Calcolosi della colecisti: diagnosi e terapia

Circa il 15% della popolazione adulta italiana ? affetta da colelitiasi, con una maggiore prevalenza nel sesso femminile e in et? avanzata (Hepatology 1999, 318: 1745-8).
I pazienti affetti da colelitiasi sono asintomatici nell’80% dei casi e solo nel 20% dei casi presentano sintomi indicativi della loro condizione. Tuttavia nel tempo il 20% circa dei pazienti con colelitiasi asintomatica diventa sintomatico e l’1-3% dei casi per anno esordisce direttamente con una complicanza quale, ad esempio, la colecistite acuta, la colangite o la pancreatite acuta.
Di norma i pazienti con colelitiasi asintomatica vengono sottoposti ad un follow up di attesa, mentre le opzioni terapeutiche, mediche o chirurgiche, sono riservate ai casi sintomatici.
L’introduzione della mini-invasiva colecistectomia per via laparoscopica, in sostituzione alla colecistectomia per via laparotomica, ha incrementato negli ultimi anni il ricorso all?opzione chirurgica (JAMA 1993, 270: 1429-32). Invece solo per casi selezionati ? indicato il trattamento litolitico con acidi biliari (Hepatology 1999, 30: 6-13) o la litotripsia extracorporea a onde d?urto (Hepatology 1992, 16: 820-39).
Sintomi della colelitiasi
La presenza di sintomi o pattern sintomatici indicativi di colelitiasi ? stata analizzata nel Multicenter Italian Study on Cholelithiasis (Hepatology 1999, 30: 839-46).
La colica biliare, definita come dolore localizzato all?ipocondrio destro e/o all’epigastrio, della durata di almeno mezz’ora, abbastanza intenso da influenzare l’attivit? del paziente, presenta un’elevata predittivit? per la diagnosi di colelitiasi, in particolar modo se il dolore appare irradiato alla spalla destra ed in assenza di pirosi.
Una correlazione ancora significativa, sebbene minore, ? stata rilevata tra presenza di colelitiasi e sindrome dispeptica con riferita intolleranza a cibi grassi e fritti e sensazione di discomfort all’ipocondrio destro.
Tuttavia va rilevato che l’intervento di colecistectomia nei pazienti colitiasici che presentano coliche biliari di norma determina una completa risoluzione delle coliche biliari, ma non si dimostra altrettanto risolutivo per i sintomi dispeptici presenti prima dell’intervento.
Anche il fango o sabbia biliare (?sludge? per gli anglosassoni) puo’ manifestarsi con la colica biliare o pi? raramente gi? con i sintomi delle complicanze, in particolare della pancreatite acuta.
Complicanze della colelitiasi
I pazienti con colelitiasi presentano complicanze nel 6% circa dei casi ed esordiscono direttamente con i sintomi di una complicanza nell’1-3% dei casi per anno.
Le complicanze della colelitiasi sono riportate in tabella 1. Le pi? comuni sono rappresentate da: colecistite acuta, litiasi del coledoco, colangite e pancreatite acuta da reflusso biliare nel dotto di Wirsung.
Sintomi principali indicativi di colecistite acuta calcolosa sono la colica biliare e la febbre, associate alla positivit? del segno di Murphy e al riscontro di leucocitosi neutrofila all’emocromo. L’ostruzione permanente del dotto cistico esclude la colecisti dal flusso biliare (colecisti esclusa) e, quando le pareti della colecisti sono ancora estensibili, determina la formazione dell?idrope o dell’empiema il quale pu? manifestarsi con colica biliare e febbre.
La calcolosi del coledoco pu? manifestarsi con colica biliare, febbre e ittero intermittente (triade di Villard) con urine color marsala e feci acoliche oppure, pi? raramente, solo con una sindrome dispeptica.
