Perdita ossea associata agli inibitori dell?aromatasi nelle donne in postmenopausa con tumore al seno trattate con Letrozolo: prevenzione con Acido Zoledronico

Le donne in postmenopausa con tumore del seno trattate con terapia adiuvante con inibitori dell?aromatasi sono a rischio di perdita ossea accelerata e di conseguenti fratture.

Lo studio Zometa-Femara Adjuvant Synergy Trial ( Z-FAST ) sta valutando l?efficacia e la sicurezza dell?Acido Zoledronico ( Zometa ) nella prevenzione di tale perdita ossea.
In questo studio multicentrico, le donne in postmenopausa con tumore del seno positivo per il recettore dell?ormone in fase iniziale in terapia adiuvante con Letrozolo ( Femara ) sono state assegnate in modo casuale a ricevere sin dall?inizio o con tempistica ritardata Acido Zoledronico ( 4 mg per via endovenosa ogni 6 mesi ) per 5 anni.

L?endpoint primario consisteva nel comparare il cambiamento dal basale nella densit? minerale ossea ( BMD ) della colonna lombare tra i gruppi al 12? mese; gli endpoint secondari includevano il confronto tra i cambiamenti nella BMD dell?anca, nella BMD della colonna lombare e i marcatori del turnover osseo, l?incidenza di fratture e il tempo alla recidiva.

E? stata compiuta un?analisi a 36 mesi.
A 3 anni, la differenza assoluta nella densit? minerale ossea media della colonna lombare e dell?anca tra i gruppi a inizio immediato e ritardato ? stata del 6.7% e del 5.2%, rispettivamente ( P < 0.0001 per entrambi ). Bench? lo studio non fosse stato disegnato per mostrare l?efficacia contro le fratture, l?incidenza di fratture ? risultata leggermente pi? alta nel gruppo a inizio ritardato ( inizio immediato: 5.7% vs. inizio ritardato: 6.3% ), ma il dato non ha raggiunto la significativit? statistica ( P = 0.8638 ). La piressia ( 9% vs. 2%; P = 0.0002 ) e il dolore osseo ( 13% vs. 6,7%; P = 0.01 ) sono risultati pi? comuni nei pazienti del gruppo a inizio immediato; la tosse ( 4,3% vs. 9%; P = 0.03 ) in quelli del gruppo a inizio ritardato. Non sono state osservate gravi disfunzioni renali o casi di osteonecrosi della mandibola. La recidiva di malattia si ? verificata nel 3% dei pazienti del gruppo a inizio immediato e in 16 di quello a inizio ritardato ( 5.3% ) ( analisi di Kaplan-Meier, P = 0.127 ), con una diminuzione assoluta del 2.3%. In conclusione, il trattamento immediato con Acido Zoledronico ? risultato pi? efficace nel prevenire la perdita ossea legata all?uso di inibitori dell?aromatasi in donne in post-menopausa con cancro al seno allo stadio iniziale rispetto alla terapia ritardata fino al verificarsi di una sostanziale perdita ossea o di una frattura. Fonte: Clinical Breast Cancer, 2009

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Nessuna associazione tra rischio di demenza e una pi? alta aderenza alla dieta mediterranea

Una buona aderenza a una dieta di tipo Mediterraneo ? associata a un minor rischio di mortalit? e di malattie croniche, ma la sua relazione con il decadimento cognitivo non ? ben definita.

Un gruppo di Ricercatori francesi ha studiare l?associazione di una dieta Mediterranea con il cambiamento della performance cognitiva e con il rischio di demenza in persone anziane.

Lo studio prospettico di coorte ha coinvolto 1.410 adulti ( di et? uguale o superiore a 65 anni ) di Bordeaux ( Francia ), inclusi nella coorte Three-City nel 2000-2001 e riesaminati almeno una volta nel corso di 5 anni.

L?aderenza a una dieta mediterranea ( punteggio da 0 a 9 ) ? stata calcolata mediante un questionario di frequenza alimentare e un contatto telefonico a 24 ore.

La performance cognitiva ? stata valutata con 4 test neuropsicologici: MMSE ( Mini-Mental State Examination ), IST ( Isaacs Set Test ), BVRT ( Benton Visual Retention Test ) e FCSRT ( Free and Cued Selective Reminding Test ).

I casi incidenti di demenza ( n=99 ) sono stati validati da un Comitato indipendente di Esperti neurologi.

