Morbo di Parkinson: individuato nuovo fattore predittivo?

L’elevata concentrazione di urati nel sangue pu? essere un fattore predittivo della progressione del morbo di Parkinson.

L’urato ? una sostanza antiossidante di efficacia comparabile a quella dell’ascorbato. Ad alte concentrazioni nel sangue serve come una delle maggiori difese contro le specie reattive dell’ossigeno. Lo stress ossidativo, ? noto, pu? contribuire alla perdita di neuroni dopaminergici nella sostanza nigra di individui affetti dal morbo di Parkinson o da altre malattie neurodegenerative. La concentrazione di urati nel sangue potrebbe essere, dunque, un indicatore per verificare lo stato di progressione di questo tipo di disturbi.

Per verificare questa ipotesi un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School ha condotto lo studio PRECEPT (The Parkinson Research Examination of CEP Trial); i risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Archives of Neurology. Lo studio ? stato condotto tra l’aprile del 2002 e l’agosto del 2005 con una media di follow-up di circa 21,4 mesi. Nel corso dello studio si ? verificata la progressione del morbo di Parkinson rispetto alla concentrazione di alcune sostanze considerate neuroprotettive. I risultati hanno dimostrato che nei pazienti in cui la progressione della malattia ? pi? veloce la concentrazione di urati nel sangue ? molto elevata, probabilmente perch? “testimone” di un forte stress ossidativo in corso.

Bibliografia. Schwarzschild MA et al. Serum Urate as a Predictor of Clinical and Radiographic Progression in Parkinson Disease. Arch Neurol 2008; 65(6):716-723.

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Perch? sottovalutare le patologie renali croniche?

La popolazione mondiale non ? consapevole dell?esistenza e delle implicazioni delle patologie renali croniche, che invece hanno una tale incidenza e un tale impatto sulla mortalit? globale da rappresentare una vera e propria emergenza sanitaria. L?appello giunge dalle pagine del Lancet.

I ricercatori dei National Health Research Institutes di Taiwan guidati da Chi Pang Wen hanno preso in esame 462.293 pazienti che avevano partecipato a un programma di screening nel 1994 e quantificato tassi di incidenza e mortalit? associata alle patologie renali croniche (Chronic Kidney Disease, CKD). Al 31 dicembre 2006 si erano registrati 14.436 decessi: la prevalenza delle CKD ? risultata del 12 per cento, ma solo il 3,54 per cento dei pazienti ne era consapevole. Tra i pazienti affetti da CKD si sono registrate: mortalit? generale + 83 per cento e mortalit? cardiovascolare + 100 per cento.
?Le persone affette da patologie renali croniche sono molte volte pi? numerose di quelle affette da diabete, e pi? della met? di quelle affette da ipertensione?, spiega Wen. ?Eppure la popolazione non ne ? consapevole e non effettua i test diagnostici come l?analisi delle urine con la frequenza che sarebbe necessaria?.

Bibliografia. Wen CP, Cheng TYD, Tsai MK et al. All-cause mortality attributable to chronic kidney disease: a prospective cohort study based on 462293 adults in Taiwan. The Lancet 2008; 371(9631): 2173-2182.

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La conta dei capelli per capirne la caduta

Una semplice conta dei capelli della durata di un minuto costituisce uno strumento pratico ed obiettivo per la valutazione della perdita dei capelli nell’uomo. Attualmente non vi sono metodi largamente accettati o standard per la valutazione del numero di capelli persi giornalmente. Bench? la letteratura dermatologica ed i media affermino spesso che perdere circa 100 capelli al giorno sia normale, questo numero ? discutibile. Una conta di un minuto effettuata in modo appropriato risulta semplice, pratica ed affidabile a questo scopo. Ulteriori studi che paragonino questi risultati con quelli ottenuti su pazienti con alopecia androgena o effluvio telogeno incrementerebbero l’utilit? della tecnica. (Arch Dermatol. 2008; 144: 759-62)

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Tintura aumenta rischio di non-Hodgkin

