variazione del dosaggio di Plavix ( non esistono regimi validati )

3) sostituzione di Plavix con un altro antiaggregante piastrinico

FONTE: FDA

Nota: Il Black Box ? la massima avvertenza dell’FDA ( Agenzia Federale degli Stati Uniti per il Controllo dei Farmaci ), che indica la possibilit? di gravi eventi avversi

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Fratture femorali a bassa energia associate all?uso per lungo periodo dei bifosf

I bifosfonati sono farmaci anti-riassorbitivi efficaci e ben tollerati, impiegati nel trattamento dell?osteoporosi.
In Svizzera sono stati segnalati casi di pazienti con una storia di trattamento con bifosfonati ammessi presso gli Ospedali Universitari di Ginevra con una frattura sottotrocanterica a bassa energia.

L?analisi retrospettiva ha riguardato 8 pazienti. Tutti i pazienti sono stati segnalati al Swiss National Pharmacovigilance Centre.

Tutti i pazienti presentavano un tipico profilo radiologico, consistente di un ispessimento corticale a livello della corteccia sottotrocanterica femorale laterale con una linea di frattura orizzontale.

Quattro pazienti sono andati incontro a frattura da stress o a frattura completa del femore controlaterale.

Due pazienti hanno presentato un ritardo nella guarigione della propria frattura.

Cinque pazienti erano in trattamento con Alendronato ( Fosamax ) per un periodo compreso tra 16 mesi a 8 anni; due pazienti avevano assunto Ibandronato ( Bonviva ) per 4 mesi ed 1 anno, rispettivamente, dopo essere stati trattati in precedenza con Alendronato, e un paziente era sin trattamento con Pamidronato ( Aredia ) fino ad 1 anno prima del presentarsi della frattura.

Sette pazienti stavano anche assumendo un trattamento per lungo periodo a base di inibitori della pompa protonica, che potrebbero aver contribuito all?aumentato rischio di frattura.
Quattro pazienti stavano ancora assumendo gli inibitori della pompa protonica, ed erano in trattamento da lungo periodo con corticosteroidi.

L?ipotesi di un?interazione farmacodinamica negativa tra i bifosfonati, gli inibitori della pompa protonica e i corticosteroidi, con possibile riduzione della resistenza ossea dopo uso prolungato, necessita un?ulteriore valutazione.

Ing-Lorenzini K et al, Drug Saf 2009; 32: 775-785

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FDA: revisione dei dati sui bifosfonati orali e rischio di frattura sottotrocant

I bifosfonati orali sono farmaci comunemente prescritti nella prevenzione e nel trattamento dell?osteoporosi nelle donne in postmenopausa.

Recenti report hanno posto la questione se l?uso dei bifosfonati fosse associato al rischio di frattura sottotrocanterica atipica del femore.

I dati finora analizzati dall?FDA non hanno mostrato una chiara connessione tra uso dei bifosfonati e rischio di fratture sottotrocanteriche atipiche del femore.

Sulla base dei case report, pubblicati, di fratture sottotrocanteriche atipiche del femore che si erano presentati nelle donne con osteoporosi che facevano uso dei bifosfonati, l?FDA nel 2008 aveva chiesto alle societ? produttrici di fornire maggiori informazioni sulla sicurezza di questi farmaci .
I dati pervenuti all?FDA non hanno mostrato nessun aumento del rischio nelle donne che hanno fatto uso dei bifosfonati.

L?FDA ha compiuto una revisione di un articolo apparso sul Journal of Bone and Mineral Research, che ha analizzato i dati di due ampi studi osservazionali nei pazienti con osteoporosi.
Gli Autori avevano concluso che le fratture sottotrocanteriche atipiche del femore presentavano molte caratteristiche in comune con le classiche fratture osteoporotiche dell?anca, tra cui l?et? dei pazienti, il genere, e il meccanismo del trauma. E? emerso che le donne che assumono i bifosfonati e quelle che non assumono questi farmaci presentano numeri simili di fratture sottotrocanteriche atipiche del femore, rispetto alle classiche fratture osteoporotiche dell?anca.

Informazioni per il medico e per le pazienti

L?FDA ha segnalato ai medici che esiste un possibile rischio di fratture sottotrocanteriche atipiche del femore nei pazienti che assumono i bifosfonati per os. Ha invitato a continuare a seguire le raccomandazioni presenti nelle schede tecniche di questi farmaci.

I pazienti, che stanno assumendo i bifosfonati, non devono interrompere la terapia senza il parere del proprio medico curante. Devono informare prontamente il medico della comparsa di dolori all?anca o alla coscia.

I pi? comuni bifosfonati per os sono: Fosamax ( Acido Alendronico, Alendronato ), Actonel ( Acido Risedronico, Risedronato ), e Boniva ( Acido Ibandronico, Ibandronato ).

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