Il nostro apparato digerente nasconde se non proprio segreti, comunque curiosit? sconosciute al grande pubblico. Abbiamo scelto le cinque pi? bizzarre per voi: 1. Soltanto l?intestino tenue (cio? la prima parte dell?intestino, la parte di canale alimentare che va dallo stomaco al cieco) ? se si considerano tutte le pieghe ? ha una superficie di 2700 metri quadri, come un campo da tennis. 2. Un cenone come quello di Capodanno abbisogna di circa 72 ore per essere digerito completamente. 3. La maggior parte della serotonina, ormone che influenza pesantemente l?umore, ? sintetizzata a livello dell?apparato digerente, non del sistema nervoso. 4. Lo stomaco ? in grado di digerire quasi tutto, anche ossa, chewing gum e persino pezzi di metallo grazie all?acido cloridrico che sintetizza, ma non dissolve alcuni tipi di plastica (i giocattoli ingeriti dai bambini, per esempio), che finiscono intatti nell?intestino e ? si spera ? escono dall?ano con le feci. 5. Nel 2005 una prigione del Rwanda ha vinto l?Ashden Award for Sustainable Energy, un premio internazionale dedicato a progetti di risparmio energetico, ricavando metano dalle feci dei detenuti e usandolo per le cucine. Il risparmio? Pi? di 1,5 milioni di dollari. Immaginate la stessa cosa su scala mondiale. Fonte: Keany LA. 20 Things you didn?t know about? digestion. Discover Magazine 07/01/2010
? la lipoproteina A. La presenza nel Dna di due geni che ne determinano l’aumento condiziona la maggior probabilit? di incorrere in malattie delle coronarie Non ci sono pi? soltanto il colesterolo ?buono? e quello ?cattivo?: ora anche la lipoproteina A, quando ? in eccesso nel sangue, pu? aumentare il rischio di infarto. La conferma arriva dallo studio genetico europeo Procardis, pubblicato sul New England Journal of Medicine. Procardis ? un consorzio europeo tra i ricercatori dell’ Istituto Mario Negri di Milano, del Wellcome Trust Centre e della Clinical Trials Service Unit dell’Universit? di Oxford, insieme a quelli del Karolinska Institute di Stoccolma e dell’Universit? di Munster. RISCHIO ANCHE QUADRUPLICATO – Lo studio ha analizzato il Dna di 16 mila europei, dimostrando che tra le diverse varianti del gene Apo-A due in particolare sono associate all’aumento di questa lipoproteina nel sangue, e contribuiscono a causare lo sviluppo della malattia coronarica e dell’infarto. La scoperta ? ancora pi? importante se si considera che una persona su sei ? portatrice di una di queste due varianti nel suo Dna, e ha di conseguenza un rischio di infarto raddoppiato rispetto ai soggetti con i geni ?classici?; chi ? portatore di entrambe le varianti ha un rischio quadruplicato. ?La lipoproteina A – aggiungono gli scienziati – ? un fattore di rischio cardiovascolare indipendente da quelli tradizionali come colesterolo totale, ipertensione, diabete, obesit? e fumo. I suoi effetti si sommano quindi a quelli dei fattori di rischio pi? conosciuti?. ?Si conosce ancora poco di questa lipoproteina – spiega Maria Grazia Franzosi del Mario Negri, che ha coordinato lo studio per l’Italia – ed ? un tipo di colesterolo cui si dovr? dedicare pi? attenzione nell’immediato futuro. La dieta, l’esercizio fisico e le statine sono poco efficaci nell’ abbassare i suoi livelli, mentre sembrano funzionare alcuni farmaci esistenti da tempo come la niacina e altri in arrivo sul mercato. Il nostro studio apre nuove strade per la ricerca di trattamenti efficaci nella prevenzione: ora che sappiamo che la lipoproteina A ? causa di malattia coronarica, sar? opportuno condurre studi clinici per valutare se i farmaci che ne riducono i livelli prevengono l’infarto?. Il rischio di aumento dell’infarto causato dalla lipoproteina ? comunque inferiore a quello determinato da un elevato colesterolo ?cattivo?. ?La speranza – conclude Franzosi – ? che curandoli entrambi il rischio di infarto si possa ridurre ulteriormente?.
