Pregi degli OMEGA-3

Basta una pillola al giorno di questi acidi grassi polinsaturi, presenti naturalmente nel pesce e in altri alimenti, per ridurre mortalit? e ricoveri in ospedale dei pazienti con insufficienza cardiaca. Queste le conclusioni di un lavoro firmato da un gruppo di scienziati italiani e pubblicato sull’edizione online della prestigiosa rivista ‘Lancet’, presentato all’Esc (European Society of Cardiology) in corso a Monaco. Luigi Tavazzi, del Centro di ricerca Anmco di Firenze, e Gianni Tognoni dell’Istituto Mario Negri di Milano, insieme a colleghi di tutta Italia hanno condotto un trial randomizzato e controllato coinvolgendo ben 357 centri cardiologici della Penisola, che seguono pazienti con insufficienza cardiaca cronica.

I quasi 7.000 pazienti arruolati nella ricerca sono stati divisi in due maxi-gruppi: il primo (3.494 persone) ha assunto una capsula al giorno di Omega-3, l’altro (3.481) un placebo. Nel corso dello studio sono morti 955 pazienti del gruppo in cura con Omega-3 (il 27%), contro 1.014 malati del secondo (29%). Questo vuol dire che fra i primi ? stata riscontrata una riduzione del rischio pari al 9%. Non solo, pi? pazienti in cura sotto placebo sono stati ricoverati in ospedale o sono morti per cause cardiovascolari rispetto agli altri: in questo caso la riduzione del rischio ? stata dell’8% nel gruppo in cura con le pillole di Omega-3. E quanto agli effetti collaterali? Il 3% dei pazienti di entrambi i gruppi, dicono gli studiosi, ha lamentato disordini gastrointestinali. “Il nostro studio – concludono i ricercatori italiani – mostra che la somministrazione a lungo termine di un grammo al giorno di Omega-3 si ? rivelata efficace sia per ridurre la mortalit? per tutte le cause di questi pazienti, sia per limitare i ricoveri in ospedale per problemi cardiovascolari”. Insomma, per quanto riguarda gli ormai celebri acidi grassi polinsaturi, “i benefici osservati in altre popolazioni si confermano anche per le persone con insufficienza cardiaca”, commenta Gregg Fonarow dell’Ahmanson-Ucls Cardiomiopathy Center di Los Angeles, in un commento che accompagna l’articolo.

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Carotidi ispessite nella steatosi epatica

Le persone che soffrono di steatosi epatica non alcolica (Nafld) dovrebbero essere sottoposte regolarmente a valutazione dello spessore dell?intima media (Sim) carotidea. Una metanalisi pubblicata sul Journal of hepatology (2008; 49:600-607) ha infatti dimostrato che nei pazienti con Nafld tale parametro ? superiore del 13% rispetto alla popolazione sana, e ci? potrebbe avere importanti implicazioni a livello cardiovascolare. Silvia Sookoian e Carlos Pirola, dell?Universit? di Buenos Aires, hanno indagato la relazione tra Nafld e Sim carotidea attraverso la metanalisi di sette studi di tipo caso controllo, dai quali fosse possibile estrapolare dati relativi alla steatosi epatica non alcolica, allo spessore dell?intima media carotidea e alla presenza di placche carotidee (misurate tramite ultrasonografia). In totale sono stati analizzati i dati relativi a 3.497 soggetti (1.427 pazienti e 2.070 controlli): l?associazione tra Nafld e Sim carotidea ? risultata statisticamente significativa e si ? osservata una forte correlazione tra livelli degli enzimi alanina aminotranferasi e gamma-Gt e spessore dell?intima carotidea. Oltre a ci?, cinque studi che includevano 3.212 soggetti evidenziavano che le placche carotidee sono pi? frequenti nei pazienti rispetto ai controlli.

?Tali risultati hanno varie implicazioni cliniche? commentano gli autori. ?Innanzitutto mostrano che in caso di steatosi va sospettata la presenza di aterosclerosi carotidea e che gli enzimi epatici sono potenzialmente correlati con l?aterosclerosi, il che significa che vanno tenuti in conto nella prevenzione cardiovascolare primaria. Viceversa, negli aterosclerotici potrebbe essere opportuno valutare la presenza di steatosi?.
Fonte: Journal of hepatology

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Insonnia, quando l?orologio biologico va in tilt

Esiste un legame fra notti in bianco e sistema nervoso parasimpatico.
La notte ? un momento difficile per molti malati di tumore, che faticano ad addormentarsi, si svegliano di frequente e poi non riescono a riprendere sonno, almeno due o tre volte pi? di quanto accade in media nella popolazione generale. E? facile intuire quanto possano pesare l?ansia, il dolore, le preoccupazioni legate alla malattia, per non parlare degli effetti delle terapie. Della relazione tra insonnia e tumori, per?, si sa ancora poco. Un ruolo importante lo giocherebbe il sistema nervoso parasimpatico, che regola le attivit? non volontarie dell?organismo. A sostenerlo uno studio della University of Rochester (Stati Uniti), apparso sul Journal of Clinical Sleep Medicine.