Dopo aggiustamento per et?, sesso, educazione, stato coniugale, calorie introdotte, attivit? fisica, sintomatologia depressiva, assunzione di 5 o pi? farmaci al giorno, genotipo dell?apolipoproteina E, fattori di rischio cardiovascolare e ictus, un punteggio della dieta Mediterranea pi? alto ? risultato associato a meno errori nel test MMSE ( beta = -0.006; P = 0.04 per 1 punto nel punteggio di dieta mediterranea ).

La performance negli altri test neuropsicologici utilizzati non era, invece, associata in modo significativo all?aderenza a una dieta mediterranea.

Una maggiore aderenza come variabile categoriale ( punteggio da 6 a 9 ) non ? risultata associata a meno errori nel test MMSE e a migliori punteggi nel test FCSRT nell?intera coorte, ma tra gli individui rimasti liberi da demenza nei 5 anni, l?associazione per il gruppo a maggiore aderenza rispetto a quello con minore aderenza ? risultata significativa ( aggiustata per tutti i fattori, per il test MMSE: beta = -0.03; P = 0.04; per il test FCSRT: beta = 0.21; P =0.04 ).

L?aderenza alla dieta mediterranea non era associata a rischio di demenza incidente ( modello completamente aggiustato: hazard ratio, HR=1.12; P = 0.72 ), nonostante la potenza dello studio nell?identificare una differenza fosse limitata.

Dallo studio ? emerso che una pi? alta aderenza a una dieta mediterranea ? associata a un declino cognitivo pi? lento al test Mini-Mental State Examination, ma questo dato non ? consistente con quello degli altri test cognitivi effettuati.
Una maggiore aderenza alla dieta mediterranea non ? associata al rischio di demenza incidente.

F?art C et al, JAMA 2009; 302: 638-648

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La supplementazione con minerali e vitamine aumenta la mortalit? totale e la mortalit? per tumore nelle persone di et? superiore ai 55 anni

Il General Population Nutrition Intervention Trial ha studiato la prevenzione del cancro primario esofageo e gastrico condotto tra il 1985 e il 1991 in Cina su una popolazione di 29.584 adulti mediante l?assunzione giornaliera di supplementazione con vitamine e minerali.

Il trattamento con il fattore D, una combinazione di 50 microgrammi di Selenio, 30 mg di Vitamina-E e 15 mg di Beta-Carotene, ha portato a una diminuzione della mortalit? per qualsiasi causa, del cancro in generale e del tumore gastrico.

Sono stati presentati i dati osservazionali a 10 anni dopo la fine dell?intervento attivo.

Fino al 31 maggio 2001, 276 partecipanti sono stati persi per il follow-up, 9.727 sono deceduti, inclusi 3.242 per cancro ( 1.515 di cancro esofageo e 1.199 di tumore gastrico ).

I partecipanti che hanno ricevuto il fattore D hanno mostrato una minore mortalit? generale ( hazard ratio, HR= 0.95; P = 0.009; una riduzione della mortalit? cumulativa dal 33.62% al 32.19% ) e per tumore gastrico ( HR = 0.89; P = 0.043; riduzione nella mortalit? cumulativa per tumore gastrico da 4.28% a 3.84% ) rispetto ai soggetti che non hanno ricevuto il fattore D.
Le riduzioni sono risultate attribuibili soprattutto ai benefici nei soggetti di et? inferiore ai 55 anni.

Le morti per tumore esofageo tra i pazienti che hanno e non hanno ricevuto il fattore D non sono, in generale, risultate diverse; tuttavia, sono diminuite del 17% tra i partecipanti di et? inferiore ai 55 anni ( HR = 0.83; P = 0.025 ), ma sono aumentate del 14% tra quelli di et? uguale o superiore a 55 anni ( HR = 1.14; P = 0.47 ).

La supplementazione con Zinco e Vitamina-A ? risultata associata a un aumento della mortalit? totale e per ictus; la supplementazione con Vitamina-C e Molibdeno a una diminuzione della mortalit? per ictus.

In conclusione, gli effetti benefici di Selenio, Vitamina E e Beta-Carotene sulla mortalit? sono evidenti fino a 10 anni dopo il termine della supplementazione e sono consistentemente superiori nei partecipanti pi? giovani.
Sono stati osservati anche effetti tardivi di altri regimi di supplementazione.