Per ileo biliare, complicanza rara, si intende un’occlusione intestinale a livello della valvola ileo-cecale, determinata da un grosso calcolo colecistico migrato in duodeno attraverso una fistola interna colecisto-duodenale.
Sintomi principali indicativi di colangite acuta sono la febbre elevata e l’ittero.
La pancreatite acuta si manifesta con una sindrome da addome acuto: dolore addominale intenso, continuo, non rispondente agli analgesici, pi? spesso in sede epigastrio-mesogastrica, associato a vomito, ileo paralitico (chiusura dell’alvo a feci e gas, meteorismo addominale con assenza di rumori peristaltici), ipotensione, febbre e al riscontro laboratoristico di iperamilasemia, leucocitosi, iperglicemia.
Anche la peritonite acuta si manifesta con una sindrome da addome acuto, principalmente caratterizzata da dolore continuo e intenso con positivit? del segno di Blumberg, contrattura della parete addominale e ileo paralitico.
Il cancro della colecisti ? una complicanza rara: in Italia l’incidenza annuale stimata nei pazienti con colelitiasi ? estremamente bassa, pari allo 0.02% circa. Sintomi principali sono ittero progressivo con dolore continuo e tumefazione palpabile all?ipocondrio dx, associati ad anoressia, calo ponderale, astenia.
Diagnosi della colelitiasi
L’indagine di scelta per la diagnosi ? l’ecografia epatica che permette, oltre che di individuare la presenza di calcoli, anche di definirne numero e dimensioni.
Il fango biliare ? pi? spesso una diagnosi esclusivamente ecografica in soggetti asintomatici, caratterizzata da un ammasso di echi deboli, non associati ad apprezzabile cono d’ombra posteriore, stipati nella parte pi? declive della colecisti, mobili al variare dei decubiti del paziente.
Per individuare eventuali aree di calcificazione all?interno dei calcoli e verificare la funzionalit? della colecisti, criteri entrambi critici per la scelta della terapia, ? necessaria la colecistografia orale.
Il riscontro della cosiddetta ?colecisti esclusa?, cio? il quadro radiologico che dimostra l’impossibilit? del mezzo di contrasto assunto per via orale di raggiungere la colecisti, esclude l’utilit? del trattamento con acidi biliari che non sarebbero in grado di arrivare in colecisti per svolgervi l’attivit? litolitica.
Cos? pure la presenza di calcificazioni nei calcoli esclude la terapia con acidi biliari poich? essi non sciolgono i calcoli calcificati.
Metodiche pi? sofisticate come la TC o la RMN non aggiungono significative informazione a quelle gi? ottenute con l’ecografia e la colecistografia: la TC potrebbe talora identificare piccole calcificazioni dei calcoli non evidenziabili con la colecistografia, il cui significato clinico sarebbe quello di ridurre l’efficacia del trattamento con gli acidi biliari e quindi di selezionare ulteriormente i pazienti da sottoporre a terapia con acidi biliari.
Terapia della colelitiasi
Il trattamento della colelitiasi ? indicato solo nei pazienti sintomatici, cio? in tutti i pazienti che hanno presentato almeno un episodio di colica biliare oppure nei pazienti che hanno gi? manifestato complicanze o che sono portatori di colecisti a porcellana o di concomitante coledocolitiasi.
La maggior parte dei pazienti con coledocolitiasi che sono gi? stati precedentemente colecistectomizzati possono invece essere trattati con efficacia mediante un intervento di sfinterectomia della papilla di Vater eseguito mediante endoscopia (Am J Surg 1981, 142: 41).