RESPIRARE MEGLIO PER DORMIRE MEGLIO – Secondo gli esperti americani, il sistema nervoso parasimpatico, che fra le altre cose regola il battito cardiaco, la respirazione e la risposta allo stress, pu? contribuire a minare la qualit? del sonno. Dunque, anche interventi non farmacologici, come esercizi respiratori, yoga, meditazione e altre tecniche ?dolci? per regolare la respirazione diaframmatica, quella profonda, potrebbero aiutare pi? del previsto i pazienti insonni.

LA RICERCA ? Per appurarlo, sono state coinvolte un centinaio di donne con un carcinoma della mammella metastatico o in ricaduta, rilevando le difficolt? a dormire, il livello di stress, la frequenza cardiaca e respiratoria durante il sonno. Nell?arco di otto ore trascorse nel letto, le pazienti si svegliavano in media 15 volte per almeno cinque minuti, per un totale di 70 minuti di veglia notturna. Infine, per due giorni sono stati misurati in diversi orari i livelli di cortisolo, spesso indicato come ?l?ormone dello stress?. Tutti questi fattori sono risultati strettamente connessi. In particolare, anomalie nella risposta allo stress e nelle fluttuazioni del battito cardiaco legate alla respirazione (il ritmo del cuore cambia quando si inspira e quando si espira) sono apparse associate ad un sonno pi? disturbato. Inoltre, la concentrazione di cortisolo, che normalmente cala la sera per risalire nelle prime ore del mattino, ? apparsa alterata nelle donne ammalate, con multipli picchi dell?ormone alla fine della giornata.

UN PROBLEMA CRONICO E DIFFUSO – ?Quello dell?insonnia ? un problema ampiamente sottovalutato in oncologia? spiega Vincenza Castronovo, psicologa presso il Centro di medicina del sonno dell?Ospedale San Raffaele di Milano. Difficile stimarne l?entit?, i dati sono pochi, ma se in generale riguarda il 10-15 per cento delle persone, ? ragionevole pensare che fra i malati di tumore superi il 50 per cento. ?Non ? chiaro neppure se si tratta di una condizione causata dalla malattia o se ? preesistente? prosegue la psicologa. Ci? che appare evidente, invece, ? che non basta pensare all?insonnia come a una reazione momentanea alla diagnosi. ?Uno studio canadese di alcuni anni fa su donne colpite da un tumore al seno ha mostrato che molte di loro (tra il 23 e il 44 per cento) ne soffrivano anche molti anni dopo la scoperta del tumore. Sembra dunque che l?insonnia diventi spesso un problema cronico? precisa Castronovo.

EFFETTI ANCHE SUL TUMORE – Se l’orologio biologico va in tilt, i danni possono andare al di l? di un disagio quotidiano. Varie ricerche hanno messo in luce un nesso tra l?alterazione dei ritmi sonno-veglia e il buon funzionamento del sistema immunitario, anche nel contrastare il tumore e rispondere alle terapie. ?I disturbi del ritmo circadiano influenzano l?evoluzione del tumore, i trattamenti chemioterapici, i tempi di somministrazione dei farmaci e la qualit? della vita dei pazienti? aggiunge l?esperta.

ANCHE ?EDUCARE? AL SONNO AIUTA ? Fra i possibili interventi non farmacologici, validi risultati sono stati raggiunti con le tecniche cognitivo-comportamentali, che puntano a correggere i fattori che compromettono il riposo. Vincenza Castronovo, che da tempo applica questo metodo, spiega in che modo: ?Il trattamento cognitivo-comportamentale consiste nell?insegnare ai pazienti tecniche specifiche come il controllo dello stimolo, la restrizione del sonno, il rilassamento, l?igiene del sonno e la ristrutturazione cognitiva, e ad attivare le proprie risorse per far fronte in modo attivo alle difficolt?. L?obiettivo ? aumentare l?efficienza, la continuit? e la durata del riposo notturno, ridurre il disagio emotivo, cognitivo e sociale, ripristinare il senso di controllabilit? del proprio sonno, eliminare abuso e dipendenza dagli ipnotici?. In una persona malata di tumore pu? voler dire recuperare una fetta importante del proprio benessere, tanto di notte quanto di giorno.