L’uso di tintura per capelli pu? aumentare il rischio di alcuni tipi di linfoma non-Hodgkin. Questo effetto era gi? stato suggerito in precedenza, ma gli studi epidemiologici che hanno investigato l’associazione hanno portato a risultati incostanti. Fra le donne che hanno iniziato ad usare tintura per capelli dal 1980 in poi, l’incremento del linfoma follicolare risulta limitato all’uso di tinture di colore scuro. Il rischio riguarda soprattutto le donne che hanno fatto uso di tinture in questa fascia temporale, ma non si limita a loro. Sono necessari ulteriori studi per esaminare il rischio di linfoma non-Hodgkin in base al periodo temporale dell’uso della tintura per capelli ed alla suscettibilit? genetica. (Am J Epidemiol 2008; 167: 1321-31)

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Trapianto di midollo: utile l’esercizio

Un programma d’esercizio intraospedaliero della durata di otto settimane produce benefici per la salute fisica e complessiva dei bambini sottoposti a trapianto di midollo osseo. Era stato precedentemente dimostrati che l’esercizio fisico ? di beneficio per la capacit? fisica e lo stato di salute complessiva degli adulti sottoposti a queste procedure, ma pochi studi sono stati focalizzati sull’esercizio fisico nelle popolazioni pediatriche trapiantate. Bench? siano necessari ulteriori studi su popolazioni pi? ampie per corroborare questi dati preliminari, i bambini fra gli otto ed i 16 anni recentemente sottoposti a trapianto di midollo per il trattamento della leucemia possono sottoporsi in sicurezza a programmi strutturati di condizionamento intraospedaliero. Tali programmi dovrebbero comprendere esercizi sia di resistenza che aerobi per indurre i benefici desiderati. (Int J Sports Med 2008; 29: 439-46)

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All?erta contro l?epatite B

Contro l?epatite B occorre rialzare la guardia. ? un indubbio successo il continuo calo dei tassi d?infezione dagli anni Ottanta: merito della vaccinazione, che l?Italia per prima ha reso obbligatoria nel 1991 in neonati e dodicenni venendo in seguito copiata da altri, e poi dello screening sul sangue, dell?uso di materiale sanitario a perdere, di una certa prudenza di comportamenti con l?insorgere della paura dell?AIDS. La prevalenza infatti ? scesa dal 2,4-3% degli anni Settanta allo 0,8% degli anni recenti. ?La popolazione sopra i 29 anni d?et?, che aveva cio? pi? di 12 anni nel 1991, non ha ricevuto la protezione? spiega Massimo Colombo, direttore 1? Divisione di Gastroenterologia del Policlinico, Mangiagalli, Regina Elena di Milano, in un incontro sulle strategie terapeutiche di gestione dell?epatite B ?perci?, escludendo i molti che venuti a contatto con il virus hanno sviluppato l?anticorpo, milioni di persone restano formalmente esposte. Se il continuo calo d?incidenza e prevalenza dovrebbe rassicurare, negli ultimi anni tuttavia c?? evidenza di una ripresa dell?epatite B, soprattutto trasmessa per via sessuale, cio? quella principale da noi, seguita dall?uso di strumenti contaminati, di droghe per via venosa e di pratiche come piercing e tatuaggi?. Va ricordato che il virus dell?epatite B ? cento volte pi? contagioso dell?HIV. ?La ripresa sembra dovuta essenzialmente a due motivi? prosegue Colombo. ?In parte c?? un calo d?attenzione alla prevenzione legato all?idea che comunque ci si pu? curare. Inoltre nel nostro paese sono immigrate molte persone provenienti da aree dove l?infezione ? endemica, non solo Asia e Africa, ma anche paesi dell?Europa orientale ed ex Unione Sovietica, importanti serbatoi dell?epatite B e anche della Delta che le si associa nel 5% dei casi. Un numero crescente di adulti/anziani non immunizzati viene contagiata sessualmente da portatori dell?infezione e sviluppa una forma acuta che a volte cronicizza. E aumentano casi prima rari, epatiti B croniche antigene positive, ad alto livello di replicazione virale e quindi contagiosit? gi? in fase precoce (primi 10-15 anni)?.

