Nuove regole per la mammografia?

Secondo il recente parere di studiosi oltreoceano, solo le donne pi? a rischio devono incominciare a 40 anni a sottoporsi ai controlli mammografici per individuare in maniera precoce l’eventuale presenza di un tumore al seno. Le altre, invece, possono aspettare il compimento dei 50 anni. Questa la principale indicazione inserita dagli esperti americani nell’ultimo aggiornamento delle linee guida Uspstf (U.S. preventive services task force). Altrettanto innovativo un secondo punto inserito nelle nuove raccomandazioni: la mammografia deve avere cadenza biennale. Gli esperti americani hanno, infine, deciso di eliminare l’esplorazione della mammella o autopalpazione. In Italia gli addetti ai lavori non hanno ancora preso una chiara posizione. Ma come devono comportarsi le italiane in tema di prevenzione del cancro alla mammella? Lo abbiamo chiesto a Marco Venturini, direttore del dipartimento di Oncologia, Ospedale Sacro Cuore di Verona nonch? presidente eletto Aiom (Associazione italiana di Oncologia Medica).
Il recente aggiornamento delle linee guida Uspstf introduce significative innovazioni rispetto alla precedente versione?
Assolutamente s?. Il precedente documento Uspstf, risalente al 2002, conteneva, infatti, l’indicazione di effettuare la mammografia a partire dai 40 anni per tutte le donne ma non erano presenti ulteriori precisazioni, nemmeno sulla cadenza. Tra un controllo e il successivo, la donna poteva lasciar trascorrere uno o due anni. Oggi gli esperti americani sono molto pi? rigorosi e, soprattutto, fanno per la prima volta delle distinzioni in base all’et? della donna. In particolare, raccomandano controlli mammografici ogni due anni per le donne tra i 50 e i 74 anni mentre, per quelle tra i 40 e 49 anni, la mammografia viene considerata necessaria come screening soltanto in alcuni condizioni particolari che vanno discusse da parte del medico con la stessa donna.
Gli esperti americani ritengono che la mammografia dovr? essere incominciata a 40 anni solo per alcune categorie di donne, di chi si tratta?
Sono quelle a elevato rischio di sviluppare tumore al seno. Nelle donne tra 40 e 49 anni il beneficio della mammografia ? simile a quello delle donne tra i 50 e 59 anni. In questo secondo gruppo, tuttavia, l’incidenza del tumore della mammella ? pi? alta. Basti pensare che, mentre nel gruppo tra i 40-49 anni, per evitare un decesso per cancro al seno ? necessario fare la mammografia a 1.904 donne, in quello tra i 50 e 59 anni il numero di donne da sottoporre a controllo ? molto inferiore, pari a 1.339. Considerato che l’indagine mammografica pu? portare a ulteriori accertamenti, quali agoaspirati, biopsie e altro, che a loro volta possono dare risultati falsati, ? stato ritenuto utile non consigliare la mammografia di screening a tutte le donne, ma di riservarla ad alcune categorie a maggiore rischio, come per esempio in caso di familiarit? (mamma con cancro al seno) o di precedente tumore all’altra mammella.
Sar? sufficiente per le donne tra i 50 e i 74 anni sottoporsi allo screening mammografico con una cadenza biennale?
S?, soprattutto se si tiene conto che il vantaggio maggiore si ha nel gruppo di donne tra i 60 e 69 anni dove il numero di donne che devono ricevere una mammografia per salvare una donna dalla morte per tumore al seno ? piuttosto basso e pari a 377, contro per esempio 1.904 nelle donne 40-49.
Non si rischier? di non diagnosticare in tempo casi di tumore al seno in donne quarantenni?
Direi di no, perch? nelle quarantenni l’incidenza di tumore della mammella ? relativamente bassa. ? il gruppo delle donne sessantenni, infatti, quello in cui si verificano maggiori casi di carcinoma mammario e, per il quale, quindi, lo screening risulta pi? vantaggioso.
Perch? solo oggi l’autopalpazione viene ritenuta inutile? Il suggerimento all’esplorazione non era supportato da evidenze scientifiche?
Dopo le precedenti raccomandazioni del 2002 sono stati pubblicati due studi scientifici che hanno dimostrato che l’autopalpazione aumenta la percentuale di biopsie e altri approfondimenti diagnostici inutili. Non vi sono attualmente evidenze per raccomandarla di routine.
Come dovranno comportarsi le donne in Italia alla luce delle nuove raccomandazioni Uspstf?
Alle italiane suggerisco di non praticare mai automedicazione, ossia il “fai da te” ma di rivolgersi al proprio medico di fiducia per avere le indicazioni adeguate. ?, infatti, il medico che deve valutare le raccomandazioni e decidere la migliore strategia per la singola