Qiao YL et al, J Natl Cancer Inst 2009;101: 507-518

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Spettro di esami allargato per ernia del disco

In pazienti con dolore alla schiena e alle gambe, molti dei test fisici utilizzati per diagnosticare radiculopatia da ernia del disco lombare e selezionare i pazienti da sottoporre a ulteriori specifiche indagini o a chirurgia, risultano poco efficaci se condotti isolatamente. A stabilirlo sono gli autori di una Cochrane review alla luce di 16 studi di coorte (range di pazienti compreso tra 71 e 2.504) e tre studi caso-controllo (30-100 casi). In breve, tutti gli esami fisici eseguiti singolarmente per verificare la presenza di scoliosi, paresi, debolezza muscolare, alterazione dei riflessi e deficit sensoriale sono apparsi poco conclusivi ai fini della diagnosi di ernia del disco lombare. ?Molti dei risultati da noi analizzati derivavano da pazienti sottoposti a chirurgia e, conseguentemente, non possono essere applicati a situazioni di pronto intervento o a gruppi non selezionati di pazienti? ha commentato Dani?lle AWM van der Windt del Department of Primary Care & Health Sciences, Keele University, Staffordshire, UK. ?Tuttavia, a nostro avviso, migliori performance diagnostiche possono essere ottenute dalla combinazione delle diverse indagini fisiche?.
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Cochrane Database of Systematic Reviews 2010, Issue 2.

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Dosaggio renina spia della risposta a diuretici?

I diuretici tiazidici sono universalmente riconosciuti come agenti di primaria importanza nella terapia dell’ipertensione, ma non sono esenti da critiche, soprattutto per i loro effetti secondari (ipokaliemia, ipomagnesiemia, iperuricemia). Lo spironolattone, antagonista dell’aldosterone, pu? costituire un’alternativa ai tiazidici anche fuori dalle loro indicazioni principe (iperaldosteronismo primitivo)? In pratica, ha senso usarli nelle forme normoaldosteronemiche? ? quanto ha cercato di stabilire lo studio RENALDO, che in base al rapporto Aldosterone PRA (ARR) ha cercato di predire la risposta allo spironolattone o al tiazidico (Bendrofluometazide, BFZ) in pazienti ad alto rapporto (HARR) o basso rapporto (LARR) aldosterone /PRA. Lo studio, randomizzato, cross-over, ? stato eseguito su 111 pazienti con ipertensione sistolica (PAS media 24h ?>/=140mmHg), trattati sia con spironolattone 50 mg/die o BFZ 2,5 mg/die per 12 settimane per ciascun trattamento. Un obiettivo secondario ? stato quello di confrontare la risposta della pressione diastolica media delle 24 h, della notte, del giorno e clinica in pazienti con HARR e LARR. Alla fine delle 12 settimane, nei pazienti con HARR lo spironolattone ha abbassato la PAS media di 5,01 mmHg in pi? rispetto alla BFZ, ma la sorpresa? ? stata nel vedere che anche in soggetti con LARR la PAS veniva abbassata di pi? con lo spironolattone che con la BFZ, pur se non significativamente (3.4 mmHg). Simile risultato si ? avuto per gli end points secondari. Lo studio ? durato poco (3 mesi) ed i dosaggi di spironolattone e BFZ sono stati piuttosto bassi, per cui necessiterebbero studi a dosaggi pieni; tuttavia ? chiaro che il ARR non predice la risposta pressoria allo spironolattone, che 50 mg di spironolattone sono pi? efficaci di 2,5 mg di BFZ e che quindi lo spironolattone, pur non privo come sappiamo di effetti secondari dosaggio-dipendenti,?pu? essere una valida alternativa ai tiazidici.

Journal of Hypertension 2010;28:170-177.

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Procalcitonina per sospendere Ab in UTI

La “pressione” antibiotica ? certamente uno dei problemi emergenti in Medicina. L’uso empirico di questi farmaci, a volte eccessivo e prolungato nel tempo, ? sicuramente l’elemento pi? importante per la comparsa di resistenze che possono rendere particolarmente difficile la gestione dei pazienti, soprattutto di quelli pi? fragili e gravi. Un gruppo di ricercatori parigini ha impostato un lavoro di ricerca clinica con l’intenzione di verificare se l’utilizzo della procalcitonina in pazienti ricoverati in Terapia Intensiva potesse indirizzare una pi? consapevole ma altrettanto sicura scelta inerente alla cessazione o meno del trattamento antibiotico. Gli end point primari erano rappresentati dalla mortalit? a 30?e 60 giorni (analisi di non inferiorit? con margine del 10%) e il numero dei giorni senza antibioticoterapia dal 28? giorno del ricovero (analisi di superiorit?); lo studio ? stato impostato secondo l’analisi di intention to treat. Sono stati reclutati pi? di 600 pazienti suddivisi secondo una particolare tecnica di randomizzazione rispettivamente nel gruppo A (quello in cui veniva utilizzata la determinazione della procalcitonina per la modulazione terapeutica) che comprendeva 307 pazienti e nel gruppo B che comprendeva 307 pazienti quali controlli. Nove pazienti sono stati esclusi dallo studio. Questi i risultati:
la mortalit? al 30? giorno (21,2% [65/307] nel gruppo A vs 20,4% [64/314] nel gruppo B; differenza assoluta 0,8%, 90% CI da -4? a? 6,2), cos? come quella al 60? giorno (30,0% [92/307] nel gruppo A ?vs 26,1% [82/314] nel Gruppo B; differenza assoluta 3,8%, CI da -2 ?a 9,7), non ? risultata significativamente differente
per contro, i pazienti del gruppo A erano rimasti un numero di giorni senza il trattamento antibiotico significativamente inferiore rispetto a quelli del gruppo B (14,3 giorni [SD 9,1] vs 11,6 giorni [SD 8,2]; differenza assoluta 2,7 giorni, CI tra 1,4 e 4,1, p <0,0001). Le ovvie conclusioni degli autori sono favorevoli all'utilizzo della determinazione della procalcitonina nello stabilire quando sospendere il trattamento antibiotico nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva. Il cut off di procalcitonina da loro proposto per stabilire la sospensione dell'antibioticoterapia ? di 0,5 microg/L.
Lancet?2010;375(9713):463-74.