Molti bambini con reflusso vescico-ureterale (RVU) non hanno benefici dalla diagnosi e dal trattamento della loro condizione. L’utilit? della profilassi antibiotica nella prevenzione delle infezioni del tratto urinario in bambini con RVU ? stata messa in discussione da numerosi studi prospettici e diverse analisi di confronto tra soggetti sottoposti ad intervento operatorio vs antibiotico-profilassi che non hanno evidenziato differenze nei due gruppi per funzione renale, progressione o sviluppo del danno renale o infezioni urinarie. Da questo scenario si deduce che nel bambino con RVU ? complesso prendere decisioni. La strategia migliore sembra essere un approccio individualizzato che tenga conto delle numerose variabili che, opportunamente pesate, dovrebbero permettere al clinico di individuare i soggetti che potrebbero beneficiare dell?intervento. Una revisione apparsa su Nature Reviews Urology ha analizzato le basi di conoscenza che sostengono la valutazione, la gestione e il trattamento del bambino con RVU. Questa patologia, caratterizzata dal flusso retrogrado di urina dalla vescica nell?uretere, si verifica in circa il 1-3% dei bambini in tutto il mondo ed ? associata al 7-17% di quelli con diagnosi di malattia renale in stadio terminale. Il trattamento del RVU ? orientato a prevenire le sequele di pielonefrite, di lesioni del parenchima renale, di ipertensione e insufficienza renale cronica. Il tempo di latenza tra la prima pielonefrite e lo sviluppo di ipertensione o di uno stadio terminale di malattia renale ? di 30-40 anni. Pertanto ? essenziale un lungo periodo di follow-up dei pazienti per poter identificare i soggetti che potrebbero beneficiare di un trattamento del RVU. Si stima che il 30-40% dei bambini di et? inferiore ai 5 anni che sviluppano un’infezione del tratto urinario (IVU) hanno un RVU. Nei casi di RVU primario il problema ? spesso attribuito ad un decorso ureterale intravescicale breve e la gravit? dell?anomalia ? direttamente correlata alla gravit? del reflusso, mentre il RVU secondario ? indotto da un incremento anomalo della pressione endo-vescicale, come nell’ostruzione uretrale o nella disfunzione da vescica neurogena. In generale, la gravit? del RVU ? classificata in 5 gradi secondo l?International Reflux Study e rappresenta il fattore principale per determinare la probabilit? di risoluzione spontanea del reflusso e il rischio di danno renale. Gradi pi? elevati di reflusso sono associati a tassi di risoluzione ridotta e maggiore prevalenza di cicatrici renali. In aggiunta al grado, altri fattori hanno dimostrato di essere predittivi della risoluzione del reflusso e/o del rischio di sviluppare danno renale. Questi fattori includono l’et?, il sesso, la lateralit?, il volume della vescica e la pressione al momento della comparsa del reflusso, la presenza di cicatrici renali, la presenza di disfunzione vescicale, e una storia di IVU. L?eredititariet? ? da tenere in considerazione nei casi di RVU primaria. Infatti la possibilit? che un fratello di un bambino con RVU di avere lo stesso problema ? di circa il 25%, e la prole degli individui affetti ha un rischio aumentato del 27-51%. Gli studi prospettici che hanno cercato di affrontare l’efficacia di un intervento operatorio rispetto alla profilassi antibiotica nei bambini con RVU hanno dimostrato che non esistono differenze significative della funzione renale o della crescita, progressione o sviluppo di nuove cicatrici o infezioni del tratto urinario nei pazienti trattati con intervento rispetto agli altri. Questi studi rafforzano la necessit? di definire meglio il sottoinsieme dei bambini con RVU che potrebbero trarre beneficio da un intervento. Spesso il giudizio clinico parte da un presupposto errato e cio? che il RVU sia responsabile di UTI, soprattutto perch? la diagnosi di reflusso segue spesso un UTI, ma se il reflusso non ? abbastanza grave da indurre la stasi non predispone il bambino a sviluppare IVU. Pi? spesso, le infezioni sono il risultato di condizioni predisponenti, come una precedente storia di UTI, sesso femminile, costipazione, minzione