I portatori di colelitiasi con sintomi atipici (dispepsia) o asintomatici dovrebbero solo essere seguiti con controlli clinici periodici.
Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili per il trattamento della colelitiasi sono riportate in tabella 2.
Acidi biliari
Il razionale del trattamento con acidi biliari si fonda sulla loro propriet? di ridurre la secrezione biliare di colesterolo determinando la normalizzazione del rapporto colesterolo/acidi biliari nella bile, oltre che di aumentare la solubilizzazione biliare del colesterolo e il tempo di nucleazione.
L’acido ursodesossicolico (UDCA), l’acido biliare di uso pi? comune, viene somministrato per via orale a scopo litolitico alla dose di 8-10 mg./kg/ die.
L’indicazione ottimale al trattamento litolitico con UDCA ? costituita da:
presenza di calcoli radiotrasparenti, senza calcificazioni
conservata funzionalit? colecistica
dimensioni dei calcoli inferiori a 10mm. di diametro
presenza di sintomi lievi
paziente non obeso
Tutte queste caratteristiche sono presenti in circa il 15% dei pazienti con colelitiasi e danno diritto alla prescrizione degli acidi biliari a carico del SSN con la nota della CUF n 2.
Calcoli di dimensioni inferiori a 5mm hanno la migliore probabilit? di venir disciolti, con dimensioni inferiori a 10mm le probabilit? sono buone, con dimensioni inferiori a 20mm possono ancora essere considerate accettabili, mentre invece con l’aumentare ulteriore del diametro del calcolo si riduce l’efficacia litolitica degli acidi biliari.
Tuttavia entro 5 anni dalla dissoluzione litiasica mediante acidi biliari, oltre il 50% dei pazienti presenta una recidiva di colelitiasi.
Il trattamento long-term con acidi biliari a dosaggio standard ? efficace nel prevenire la recidiva litiasica ma il suo costo ? elevato. Una gestione pi? economica della recidiva post-dissoluzione prevede la terapia al bisogno, mantenendo i pazienti gi? trattati con successo in follow-up ecografico semestrale per un periodo di alcuni anni dopo la dissoluzione e risomministrando gli acidi biliari al primo riscontro di una recidiva.
Litotripsia
Il trattamento mediante litotripsia extracorporea a onde d’urto (ESWL = Extracorporeal Shock Wave Lithotripsy) risulta efficace se la selezione dei pazienti ? stata condotta correttamente. L’ESWL frantuma i calcoli di grosse dimensioni in frammenti di dimensioni minori, che verranno poi completamente disciolti dagli acidi biliari.
I pazienti selezionati sono quelli con calcolo singolo di dimensioni non superiore a 20mm. di diametro, oppure con calcoli multipli in numero non superiore a 3, con dimensioni massime di 30mm.
Inoltre questi pazienti devono essere in possesso dei requisiti essenziali per il successivo trattamento con acidi biliari.
Il trattamento con l’istillazione colecistica per via percutanea di solventi di contatto, quali il metil-ter-butil-etere (MTBE), e? invece riservato a pazienti estremamente selezionati (Arch Intern Med 1990, 150: 960-964).
Colecistectomia
E’ ovvio che in presenza di una grave sintomatologia dolorosa (coliche biliari frequenti e severe) si pone l’indicazione chirurgica.
Il trattamento chirurgico della colelitiasi mediante colecistectomia, sia laparoscopica che laparotomica, ha un’efficacia elevata e pu? essere effettuato in ogni paziente che non presenti controindicazioni all’intervento chirurgico, indipendentemente dalle caratteristiche dei calcoli, dalle loro dimensioni, dal loro numero e dalla funzionalit? della colecisti.
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TAC e rischio oncologico

