Prediabete da scoprire

Il diabete di tipo 2 non ? abbastanza diagnosticato e trattato, specie dalla Medicina di famiglia. ? questo il messaggio emerso chiaramente dal rapporto britannico sullo screening del diabete di tipo 2 pubblicato a settembre dall`Health Technology Assessment. Gli autori del trattato sono stati ancora pi? irremovibili della precedente review del National Screening Committee e le loro conclusioni sono state recentemente riprese in un commento su Lancet a cura di tre esperti del dipartimento di Medicina generale dell`universit? di Auckland in Nuova Zelanda.

Uscire allo scoperto, perch?
La mancanza di Linee guida precise o di criteri condivisi per lo screening del diabete ha relegato il prediabete nell`ombra ma ora l`efficacia delle statine nella prevenzione cardiovascolare, da un lato, e l`impennata nella prevalenza di obesit? e diabete di tipo 2 dall`altro dimostrano che il problema deve essere affrontato in maniera pi? seria.
L`intolleranza al glucosio aumenta il rischio cardiovascolare di circa il 60% e un`alterata glicemia a digiuno lo incrementa del 30%; per ogni soggetto diabetico ce ne sono almeno 4 in fase prediabetica, due dei quali progrediranno verso il diabete conclamato. Tutto questo per? si pu? prevenire, o almeno ritardare, con la dieta, l`esercizio fisico e alcuni farmaci. Gli interventi, sullo stile di vita sono tanto pi? efficaci quando effettuati su soggetti selezionati, mentre i farmaci possono meno e, del resto, non sono impiegati adeguatamente neanche nel diabete, il cui controllo non ? ancora ottimale.

Screening, come
Il test plasmatico del glucosio a digiuno individua il diabete e le anomalie glicemiche ma non l`intolleranza al glucosio. Analisi random sul glucosio plasmatico hanno meno specificit? e sensibilit?. Il test di tolleranza orale al glucosio (test di carico) ? considerato troppo impegnativo per il paziente ed ? poco riproducibile. La misurazione dell`emoglobina glicosilata (HbA1C) non rientra nelle indagini di routine, ma si correla bene sia con lo stato diabetico (si usa infatti per monitorare la glicemia dei pazienti) sia con le alterazioni del prediabete e, ad oggi, sono anche stati risolti i problemi di standardizzazione che lo rendevano poco affidabile. ? questo l`esame che gli autori dell`Health Technology Assessment consigliano per individuare i pazienti a rischio, impostando valori di cut off inferiori del 5,9% a quelli impiegati per la diagnosi del diabete. Naturalmente il medico di famiglia deve fare una prima selezione dei pazienti, sulla base dei fattori di rischio noti (et?, indice di massa corporea o circonferenza addominale, familiarit?, etnia, iperlipidemia, ipertensione), per scegliere quali sottoporre allo screening.

Trattare subito
Selezionare i soggetti a rischio e confermare lo stato prediabetico con i test a disposizione dovrebbe diventare una delle priorit? dei medici di Medicina generale. Perch? prediabete, diabete e malattie cardiovascolari colpiscono di pi? le classi socialmente ed economicamente svantaggiate. Quelle classi che accedono quasi esclusivamente all?assistenza sanitaria pubblica e per le quali la correzione degli stili di vita rappresenta l`intervento pi? importante, economico e quindi realizzabile.
Resta ancora da stabilire ogni quanto tempo andrebbe ripetuto lo screening e come debbano essere dei programmi d`esercizio applicabili ad un gran numero di soggetti. Ma non sono scuse sufficienti per ignorare il problema.

Elisabetta Lucchesini
(Kenealy T et al. Screening for diabetes and prediabetes. The Lancet 2007; 370: 1888-1889)

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Tumore prostatico localizzato: la terapia di deprivazione androgenica non miglio

La terapia di deprivazione androgenica non ha mostrato di migliorare la sopravvivenza degli uomini anziani con tumore alla prostata in fase precoce.