frequente, svuotamento incompleto e compromesse difese dell’ospite. Anche se generalmente sicura e ben tollerata, la profilassi antibiotica comporta costi e rischi potenziali per la salute per i bambini. La profilassi antibiotica per ridurre la probabilit? di sviluppare un evento di UTI ? associata ad un aumento di 24 volte del rischio che l?Escherichia coli sviluppi resistenza al trimetoprim-sulfametossazolo. Studi di sottoinsiemi di popolazione hanno individuato come fattori di rischio correlati a UTI ricorrenti e febbrili l?et? pi? giovane e il grado crescente di reflusso. Purtroppo, come detto in precedenza, l’intervallo di tempo tra lo sviluppo del danno renale e apparenti conseguenze cliniche di ipertensione o insufficienza renale richiedono decenni di follow-up per caratterizzare il gruppo di bambini realmente a rischio. L?Uretrocistografia minzionale ? la prova di routine pi? affidabile per individuare il reflusso e fornisce informazioni per quanto riguarda i dettagli anatomici del reflusso, compresa la presenza o l’assenza di diverticoli periureterali, anomalie ureterali (doppio uretere), anomalie della vescica e permette una pi? precisa classificazione del reflusso. In genere, gli studi di follow-up sono eseguiti con radioisotopi mediante la cistografia nucleare, che permette una riduzione dell’esposizione alla radioattivit?. In una meta-analisi che ha esaminato la presenza di danno renale nei bambini ricoverati in ospedale con IVU, uno studio ha rilevato che circa il 34% dei bambini con pielonefrite aveva RVU, e di quelli con RVU e pielonefrite, il 72% ha avuto una scintigrafia con acido dimercaptosuccinico (DMSA) anomala. Questo esame risulta pi? sensibile della pielografia per via endovenosa per l’individuazione della nefropatia da reflusso ed ? in grado di rilevare cambiamenti da pielonefrite acuta, con una maggiore sensibilit? e specificit? della TC, della risonanza magnetica o dell?ecografia. Anche la Mercaptoacetiltriglicina (MAG3) ? stata utilizzata per l’imaging renale e i vantaggi rispetto alla scintigrafia con DMSA includono l’esposizione a radiazioni ridotte, bassi costi e una migliore visualizzazione del sistema estretore , che potrebbe migliorare la specificit? rispetto alla scintigrafia DMSA nei bambini con marcata idroureteronefrosi. Un terzo dei pazienti con RVU ha cicatrici renali che implicano la presenza di regioni di danno renale e un aumentato rischio di sequele a lungo termine. I bambini con RVU e IVU concomitanti hanno un rischio maggiore di sviluppare cicatrici renali rispetto ai bambini con solo infezioni del tratto urinario. Le cicatrici renali hanno inoltre dimostrato di essere un fattore predittivo negativo di risoluzione del reflusso indipendente dal grado. Il trattamento chirurgico del RVU si ? evoluto nel corso degli ultimi 50 anni. Sono state utilizzate diverse tecniche di chirurgia intravescicale ed extravescicale per la risoluzione del RVU, senza che ci sia una chiara documentazione della superiorit? di una rispetto alle altre. Molte delle domande riguardanti il RVU rimangono senza risposta, ma ? chiaro che spesso il trattamento definitivo e la diagnosi di RVU sono inutili per molti pazienti. La decisione di operare un bambino con reflusso o di continuare o interrompere la profilassi antibiotica si basa su una valutazione rischi/benefici da parte del medico e della madre. Questa decisione ? stata tradizionalmente basata prevalentemente sul grado di reflusso. Oggi una decisione davvero informata deve prendere in considerazione altre variabili, tra cui l’et? del paziente, il sesso, la storia di infezioni del tratto urinario, lo stato renale, e la valutazione probabilistica di risoluzione spontanea. Non per ultimo l?analisi individualizzata di un bambino con RVU deve tener conto della situazione sociale del paziente e delle preferenze dei genitori. Allo scopo viene proposto un sistema automatico computerizzato di valutazione prognostica basato sulle reti neurali che potrebbe facilitare il compito al medico che deve prendere questa decisione in condizioni di estrema incertezza. Bibliografia Christopher S. Cooper Diagnosis and management of vesicoureteral reflux in children Nat Rev Urol 2009;6:481-9