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Il referto ecografico fetale non ? infallibile

Quattro malformazioni fetali su dieci non sono visibili, ma spesso i futuri genitori si aspettano troppo da una ecografia. Cos? si moltiplicano le denunce per presunti errori di diagnosi prenatale. “Grazie all’ecografia abbiamo gli occhi puntati sul feto, ma non possiamo vedere tutto. I futuri genitori sono male informati, si aspettano troppo da una ecografia. Ecco perch? aumentano le denunce per mancata diagnosi prenatale. Denunce che poi nel 90% dei casi non portano a alcuna condanna. Bisogna fare chiarezza”. Lo afferma Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Societ? italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale). Giorlandino anticipa cos? i temi del convegno ‘Lo studio morfologico del feto, cosa vedere, cosa refertare, cosa evitare di sbagliare’, che si tiene oggi e domani a Roma. Sulla base di studi europei su sensibilit? ed efficacia dell’ecografia prenatale si ? scoperto che la percentuale di diagnosi corrette per malformazioni fetali non supera, per le pi? importanti, il 60%: insomma quattro malformazioni su dieci non sono visibili con gli strumenti, nonostante siano presenti. E le anomalie pi? piccole non si vedono che nel 20% dei casi. “? bene dire chiaramente – sottolinea Giorlandino – che ? impossibile avere la certezza assoluta che il nascituro sia al riparo da tutte le possibili anomalie fetali quando gli esami prenatali hanno dato esito positivo”. L’ecografo ? uno strumento fondamentale per studiare l’andamento della gravidanza, “ma – avverte il ginecologo – non possiamo dare la certezza che il bambino che verr? al mondo sar? perfetto”. Secondo Giorlandino, il progresso della medicina, specie nella diagnostica, ha fatto alzare il livello di aspettativa dei futuri genitori i quali credono che un’ecografia possa mostrare ogni tipo di eventuale malformazione fetale.

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Scintigrafia ossea utile per quantificare la gonartrosi

Nei pazienti con gonartrosi, le anomalie osservate alla scintigrafia ossea sono fortemente associate a problemi di malallineamento e alla gravit? della sintomatologia dolorosa. Questa la conclusione a cui sono giunti ricercatori dell’University medical center a Durham, North Carolina, dopo aver studiato 308 articolazioni di 159 soggetti con gonartrosi radiografica e sintomatica. I pazienti sono stati sottoposti a scintigrafia ossea con Tecnezio-99m-metilene-bisfosfonato e a radiografia del ginocchio flesso e dell’arto intero. La localizzazione e l’intensit? dell’ipercaptazione del radiofarmaco erano significativamente associate con la direzione e la gravit? del malallineamento del ginocchio e con la localizzazione e la gravit? dell’artrosi ai raggi x. Per esempio, anomalie scintigrafiche del compartimento mediano erano legate a varismo, mentre anomalie laterali erano connesse a valgismo. Inoltre, la captazione del radiofarmaco nel compartimento tibiofemorale, ma non in quello patellofemorale, era significativamente associata con la gravit? dei sintomi (p<0,001). La scintigrafia ossea, concludono gli autori, ? dunque un indicatore sensibile e quantitativo della gonartrosi sintomatica, che si prospetta come un promettente strumento per lo screening e le misure di outcome terapeutico, a un costo inferiore dal 50 al 75% a quello di una Rm (A.Z.). Annals of rheumatic diseases, 2009; 68:1673-1679

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Donne con infertilit? secondaria: ruolo dell?infezione da Chlamydia trachomatis

Un gruppo di ricercatori indiani ha condotto uno studio prospettico per valutare il ruolo della Clamidia ( Chlamydia trachomatis ) nell?infertilit? secondaria.

