Divisi sulla mammografia a partire dai 50 anni

Secondo alcuni esperti americani, lo screening mammografico per diagnosi precoci di cancro al seno non deve essere effettuato prima dei 50 anni. Questa la principale indicazione contenuta nel recente aggiornamento delle linee guida Uspstf
L’aggiornamento delle linee guida linee guida Uspstf (U.S. preventive services task force), in parte dovuto al lavoro di Jeanne S. Mandelblatt del Lombardi Comprehensive Cancer Center di Washington, oltre a innalzare da 40 a 50 anni l’et? minima in cui ? consigliato effettuare per la prima volta l’esame mammografico, invita anche le donne tra i 50 e i 74 anni a sottoporsi a questo tipo di valutazione diagnostica ogni due anni, anzich? ogni anno come, invece, avviene ora. Secondo gli esperti Uspstf, la decisione di iniziare i test mammografici prima dei 50 anni dovrebbe riguardare casi individuali e andrebbe presa alla luce di attente analisi dei vantaggi e dei rischi di tale approccio. A sottolineare come negli Stati Uniti si intenda, da oggi, modificare la strategia di prevenzione e lotta al carcinoma della mammella ?, infine, la decisione della commissione americana di eliminare l’esplorazione della mammella. L’autopalpazione, infatti, non offrirebbe informazioni aggiuntive rispetto all’esame mammografico anche quando eseguita dal medico. Quest’ultimo, quindi, non sar? pi? tenuto a istruire le donne su come effettuarla.

Le nuove indicazioni hanno sollevato un acceso dibattito che vede suddivisa la comunit? scientifica in due schieramenti: da un lato coloro che, come gli autori, ritengono che, pur mantenendo gli stessi vantaggi diagnostici, portando a 50 anni il momento in cui incominciare periodici controlli mammografici, si ridurrebbero soprattutto ansia e risvolti psicologici negativi conseguenti ai falsi-positivi. Sull’altro fronte, molti oncologi secondo cui le raccomandazioni Uspstf farebbero aumentare il rischio di non diagnosticare in tempo molti casi di tumore al seno. “In numerosi studi scientifici ? stato dimostrato, in maniera rigorosa, che lo screening mammografico riduce significativamente l’incidenza di morte per carcinoma della mammella nelle donne di et? compresa tra i 40 e i 74 anni” ha commentato Daniel B. Kopans, professore di Radiologia presso la Breast Imaging Division del Massachusetts General Hospital di Boston. Sul fronte italiano da registrare il parere opposto di Marco Venturini, presidente eletto Aiom, secondo il quale: “Nelle quarantenni l’incidenza di tumore della mammella ? relativamente bassa. ? il gruppo delle donne sessantenni, infatti, quello in cui si verificano maggiori casi di carcinoma mammario e, per il quale, quindi, lo screening risulta pi? vantaggioso”.

Ann Intern Med. 2009 Nov 17;151(10):716-26, W-236

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Dimero D utile per diagnosi di alterazioni venose

L’analisi dei livelli del dimero D consentirebbe diagnosi differenziali delle malformazioni venose. ? quanto stabilito in uno studio che ha coinvolto il Centre Hospitalier Universitaire di Caen e il Center for Vascular Anomalies, Universit? catholique de Louvain di Brussel. L’indagine si ? basata sulla valutazione dei risultati di esami Doppler e di analisi della coagulazione riguardanti 280 pazienti. Malformazioni venose sono state registrate in 195 partecipanti, di cui 83 presentavano livelli elevati del dimero D. La sensibilit? del dosaggio del dimero D? ? apparsa del 42,6%. Negli 85 pazienti non affetti da scompensi venosi, la concentrazione del dimero ? risultata elevata solo in 3 pazienti, con una specificit? del test pari al 96,5%. “Poich? il test per la quantificazione dei livelli del dimero D, oltre a essere estremamente semplice ed economico, risulta altamente specifico per la diagnosi di malformazioni venose, dovrebbe essere inserito di routine nella pratica clinica” ha dichiarato Anne Dompmartin, principale autore dello studio. “Con questo test possono, infatti, essere identificate alterazioni venose nascoste e si pu? discriminare tra malformazioni glomerulari (con livelli normali del dimero) e altre lesioni multifocali”.
Archives of Dermatology 2009, 145, 11, 1239-1244