Lo studio ha riguardato 19.271 uomini di 77 anni ( et? mediana ), a cui era stato diagnosticato nel periodo 1992-2002 un tumore alla prostata, localizzato.

Di questi pazienti 7.867 avevano ricevuto terapia di deprivazione androgenica.

Durante lo studio 1.560 uomini sono morti a causa del tumore prostatico e 11.045 sono morti per altre cause.

I pazienti trattati con la terapia di deprivazione androgenica hanno presentato una riduzione della sopravvivenza a 10 anni tumore prostata-specifico del 19.9% contro il 17.4% del gruppo approccio conservativo.

La terapia di deprivazione androgenica non ? approvata nel trattamento del carcinamoa prostatico localizzato, ma ? ampiamente utilizzata.
La terapia ? associata a vampate di calore, impotenza, osteoporosi e diabete.

La terapia di deprivazione androgenica riduce i livelli di testosterone nell?organismo.

Negli Stati Uniti, il tumore della prostata ? diagnosticato ogni anno a 186.000 uomini, con la mortalit? ? di 28.000 pazienti.

Fonte: JAMA, 2008
production and Embryology- 24th Annual Conference, 2008

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Alterazioni spermatiche per gli uomini in sovrappeso

Gli uomini obesi o in sovrappeso hanno pi? bassi volumi di liquido seminale ed una pi? alta proporzione di sperma anormale.

E? stato esaminato il liquido seminale di 5.316 uomini, che facevano riferimento all?Aberdeen Fertility Centre per difficolta nel concepire un figlio.
Per alcuni soggetti erano disponibili i valori dell?indice di massa corporea ( BMI ).

I Ricercatori hanno diviso gli uomini in 4 gruppi sulla base dell?indice BMI.

L?analisi ha mostrato che gli uomini con indice BMI ottimale ( 20-25 ) presentavano pi? alti livelli di sperma normali, rispetto a quelli di altri gruppi.
Questi soggetti presentavano anche un pi? alto volume dello sperma.

Tra i 4 gruppi non ? stata osservata nessuna significativa differenza riguardo alla concentrazione dello sperma o alla motilit?.

Altri studi hanno indicato un?associazione tra obesit? maschile ed aumentato danno del DNA nello sperma, che pu? essere associata a ridotta fertilit?.

Adottando uno stile di vita sano ed una dieta bilanciata, e regolare esercizio fisico, si pu? migliorare il proprio indice BMI ed anche la qualit? dello sperma.

Fonte: European Society of Human Re

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Alopecia androgenetica femminile: terapia ormonale

La perdita di capelli nelle donne ( alopecia androgenetica femminile ) ? una comune condizione nelle donne.
Quasi il 10% delle donne in premenopausa mostra evidenza di alopecia androgenica.
Con il passare dell?et? aumenta l?incidenza, ed il 50-75% delle donne di 65 anni ed oltre soffre di questa condizione.

Solo la soluzione di Minoxidil ( Regaine ) al 2% per uso topico ? stata approvata nel trattamento dell?alopecia androgenica femminile.

Dati di letteratura stanno ad indicare che la terapia antiormonale ( es. Ciproterone, Spironolattone ) ? utile nel trattare l?alopecia in alcune donne, che hanno normali livelli ormonali.

L?impiego delle terapie ormonali ? stato pi? estensivamente studiato nelle donne in postmenopausa.

Diversi studi hanno indicato che il Ciproterone ( Androcur ) con o senza Etinil Estradiolo e Spironolattone ( Spirolang ) pu? migliorare l?alopecia androgenica femminile nelle donne con normali livelli ormonali, ma sono necessari studi di maggiore dimensione per confermare questi risultati.

In uno studio clinico, la Flutamide ( Eulexin ) ha mostrato di essere pi? efficace dello Spironolattone o del Ciproterone.