Casi sfuggenti a lungo asintomatici
I nuovi casi si aggiungono ai circa 500 mila portatori cronici di epatite B che si ritiene ci siano nel nostro paese, dei quali almeno met? ha qualche forma di malattia del fegato. La condizione di portatore non significa malattia ma pu? diventare epatite cronica attiva quando si arriva all?attacco del sistema immunitario che provoca l?infiammazione e i danni successivi. Il rischio ? che la forma cronica evolva in cirrosi e altre complicanze, fino all?epatocarcinoma. Il fatto ? che molto spesso la malattia non viene diagnosticata per anni o decenni, in quanto resta a lungo asintomatica; solo se progredisce cominciano segni dagli iniziali stanchezza e mancanza d?appetito ai successivi ittero, nausea, urine scure e feci chiare. ?Fattori che accelerano il decorso? aggiunge Colombo ?sono sesso maschile, et? meno giovane, sovrappeso, abuso alcolico, fumo e probabilmente modalit? dell?infezione, tipo genetico del virus, co-infezione virale (agente Delta e in quota minore virus dell?epatite C)?. Una conseguenza dell?importazione di nuovi portatori ? anche l?arrivo in Italia di genotipi virali diversi, in particolare le nuove epatiti HBeAg positive, invece del genotipo D predominante da noi, vedono in causa il B e il C, asiatici e africani. Questo ha ripercussioni sul piano terapeutico: poich? la risposta ai diversi farmaci cambia, ? necessario tipizzare geneticamente il virus; inoltre pone il problema di come rivedere la strategia vaccinale, che era rivolta ai soggetti a maggior rischio di cronicizzazione, come i bambini.

Resistenze sul lungo periodo
Quanto a interrompere la progressione con i farmaci attuali ? possibile oltre che con gli interferoni (terapia a tempo), che riducono l?attivit? virale ma con una buona parte di soggetti non responder e risultati nel lungo termine bassi, con gli analoghi di nucleotidi o nucleosidi che vanno per? somministrati a tempo indeterminato. ?La strategia terapeutica va ben ponderata in base al paziente e al farmaco? sottolinea Stefano Fagioli, direttore USC Gastroenterologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo. ?Il soggetto pi? delicato ? quello pi? giovane con decenni di trattamento davanti a s?, per il quale la strategia terapeutica sar? pi? decisa; vanno poi considerate gravit? ed evolutivit? distinguendo forma HBeAg positiva o negativa, presenza di cirrosi compensata o scompensata. Nel trattamento a lungo termine il rischio ? quello delle mutazioni del virus e quindi delle farmaco-resistenze. Si sa che pi? precocemente e decisamente si abbassa la viremia, cio? il farmaco ? potente e rapido, meno probabilmente insorgeranno mutazioni. In quest?ottica si inseriscono molecole di nuova generazione che sembrano pi? efficaci nell?impedire lo sviluppo di mutazioni virali: come il pi? recente, tenofovir, che sopprime rapidamente la viremia, con risposte gi? nel primo anno dell?80% nei pazienti e positivi e del 100% negli e negativi?. La nuova opzione ? stata appena approvato dall?EMEA per la terapia dell?epatite B cronica sia in soggetti mai trattati sia in malati farmaco-resistenti.

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Sorpresa velenosa in giardino

Chi pensa che il giardinaggio sia un hobby innocuo si deve ricredere. In Gran Bretagna, infatti, un uomo ha sviluppato gravi problemi respiratori dopo aver fatto banali lavori nel suo giardino e avendo a che fare con materiali piuttosto comuni anche per un giardiniere dilettante, dal concime al pacciame fino al legno decomposto. Il caso dell’uomo quarantasettenne, riportato da Lancet e ripreso dalle cronache britanniche, si ? concluso con la morte dello stesso. Come ? potuto succedere? Colpa di un fungo, l’Aspergillus, uno dei pi? comuni funghi ambientali che si ritrova molto frequentemente nella vegetazione in putrefazione o nei cumuli di concime. Le spore del fungo possono portare a un gruppo di malattie infettive e allergiche note come aspergillosi polmonari. Le spore, infatti, si diffondono nell’aria e una volta inalati gli aspergilli colonizzano l’albero tracheobronchiale determinando una successiva risposta autoimmune. Tra gli esiti pi? probabili, una cronicizzazione della malattia asmatica e alterazioni importanti come fibrosi e insufficienza respiratoria. I rischi si fanno ancora maggiori se i funghi si diffondono ad altri organi quali cervello e reni. Ecco perch?, osservano gli autori, potrebbe essere una buona idea dovendo gestire grandi quantit? di terriccio o di compost, dotarsi di una maschera che protegga dalle polveri. L’aspergillo, infatti, ? piuttosto comune nei giardini, i rischi mortali sono rari, per?. Il caso dell’uomo britannico ? illuminante da questo punto di vista.