La tomografia assiale computerizzata (TAC) ? un esame diagnostico radiologico con una grande e crescente diffusione nella pratica clinica per la sua elevata efficacia nell?evidenziare quadri patologici particolari, spesso anche in fase precoce, in quasi tutte le branche della medicina (neurologia, cardiologia, pneumologia, nefrologia, gastroenterologia, urologia, ginecologia, pediatria, ecc). La sua elevata capacit? diagnostica ? legata alla possibilit? di una chiara visione tridimensionale della maggior parte degli organi interni del corpo umano. Il suo utilizzo, tuttavia, si sta oggi estendendo non solo ai soggetti malati o sintomatici per meglio definire ed inquadrare patologie gi? conosciute, ma anche a quelli asintomatici e apparentemente sani, ed anche ai pi? giovani, per il riconoscimento precoce e la prevenzione di malattie anche gravi. Si stima, infatti, che negli Stati Uniti siano oggi eseguite pi? di 62 milioni di TAC in un anno, di cui almeno 4 milioni in bambini (1).
L’ampia diffusione di tale metodica ha, per? fatto nascere delle forti perplessit? sul rischio oncologico legato all’elevata esposizione a radiazioni X. E’ infatti doveroso ricordare che l?esecuzione di una TAC comporti l?esposizione di molti organi e tessuti ad una dose di radiazioni molto superiore a quella di un esame radiografico tradizionale: una TAC del torace comporta un?irradiazione circa 500 volte superiore a quella di una radiografia. La tabella, ripresa da un articolo sul New England Journal of Medicine, riporta e confronta la dose di raggi X (espressa in millisieverts, unit? di misura oggi ufficialmente riconosciuta per quantificare l?assorbimento di radiazioni) che alcuni organi ricevono durante le radiografie convenzionali o con la TAC.
In relazione all?utilizzo dei diversi macchinari, l?organo in esame riceve mediamente una dose di irradiazione in media di 15 mSv in un adulto e ben 30 mSv in un neonato per ogni singolo esame, comprendente una media di due o tre scansioni per studio: ? questa la dose assorbita da ciascun organo interessato durante una TAC; una quantit? decisamente superiore ad un tradizionale esame radiologico e cos? elevata per la popolazione in et? pediatrica che ha indotto a prendere seriamente in considerazione il rischio di insorgenza di nuovi tumori legato alla diffusione di questa tecnica diagnostica (2). Alcuni studi e relazioni degli anni passati, hanno riportato che negli Stati Uniti circa lo 0,4% di tutte le neoplasie diagnosticate tra il 1991 e il 1996, possano essere attribuite ad una esposizione a radiazioni conseguenti a TAC (3-4). ? stato inoltre avviato uno studio epidemiologico con l’obiettivo di confermare il rischio attuale di tumori correlati all?utilizzo della TAC (5).
Secondo gli Autori dello studio sul New England Journal of Medicine, le possibilit? di contenere il rischio oncologico si fondano su tre raccomandazioni particolari:
1.ridurre la dose di raggi emessa per ogni esame con l?utilizzo di apparecchiature sempre pi? moderne e con pi? elevata tecnologia
2.sostituire una parte consistente di indagini mediante TAC con altre procedure diagnostiche altrettanto valide e meno rischiose come ecografia e risonanza magnetica
3.ridurre il numero di prescrizioni di questi esami a quelli strettamente necessari.
Tra le tre possibilit?, quest?ultima sembra essere l’indicazione pi? efficace, la pi? facilmente percorribile, la pi? economicamente sostenibile anche in un’ottica del raggiungimento di un miglior rapporto costo-benefici.
Se si considera quindi che circa un terzo di tutte le TAC effettuate non risulti realmente appropriato e significativamente vantaggioso (6), si potrebbe dedurre che circa 20 milioni di adulti e pi? di un milione di bambini negli Stati Uniti, siano esposti ogni anno ad una elevata dose di raggi X in maniera ingiustificata. Tale eccesso di richiesta di TAC pu? essere correlato talora alla scarsa consapevolezza da parte dei medici prescrittori dell’ elevato rischio radiologico, talora ad un eccessivo, e non sempre giustificato, utilizzo nella medicina d?urgenza ed in patologie diffuse (cefalea cronica, traumi, apoplessia, sospetti ictus) ed infine al crescente fenomeno della ?medicina difensiva?: una condizione in cui il medico discosta le prescrizioni da ci? che sarebbe nell’esclusivo interesse del paziente, per indirizzare le sue decisioni diagnostico-terapeutiche verso situazioni al riparo da un eventuale rischio legale.
Fonte
Brenner DJ, Hall EJ. Computed Tomography ? An Increasing Source of Radiation Exposure. NEJM 2007; 357:2277-2284