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Marcatore sierologico di pancreatite autoimmune

? frutto della collaborazione tra ricercatori dell’Universit? di Verona, quella di Genova e l’Istituto Gaslini della citt? ligure l’identificazione di un anticorpo presente nella maggior parte dei pazienti con pancreatite autoimmune e assente in quasi tutti quelli con cancro del pancreas. Tale anticorpo ? diretto contro una particolare porzione della proteina Pbp (Plasminogen binding protein) dell’Helicobacter pylori che presenta una similitudine con una proteina umana, la Ubr2 (Ubiquitin-protein ligase E3 component recognin 2) presente nelle cellule acinari del pancreas. ? un esempio del cosiddetto “mimetismo molecolare”, uno dei possibili meccanismi attraverso cui un agente infettivo pu? indurre una malattia autoimmune. Analizzando una raccolta di campioni sierici dai pazienti, gli autori hanno notato gli anticorpi anti-Pbp che, nel complesso, sono risultati positivi in 33 su 35 soggetti con pancreatite autoimmune (94%) e in 5 su 100 con cancro pancreatico (5%). “Dal punto di vista clinico, questo test ? importante perch? aiuta a discriminare le due patologie” sottolineano i ricercatori. “Alcuni soggetti, infatti, si sottopongono a intervento chirurgico nel sospetto di neoplasia, invece sono affetti da una pancreatite autoimmune che risponde molto bene ai cortisonici”.
New England Journal of Medicine, 2009; 361:2135-2142

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Sla, aggiornate le linee guida

are il punto sui vantaggi offerti ai pazienti affetti da sclerosi amiotrofica laterale (Sla) dalle terapie attualmente disponibili. Questo il principale obiettivo di due lavori apparsi su Neurology che, attraverso un?approfondita analisi di studi pubblicati tra il 1998 e il 2007, forniscono un aggiornamento delle linee guida Sla, la cui ultima versione risale al 1999. In particolare, il primo traccia una panoramica dei trattamenti farmacologici, respiratori e nutrizionali mentre il secondo si focalizza sugli interventi assistenziali per la gestione della sintomatologia e delle alterazioni cognitive e comportamentali dei pazienti Sla.

Come migliorare la qualit? di vita

Pur essendo stati compiuti numerosi sforzi per mettere a punto specifici trattamenti per gli individui affetti da Sla, molti di questi vengono purtroppo ancora poco utilizzati. Questa la valutazione conclusiva di Robert G.Muller, principale autore di entrambi gli articoli apparsi su Neurology. Muller e collaboratori, dopo aver valutato 56 trial, raccolgono, quindi, tutta una serie di raccomandazioni per una migliore e pi? appropriata gestione di questa malattia. In particolare, gli autori suggeriscono, non solo, il ricorso al riluzolo allo scopo di rallentare la progressione della malattia, ma ribadiscono i benefici della gastrostomia endoscopica percutanea per la stabilizzazione del peso del paziente e della ventilazione non invasiva per il trattamento dell?insufficienza respiratoria, entrambi finalizzati non solo a migliorare la qualit? della vita dei pazienti ma soprattutto a prolungarne la durata. In aggiunta, viene sottolineata l?importanza di un inizio precoce della ventilazione non invasiva per incrementare la compliance. ?Ulteriori studi saranno necessari per stabilire il test pi? efficace di funzionalit? respiratoria; il periodo migliore per iniziare la gastronomia endoscopica percutanea e l?effetto di supplementazioni di vitamina D nei pazienti Sla? ha dichiarato Muller.

Analisi della funzioni cognitive

In seguito all?analisi di altri 40 studi di letteratura, gli autori hanno ritenuto opportuno evidenziare, innanzitutto, l?importanza di far riferimento a Centri clinici multidisciplinari nella gestione della sclerosi laterale amiotrofica. In aggiunta, ? stata ribadita l?utilit?, in caso di scialorrea, dell?impiego della tossina botulinica B e dell?irradiazione a basse dosi delle ghiandole salivari. Infine, poich? molti dei pazienti Sla mostrano alterazioni cognitive che, in alcuni casi, possono essere identificate con quelle tipiche della demenza, la valutazione delle funzioni intellettive e di specifici parametri comportamentali rivestono una grande importanza per tali pazienti. ?Le nuove linee guida intendono, oltre che uniformare i medici nella gestione dei pazienti Sla, dare maggiore valore a quanto finora si ? fatto per offrire un vero supporto ai pazienti e ai loro familiari? ha commentato Raymond P. Roos professore di Neurologia presso l?Universit? di Chicago.