Gli inibitori della conversione del testosterone sono stati valutati nel trattamento dell?alopecia nelle donne in postmenopausa con normali livelli ormonali.
Nessuno studio ha mostrato che 1 mg di Finasteride ( Propecia ) sia risultato efficace nell?alopecia androgenica femminile, ma a dosaggi maggiori, la Finasteride ( Proscar ) 2.5-5 mg/die ? risultata utile in alcune donne in studi in aperto.

In conclusione, il ruolo dei farmaci antiandrogeni nell?alopecia androgenetica femminile sia nelle donne in premenopausa che nelle donne in postmenopausa rimane da essere definito.

Scheinfeld N, Dermatol Online J 2008; 14: 1

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Il rischio di linfoma non Hodgkin ? risultato pi? alto tra i frequenti donatori

Un gruppo di Ricercatori del Karolinska Institutet a Stoccolma in Svezia, ha condotto un confronto in una coorte di donatori svedesi e danesi per verificare i possibili effetti della donazione di sangue e della perdita di ferro sull?incidenza di cancro minimizzando l?effetto del donatore sano.

? stato utilizzato uno studio caso-controllo nested, nel quale sono stati definiti casi tutti i donatori con diagnosi di tumore tra le loro prime donazioni di sangue registrate e il termine dello studio ( n = 10.866 ).
Il gruppo controllo era composto da 107.104 soggetti.

Non ? stata osservata nessuna chiara associazione tra il numero delle donazioni e il rischio generale di cancro. Tuttavia, tra la pi? bassa ( < 0,75 g ) e la pi? alta ( > 2,7 g ) categoria di perdita di ferro stimata ? stato osservato un trend decrescente di rischio di cancro al fegato, al colon, al polmone, allo stomaco e all?esofago, tumori questi che sarebbero favoriti dall?eccesso di ferro ( odds ratio combinata [ OR ] = 0,70 ), ma solo tra gli uomini e solo con una latenza di 3-7 anni.

Il rischio di linfoma non Hodgkin ? risultato pi? alto tra i frequenti donatori di plasma ( > 25 vs 0 donazioni, OR = 2,14 ).

In conclusione, ripetute donazioni di sangue non sono risultate associate ad un aumento o a una diminuzione del rischio generale di tumore.
La mancanza di consistenza tra i periodi di latenza genera dubbi su una apparente associazione tra riduzione del rischio di cancro e la perdita di ferro negli uomini.
L?associazione positiva tra frequenti donazioni di plasma e rischio di linfoma non-Hodgkin necessita di ulteriore valutazione.