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L?intolleranza al glutine potrebbe essere combattuta da un enzima ottenuto da As

L?enzima prolil-endoproteasi, ottenuto da Aspergillus niger, ? in grado di degradare, in modo efficiente, il glutine in un modello gastrointestinale.
I Ricercatori della Leiden University in Olanda, hanno determinato l?efficienza di degradazione del glutine da parte della prolil-endoproteasi di Aspergillus niger ( AN-PEP ) in un sistema dinamico in grado di mimare il tratto gastrointestinale umano ( sistema TIM ).
L?introduzione di AN-PEP nel sistema TIM ha accelerato la digestione delle gliadine e delle glutenine, presenti nel pane bianco; dopo 90 minuti le proteine del glutine non erano pi? rilevabili.
Senza l?impiego di AN-PEP, il glutine persisteva nel compartimento dello stomaco per almeno 120 minuti.
Risultati simili sono stati ottenuti con un pasto ( fast food ), al posto del pane bianco.
La co-somministrazione di AN-PEP ha abolito in modo completo l?attivit? stimolatoria delle cellule T.
Se gli studi clinici confermeranno queste scoperte, l?aggiunta dell?enzima prolil-endoproteasi ai cibi contenenti glutine potrebbe eliminare la tossicit? del glutine, offrendo ai pazienti la possibilit? di abbandonare, in modo occasionale, la dieta priva di glutine.
Fonte: Gut, 2008

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Lo stress pu? indebolire la risposta immunitaria nei confronti del papillomaviru

Tra le donne con anormalit? al Pap test, le donne che presentano pi? alti livelli di stress, appaiono avere una risposta immunitaria indebolita nei confronti del sierotipo 16 del papillomavirus ( HPV ).
br> Ricercatori del Fox Chase Cancer Center a Filadelfia, hanno esaminato la risposta immunitaria contro HPV-16 in 74 donne, a cui era stata diagnosticata una displasia cervicale ( lesione cervicale precancerosa ).
HPV-16 ? uno dei sierotipi di papillomavirus umano ritenuto essere una delle principali cause di tumore alla cervice.
Analizzando lo stress giornaliero, ? stato riscontrato che, nelle donne, i pi? alti livelli di stress percepiti avevano una maggiore probabilit? a produrre un?alterazione della risposta immunitaria di HPV-16.
Questo significa che le donne che si sentono pi? stressate potrebbero essere a pi? grande rischio di sviluppare tumore alla cervice, proprio per l?indebolimento del sistema immunitario.
Fonte: Annals of Behavioral Medicine, 2008

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Rischio di scompenso cardiaco associato all?alto consumo di uova

La riduzione del colesterolo nella dieta ? raccomandata per la prevenzione della malattia cardiovascolare.
Sebbene le uova rappresentino un?importante fonte di colesterolo con la dieta, poco ? noto riguardo all?associazione tra consumo di uova ed il rischio di scompenso cardiaco.
Ricercatori del Brigham and Womens?s Hospital ad Harvard Medical School a Boston negli Stati Uniti, hanno esaminato l?associazione tra consumo di uova e rischio di insufficienza cardiaca in una coorte di 21.275 soggetti partecipanti al Physicians?Health Study I.
Durante un periodo medio di follow-up di 20,4 anni, si sono presentati 1.084 nuovi casi di scompenso cardiaco.
Sebbene il consumo di uova fino a 6 volte a settimana non fosse associato ad insufficienza cardiaca incidente, il consumo di 7 o pi? a settimana ? risultato invece correlato ad un aumentato rischio di scompenso cardiaco.
Rispetto ai soggetti che hanno riportato un consumo di uova inferiore ad 1 settimana, l?hazard ratio ( HR ) per scompenso cardiaco era 1,28 e 1,64 per il consumo di 1 uovo al giorno e di 2 uova o pi? al giorno, rispettivamente, dopo aggiustamento per et?, indice di massa corporea, fumo, consumo di alcol, esercizio fisico e storia di fibrillazione atriale, ipertensione, malattia cardiaca valvolare ed ipercolesterolemia.
Risultati simili sono stati ottenuti per lo scompenso cardiaco senza un precedente infarto miocardico.
I dati hanno indicato che il consumo infrequente di uova non ? associato al rischio di scompenso cardiaco. Tuttavia il consumo di uova, una o pi? al giorno, ? correlato ad un aumento del rischio di insufficienza cardiaca tra i medici statunitensi di sesso maschile.
Djosse L, Gaziano JM, Circulation 2008; 117 : 512-516