Sono state studiate per la presenza passata o presente di Chlamydia trachomatis 40 donne con infertilit? secondaria e 30 donne sane con gravidanza a termine, di et? simile.
Le donne con infertilit? secondaria sono state arruolate come pazienti nello studio, le donne sane sono state considerate gruppo di controllo.

Con il saggio ELISA ? stata identificata la presenza di immunoglobuline G ( IgG ) per la Clamidia, e un titolo uguale o superiore a 1:320 ? stato considerato positivo.
Sono stati raccolti tamponi endocervicali per coltura su linee cellulari McCoy trattate con Cicloesimide, e il saggio ELISA ? stato utilizzato per identificare l?antigene della Clamidia. ? stata effettuata anche una isterosalpingografia per valutare la perviet? delle tube.

Era attesa una differenza nella prevalenza di infezione da C. Trachomatis nelle donne non fertili del gruppo di studio e in quelle fertili del gruppo controllo.

Gli anticorpi IgG sono risultati presenti nel 55% delle donne con infertilit? secondaria mentre la positivit? ? stata rilevata nel 5,5% dei controlli.

L?occlusione delle tube si ? manifestata nel 63,6% dei casi positivi per anticorpi anti-Clamidia. La sensibilit? degli anticorpi IgG anti-Clamidia come marcatore diagnostico di infertilit? ? stata del 72,7% e la specificit? del 44,4%.
Il 77,2% dei casi positivi per gli anticorpi IgG anti-Clamidia era sintomatico.

Una storia ostetrica sfavorevole ? stata riscontrata nel 72,7% dei casi.
L?infezione attiva ? stata riscontrata nel 30% dei casi con il 3,3% di infezione in corso nel gruppo controllo.

In conclusione, la prevalenza di infezioni da Clamidia nel passato ? risultata statisticamente significativa nelle donne con infertilit? secondaria cos? come quella di infezioni in corso.
La ricerca di anticorpi IgG si ? rivelata un metodo efficace e non invasivo per l?identificazione di Clamidia.
Lo screening di donne con infertilit? secondaria per C. Trachomatis ? fortemente raccomandato per poter attuare interventi terapeutici precoci.

Malik A et al, Fertil Steril 2009; 91: 91-95

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Pi? ca mammari con vita poco sana

I tre principali fattori associati da tempo al rischio di patologie cardiovascolari, quali obesit?, abitudine al fumo e consumo d?alcol, sembrano risultare direttamente correlati anche allo sviluppo di carcinoma mammario controlaterale in pazienti con tumori al seno positivi ai recettori estroginici (Er-positivi). ? quanto stabilito di recente da ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle negli Usa.

Stili di vita pericolosi

I risultati, pubblicati su Journal of Clinical Oncology, riguardano uno studio caso-controllo che ha comparato due gruppi di pazienti con tumore al seno: 365 donne con forme invasive di cancro al seno Er-positivo e carcinomi controlaterali e 726 affette solamente da tumori primari. L?indagine ha permesso di osservare che l?insorgenza di cancro controlaterale, in donne con forme invasive di carcinomi mammari Er-positivi, ? positivamente correlata a condizioni di obesit? e a consumi eccessivi sia di alcol sia di tabacco. In particolare, l?incremento del rischio di tumori controlaterali ? risultato del 40% in presenza di un indice di massa corporea (Bmi) pari o superiore a 30, rispetto a un Bmi inferiore a 25. Nelle donne che consumano sette o pi? bevande alcoliche alla settimana il rischio sembrerebbe aumentare del 90% rispetto a coloro che non assumono alcol e per le fumatrici assidue del 120% rispetto alle pazienti che non fumano. Infine, il rischio di carcinomi controlaterali presenta un odds ratio di 7,2 quando il consumo di alcool ? associato a quello di sigarette.