Edgren J et al, J Natl Cancer Inst 2008;100: 572-579

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Gravidanza

Se la gravidanza ? turbata

Anche un evento luminoso per la vita di una donna come l’arrivo di un bambino si pu? accompagnare a ombre, come nel caso della depressione che viene detta appunto post-partum. Un disturbo probabilmente pi? frequente di quanto si pensi, che per? richiama l’attenzione solo per i casi eclatanti. La gravidanza e il post-partum, del resto, sono condizioni nelle quali aumenterebbe la vulnerabilit? a disturbi di natura psichiatrica. Con effetti associati finora a minore salute materna, a inadeguata assistenza prenatale, a esiti sfavorevoli per il figlio come crescita fetale inferiore, ridotto sviluppo cognitivo e comportamentale nell’infanzia e nell’adolescenza, stato nutrizionale e di salute carente. Conoscere meglio i disturbi psichiatrici pre e post-parto ? la premessa per individuare, seguire e curare le donne a maggior rischio.
Depressione, ansia e non solo
Il fenomeno ? stato analizzato dal National Epidemiologic Survey on Alcohol and Related Conditions statunitense, con una ricerca condotta nel 2001-2002 attraverso interviste a oltre 43.000 donne, delle quali circa 14.500 tra 18 e 50 anni e in gravidanza nell’anno precedente. Oltre all’ampiezza, aspetti che rendono pi? esaustiva questa ricerca rispetto ad altre sono l’aver confrontato donne incinte con altre non incinte di et? equivalente, l’essersi basata sui criteri diagnostici di riferimento del DSM-IV invece che su altre scale, l’aver considerato non solo la depressione oppure ansia e turbe dell’umore come in genere si ? fatto, bens? una gamma pi? ampia di disturbi psichiatrici (anche abuso di sostanze, distimia, panico, fobie specifiche, eccetera). L’obiettivo era saperne di pi? sulla frequenza e sui fattori legati a tali disturbi negli Stati Uniti: per i pi? noti la prevalenza ? stata valutata in altri studi tra il 15% e il 30%, una stima non molto lontana da quella per la sola depressione intorno al 10-15% per il nostro paese. Queste le principali evidenze. Le donne incinte l’anno prima o dopo il parto avevano livelli significativamente pi? bassi di uso di alcol e sostanze d’abuso, eccetto droghe illecite, rispetto alle donne non incinte; quelle in gravidanza un rischio inferiore di turbe dell’umore rispetto alle non incinte; la sola eccezione era la prevalenza significativamente pi? alta di depressione maggiore nelle donne post-partum in confronto a quelle non gravide. Numerosi ed eterogenei i fattori associati al rischio di disturbi psichiatrici durante l’attesa e dopo il parto: et?, stato civile, stato di salute, eventi di vita stressanti, esperienze traumatiche passate. Le donne incinte l’anno prima e a maggior rischio di tali disturbi erano non sposate o vedove o separate, avevano complicanze gravidiche, una vita stressante, una relazione interrotta, un trauma recente, inoltre avevano in genere una salute meno buona rispetto a quelle che non hanno avuto problemi psichiatrici.
L’auspicio ? pi? sensibilizzazione
La gravidanza di per s? non si lega quindi, per gli autori, a un maggior rischio dei disturbi psichiatrici prevalenti, anche se la depressione pu? aumentare nel periodo successivo al parto. Si identificano per? sottogruppi di donne gravide nei quali i disturbi hanno una prevalenza particolarmente alta, e questo sottolinea la necessit? di migliorare lo screening e il trattamento, a beneficio della loro salute e di quella dei loro figli. Nello studio le donne incinte l’anno prima che avevano richiesto aiuto per problemi psichiatrici erano significativamente di meno di quelle non incinte, e in altri studi solo il 5-14% riceveva un trattamento. Ma questo significa una maggiore sensibilizzazione sia delle donne sia dei medici, per una prevenzione e interventi mirati e precoci nei soggetti a maggior rischio: ricorrendo, per esempio, a campagne educative, e all’accertamento di routine dello stato mentale durante l’assistenza pre e perinatale. Sulla stessa linea d’altra parte la Societ? Italiana di Ginecologia Ostetricia (SIGO), che ha pensato a una campagna di sensibilizzazione e a corsi di aggiornamento dopo aver rilevato, con un sondaggio condotto in primavera, che la maggioranza delle italiane ha scarsa conoscenza del problema e che i medici ritengono vada aumentata l’informazione sull’argomento.
Elettra Vecchia
Fonti
Vesga-Lopez O e coll. Psychiatric Disorders in Pregnant and Postpartum Women in the United States. Arch Gen Psychiatry 20

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Metter ordine tra i noduli

Nel 2007 negli Stati Uniti sono stati diagnosticati circa 30.200 casi di carcinoma tiroideo, ma secondo stime recenti la prevalenza di noduli tiroidei ? pi? elevata (circa il 5% della popolazione ne ? affetto), sopratutto se si considerano quelli subclinici. Anche se nell`85% dei pazienti le lesioni si rivelano benigne, la caratterizzazione preoperatoria dei noduli follicolari della tiroide risulta complessa e spesso incerta, malgrado l`impiego di indagini citologiche sull`ago aspirato. Infatti, questa tecnica non ? in grado di distinguere la natura del nodulo (benigna o maligna) nel 15-30% dei pazienti valutati.
Conseguentemente, numerosi soggetti che presentano proliferazioni follicolari sono sottoposti a tiroidectomia, ma senza una reale necessit? terapeutica. Basti pensare che i risultati istologici finali confermano la malignit? solo nel 10-15% delle lesioni analizzate.