(Jama 2009, 302, 21, 2303-2304, Neurology 2009, 73, 1218-1226, Neurology 2009, 73, 1227-1233)

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Anemia falciforme, migliora il trapianto di midollo

Anche per gli adulti affetti da anemia falciforme si potr? probabilmente ricorrere, tra non molto tempo, al trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche senza il rischio di effetti tossici e di malattia del trapianto contro l’ospite (Gvhd). A sottolinearlo sono i risultati di uno studio apparso di recente su New England Journal of Medicine, riguardanti la messa a punto di uno specifico protocollo in questi pazienti. In particolare, 10 individui, di et? compresa tra 16 e 45 anni, con anemia falciforme severa, sono stati sottoposti a irradiazione totale e al trattamento con alemtuzumab, prima del trapianto di cellule CD34+, e alla somministrazione di sirolimus al termine di quest’ultimo. Dopo un follow-up medio di 30 mesi, tutti i pazienti sono rimasti in vita e nove hanno mostrato un innesto stabile che ? stato in grado di revertire il fenotipo patologico, con una percentuale di linfociti CD3+ e di cellule CD14+15+ del 53,3?8,6% e 83,3?10,3%, rispettivamente. I livelli di emoglobina prima del trapianto di midollo e al termine del follow-up sono risultati pari a 9,0?0,3 e 12,6?0,5 g/dL rispettivamente. Sindrome da astinenza da narcotici, polmonite e artralgia, questi i principali eventi avversi. (L.A.)

Nejm 2009, 361:2309-2317

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La vitamina D, dalle ossa al cuore

La carenza di vitamina D non favorisce solo l?osteoporosi, ma anche le patologie cardiovascolari. Lo sostiene uno studio condotto seguendo per un anno pi? 27.000 persone dai 50 anni in su, che ha dimostrato come nelle persone con deficit di questa sostanza il rischio di malattie cardiovascolari e morte pu? aumentare fino all?80 per cento. ?Coloro che avevano valori molto bassi di vitamina nel sangue avevano il 77 per cento di probabilit? in pi? di morire, del 45 per cento in pi? di sviluppare una patologia coronarica e del 78 per cento di avere un ictus rispetto a coloro che avevano livelli ematici normali di vitamina? spiega Heidi May, dell?Intermountain Medical Center. ?Non sappiamo se c?? un legame diretto di causa ed effetto ma ? probabile che ci sia un legame meno forte anche quando la carenza ? meno grave?. Si aspettano gli esisti di due grandi trial attualmente in corso, ma secondo gli esperti gi? fin d?ora si pu? dire che il ruolo della vitamina D nelle malattie di cuore ? maggiore di quello di altri integratori. Non ? raro trovare chi ne ? carente, soprattutto tra chi non si espone mai al sole.

Fonte: Scientific sessions dell?American Heart Association, Orlando, Florida

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Patologie mentali e consenso informato: che fare?