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Rischi/benefici del drenaggio biliare nel ca pancreatico

E’ diventata pratica quasi corrente che, di fronte ad un ittero ostruttivo da neoplasia della testa del pancreas, l’indagine endoscopica (ERCP) non si limiti alle sole finalit? diagnostiche ma venga utilizzata anche a scopo terapeutico (stent biliare), ci? non solo nei pazienti inoperabili, ma anche in quelli per i quali non si ? ancora stabilito se potranno beneficiare dell’intervento chirurgico o meno. Alcuni colleghi chirurghi, endoscopisti, radiologi e biostatisti olandesi hanno voluto verificare se il posizionamento di un drenaggio biliare nei pazienti successivamente sottoposti ad un intervento di cefalopancreasectomia determinasse outcome pi? o meno favorevoli. Dei 202 pazienti arruolati, 96 sono stati indirizzati ad una chirurgia entro la prima settimana dalla diagnosi e 106 hanno invece posizionato uno stent endobiliare per poi essere sottoposti all’intervento entro 4-6 settimane. Pur in assenza di negativi impatti sulla mortalit?, nel gruppo dei pazienti che avevano posizionato il drenaggio biliare la percentuale di complicanze post-intervento definite “serie” sono state significativamente superiori (74%) rispetto al gruppo dei pazienti avviati rapidamente a chirurgia (39%).

N?Engl?J?Med 2010;362(2):129-37

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Anche cefalea?fattore di rischio cardiovascolare?

Utilizzando i dati del Women’s Health Study, studio che era stato impostato per valutare i rischi/benefici del trattamento sostitutivo nelle donne in post menopausa, Gordon JM e Coll., sulla scorta di precedenti piccole segnalazioni, hanno voluto verificare se la presenza di una cefalea con e senza aura potesse essere considerato un fattore di rischio per l’insorgenza di patologia cardiovascolare. Lo studio, prospettico, di coorte, ha interessato pi? di 27.000 donne di et? superiore ai 45 anni?che, in assenza di documentate patologie CV, avessero nella loro cartella clinica utilizzata per il Women’s Health Study notizie relative alla presenza o meno di cefalea e alla loro situazione metabolica. La cefalea ? stata classificata a seconda della frequenza degli attacchi e, su tale base, delle oltre 3.500 donne cefalalgiche il 75,3% riferiva meno di un attacco al mese, il 19,7% almeno una crisi mensile il 5% uno o pi? attacchi settimanali. Durante i 12 anni di follow up si sono verificati 706 eventi CV ed una prima analisi multivariata ha identificato i seguenti HR di rischio per eventi CV: 1,55 (95% CI 1,22-1,97) per le donne con attacchi emicranici di frequenza inferiore al mese, 0,65 (95% CI 0,31-1,38) per quelle nelle quali la frequenza era almeno mensile, 1,93 (95% CI 0,86-4,33) nel caso in cui le crisi fossero una o pi? la settimana. Una seconda analisi, corretta per le ore di durata della cefalea, ha evidenziato un HR di rischio di 1,81 (05% CI 1,30-2,50) ?per la rivascolarizzazione miocardica e 2,43 (95% CI 1,58-3,74) per l’infarto del miocardio. Importante ? stato l’aumento del rischio di ictus nelle donne con cefalea con aura “attiva” e con almeno una crisi/settimana: HR = 4,25 (1,36-13,29). I dati, anche se non indicativi per la variegata galassia delle patologie cardiovascolari, indicano tuttavia che nelle donne, la cefalea con aura che si manifesti con episodi ricorrenti almeno una volta settimana, ? significativamente associata ad un aumentato rischio di ictus.