Quando si esprime, la proteina ? un marker
Per migliorare l`accuratezza diagnostica nei confronti dei noduli follicolari tiroidei e, di conseguenza, la selezione dei candidati per l`intervento chirurgico, un gruppo di ricercatori italiani ha condotto uno studio multicentrico per valutare l`efficacia di un test basato sull`analisi dell`espressione della galectina 3, una molecola appartenente al gruppo delle lectine coinvolta in numerosi processi biologici, tra cui l`adesione cellulare, la regolazione del ciclo cellulare, l`apoptosi e la progressione tumorale.
Infatti, come noto in letteratura, questa proteina non ? fisiologicamente espressa nel citoplasma delle cellule tiroidee, ma, se presente, indurrebbe un fenotipo trasformato.
L`indagine, che ha coinvolto 11 centri localizzati sull`intero territorio italiano per un totale di 544 pazienti che presentavano un nodulo tiroideo follicolare classificato come Thy3, ha paragonato la diagnosi finale formulata in base ai risultati istologici (che rappresenta attualmente il gold standard) e quella preoperatoria ottenuta con il test della galectina 3.
Dei 465 soggetti selezionati per l`intervento chirurgico, 70 mostravano anomalie cellulari all`esame istologico e il 71% non esprimeva la galectina 3: nell`85% dei casi queste lesioni galectina 3 negative sono state classificate come benigne al termine dello studio.
Per quanto riguarda i pazienti (134) le cui cellule tiroidee esprimevano la galectina 3, in 101 la diagnosi finale ha confermato la presenza di una neoplasia maligna.
Inoltre, la ricerca ha dimostrato l`elevata sensibilit? (78%) e specificit? (93%) del test della galectina 3 che, quindi, potrebbe essere introdotto quanto prima nella pratica clinica, permettendo una distinzione preoperatoria tra i pazienti che necessitano di una tiroidectomia e quelli in cui questa opzione terapeutica sarebbe superflua.

Per dirimere i casi dubbi
Nonostante l`impiego di questa metodica diagnostica abbia permesso di formulare una diagnosi preoperatoria corretta nell`88% dei pazienti, non va dimenticato che in 29 casi su 130 il carcinoma non ? stato identificato con il test della galectina 3.
Se la scelta di intervenire chirurgicamente si basasse esclusivamente sull`espressione della galectina 3, da un lato si sarebbero eseguiti solo 134 interventi in 465 pazienti, evitando una vasta proporzione (il 71%) di procedure non necessarie, ma dall`altro non sarebbero stati diagnosticati i casi di carcinoma galectina 3 negativi.
Inoltre, con elevata probabilit?, la mancata diagnosi di carcinoma tiroideo in fase preoperatoria ? attribuibile a problemi tecnici nell`esecuzione del test, come dimostra il fatto che nel 28% di queste proliferazioni l`espressione della galectina 3 ? stata successivamente osservata mediante immunoistochimica.

(Bartolazzi A et al. Galectin-3-expression analysis in the surgical selection of follicular thyroid nodules with indeterminate fine-needle aspiration cytology: a prospective multicentre study. Lancet Oncology 2008; 9: 543-549)

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TOS: prime indicazioni

Si ? tenuta a Torino il 16 e 17 maggio 2008 la conferenza di consenso ?Quale informazione per la donna in menopausa sulla terapia ormonale sostitutiva? che ha visto la partecipazione di clinici, giornalisti e rappresentanti dei cittadini. La conferenza ? stata promossa dall`Istituto superiore di sanit? e dal progetto PartecipaSalute, coordinato dall?Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
I due giorni di presentazioni e dibattiti sono serviti a fare il punto sulle evidenze scientifiche disponibili in merito all?uso della terapia ormonale sostitutiva (TOS), a comprendere quali informazioni siano pi? necessarie alle donne e a valutare la qualit? dell?informazione che attualmente ? rivolta alla popolazione femminile e alla classe medica. Al termine, la giuria ha stilato il documento preliminare, che contiene una prima raccolta di raccomandazioni condivise, che si riporta qui di seguito.