Con l?instaurarsi di patologie mentali irreversibili ed ingravescenti, come la difettualit? psicotica, la demenza, ? possibile dare seguito e corso ad eventuale consenso o dissenso informato? Se lo domanda un editoriale pubblicato dalla Rivista di Psichiatria.
La perdita delle facolt? mentali da parte di un soggetto in via transitoria o definitiva, parziale o totale, impone la presenza immediata di una figura responsabile familiare o istituzionale che comunque tuteli e garantisca non solo gli interessi economici, ma anche e soprattutto quelli morali, al fine di rendere certo il diritto al consenso, ma anche e forse soprattutto quello al dissenso. ? facile intuire come il passaggio consenso informato> dissenso informato> consenso negato sia brevissimo pur nella sua enormit? di effetto. Il Comitato Nazionale per la Bioetica istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha affermato: ?Una persona, nel pieno possesso delle proprie facolt? mentali esprime la sua volont? o incarica terzi di eseguire la sua volont? in ordine ai trattamenti ai quali vorrebbe o non vorrebbe essere sottoposto, nell?eventualit? in cui, per effetto del decorso di una malattia o di traumi improvvisi, non fosse pi? in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato?.
Due le grandi obiezioni:
1. la prima di ordine generale che riguarda l?attualit? del consenso. Viene infatti considerato non attuale il consenso, qualunque consenso, dato non in prossimit? del motivo per il quale ? ritenuto necessario. Sarebbe come dire che il consenso non ? valido ora per allora, ma solo ora per ora, che apre una voragine, faticosamente da poco tempo, superata per quanto riguarda la donazione di organi.
2. la seconda obiezione ? relativa alle malattie mentali. Infatti il concetto di pieno possesso delle proprie facolt? mentali impone:
a. La definizione di ?pieno possesso delle proprie facolt? mentali?? in funzione del consenso informato.
b. La moltitudine di precisazioni e distinguo tra pieno possesso e possesso parziale, pur tuttavia ancora sufficiente e possibile per esprimere consenso o dissenso informato. Pu? equivalere alla capacit? di testare?
c. In quale momento della vita, da parte di chi e come, il pieno possesso delle facolt? mentali deve essere dichiarato presente e certificato? Ed ancora deve essere certificato sempre e per tutti oppure solo per alcuni pu? essere considerato implicito e invece deve essere certificato solo nei casi controversi o dubbi?
d. Quali patologie (psichiatriche e psicologiche) debbono e possono essere incluse o escluse dal concetto di pieno possesso delle facolt? mentali relativamente solo alla salute e/o al consenso ed in quale momento dal loro verificarsi e/o dal loro scemare, come nel caso di un intervento terapeutico, possono considerarsi ripristinate?
e. Nel caso di malattie organiche non mortali fuori dal cervello (malattie dismetaboliche, SLA, etc?), quali sono quelle da considerare in grado o non in grado di alterare il ?pieno possesso delle proprie facolt? mentali? e quali tra quelle mortali, sempre fuori dal cervello? Ed una persona, che viene a conoscenza di avere una malattia mortale, deve essere considerata con immutato possesso delle proprie facolt? mentali anche in assenza di patologie psichiatriche o psicologiche dichiarate? Ed egualmente la presenza di una malattia mortale all?interno del cervello, anche se non altera apparentemente le facolt? mentali, in che misura il possesso delle facolt? mentali pu? essere considerato presente nella persona?
f. In corso di malattia mentale la persona pu? cambiare idea ed esprimere parere difforme rispetto a quanto dichiarato in precedenza quando era ancora in possesso delle proprie facolt? mentali a quale momento si deve dare credito? Si deve considerare valido e informato il consenso dato prima della malattia mentale e smentito dopo, in corso di malattia, quando la persona non ? pi? in possesso delle proprie facolt? mentali? Perch? se questo ? vero deve poter essere vero anche il contrario e cio? la possibilit? di esprimere consenso anche in assenza e dopo la perdita delle facolt? mentali.