Interventi possibili per ridurre il rischio

In accordo a precedenti studi di letteratura, riguardanti la correlazione tra sviluppo di alcuni tipi di tumori e stili di vita, questa ricerca ha consentito di confermare l?ipotesi, da tempo avanzata, di una maggiore incidenza di cancro controlaterale in donne affette da tumore al seno che non conducono una vita sana. ?Saranno necessari ulteriori trial clinici randomizzati allo scopo di stabilire con certezza se, in seguito a diagnosi di cancro al seno, l?astensione dal consumo di alcol e di tabacco nonch? l?adozione di diete equilibrate possano rappresentare interventi appropriati per un?efficace prevenzione di tumori mammari controlaterali in pazienti che hanno gi? subito diagnosi di cancro al seno? ha commentato, in un editoriale del giornale, Jennifer A. Ligibel, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston.

Luigia Atorino
(Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.23.1597)

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Sm: nessun beneficio con pi? interferone beta-1b

L’incremento delle dosi di interferone beta-1b non si traduce in un aumento dei vantaggi terapeutici in pazienti affetti da sclerosi multipla (Sm) recidivante-remittente. Lo ha stabilito Beyond (Betaferon efficacy yielding outcomes of a new dose), trial multicentrico di recente pubblicazione su Lancet Neurology. A partire da novembre 2003 fino a giugno 2005, circa 2.200 pazienti con Sm recidivante-remittente sono stati suddivisi in 3 gruppi e randomizzati a ricevere ogni giorno, per via sottocutanea, 250 mg, 500 mg di interferone beta-1b oppure 20 mg di glatiramer acetato. In sintesi, i tre gruppi di trattamento non hanno mostrato alcuna differenza sia nell’end-point primario, rappresentato dalla ricorrenza di sintomi neurologici dopo 30 giorni dall’episodio precedente e di durata pari ad almeno 24 ore, sia in quelli secondari, quali l’indice Edss di progressione della malattia e il volume delle lesioni T1. La tollerabilit? dei due farmaci ? risultata paragonabile, anche se nei pazienti trattati con interferone beta 1-b si ? registrato un maggior numero di sintomi influenzali e in quelli trattati con glatiramer acetato sono state pi? frequenti le reazioni all’iniezione del farmaco (L.A.).

The Lancet Neurology, 2009;8 (10): 889 – 97

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Diabete 2: s? alla triplice terapia

L’aggiunta di pioglitazone a terapie a base di metformina e sulfonilurea (o glinidi) pu? migliorare il controllo glicemico in pazienti con diabete di tipo 2. Sono i risultati ottenuti da un gruppo di ricercatori francesi attraverso uno studio multicentrico in doppio cieco, che ha consentito di valutare efficacia e sicurezza di una triplice terapia con metformina, sulfonilurea e pioglitazone in circa 300 pazienti con diabete di tipo 2. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere, per 3 mesi, 30 mg/die di pioglitazone o placebo, in aggiunta a metformina e sulfonilurea (o glinidi). Dopo questo periodo i pazienti hanno continuato a ricevere, per altri 4 mesi, la stessa dose di pioglitazone, nel caso in cui i livelli di HbA1c erano 6.5%. Dopo 7 mesi di osservazione la triplice terapia, rispetto a quella duplice, ha portato i livelli di HbcA1 al valore < 7.0% in una percentuale maggiore di pazienti (44,4% vs 4,9% con valori iniziali di HbA1c <8.5% e 13% vs 0% con HbA1c >/= 8.5%) (L.A.).

Diabetes Obesity Metab 2009; 11:844-854.