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Colite ulcerosa forma grave: i pazienti in et? pediatrica presentano una bassa r

I Ricercatori dell?Hospital for Sick Children, University of Toronto in Canada, hanno compiuto una revisione con l?obiettivo di definire le percentuali ed i predittori di risposta alla terapia corticosteroidea per via endovenosa nei pazienti in et? pediatrica affetti da grave colite ulcerosa, in una coorte di un singolo Centro, con periodo di osservazione prolungato.
La coorte era composta da 99 bambini ( 49% maschi; et? compresa tra 2 e 17 anni ), ospedalizzati nel periodo 1991-2000 per il trattamento della forma grave di colite ulcerosa ( 90% estesa; 49% colite ulcerosa di nuova insorgenza ).
Il 28% dei bambini con colite ulcerosa, residenti nel Greater Toronto Area, sono stati ricoverati in ospedale , per essere sottoposti a trattamento con corticosteroidi, di questi, il 53% ha presentato risposta alla terapia corticosteroidea per via endovenosa.
Diversi produttori sono risultati associati al fallimento della terapia con corticosteroidi, ma nel modello statistico multivariato solo la proteina C-reattiva ( odds ratio, OR=3.5 ) ed il numero delle defecazioni notturne [ OR=3.2 ], sono rimaste significative sia al giorno 3 che al giorno 5.
L?indice PUCAI ( Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index ) e gli indici di Travis e Lindgren hanno predetto la non-risposta.
Sotto l?aspetto radiologico, il range superiore dell?ampiezza del lume colonico era 40 mm nei bambini di et? inferiore agli 11 anni, rispetto ai 60 mm nei pazienti pi? anziani.
L?incidenza di colectomia cumulativa alla dimissione, ad 1 anno e a 6 anni, erano rispettivamente, 42%, 58% e 61%.
Lo studio ha mostrato che i bambini con colite ulcerosa vanno incontro comunemente ad almeno un grave episodio di esacerbazione.
La risposta al trattamento con corticosteroidi per via endovenosa ? bassa.
L?indice PUCAI misurato al terzo giorno ( < 45 punti ) dovrebbe essere impiegato per eseguire lo screening dei pazienti che hanno probabilit? di fallimento terapeutico con i corticosteroidi, e al quinto giorno ( > 70 punti ) per decidere l?introduzione di terapie di seconda linea.
Turner D et al, Gut 2008; 57: 331-338

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L?embolizzazione dell?arteria uterina migliora la qualit? della vita nelle pazie

I Ricercatori dell?University of California ad Irvine negli Stati Uniti, hanno condotto uno studio con lo scopo di valutare gli outcome ( esiti ) clinici nel lungo termine dell?embolizzazione dell?arteria uterina in un?ampia coorte di pazienti con leiomioma.
Sono stati utilizzati i dati del Registro FIBROID ( The Fibroid Registry for Outcomes Data ), uno studio prospettico, longitudinale, della durata di 3 anni.
Sono state selezionate 2.920 pazienti con leiomioma sintomatico.
A 36 mesi dopo il trattamento, 1.916 pazienti sono rimaste nello studio, e di queste, 1.278 hanno completato l?indagine-