Il testo preliminare
Quali aspetti della menopausa possono essere divulgati come problemi di salute?
La menopausa ? una delle tappe evolutive nella vita della donna, che talora pu? presentarsi in forma critica creando malessere.
I problemi per i quali ? dimostrato un rapporto causale con la menopausa sono:
? sintomi vasomotori (sudorazione, vampate di calore),
? disturbi vaginali legati a secchezza delle mucose,
? disturbi del sonno.
I sintomi vaso-motori e i disturbi del sonno sono generalmente temporanei e di intensit? variabile, ma in alcuni casi tali da influenzare negativamente la qualit? della vita della donna. Altri problemi frequentemente associati alla menopausa (quali ad esempio irritabilit?, depressione, dolori osteoarticolari, aumento di peso, etc.) non hanno con essa un sicuro nesso causale, ma sono ugualmente meritevoli di attenzione.

Per quali scopi si pu? consigliare la TOS, a quali donne, per quanto tempo?
La TOS va riservata alle donne con menopausa precoce, che va considerato un quadro patologico, e a quelle che lamentano sintomi vasomotori e disturbi del sonno percepiti come importanti e persistenti, mentre l?atrofia della mucosa vaginale, che non ? un sintomo precoce, ? trattabile con preparati topici.
Le donne devono essere preliminarmente ben informate della transitoriet? e benignit? dei sintomi, dei benefici e rischi della terapia e della frequente ricomparsa dei sintomi alla sospensione del trattamento, per permettere una decisione pienamente consapevole.
La TOS sulla base degli studi attualmente disponibili, non ? consigliabile a scopo preventivo per uno sfavorevole rapporto fra benefici e rischi in quanto:
? il rischio specifico di tumore alla mammella ? correlato alla dose, durata, e tipo di trattamento estroprogestinico utilizzato;
? in ambito cardiovascolare non vi sono prove di efficacia preventiva derivanti da studi
? randomizzati riguardo l?infarto, mentre ? provata una aumentata incidenza di ictus e di episodi tromboembolici venosi, indipendentemente dall?et?;
? per quanto riguarda le fratture osteoporotiche, non sembra consigliabile un trattamento
? preventivo anticipato anche di decenni rispetto all?et? in cui le fratture diventano prevalenti;
? in ambito neurologico non vi sono prove di efficacia rispetto alle demenze e ai deterioramenti cognitivi.
Il caso delle donne che, pur non avendo disturbi importanti hanno per? un vissuto negativo della menopausa e perci? desiderano fare uso della TOS, non pu? essere oggetto di una raccomandazione generalizzabile, ma va valutato nel rapporto con il medico curante.
Alle donne devono essere fornite informazioni relative agli stili di vita opportuni e alle terapie nonfarmacologiche disponibili. Non vi sono dati di letteratura circa la durata di trattamento per il controllo dei sintomi.

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Riduzioni cerebrali

Nonostante in letteratura esistano numerose evidenze che suggeriscono come l`assunzione prolungata di cannabis sia associata alla comparsa di alcuni eventi avversi, molti utilizzatori sono convinti che questa sostanza sia relativamente pericolosa per la salute e che, quindi, dovrebbe essere legalmente disponibile.
Nei Paesi sviluppati, la cannabis rappresenta la droga maggiormente utilizzata: negli Stati Uniti, per esempio, secondo stime recenti, gli utilizzatori sarebbero circa 15 milioni in un mese e, di questi, circa 3,4 milioni assumerebbero la cannabis quotidianamente per almeno un anno.
Tuttavia, ad oggi, la maggior parte degli studi ? stata condotta in modelli animali e dai risultati ottenuti ? emerso come una somministrazione a lungo termine di cannabinoidi sia in grado di indurre cambiamenti neurotossici nell`ippocampo, inclusa una diminuzione del volume neuronale, della densit? neuronale e sinaptica, e della lunghezza dei dendriti dei neuroni piramidali.