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Prostatectomia, approcci ininfluenti sulla funzione

I pazienti sottoposti a prostatectomia radicale in laparoscopia o a cielo aperto possono aspettarsi simili esiti funzionali. ? quanto sostengono ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston che hanno studiato 102 soggetti operati con approccio aperto e 104 con chirurgia mininvasiva. La sintomatologia non ? risultata sostanzialmente differente tra i due gruppi in qualunque momento dei 12 mesi di follow-up. In particolare non si ? registrata alcuna differenza circa il ritorno alla continenza basale dopo 6 e 12 mesi, alla funzione erettile di partenza senza un inibitore della Pde-5 a 12 mesi o a una completa funzionalit? fisica dopo 6 mesi. Passando ai rischi di complicanze, sebbene modesto in entrambi i gruppi, ? apparso significativamente maggiore con la laparoscopia, con un tasso leggermente superiore di ematuria e formazione di linfoceli. “Penso che la laparoscopia sia chiaramente vantaggiosa per i pazienti marcatamente obesi” afferma W. Scott McDougal, coordinatore dello studio. “Occasionalmente, in alcuni pazienti che hanno avuto pregressi interventi chirurgici o traumatismi alla pelvi, si ottengono risultati migliori con l’approccio a cielo aperto”. (A.Z.)

The Journal of urology, 2009; 182:956-966.

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Prudenza sul vaccino anti-A/H1N1 in gravidanza

L’Ordinanza siglata dal Ministero, che definisce la strategia di vaccinazione per fronteggiare influenza pandemica, inserisce le donne in gravidanza tra le categorie con priorit?. Ma la Sigo invita alla cautela
E’ stata definita, con un’ordinanza firmata dal vice ministro Ferruccio Fazio, la strategia di vaccinazione per fronteggiare l’emergenza dell’influenza pandemica. Il provvedimento individua le categorie di persone a cui ? diretta l’offerta della vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1, tra le quali sono state inserite le donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza. In generale, con l’obiettivo di coprire il almeno il 40% della popolazione residente in Italia, la campagna vaccinale sar? rivolta a:
? persone ritenute essenziali per il mantenimento della continuit? assistenziale e lavorativa: personale sanitario e socio-sanitario; personale delle forze di pubblica sicurezza e della protezione civile; personale delle Amministrazioni, Enti e Societ? che assicurino i servizi pubblici essenziali; i donatori di sangue periodici;
? donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza;
? persone a rischio, di et? compresa tra 6 mesi e 65 anni;
? persone di et? compresa tra 6 mesi e 17 anni, non a rischio, sulla base degli aggiornamenti della scheda tecnica autorizzata dall’Emea o delle indicazioni che verranno fornite dal Consiglio Superiore di Sanit?;
? persone tra i 18 e 27 anni, non a rischio.
Giorgio Vittori presidente della Societ? italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) invita, tuttavia, alla cautela sulla vaccinazione delle donne in gravidanza: “E’ necessaria una grande prudenza, anche in ragione del fatto che la sperimentazione sul nuovo vaccino ? solo all’inizio”. Secondo l’esperto, la scelta della vaccinazione va fatta caso per caso, considerando le situazioni in cui i benefici sono superiori ai rischi: “A una maestra in gravidanza – precisa – consiglierei senz’altro la vaccinazione. Ma non la consiglierei a una donna che vive in campagna, con meno rischi di incontrare il virus”. “Il rischio legato all’influenza A, per le donne in gravidanza ? maggiore – ricorda Vittori – questo ? il motivo per cui nell’ordinanza ministeriale le donne sono indicate come categoria prioritaria per la vaccinazione, ma per attuarla ? stato chiesto un parere del Consiglio superiore di sanit?”. Inoltre, specifica che vanno fatte distinzioni sul tipo di vaccino: “Ci sono due tipi di vaccino contro questa influenza: il flu-shot, realizzato con particelle inattivate di virus, che si somministra attraverso un’iniezione e lo spray nasale, fatto con virus attenuato, quest’ultimo non deve essere mai usato in gravidanzaUrologia

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Prostatite cronica: terapia

I National Institutes of Health ( NIH ) hanno ridefinito la prostatite suddividendola in 4 distinte entit?.