Le misure primarie di outcome erano rappresentate dai sintomi e dai punteggi associati alla qualit? della vita relativa allo stato di salute ( HRQoL ), ottenuti dal questionario Uterine Fibroid Symptom and Quality of Life.
I punteggi medi dei sintomi sono migliorati di 41,41 punti ( P<0.001 ) ed i punteggi della qualit? della vita sono migliorati di 41,47 punti ( P<0.001 ).
Durante i 3 anni di studio, le stime di Kaplan-Meier per l?isterectomia, la miomectomia, o per la ripetizione dell?embolizzazione dell?arteria uterina sono state pari a 9.79%, 2.82% e 1,83% delle pazienti, rispettivamente.
In conclusione, l?embolizzazione dell?arteria uterina produce un duraturo miglioramento della qualit? di vita.
Goodwin SC et al, Obstet Gynecol 2008;111: 22-33

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Colite ulcerosa forma grave: i pazienti in et? pediatrica presentano una bassa r

I Ricercatori dell?Hospital for Sick Children, University of Toronto in Canada, hanno compiuto una revisione con l?obiettivo di definire le percentuali ed i predittori di risposta alla terapia corticosteroidea per via endovenosa nei pazienti in et? pediatrica affetti da grave colite ulcerosa, in una coorte di un singolo Centro, con periodo di osservazione prolungato.
La coorte era composta da 99 bambini ( 49% maschi; et? compresa tra 2 e 17 anni ), ospedalizzati nel periodo 1991-2000 per il trattamento della forma grave di colite ulcerosa ( 90% estesa; 49% colite ulcerosa di nuova insorgenza ).
Il 28% dei bambini con colite ulcerosa, residenti nel Greater Toronto Area, sono stati ricoverati in ospedale , per essere sottoposti a trattamento con corticosteroidi, di questi, il 53% ha presentato risposta alla terapia corticosteroidea per via endovenosa.
Diversi produttori sono risultati associati al fallimento della terapia con corticosteroidi, ma nel modello statistico multivariato solo la proteina C-reattiva ( odds ratio, OR=3.5 ) ed il numero delle defecazioni notturne [ OR=3.2 ], sono rimaste significative sia al giorno 3 che al giorno 5.
L?indice PUCAI ( Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index ) e gli indici di Travis e Lindgren hanno predetto la non-risposta.
Sotto l?aspetto radiologico, il range superiore dell?ampiezza del lume colonico era 40 mm nei bambini di et? inferiore agli 11 anni, rispetto ai 60 mm nei pazienti pi? anziani.
L?incidenza di colectomia cumulativa alla dimissione, ad 1 anno e a 6 anni, erano rispettivamente, 42%, 58% e 61%.
Lo studio ha mostrato che i bambini con colite ulcerosa vanno incontro comunemente ad almeno un grave episodio di esacerbazione.
La risposta al trattamento con corticosteroidi per via endovenosa ? bassa.
L?indice PUCAI misurato al terzo giorno ( < 45 punti ) dovrebbe essere impiegato per eseguire lo screening dei pazienti che hanno probabilit? di fallimento terapeutico con i corticosteroidi, e al quinto giorno ( > 70 punti ) per decidere l?introduzione di terapie di seconda linea.
Turner D et al, Gut 2008; 57: 331-338

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L?ultraminilaparotomia superiore alla laparotomia convenzionale nel leiomioma tr

Uno studio ha valutato l?outcome terapeutico di breve periodo della miomectomia mediante laparotomia convenzionale per il trattamento di un mioma uterino non-complicato, rispetto a quello di una miomectomia eseguita mediante ultraminilaparotomia.
Hanno preso parte ad uno studio clinico controllato, non-randomizzato, 113 pazienti affette da miomi uterini non-complicati e sintomatici, con necessit? di intervento chirurgico; le donne avevano espresso un forte desiderio di conservare il proprio utero.
Un totale di 72 pazienti sono state sottoposte a miomectomia con laparotomia e 41 con ultraminilaparotomia.
Gli outcome ( esiti ) sono stati misurati confrontando la perdita di sangue, la necessit? di trasfusione, la durata dell?operazione, la morbidit? febbrile postoperatoria, il tempo del passaggio dei gas intestinali dopo intervento chirurgico, il dolore postoperatorio ( punteggio alla scala VAS ed impiego dell?anestesia ), in entrambi i gruppi.
Non sono state osservate differenze significative riguardo alla durata media dell?operazione, alla perdita di sangue, alla necessit? di trasfusione, alla morbidit? febbrile, e all?efficacia terapeutica ( sollievo dai sintomi ,) tra i due gruppi.
Tuttavia, il recupero postoperatorio, ? apparso migliore e pi? rapido nel gruppo della ultraminilaparotomia, rispetto al gruppo sottoposto alla laparotomia: pi? rapido e precoce il movimento intestinale, pi? bassi i valori alla scala VAS ( Visual Analogue Scale ), e pi? breve la degenza ospedaliera.
Questo studio ha dimostrato la superiorit? della ultraminilaparotomia nel trattamento dei miomi uterini non-complicati , rispetto alla laparotomia, durante un breve periodo osservazionale di 1 anno.
Wen KC et al, Fertil Steril 2008, Epub ahead of print