Neurology 2010;74:615-616.

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L’embolia polmonare in gravidanza

In un interessante ed utilissimo Articolo, uscito sul primo numero di Febbraio di Lancet, si approfondiscono le principali problematiche dell’Embolia Polmonare che si manifesta in gravidanza. Di particolare rilevanza sono certamente quelle relative al percorso diagnostico ed ai provvedimenti terapeutici.

Per quanto riguarda la diagnosi vengono sintetizzati i vantaggi e gli svantaggi delle varie metodiche che possono essere cos? schematizzati:

1- scintigrafia ventilatoria:
1a – vantaggi – bassa esposizione fetale, bassi risultati falsi positivi legati alla gravidanza di per se
1b – svantaggi – non esistono studi in gravidanza e quindi mancano conseguenti regole di decisioni cliniche ad essi correlate,?l’accertamento non offre diagnosi alternative, l’interpretazione ? fortemente legata alla probabilit? clinica pre test

2- TC angiografia:
2a – vantaggi – bassa esposizione fetale, pu? offrire una diagnosi alternativa, ? maggiormente disponibile rispetto alla scintigrafia, vi sono studi che validano la metodica in gravidanza, ? pi? efficace di altri approcci diagnostici
2b – svantaggi – vi sono limitazioni tecniche legate alla gravidanza di per se che richiedono modificazioni artificiose della tecnica di acquisizione dell’immagine e del protocollo di somministrazione del contrasto, la dose radiante per il seno – anche se ? possibile ridurla con particolari accorgimenti – ? elevata; la necessaria somministrazione del MdC iodato pu? avere effetti negativi sulla tiroide fetale, vi ? un alto tasso di diagnosi di embolie subsegmentali il cui rilievo clinico ? incerto

3- RMN:
3a – vantaggi – non espone a nessuna radiazione ionizzante, non evidenzia gli emboli subsegmentali
3b – svantaggi – dati di letteratura e di esperienza insufficienti, il gadolinio passa la placenta e non si ? sicuri circa la sua sicurezza per il feto

4- CUS:
4a – vantaggi – non espone a nessuna radiazione ionizzante e non ? invasiva
4b – svantaggi – possibile bassa sensibilit? nei pazienti senza segni e sintomi di trombosi venosa

Per quanto riguarda la terapia si ribadisce che il trattamento di scelta ? rappresentato dall’utilizzo della LMWH?la cui posologia deve essere adeguatamente modificata in rapporto all’epoca gestazionale in rapporto alle correlate modificazioni della sua clearance. Viene tuttavia sottolineato che anche il trattamento trombolitico, pur gravato da un elevato tasso di emorragie (dal 4 al 14% dei casi), pu? essere utilizzato ove sussistano condizioni di instabilit? emodinamica, di ipossiemia refrattaria o di marcata disfunzione ventricolare destra.

Lancet?2010;375(9713):500-12.

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Outcome vascolare precoci post-sincope

E’ interessante l’analisi di alcuni colleghi californiani che hanno valutato nel breve periodo gli outcome cardiovascolari (morte o ospedalizzazione per cause CV, procedure correlate a patologia ischemica coronaria o insorgenza di patologia aritmica) in pi? di 35.000 soggetti che nel periodo gennaio 2002 -dicembre 2005 si erano rivolti agli 11 dipartimenti di emergenza del loro stato per una sincope. Le sintetiche conclusioni del loro lavoro possono essere cos? riassunte:
problematiche cardiovascolari quali quelle sopra ricordate sono occorse nel 3% dei soggetti visitati per una sincope
tali manifestazioni, nella quasi totalit? dei pazienti, sono occorse nei primi 7 giorni dall’evento sincopale
indicatori positivi di insorgenza di tali problematiche sono risultati l’et? > ai 60 anni, il sesso maschile, l’anamnesi positiva per uno scompenso congestizio, per una patologia ischemica coronarica o per una valvulopatia
indicatori negativi sono al contrario risultati la demenza, la presenza di un pacemaker, precedenti rivascolarizzazioni coronariche ed una patologia cerebro-vascolare
nei pazienti di et? < ai 60 anni con nota patologia aritmica e valvolare, il rischio di manifestare outcome CV precoci dopo un episodio sincopale ? risultato significativamente superiore rispetto a quello dei pari et? senza tali problematiche cliniche.
Tali conclusioni possono ovviamente aiutare il medico nella miglior gestione del paziente con sincope.

Am J Cardiol 2010;105(1):82-86.

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