Relativamente al solo consenso informato, in corso di malattie mentali, questa problematica risulta parzialmente risolta e superata soltanto per quanto riguarda il ricovero e la cura con espropriazione del diritto. Infatti quando accade che si determini un?alterazione della coscienza di malattia, per cui la persona aderisce e crede ai propri sintomi allucinatori e/o persecutori e/o di disperazione e/o di rovina e quindi si oppone e contrasta alla loro identificazione patologica e per la quale si rende necessaria sia la tutela mediante un ricovero anche quando rifiutato, sia la necessit? di imporre delle cure anche contro la sua volont?, interviene, in tal senso, l?istituto giuridico del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) previsto con la Legge 18 maggio 1978 n.180. Questa modalit?, che transita attraverso una garanzia ed un percorso sanitario (due medici diversi, uno proponente, uno disponente) ed una garanzia e percorso istituzionale (Sindaco e Giudice Tutelare), in verit? non rappresenta quasi mai il malato, nella sua dignit? di persona, perch? nei suoi confronti viene messa in atto la tutela medica senza tener conto della tutela psicologica e morale precedente la malattia. Tutto questo ? stato recepito e parzialmente superato con la Legge del 6 febbraio 2004 con la quale ? stata istituita la figura giuridica dell?Amministratore di Sostegno, che pu? essere predeterminato e scelto dalla persona stessa o in un tempo precedente la malattia o nell?intervallo libero di essa o in corso della stessa o scelto d?ufficio. Nonostante alcuni anni siano passati non sempre risulta agevole l?utilizzo di questo strumento, perch? non sempre applicato in modo pronto ed efficace per le difficolt? create ed opposte dai giudici tutelari che non sempre tendono ad agevolarlo. La persona che per un motivo qualsiasi perde il controllo dello stato di coscienza entra automaticamente all?interno della categoria di malato mentale e perde la sua storicit? volitiva oltre la validit? del gi? testimoniato dovendolo confermare ed essendo nell?impossibilit? di poterlo fare. Tutto questo, come gi? detto, non sempre trova nei giudici tutelari l?ago della bilancia per stabilire i confini tra queste due funzioni.
Si pu? pertanto ipotizzare che, per quanto attiene problematiche connesse al testamento biologico ed alla eutanasia, il percorso sia e possa essere lungo, mentre sembra possibile pensare che per quanto riguarda esclusivamente la malattia mentale, dovendo il TSO transitare all?interno di una attenzione obbligatoria del Sindaco e del Giudice Tutelare, contestualmente quest?ultimo potrebbe procedere alla nomina dell?amministratore di sostegno che vedrebbe cos? sollevati ad un tempo sia i pazienti e i loro familiari che i medici. In altre parole la proposta sarebbe quella di nominare un amministratore di sostegno da parte del Giudice Tutelare contestualmente alla autorizzazione al ricovero. Tenuto conto che all?incertezza giuridica non corrisponde l?incertezza volitiva della persona che seppure in stato di incapacit? ha diritto di vedere soddisfatto il proprio progetto esistenziale. Imparare a riflettere sulla fine della vita, e dei suoi accadimenti, anche solo ipotetici e pi? terribili, quando l? integrit? del corpo e della mente ed il benessere sono totali permette di fronteggiare euforie, non sempre infantili di onnipotenza e di immortalit?, per favorire vissuti di gratitudine nei confronti della vita stessa, come attivit? unica e miracolosa di ogni singolo soggetto, resa ancor pi? autentica anche contemplando la sua dinamica evoluzione nel morire.
Fonte: Piccione M. Dal consenso informato al consenso negato. Rivista di Psichiatria 2009; 44(5): DOI? 10.1708/453.5352

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L?enigma della prevenzione cardiovascolare dimenticata