Gli incidenti all’interno e fuori dall’abitazione rappresentano una delle principali voci di richiesta di intervento sanitario urgente per la popolazione in et? avanzata. Ma ridurne frequenza e gravit? si pu?. Sergio Locatelli, medico responsabile della Residenza “San Martino”di Bollate (Milano) e consigliere della Sezione lombarda della Societ? italiana di geriatria e gerontologia (Sigg), ci spiega come. Quali fattori correlati all’invecchiamento fisiologico predispongono l’anziano alle cadute? Anche in assenza di patologie specifiche, l’invecchiamento si associa a modificazioni fisiche e metaboliche che compromettono le possibilit? di movimento, di reagire a stimoli e interferenze esterne e di mantenere un equilibrio ottimale, favorendo indirettamente il rischio di cadute. Oggi un anziano sano inizia ad avere problemi di questo tipo in et? molto avanzata, in genere soltanto dopo gli 85-90 anni, e per ragioni che potrebbero essere almeno in parte contrastate con il mantenimento di abitudini motorie adeguate. Quali sono le patologie che possono facilitare i traumi nell’anziano? Le condizioni cliniche che promuovono maggiormente le cadute nella popolazione anziana sono la malattia di Parkinson e le demenze, a partire dall’Alzheimer, soprattutto nelle fasi pi? avanzate. E ci? sia per le caratteristiche intrinseche di queste patologie sia per la riduzione di vigilanza che possono determinare alcuni farmaci utilizzati per contrastarle. Altro problema diffuso sono cali di pressione improvvisi, spontanei o indotti da terapie antipertensive sempre abbastanza difficili da calibrare in et? avanzata. Non di rado poi, le cadute sono dovute a vertigini e alterazioni dell’equilibrio, fenomeni cerebrovascolari di lieve entit? o scompensi cardiometabolici, dalla sincope all’ipoglicemia. Un certo contributo viene anche dalla presenza di patologie vascolari periferiche e osteoarticolari che limitano le possibilit? di muoversi correttamente, come l’arteriopatia obliterante o l’artrosi agli arti inferiori, ma il loro impatto ? meno rilevante. Dormire male pu? aumentare i rischi? I disturbi del sonno sono una delle principali concause di incidente a qualunque et? e, a maggior ragione, negli anziani. Se non li si contrasta, ? l’inevitabile stanchezza diurna a promuovere le cadute. Se si assumono sonniferi o ansiolitici per porvi rimedio, possono essere gli effetti residui di questi farmaci a ridurre prontezza di riflessi e attenzione durante il giorno. Per questo ? essenziale informare il medico non soltanto della difficolt? a riposare adeguatamente, ma anche delle sensazioni sperimentate assumendo la terapia prescritta. Quali accorgimenti possono essere utili per aumentare la sicurezza all’interno della casa? Innanzitutto, ? indispensabile eliminare tutti i tappeti, compresi quelli antiscivolo con ventose da inserire nella vasca da bagno o nella doccia. Meglio installare maniglie alle pareti per offrire un supporto stabile. Quindi, vanno livellati i pavimenti tra una stanza e l’altra o tra superfici esterne e interne all’abitazione se sono presenti piccoli scalini oppure bordi degli stipiti sporgenti. Inoltre, andrebbero posti corrimano e strisce antiscivolo lungo le scale ed eliminati tutti gli ulteriori possibili ostacoli dai pavimenti, che non vanno trattati con cere o altri composti che possono renderli sdrucciolevoli n? lucidati. E per alzarsi e sedersi senza difficolt?? La soluzione ideale per l’anziano sono le sedie, ma devono essere comode, stabili e, possibilmente, con braccioli d’appoggio. Divani e poltrone sarebbero, invece, da evitare: sono troppo bassi e, oltre a mettere in difficolt? quando ci si alza, facilitano la perdita di equilibrio. Un problema analogo si ritrova in bagno, dal momento che quasi tutti i water installati nelle abitazioni sono troppo bassi, rendendo pi? difficili i movimenti. Ma rimediare ? semplice e non dispendioso: basta acquistare gli appositi “alza water” in plastica.