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Accesso alle foto della chirurgia plastica

Accedere alle fotografie scattate prima e dopo gli interventi di chirurgia plastica ? un diritto del paziente. Cos? ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali, chiamato a dirimere una questione sollevata da una donna che si era vista negare, da due medici, l’accesso alle fotografie scattate prima e dopo un intervento di liposuzione. La signora aveva pi? volte chiesto copia del materiale ai medici che avevano sempre negato l’accesso, chiedendo di motivare la richiesta. Il Garante (con relatore Mauro Paissan) ha ordinato ai sanitari di consegnare le fotografie e ha ribadito un concetto basilare in tema sanitario: il paziente ha diritto di accedere a tutti i dati personali che lo riguardano, in qualunque documento, ovunque siano contenuti (“ivi compresi i dati sensibili e, fra questi, quelli concernenti lo stato di salute, anche riportati su fotografie, filmati, radiografie eccetera”), senza dover fornire giustificazioni della necessit? di ottenere tali informazioni. Giustificazione che, altres?, “deve essere motivata quando l’accesso ai dati contenuti nelle cartelle cliniche ? effettuato da terzi diversi dall’interessato”.

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Artrosi del ginocchio, erbe efficaci

L’ayurveda, l’antica medicina indiana che tenta di curare con erbe, minerali, metalli ed esercizi spirituali, avrebbe la stessa efficacia dei farmaci sulle ginocchia colpite dall’artrosi.
? quanto risulta da uno studio multicentrico coordinato dall’universit? indiana di Pune e presentato all’American College of Rheumatology. Si tratta dei risultati di uno dei non frequenti studi sulle medicine” tradizionali ed etniche” accettati e presentati in un’assise scientifica di grande importanza. In particolare, studiando per 6 mesi 440 soggetti che soffrivano di artrosi del ginocchio, parte dei quali sono stati trattati con farmaci tradizionali (un gruppo con celecoxib e l’altro con glucosamina) e parte con erbe ayurvediche, si ? ottenuto lo stesso controllo del dolore e il medesimo recupero di mobilit? agli arti inferiori .

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Controindicazioni degli antidiabetici orali

Nei pazienti che fanno uso di antidiabetici orali, l’acidosi lattica ? rara con l’uso della metformina, ed il rischio di ipoglicemia ? pi? comune con le sulfaniluree. L’acidosi lattica era stata precedentemente associata all’uso di metformina, e l’ipoglicemia ? una possibilit? non remota con l’uso delle sulfaniluree. In base a quanto rilevato, comunque, l’acidosi lattica durante l’uso di antidiabetici orali ? molto rara ed in genere associata a comorbidit? concorrenti. Considerata la morbidit? associata agli episodi gravi di ipoglicemia, ed il basso rischio assoluto di acidosi lattica associato all’uso di metformina, ? necessario soppesare accuratamente rischi e benefici nell’evitare questo trattamento nei pazienti con diabete di tipo 2. (Diabetes Care online 2008, pubblicato il 9/9)

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Dieta iperglicidica e adiposit? nei bambini

Una dieta a elevato indice o carico glicemico o comunque ricca in zuccheri non influenza la composizione corporea dei bambini di et? compresa fra due e sette anni. Studi osservazionali sull’adulto suggeriscono che una dieta del genere, con un elevato apporto di cibi zuccherini o un basso apporto di fibre, potrebbe aumentare il rischio di eccesso di peso. In base a quanto riscontrato nei bambini, i potenziali benefici associati all’incremento dell’apporto di fibre nel corso dell’infanzia potrebbero essere limitati ai lattanti con una minor frequenza di alimentazione. Questi dati non supportano l’opinione comune secondo cui la qualit? dei carboidrati possa essere implicata nell’attuale epidemia di obesit? nell’infanzia: almeno nei bambini piccoli che vengono alimentati dalle sei volte in su al giorno, questo parametro non appare rilevante allo sviluppo della composizione corporea nelle fasi successive dell’infanzia, mentre invece in caso di alimentazione meno frequente un aumento dell’apporto di fibre potrebbe offrire un modesto beneficio per lo sviluppo della percentuale del grasso corporeo. (Am J Prev Med 2008; 35:

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Amenorrea primaria

La sindrome dell`ovaio policistico (PCOS), una condizione patologica estremamente eterogenea, comprende una serie di sintomi, tra cui anovulazione, iperandrogenismo e presenza di cisti ovariche. L`insorgenza di questa sindrome ? stata associata alla presenza di insulinoresistenza, iperinsulinemia e di alcune caratteristiche tipiche della sindrome metabolica; mentre l`obesit? sembra essere implicata nel 35-50% dei casi di PCOS.
Spesso, i primi segni di PCOS compaiono durante la prima adolescenza e si manifestano come amenorrea secondaria (SA) o oligomenorrea (OM), acne e irsutismo, mentre l`amenorrea primaria (PA) costituisce un`anomalia estremamente rara (la percentuale varia tra l`1,4 e il 14%). I soggetti affetti da PA potrebbero, quindi, costituire un sottogruppo di pazienti che presentano una forma pi? severa di PCOS, caratterizzata sopratutto da un elevato grado di iperandrogenemia e disturbi metabolici.
Poich? ad oggi gli studi che prendono in considerazione questo aspetto sono scarsi, alcuni ricercatori hanno indagato le caratteristiche cliniche, biochimiche e ultrasonografiche delle adolescenti colpite da PA e PCOS rispetto a quelle di pazienti affette da OM/SA e PCOS.