Volumi minori
Per questa ragione, un gruppo di ricercatori australiani ha indagato gli effetti di un consumo elevato (oltre 5 dosi al giorno) e prolungato (pi? di 10 anni) di cannabis in 15 soggetti con un`et? media di 39,8 anni e in 16 controlli. Dal campione in esame sono stati esclusi i pazienti affetti da disturbi mentali e neurologici e chi presentava una storia di abuso di molteplici droghe.
In particolare, sono state prese in considerazione ippocampo e amigdala, due regioni cerebrali ricche di recettori per i cannabinoidi, e, tramite risonanza magnetica a elevata risoluzione, sono state misurate le eventuali variazioni volumetriche di queste aree.
I ricercatori hanno, cos?, osservato che i consumatori di cannabis mostravano una riduzione bilaterale del volume sia dell`ippocampo, sia dell`amigdala (rispettivamente del 12% e del 7,1%) e hanno identificato un`associazione inversa tra il volume ippocampale dell`emisfero sinistro e l`esposizione alla droga durante il decennio precedente.
Inoltre, i soggetti che assumevano la cannabis, rispetto agli appartenenti al gruppo di controllo, ottenevano una performance pi? scarsa per quanto riguardava l`apprendimento verbale ed erano esposti a un rischio pi? elevato di insorgenza di sintomi psicotici.

Conferme per l`uomo
I risultati ottenuti confermano quanto osservato in vivo, dimostrando come l`assunzione prolungata di elevate dosi di cannabis induca una significativa riduzione del volume dell`ippocampo e dell`amigdala.
Infatti, con elevata probabilit?, la mancanza di effetti osservata in alcuni studi precedenti era dovuta all`impiego di tecniche di imaging caratterizzate da basso potere risolutivo o da un periodo di esposizione alla sostanza stupefacente troppo breve.
Tuttavia, resta da chiarire l`eziologia delle riduzioni volumetriche osservate, in quanto potrebbero essere dovute a una perdita di glia o neuroni, a un cambiamento delle dimensioni cellulari o a una diminuzione della densit? sinaptica, come suggeriscono i dati emersi da alcune ricerche eseguite in modelli murini.

Ilaria Ponte
(Y?cel M et al. Regional Brain Abnormalities Associated With Long-term Heavy Cannabis Use. Arch Gen Psychiatry 2008; 65 (6): 694-701)

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Nuovo mezzo contro l’osteoporosi

Sanofi-aventis annuncia che dall’1 settembre sar? regolarmente in vendita Optinate 75 mg una nuova formulazione di risedronato per il trattamento dell’osteoporosi in donne in post menopausa ad aumentato rischio di fratture. Optinate 75 mg, 1 cpr per due giorni consecutivi al mese, offre un’ulteriore possibilit? di personalizzare lo schema posologico in funzione delle preferenze della paziente, potendo cos? contribuire a migliorare l’aderenza e quindi l’efficacia del trattamento. La nuova formulazione consente di rispondere alle esigenze delle pazienti che desiderano assumere il farmaco a cadenza mensile, senza rinunciare alla rapidit? e all’efficacia antifratturativa di risedronato dimostrate non solo sulle fratture vertebrali, ma anche su quelle non vertebrali e di femore. Optinate 75 mg ha dimostrato negli studi registrativi un’efficacia sovrapponibile alla formulazione giornaliera (5mg) nell’incrementare la BMD a livello vertebrale e femorale e nel ridurre i marker del turnover osseo con un profilo di tollerabilit? pressoch? identico. La prescrizione di Optinate 75 mg non comporta alcun aggravio di costi rispetto a Optinate 35 mg e consente un risparmio nei confronti di altre formulazioni mensili.

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