Il caso su Lancet
Il fatto risale al maggio 2007 nel Buckinghamshire, quando si ? presentato all’ospedale un uomo con difficolt? respiratorie in via di rapido peggioramento, febbre e dolore muscolare. Dall’esame ai raggi x i medici hanno interpretato un possibile caso di polmonite e hanno somministrato antibiotici. Senza effetto. Anzi l’infiammazione polmonare ? andata peggiorando. Si ? arrivati cos? al trasferimento presso l’unit? di cura intensiva ma neanche questo passaggio ha sortito alcun effetto. Si ? reso necessario perci? il trasferimento in un ospedale pi? grande, per un tentativo da ultima spiaggia. Quello di introdurre ossigeno nel suo corpo. E’ a questo punto che gli esami di laboratorio hanno evidenziato la presenza di aspergillo in due campioni e si ? reso necessario consultare la compagna del paziente, da cui si ? appreso che il giorno prima che si manifestassero i sintomi, l’uomo era stato investito da nuvole di polvere mentre lavorava a terra. A questo ? partita la giusta terapia, quella a base di trattamenti antifungini, ma troppo tardi, l’uomo ? morto pochi giorni dopo con una rapidit? sorprendente per i medici. Al di l? dell’essere un fumatore e di lavorare come saldatore, infatti, l’uomo era nel complesso in buona salute. L’aspergillo, commenta David Denning dell’Universit? di Manchester alla Bbc, ? comune in molti giardini e diventa pericoloso solo se ? mosso in grandi quantit? e se la polvere che ne risulta viene inalata. Nessun problema, perci?, quando si ha a che fare con giardini su piccola scala o con poche quantit? di compost. In sostanza con i fiori del terrazzo non si dovrebbero rischiare esiti fatali e non ? necessario bardarsi con tute mimetiche. Se le quantit? aumentano, un blando rischio esiste. Si tratta di identificare rapidamente il problema e provvedere con l’adatta terapia antifungina. Molti medici non hanno mai avuto a che fare con casi di aspergillosi nella loro professione. Forse sarebbe meglio contemplarli.
Fonte
Russell K et al. Gardening can seriously damage your health. The Lancet

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Stili di vita salva-prostata

La progressiva identificazione di geni implicati nello sviluppo di malattie (ce ne sono anche di protettivi) potrebbe essere letta da alcuni in chiave di scarsa utilit? della prevenzione, come alibi per non cambiare stili di vita poco sani. Invece ? sempre pi? evidente che la genetica da sola non basta, conta l?interazione dell?ambiente e cio? dei fattori esterni, che decidono se si attiver? o disattiver? un determinato processo, o almeno sono in grado di modularlo. Una nuova dimostrazione, esemplare nei risultati, viene da una ricerca californiana, nella quale una decisa modifica dei comportamenti alimentari e d?altro tipo in uomini con tumore prostatico indolente a basso rischio ha prodotto gli attesi miglioramenti fisici e metabolici, ma ha anche mostrato di ?spegnere? un folto gruppo di oncogeni e di accenderne altri invece benefici. In un?altra ricerca, sempre californiana, si sono viste le implicazioni delle stesse famiglie di geni dannosi e della restrizione energetica nella diversa resistenza di cellule sane o tumorali a stress ossidativo o chemioterapia.