Italiani ancora molto poco consapevoli del rischio cardiovascolare, pigri e abitudinari nel cambiare lo stile di vita o nell?ascoltare i consigli e le prescrizioni del medico. Lo rileva una recentissima indagine GFK Eurisko su un campione rappresentativo della popolazione italiana (800 persone dai 18 anni in su). I risultati dell?indagine, presentati a Milano nel corso dell?evento ?Cuore. L?enigma della prevenzione dimenticata? hanno disegnato l?identikit del rischio cardiovascolare, fotografando la realt? e il comportamento degli italiani a basso, medio e alto rischio. Il dato pi? allarmante riguarda ci? che hanno dichiarato gli intervistati che hanno gi? subito un evento cardiovascolare: oltre il 50% dei casi non si sottopone a controlli regolari, l?83% non fa attivit? fisica e il 70% non fa attenzione all?alimentazione.
Guarda lo speciale video dell’evento con interviste e approfondimenti (durata 10’07”)
?Secondo lo schema di riferimento del rischio cardiovascolare globale disegnato per l?Italia dal Progetto Cuore”, spiega Ovidio Brignoli, medico di Medicina Generale, “tra i fattori di rischio quali i livelli troppo elevati di colesterolo LDL, la sedentariet?, l?obesit? e l?ipertensione arteriosa non vi ? un fattore pi? importante degli altri ma tutti insieme concorrono a determinare l?entit? del ?rischio globale?, ovvero la possibilit? che una persona ha di subire, nei successivi dieci anni, eventi cardiovascolari quali infarto del miocardio o ictus cerebrale. E? il medico che valuta il profilo di rischio effettivo di ogni soggetto, anche utilizzando parametri meno noti, come i livelli di proteina C reattiva, l?indice ABI caviglia braccio, o prescrivendo un test eco-color doppler delle arterie carotidi. In tutti i soggetti, ma soprattutto nelle persone a rischio intermedio gli interventi sullo stile di vita, sui comportamenti, e le terapie farmacologiche preventive come quelle anti-lipemizzanti assumono un?importanza strategica?. Solo il 40% di coloro che hanno un basso rischio cardiovascolare fa qualcosa per prevenire le malattie cardiovascolari mentre oltre il 60% non segue un?alimentazione controllata, nel 70% dei casi non fa attivit? fisica (le donne, in particolare, risultano le pi? sedentarie con il 61%) e solo il 10% dei casi effettua controlli regolari. Se si fa parte di circa il 30-35% degli italiani a medio rischio le cose non migliorano: solo il 34% fa attenzione all?alimentazione evitando alcuni cibi e la percentuale di intervistati che fa prevenzione non supera il 50%. Il rischio ? in agguato anche quando non lo sospettiamo, come dimostrano i dati del recente studio scientifico internazionale JUPITER (Justification for the Use of statins in Primary prevention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin), condotto su oltre 17 mila pazienti. Anche se la pressione arteriosa ? normale, la glicemia ? a posto e perfino il colesterolo non ? elevato, si pu? ugualmente correre il rischio di subire un infarto o un ictus. Anzi, met? degli eventi cardiovascolari si verificano proprio nelle persone con livelli normali di colesterolo cattivo LDL. Persone che gli specialisti definiscono a medio rischio, di una certa et?, magari sedentarie, ma che, per il resto, non presentano altro di preoccupante tranne un indice di infiammazione a carico delle arterie (il valore ematico della proteina C reattiva – PCRhs).
Andrea Macchi, Responsabile Unit? Funzionale Cardiologia-Emodinamica Ospedale San Raffaele Milano, spiega: “Gli elevati livelli di colesterolo LDL rappresentano un fattore di rischio molto importante. Il guaio ? che la dislipidemia non fa male, non provoca dolore non viene quindi percepita come una fonte di pericolo. Ancora una volta, quindi, la soluzione risiede nella conoscenza e nell?educazione: occorre sapere che vi sono molti rischi ?silenziosi?, che non causano dolore, ma che non per questo sono meno importanti dal punto di vista del rischio?. Il colesterolo va sempre tenuto sotto controllo e, se necessario, ridotto fino ai livelli ottimali indicati dalle Linee Guida, con una particolare attenzione verso le persone a maggior rischio. In questo senso, la diminuzione dei livelli di C-LDL nel sangue con le statine ? uno degli strumenti principali per evitare o ridurre il rischio cardiovascolare. Quando per il medico non ? sufficiente o efficace agire sui fattori di rischio quali la sedentariet?, l?abitudine al fumo o la cattiva alimentazione, o quando i livelli di colesterolo LDL sono elevati ? importante aderire con regolarit? alla prescrizione di un farmaco efficace e ben tollerato per abbassare i livelli di colesterolo, come per esempio rosuvastatina. Ma dall?indagine GFK-Eurisko ? emerso che l?aderenza alle prescrizioni del medico ? ancora molto bassa: solo l?85% degli italiani in cura per la riduzione del rischio cardiovascolare assume con regolarit? i farmaci. Non solo, il 22% si dimentica qualche volta di assumerli o il 9% interrompe la terapia per un certo periodo senza consultare il medico. ?Queste evidenze sono confermate anche da un recente studio presentato in occasione del congresso annuale dell?Associazione dei cardiologi ospedalieri, ANMCO. Di recente”, spiega Gian Piero Perna, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiologiche Mediche e Chiurgiche A.O. Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, “? stato portato a termine un vasto studio osservazionale italiano dall?acronimo emblematico ?SORPRESA?, condotto su pazienti che avevano ricevuto la prescrizione di una statina dopo le dimissioni da un ricovero per cause cardiovascolari. Una delle ?sorprese?, appunto, ? che se tutti ormai sanno che questi pazienti vadano trattati con terapie anti-lipemizzanti, ? risultato che solo il 36% raggiungeva il target minimo dei livelli di colesterolo LDL. Non solo, ma pi? di un terzo non aveva smesso di fumare, pi? di met? era rimasta sedentaria e cos? via. Ebbene, una delle cause, una delle soluzioni dell?enigma ? la limitatezza del tempo dedicato al paziente per far comprendere l?importanza della prevenzione?. ?Per quanto riguarda i farmaci, pesano sostanzialmente due fattori: l?idea sbagliata che l?assunzione di un farmaco costituisca una sorta di aggressione, una sostanza ?estranea? che si deve introdurre nell?organismo e il fatto che le terapie per la prevenzione, come quelle basate su statine per il controllo del colesterolo, siano inevitabilmente terapie croniche, per ottenere un effetto che non ? immediatamente visibile”, chiarisce Macchi.”Al contrario ? visibilissimo il farmaco, che rappresenta uno strumento per vivere di pi? e meglio. ? uno dei mezzi per non andare incontro a patologie gravissime?.