La posizione prona non determina, come faceva ritenere una metanalisi, un significativo beneficio in termini di sopravvivenza nei soggetti con sindrome da distress respiratorio acuto (Ards) n? in sottogruppi con ipossiemia da moderata a grave. Questo l’esito dello studio Prone-Supine II, un trial multicentrico in aperto, controllato e randomizzato, condotto in 23 centri in Italia? e in 2 in Spagna. I pazienti erano 342 adulti con Ards in ventilazione meccanica, stratificati in due sottogruppi, con ipossiemia moderata (n=192) e grave (n=150), e assegnati in modo randomizzato alla posizione supina (n=174) o prona (20 ore al giorno; n=168) durante la ventilazione. I pazienti in posizione prona e supina nell’intero studio ebbero simili tassi di mortalit? a 28 giorni (31,0% vs 32,8%; Rr 0,97; P = 0,72) e sei mesi (47,0% vs 52,3%; Rr 0,90; P = 0,33), sebbene il tasso di complicanze fosse maggiore nel gruppo prono. Anche gli esiti sono stati simili nei soggetti con ipossiemia da moderata a grave a 28 giorni (25,5% vs 22,5%; Rr 0,98; P=0,85) e a 6 mesi (42,6% vs 43,9%; Rr 0,98; P=0,85). La mortalit? a 28 giorni dei soggetti con grave ipossiemia era di 37,8% e 46,1% nei gruppi prono e supino, rispettivamente (P=0,31), mentre quella a 6 mesi era di 52,7% e 63,2% (P=0,19). (A.Z.)
Il primo trial umano di un vaccino contro il tumore alla prostata si ? rivelato in grado di stimolare in modo sicuro una risposta immunitaria utile in chiave anti tumore. ? quanto emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista Clincal Cancer Research, nella quale il vaccino, che consiste di un comune vettore adenovirale, ? stato testato a differenti dosaggi e con diverse modalit? di somministrazione. Nello studio sono stati arruolati 32 pazienti (et? media 71 anni, Psa medio 128 ng/mL), con metastasi avanzate e resistenza alle terapie, sia di prima che di seconda linea. Ciascun soggetto ha ricevuto una dose di vaccino e la maggior parte ? stata seguita fino a un anno dalla somministrazione? per valutare tossicit?, risposte immunitarie, modifiche nel tempo di raddoppio del Psa e sopravvivenza. La met? dei soggetti ha ricevuto il vaccino in sospensione acquosa o in una matrice collagenica Gelfoam. Il vaccino si ? rivelato sicuro a tutte le dosi e in tutte le somministrazioni. In pi? ? stata riscontrata una buona risposta immunitaria, con una risposta T-cell mediata nel 77% dei pazienti. Infine il 48% dei pazienti ha aumentato il tempo di raddoppio del Psa e il 55% dei pazienti ? sopravvissuto pi? a lungo di quanto previsto dal nomogramma di Halabi. Un risultato promettente, anche se rimane da stabilire la rilevanza clinica del vaccino, perch? precisa il responsabile della ricerca “il numero di pazienti ? troppo ristretto per evocare qualsiasi rilievo statistico definitivo”. Sar? questo l’obiettivo del trial di fase II. (M.M.)
Rilanciamo un articolo tratto da ?La Stampa Benessere? online.
Una nuova scoperta dei ricercatori del Boston Biomedical Research Institute presso l’Universit? della Pennsylvania apre la strada a nuove cure pi? efficaci contro le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, la corea di Huntington e la malattia di Parkinson. Una sostanza contenuta nel t? verde agirebbe in combinazione con un’altra nel distruggere gli amiloidi, le placche proteiniche che si ritengono coinvolte nella distruzione dei neuroni. Lo studio ? stato pubblicato sulla rivista “Nature Chemical Biology”.
Agiscono in sinergia, come una squadra ben affiatata, e riescono a sconfiggere gli amiloidi ? le placche proteiniche che si ritengono coinvolte nella distruzione dei neuroni nel cervello. Ed ? grazie a una nuova scoperta dei ricercatori del Boston Biomedical Research Institute (BBRI) presso l’Universit? della Pennsylvania che si potranno aprire nuove vie nella ricerca di cure pi? efficaci contro malattie degenerative come l’Alzheimer, la corea di Huntington e la malattia di Parkinson.