I gruppi di confronto
Lo studio, del tipo caso-controllo, ? stato condotto in Canada tra novembre 2003 e maggio 2006 e ha coinvolto ragazze con et? compresa tra i 14 e i 18 anni. Di queste, 9 adolescenti lamentavano PA e PCOS, e 18, che costituivano il gruppo di controllo, erano affette da OM/SA e PCOS.
Dai risultati ottenuti revisionando le cartelle cliniche di tutte le partecipanti all`indagine, ? emerso che le giovani con PA presentavano un`et? pi? elevata al pubarca, maggiori livelli di androstenedione, una tendenza a una scarsa risposta al test di scatenamento con il progesterone, un incremento statisticamente significativo per quanto riguarda la storia familiare di obesit? e i sintomi associati alla sindrome metabolica. In particolare, tra questi ultimi, sono stati riscontrati acantosi nigricans, elevati valori di pressione diastolica e minori livelli di colesterolo HDL.
Al contrario, non sono state identificate differenze tra i due gruppi nei profili ormonali (eccetto per l`androstenedione), nelle manifestazioni di iperandrogenismo e nei risultati delle valutazioni ultrasonografiche.

Pi? grave con la PA
Tra le pazienti con diagnosi di PCOS, le adolescenti con PA, pur essendo simili in numerosi aspetti alle coetanee affette da OM/SA, sono quelle che manifestano pi? sintomi riconducibili alla sindrome metabolica, anche se la prevalenza di questa patologia non varia tra i due gruppi confrontati. Questi risultati sono supportati dal fatto che nelle donne adulte con PCOS ? stato osservato un tasso pi? elevato di insorgenza di sindrome metabolica, di diabete di tipo 2 e di patologie cardiovascolari.
Inoltre, poich? le ragazze affette da PA presentano livelli serici di androstenedione pi? elevati e non rispondono al challenge con il progesterone, gli autori di questo studio supportano l`ipotesi che l`iperandrogenismo costituisca una rara causa alla base della mancata risposta al progesterone. Provocherebbe infatti un prolungato stato anovulatorio, a sua volta responsabile di endometrio decidualizzato persistente, insensibile al progesterone.
La consapevolezza che la PA potrebbe essere dovuta a PCOS dovrebbe favorire l`impiego di strategie, investigative e di management, appropriate.

Ilaria Ponte
(Rachmiel M et al. Primary Amenorrhea as a Manifestation of Polycystic Ovarian Syndrome in Adolescents. Arch Pediatr Adolesc Med 2008; 162 (6): 521-525)

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Tipo 1: insulinoterapia allontana l’ipertensione

I pazienti con diabete di tipo 1 sono esposti ad un minor rischio di sviluppare ipertensione se mantengono uno stretto controllo glicemico per un periodo prolungato. L’iperglicemia infatti contribuisce alla patogenesi dell’ipertensione in questi soggetti. Bench? la prevalenza dell’ipertensione sia aumentata nei pazienti diabetici, gli effetti a lungo termine dell’iperglicemia e del trattamento insulinico sulla pressione erano finora sconosciuti, e si temeva che l’insulinemia o l’aumento di peso associato all’insulinoterapia intensiva potessero di fatto causare ipertensione, ma ci? ? stato smentito, ed ? stato dimostrato che l’insulinoterapia ha invece un ruolo protettivo in questo senso. Questa azione per? si svolge su periodi di tempo prolungati. In alternativa, ? possibile che gli effetti benefici della riduzione della glicemia siano controbilanciati da effetti collaterali non rilevati dell’insulinoterapia intensiva a breve termine. (Arch Intern Med 2008; 168: 1867-73)

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L’et? aggrava i sintomi urinari

La prevalenza e la gravit? dei sintomi a carico del tratto urinario inferiore incrementano negli uomini intorno ai 90 anni. Questi sintomi sono altamente prevalenti nel sesso maschile, intervenendo nel 15-60 percento degli uomini sopra i 40 anni negli USA ed in Europa: la loro prevalenza aumenta marcatamente con l’et?, ma i dati in merito nei soggetti dagli 80 anni in su erano finora scarsi. Quanto rilevato per? dimostra che, nonostante il fatto che la prevalenza dei sintomi a carico del tratto urinario inferiore sia maggiore negli uomini anziani, l’assetto di tali sintomi tende a cambiare con l’et?, e sono necessari ulteriori studi per meglio comprendere queste differenze. (Urology 2008; 72: 318-21)

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