Dieta, gestione dello stress, esercizio
L?epidemiologia ha gi? messo in luce che l?incidenza del cancro della prostata ? molto inferiore nelle popolazioni con alimentazione povera di grassi e prevalentemente vegetale, cos? come alcuni studi hanno mostrato che misure dietetiche e comportamentali in uomini con il tumore in stadio precoce possono diminuire l?antigene prostatico PSA o rallentarne l?aumento, risultando potenzialmente terapeutiche. Un aspetto importante da chiarire anche perch?, in molti malati con la forma indolente sottoposti a screening per il PSA a lungo termine, non si rileva la progressione della malattia, tanto che non si ritiene necessario trattarli ed esporli cos? a effetti indesiderati. Lo studio GEMINAL (Gene Expression Modulation by Intervention with Nutrition and Lifestyle) ha voluto approfondire le conseguenze di modifiche intensive dello stile di vita rispetto all?espressione dei geni prostatici in uomini appunto con il tumore indolente a basso rischio, selezionati in modo da minimizzare la possibilit? di malattia metastatica. I trenta partecipanti, et? media 62 anni, che non avevano voluto sottoporsi nell?immediato a chirurgia o radioterapia od ormonoterapia, mentre erano sotto sorveglianza rispetto alla progressione del tumore, hanno partecipato a un programma completo che prevedeva cibi poveri di grassi (l?11,6% delle calorie totali), integrali e di base vegetali, tecniche di gestione dello stress, esercizio moderato in forma di cammino quotidiano (3,6 ore a settimana). Dopo tre mesi si sono andati a vedere gli effetti, analizzando anche materiale genetico (RNA) estratto dalle agobiopsie prostatiche.

Possibile nuova strategia per la che mio
Com?era nelle attese questo regime ha prodotto un significativo miglioramento di fattori negativi, cio? riduzione dell?indice di massa corporea, della pressione sistolica e diastolica, della lipidemia, della circonferenza vita; calo non significativo per la trigliceridemia e la proteina C-reattiva; diminuito significativamente anche il distress psicologico e migliorato il benessere psicologico legato alla qualit? della vita. Non solo: si ? dimostrata una sotto-regolazione di 453 geni coinvolti nella modulazione di processi critici per l?oncogenesi, implicati nel metabolismo, nel trasporto e nella fosforilazione di proteine. Per esempio oncogeni della famiglia RAS oppure, come visto in analoghi studi su obesi, geni legati all?IGF-1 (fattore di crescita insulino-simile), o geni del metabolismo dei carboidrati. Inoltre ? risultata una sovra-regolazione, di carattere positivo, di altri 48 geni. Modulare l?espressione genica agendo sullo stile di vita sembra dunque possibile. A questo si ricollega la seconda ricerca californiana, per sondare l?ipotesi che una dieta meno calorica potesse proteggere cellule normali ma non cellule tumorali da un elevato stress ossidativo o dalla chemioterapia. In diversi animali, in mancanza di geni equivalenti agli oncogeni umani delle famiglie RAS e IGF1, si ? vista un?associazione tra longevit? e migliore resistenza allo stress; quest?ultima si ? vista anche in esperimenti che valutavano l?effetto sull?organismo delle restrizioni caloriche. Gli autori statunitensi hanno verificato che le cellule ?affamate? e sane erano fino a mille volte pi? protette, ma non quelle malate. Una possibile futura strategia potrebbe basarsi su nuove chemioterapie che generano alti livelli ossidativi in combinazione con la minore resistenza allo stress delle cellule cancerose determinata dalla dieta.

Elettra Vecchia
(Ornish Dean e coll. Changes in prostate gene expression in men undergoing an intensive nutrition and lifestyle intervention. PNAS 2008; 105 (24): 8369-74
Raffaghello Lizzia e coll. Starvation-dependent differential stress resistance protects normal but not cancer cells against high-dose chemotherapy. PNAS 2008; 105 (24): 8215-20)