Cos? come riportato dalla rivista scientifica “Nature”, il dr. Martin Duennwald ? co-autore dello studio ? ha dichiarato che ?Questi risultati sono significativi, perch? ? la prima volta che una combinazione di prodotti chimici specifici ? riuscita a distruggere diverse forme di amiloidi allo stesso tempo?. Precedentemente, il dr. Duennwald aveva dimostrato come l’esposizione a sostanze chimiche come l’EGCG e DAPH-12 utilizzati separatamente inibissero la produzione di amiloidi nel lievito. In questo nuovo studio, i ricercatori hanno esposto all’EGCG due diverse strutture di amiloidi ? una debole e una forte – prodotte nel lievito. Dai risultati ottenuti per? si ? evidenziato come l’EGCG agisse unicamente contro la struttura pi? debole di amiloidi e non contro la seconda, pi? forte, che si era addirittura pi? rafforzata. Ma la scoperta pi? interessante si ? avuta quando gli amiloidi sono stati esposti alla combinazione di EGCG e DAPH-2; in questo caso si ? verificata la totale dissoluzione di tutte e due le strutture, debole e forte. Commentando i nuovi risultati il dr. Duennwald ha detto che, nonostante siano necessari studi pi? approfonditi per comprendere appieno gli effetti di queste due sostanze sugli amiloidi, questo studio apre nuove e interessanti porte verso terapie che possano contrastare direttamente e specificatamente gli amiloidi coinvolti nelle malattie del cervello. (lm&sdp)
Source: lo studio ? stato pubblicato sulla rivista “Nature Chemical Biology”.
Fonti: Roberts BE, Duennwald ML, Wang H, Chung C, Lopreiato NP, Sweeny EA, Knight MN, Shorter J. A synergistic small-molecule combination directly eradicates diverse prion strain structures. Nat Chem Biol. 2009 Dec;5(12):936-46. Epub 2009 Nov 1.
Un gruppo di ricercatori indiani ha condotto uno studio prospettico per valutare il ruolo della Clamidia ( Chlamydia trachomatis ) nell?infertilit? secondaria.
Sono state studiate per la presenza passata o presente di Chlamydia trachomatis 40 donne con infertilit? secondaria e 30 donne sane con gravidanza a termine, di et? simile. Le donne con infertilit? secondaria sono state arruolate come pazienti nello studio, le donne sane sono state considerate gruppo di controllo.
Con il saggio ELISA ? stata identificata la presenza di immunoglobuline G ( IgG ) per la Clamidia, e un titolo uguale o superiore a 1:320 ? stato considerato positivo. Sono stati raccolti tamponi endocervicali per coltura su linee cellulari McCoy trattate con Cicloesimide, e il saggio ELISA ? stato utilizzato per identificare l?antigene della Clamidia. ? stata effettuata anche una isterosalpingografia per valutare la perviet? delle tube.
Era attesa una differenza nella prevalenza di infezione da C. Trachomatis nelle donne non fertili del gruppo di studio e in quelle fertili del gruppo controllo.
Gli anticorpi IgG sono risultati presenti nel 55% delle donne con infertilit? secondaria mentre la positivit? ? stata rilevata nel 5,5% dei controlli.
L?occlusione delle tube si ? manifestata nel 63,6% dei casi positivi per anticorpi anti-Clamidia. La sensibilit? degli anticorpi IgG anti-Clamidia come marcatore diagnostico di infertilit? ? stata del 72,7% e la specificit? del 44,4%. Il 77,2% dei casi positivi per gli anticorpi IgG anti-Clamidia era sintomatico.
Una storia ostetrica sfavorevole ? stata riscontrata nel 72,7% dei casi. L?infezione attiva ? stata riscontrata nel 30% dei casi con il 3,3% di infezione in corso nel gruppo controllo.
In conclusione, la prevalenza di infezioni da Clamidia nel passato ? risultata statisticamente significativa nelle donne con infertilit? secondaria cos? come quella di infezioni in corso. La ricerca di anticorpi IgG si ? rivelata un metodo efficace e non invasivo per l?identificazione di Clamidia. Lo screening di donne con infertilit? secondaria per C. Trachomatis ? fortemente raccomandato per poter attuare interventi terapeutici precoci.
Il trattamento aggiuntivo alla monoterapia con statine con l?obiettivo di modificare il profilo lipidico pu? comprendere la terapia di combinazione tesa ad aumentare i livelli di colesterolo HDL o ad abbassare ulteriormente i livelli di colesterolo LDL.