Fonte: Indagine GFK-Eurisko ?Il rischio cardiovascolare: le conoscenze, i comportamenti preventivi e la compliance dei pazienti?, 27 Novembre 2009.

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Meno sindrome metabolica con dieta mediterranea

Caratterizzata da alimenti di origine vegetale, pesce e olio di oliva, la dieta mediterranea ha un importante ruolo nella prevenzione della sindrome metabolica. Queste le conclusioni dello studio pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition in cui gli autori, prendendo in esame 2.730 individui non diabetici di et? media pari a 54 anni, hanno valutato la protezione offerta da un’alimentazione di tipo mediterraneo nei confronti dello sviluppo di condizioni metaboliche, che rappresentano fattori di rischio per il diabete 2 e malattie cardiovascolari. Dopo un follow-up medio di sette anni, l’osservanza di abitudini alimentari mediterranee ? risultata associata a una riduzione di: resistenza all’insulina secondo il modello Homa (homeostatis model assessment), circonferenza vita, livelli plasmatici di glucosio a digiuno e trigliceridi. Per i consumatori assidui di cibi mediterranei ? stata, inoltre, registrata una minore incidenza di sindrome metabolica rispetto a coloro che ne hanno fatto scarso impiego (38,5% vs 30,1%; P = 0,01). (L.A.)

Am J Clin Nutr. 2009;90(6):1608-14

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Farmaci: freddo intenso influenza alcune terapie, consigli da esperti

(Adnkronos Salute) – Freddo intenso nemico di molti malati in cura con farmaci che alterano la termoregolazione dell’organismo, con rischi soprattutto di ipotermia. Per questi pazienti – che seguono in genere terapie psichiatriche, neurologiche, ma anche cure per tenere sotto controllo la pressione – con l’arrivo di temperature al di sotto della media stagionale anche i trattamenti vanno riadattati, analizzando il problema caso per caso con l’aiuto del medico di fiducia. Il consiglio arriva dall’Agenzia francese del farmaco (Afssaps) che ha diffuso un documento sul tema
Gli esperti sottolineano che in questi casi non possono esserci regole generali, ma si deve tener conto che per alcune categorie di farmaci esistono rischi. Ecco quali:
1) I medicinali che possono aggravare l’ipotermia alterando la termoregolazione centrale sono i neurolettici, i barbiturici e le benzodiazipine. Mentre peggiorano l’ipotremia alterando la termoregolazione periferica, perch? limitano la risposta vasocostrittrice, certi antidepressivi e tutti i vasodilatatori;
2) Possono indurre direttamente l’ipotermia, invece, alcuni neurolettici;
3) Il freddo, inoltre, riduce l’assorbimento dei principi attivi somministrati con cerotti o per via sottocutanea;
4) Sedativi e benzodiazipine, invece, possono indirettamente aggravare gli effetti delle basse temperature riducendo la vigilanza rispetto alla sensazione di freddo.
Pi? a rischio gli anziani, che spesso usano diversi medicinali, ma anche le persone che lavorano all’aria aperta e i senza tetto. Tra i malati particolare attenzione, sottolineano gli specialisti francesi, deve essere riservata ai pazienti con malattie cardiovascolari, respiratorie, tiroidee, malattie neuropsichiatriche, persone con postumi di traumi e paralisi. Importante, inoltre, la buona conservazione e il buon uso, da parte dei diabetici, di lettori della glicemia e dei loro reattivi quando le temperature sono particolarmente rigide

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