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SOY ISOFLAVONES COULD REDUCE INFANT MORTALITY

A soy isoflavone used in soy infant formula could reduce diarrhea in infants, according to a new study, and thereby save lives in developing countries.
Researchers at the University of Illinois at Urbana-Champaign (UIUC) found that the soy isoflavone genistin may reduce a baby’s susceptibility to rotavirus infections by as much as 74 percent. The study, published in September’s Journal of Nutrition, exposed cells in culture to rotavirus in both the absence and presence of soy isoflavones.
According to the researchers, the results could flag up soy isoflavones as a potential alternative to expensive rotavirus vaccines that are inaccessible to poorer families.
“It’s exciting to think that the isoflavones in soy formula could be a cost-effective nutritional approach to decreasing the incidence and severity of rotavirus infections, especially among children in developing countries who are most at risk,” said Sharon Donovan, professor of Nutrition at UIUC.
During 2004 alone, the World Health Organization (WHO) estimates around 527,000 deaths in children worldwide were caused by the rotavirus infection. These deaths represented approximately five percent of all child deaths globally.
“Rotavirus is the primary cause of diarrhea in infants, affecting virtually all children before age five,” said Donovan. “In the United States, it mainly leads to dehydration, doctor’s visits, and parents missing work to care for sick children.”
Soy isoflavones are the biologically active compounds in soy that are thought to have health benefits, such as relieving the symptoms of menopause, increasing bone density and reducing cholesterol. Genistin is the major isoflavone in soy.
Soy as an ingredient has already gotten a large plug from a US Food & Drug Administration approved health claim linking it to heart disease risk reduction: “Diets low in saturated fat and cholesterol that include 25 grams of soy protein a day may reduce the risk of heart disease. One serving of (name of food) provides ____ grams of soy protein.”
As part of the UIUC study, performed by doctoral candidate Aline Andres, different forms of soy isoflavones were tested individually as well as together in the complete mixture that is used in infant formula.
“Genistin and the mixture significantly reduced rotavirus infectivity by 33 to 74 percent,” said Donovan. “But when genistin was taken out of the mixture, anti-rotavirus activity was lost, suggesting that it is the active component in reducing infectivity.”
Throughout the course of the study, funded by the US Department of Agriculture and the Illinois Soybean Association, rotavirus inhibition began at the isoflavone concentrations used in soy formula, and then levelled off. According to the researchers, this points to the existence of a level of ingestion at which soy isoflavones is effective, beyond which there is no additional benefit for preventing rotavirus.
“We then exposed the cells to different concentrations of rotavirus,” said Donovan. “If an infant had a severe infection or was exposed to a lot of rotavirus, we wondered if the isoflavones would still be as effective.”
The researchers involved now plan to take their investigation one step closer to humans by conducted studies on neonatal piglets.
“We’ll be interested to see if we have the same results when we work with young animals,” said Donovan.
Source: Andres, Aline et al. “Isoflavones at concentrations present in soy infant formula inhibit rotavirus infection in vitro.” Journal of Nutrition. 2007 137: 2068-2073.

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SOY ISOFLAVONES MAY CUT PROSTATE CANCER RISK IN HALF

Increased intake of soy isoflavones may cut the risk of prostate cancer by 58 percent, suggests a new study from Japan.
The research, published in the Journal of Nutrition, adds to an earlier study that claimed to be the first prospective study to report an inverse association between isoflavones and prostate cancer in Japanese men.
Over half a million new cases of prostate cancer are diagnosed every year world wide, and is the direct cause of over 200,000 deaths. More troubling, the incidence of the disease is increasing by 1.7 percent over 15 years.
The new study recruited 200 Japanese men with different stages of prostate cancer and compared their dietary intakes with 200 healthy male controls.
The intake of 12 food items was measured: tofu (soybean curd), natto (fermented soybeans), miso soup (soybean paste soup), bean curd refuse, fried bean curd, fried bean curd with vegetables, soy flour, dried bean curd, soy milk, soy sauce, green soybeans, and bean sprouts.
The researchers report that an increased intake of the soy isoflavones genistein and daidzein was significantly associated with a decreased risk of prostate cancer. The highest average isoflavone intake was associated with a 58 percent reduction in risk compared with the lowest average isoflavone intake.
They also report that the isoflavone intake was correlated with magnesium and omega-3 and omega-6 fatty acid intake, since soy products are also rich sources of these nutrients.
“On the other hand, isoflavone significantly decreased the risk of prostate cancer regardless of adjustment by PUFA, (omega-6) fatty acids or magnesium,” they said.
The researchers indicated that the results may not be generalized to other populations since the traditional Japanese diet is a rich source of dietary isoflavones.
The earlier study linking isoflavones to potential protection from prostate cancer stated that the benefits could be due to the weak oestrogenic activity of soy isoflavones, which may act to reduce testosterone levels and inhibit an enzyme involved in the metabolism of testosterone.
Corresponding author Tomoko Sonoda said, “Our group is performing the intervention study of isoflavone supplement and analyzing the interaction of estrogen related gene and isoflavone intake on prostate cancer risk.”
?In conclusion,? Sonoda continued, ?our findings indicate that isoflavones might be an effective dietary protective factor against prostate cancer in Japanese men.?

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