Per verificare la validit? dei due approcci sono stati arruolati pazienti con malattia coronarica o a rischio di coronaropatia, che erano da lungo tempo in trattamento con una statina, e che avevano raggiunto livelli di colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl ( 2.6 mmol per litro ) e livelli di colesterolo HDL inferiori a 50 mg/dl per gli uomini o 55 mg/dl per le donne ( 1.3 o 1.4 mmol per litro, rispettivamente ).
I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Niacina a rilascio prolungato ( dosaggio target: 2.000 mg/die; Niaspan ER ) oppure Ezetimibe ( 10 mg/die; Ezetrol, Zetia ).
L?endpoint primario era rappresentato dalla differenza tra i gruppi nel cambiamento, rispetto al basale, dello spessore dell?intima-media dell?arteria carotide comune dopo 14 mesi.
Lo studio ? stato interrotto precocemente, sulla base dell?efficacia, dopo un?analisi prespecificata condotta su 208 pazienti, che avevano completato lo studio.
Il livello medio di colesterolo HDL nel gruppo Niacina ? aumentato del 18.4%, a 50 mg/dl ( p<0.001 ), e il livello medio di colesterolo LDL nel gruppo Ezetimibe si ? ridotto del 19.2%, a 66 mg/dl ( 1.7 mmol per litro ) ( p<0.001 ).
La terapia con Niacina ha ridotto in modo significativo il colesterolo LDL e i trigliceridi; Ezetimibe ha ridotto il colesterolo HDL e i trigliceridi.
Rispetto ad Ezetimibe, la Niacina ha mostrato una maggiore efficacia riguardo al cambiamento nello spessore intima-media carotideo nell?arco dei 14 mesi. ( p=0.003 ), con una significativa riduzione sia nel valore medio ( p=0.001 ) dello spessore intima-media sia in quello massimale ( p minore o uguale a 0.001 per tutti i confronti ).
In modo paradosso, le maggiori riduzioni nei livelli di colesterolo LDL in associazione al trattamento con Ezetimibe sono risultate associate, in modo significativo, ad un aumento dello spessore dell?intima-media dell?arteria carotide ( R=-0.31; p<0.001 ).
L?incidenza di eventi cardiovascolari maggiori era pi? bassa nel gruppo Niacina che nel gruppo Ezetimibe ( 1% versus 5%; p=0.04 mediante test del chi-quadrato ).
Lo studio ha dimostrato che l?impiego di Niacina extended-release, in associazione ad una statina, causa una significativa regressione dello spessore intima-media carotideo, e che la Niacina ? superiore ad Ezetimibe.
Taylor AJ et al, N Engl J Med 2009; Published online
L?eiaculazione prematura ? una comune disfunzione sessuale negli uomini, ed ? associata a stress per gli uomini stessi e le loro partner.
I fattori alla base dell?eiaculazione precoce non sono ben definiti, ma la serotonina ( 5-idrossitriptamina , 5-HT ) svolge un importante ruolo a livello del sistema nervoso centrale nei complessi meccanismi di regolazione coinvolti nell?eiaculazione.
Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ( SSRI ), come Fluoxetina ( Prozac ), Paroxetina ( Seroxat ), Sertralina ( Zoloft ), e gli antidepressivi triclici Clomipramina ( Anafranil ), aumentano il controllo eiaculatorio e ritardano l?eiaculazione negli uomini affetti da eiaculazione prematura.
Poich? questi farmaci per il loro profilo farmacocinetico trovano indicazione elettiva nel trattamento cronico dei disturbi psichiatrici, il loro impiego nell?eiaculazione precoce potrebbe non essere appropriato, proprio per l?uso episodico richiesto dall?eiaculazione prematura.
E? in sviluppo la Dapoxetina per il trattamento dell?eiaculazione precoce. La domanda di autorizzazione alla commercializzazione ? stata tuttavia respinta dall?Agenzia Federale statunitense, FDA, nel 2005. Alla base ci sarebbero problemi di sicurezza, poich? la Dapoxetina ? un inibitore della ricaptazione della serotonina. Sono stati valutati gli inibitori delle 5-fosfodiesterasi per la loro azione anestetica livello topico.
Giuliano F, Hellstrom WJ, BJU Int 2008; Epub ahead of print