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Donne in postmenopausa: i rischi nel lungo periodo della terapia ormonale sostit

I nuovi risultati del Women?s Health Initiative ( WHI ) hanno confermato che i rischi nell?uso per lungo periodo della terapia ormonale di combinazione ( Estrogeno + Progestinico ) nelle donne sane in postmenopausa, persistono ancora alcuni anni dopo l?interruzione dei farmaci.
Le donne in trattamento con la terapia ormonale di combinazione erano anche ad aumentato rischio di ictus, trombosi e malattia cardiaca, mentre il loro rischio di tumore del colon-retto e di fratture dell?anca era pi? basso, rispetto alle donne che non hanno assunto terapia ormonale.

Lo studio di follow-up ? iniziato nel luglio 2002 dopo l?interruzione dell?assunzione della terapia ormonale di combinazione, ed ? continuato fino al marzo 2005; le partecipantii sono state seguite in media per 2,4 anni.
Tutte le partecipanti sono state esaminate almeno una volta all?anno da parte di un medico dell?iniziativa WHI, e sono state sottoposte ad un esame annuale alla mammella e a mammografia e se necessario a biopsia.

Nel corso dello studio di follow-up il numero di infarti miocardici, ictus, e trombosi, non ? risultato significativamente differente tra i 2 gruppi ( 343 eventi cardiovascolari tra coloro che hanno ricevuto inizialmente la terapia ormonale versus 323 tra coloro che non l?hanno ricevuta ).
Inoltre, il numero delle morti non ? risultato significativamente differente ( 233 donne nel gruppo terapia ormonale sono morte versus 196 donne nel gruppo placebo ).

Tra le donne trattate con la terapia ormonale di combinazione per diversi anni, il rischio di malattia cardiovascolare ? risultato significativamente pi? alto ( aumento del 29% degli infarti miocardici, ed aumento del 41% negli ictus, mentre il rischio di grave trombosi ? quasi raddoppiato, rispetto alle donne che non hanno assunto ormoni.
Mentre alla sospensione della terapia ormonale si ? assistito ad una riduzione del rischio di infarto miocardico, ad una stabilizzazione del rischio di ictus e di trombosi, l?incidenza di carcinoma mammario si ? mantenuta sui livelli visti durante il trattamento.

Le donne che hanno sospeso l?assunzione di estrogeno + progestinico avevano una maggiore probabilit? di sviluppare tumore alla mammella rispetto alle donne che non avevano assunto ormoni durante lo studio; 79 donne nel gruppo post-trattameto hanno sviluppato carcinoma alla mammella durante i 3 anni del periodo osservazionale, contro le 60 donne nel gruppo non-trattamento.

Inoltre ? stato osservato un aumento del 24% del rischio di sviluppare ogni forma di tumore tra le donne nel gruppo trattamento.
Le diagnosi di tumore sono state 63 nel corso del periodo di follw-up ( 3 per 1000 pazienti-anno ), tra le donne che hanno assunto la terapia ormonale sostitutiva, rispetto alle donne che non avevano assunto ormoni ( 281 diagnosi versus 218 ).

Fonte: National Institutes of Health, 2008

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