Categoria I: prostatite batterica acuta – ? un?infezione prostatica acuta con un uropatogeno, spesso con sintomi sistemici di febbre, brividi e ipotensione. Il trattamento si basa su antimicrobici e sul drenaggio della vescica poich? la prostata infiammata potrebbe dare origine a un blocco del flusso urinario.

Categoria II: prostatite batterica cronica – ? caratterizzata da episodi ricorrenti di infezioni documentate del tratto urinario con lo stesso uropatogeno e causa dolore pelvico, sintomi urinari e dolore durante l?eiaculazione. Viene diagnosticata sulla base di colture di localizzazione che hanno un?accuratezza del 90% nel localizzare la fonte delle infezioni ricorrenti all?interno del tratto urinario.

Categoria III: prostatite cronica / sindrome da dolore pelvico cronico ( CP/CPPS ) – ? caratterizzata da dolore pelvico per oltre 3 dei 6 mesi precedenti alla diagnosi, sintomi urinari, e dolore durante l?eiaculazione senza infezione documentata del tratto urinario causata da uropatogeni. La sindrome pu? essere devastante, coinvolgendo il 10-15% della popolazione maschile e causa circa 2 milioni di visite ambulatoriali ogni anno. L?eziologia della CP/CPPS ? poco nota ma la malattia potrebbe essere il risultato di un?infezione o di un?infiammazione che ha causato un danno neurologico e che pu? dare origine a disfunzione nel pavimento pelvico sotto forma di aumento del tono dei muscoli pelvici. La diagnosi si basa sulla distinzione di questa patologia dalla prostatite batterica cronica. Se non c?? storia clinica di infezione documentata del tratto urinario causata da un patogeno, dovrebbero essere prese colture dai pazienti nella fase sintomatica. Le colture di localizzazione prostatica ( test dei 4 bicchieri di Meares-Stamey ) potrebbero identificare la prostata come fonte dell?infezione urinaria nella prostatite batterica cronica. Se non c?? infezione, ? probabile che il paziente sia affetto da CP/CPPS.

Categoria IV: prostatite infiammatoria asintomatica – La prostatite infiammatoria asintomatica ?, per definizione, asintomatica e viene spesso diagnosticata casualmente nel corso di indagini per infertilit? o tumore della prostata. Il significato clinico della categoria IV non ? chiaro e spesso il disturbo non viene trattato.

L?obiettivo della terapia ? il sollievo dai sintomi. La prima misura terapeutica ? spesso un ciclo di 4-6 settimane di un fluorochinolone, che porta sollievo nel 50% degli uomini ed ? pi? efficace se prescritto subito dopo l?insorgenza dei sintomi.
La seconda linea di farmacoterapia coinvolge agenti anti-infiammatori per i sintomi del dolore e antagonisti del recettore alfa-adrenergico ( alfa- bloccanti ) per i sintomi urinari.
La terza linea di agenti farmacologici comprende gli inibitori della 5-alfa-rduttasi, glicosaminoglicani, Quercetina, Cernilton e Serenoa repens ( Saw palmetto ).

Per il trattamento dei pazienti refrattari possono essere presi in considerazione trattamenti chirurgici. La terapia transuretrale con microonde per ablazione del tessuto prostatico ha mostrato risultati promettenti.

L?algoritmo di trattamento presentato in questa revisione prevede un ciclo di 4-6 settimane con antibatterici che potrebbe essere ripetuto se il ciclo iniziale ha dato solievo. Il dolore e i sintomi urinari potrebbero migliorare con antinfiammatori e alfa-bloccanti. Se il sollievo dai sintomi non fosse significativo i pazienti potrebbero ricorrere a biofeedback, mentre opzioni di chirurgia minimamente invasiva dovrebbero essere riservate ai pazienti refrattari agli altri trattamenti.

Murphy AB et al, Drugs. 2009; 69: 71-84

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