Rene policistico: embolizzazione arteriosa riduce cisti epatiche

17 Ago 2007 Nefrologia

L’embolizzazione arteriosa transcutanea dell’arteria epatica riduce il volume delle cisti epatiche nei pazienti con sindrome del rene policistico autosomica dominante e fegato policistico sintomatico. E’ stato dimostrato che l’embolizzazione dell’arteria renale ? efficace nella riduzione delle cisti renali, ma l’embolizzazione arteriosa transcutanea renale non ? di beneficio nei pazienti con ingrossamento epatico primario. Il trattamento proposto ? meno efficace della resezione chirurgica nel diminuire il volume epatico totale, ma dovrebbe essere sicuro anche se effettuato ripetutamente o dopo una recidiva a seguito della terapia chirurgica; esso inoltre pu? essere un’opzione anche per i pazienti in condizioni generali scadenti che non sono candidati alla resezione epatica. (Am J Kidney Dis 2007; 49: 744-52 e 725-8)

 1,517 total views

Nefropatie croniche: pressione bassa aumenta rischio ictus

18 Apr 2007 Nefrologia

I soggetti con nefropatie croniche allo stadio tre o quattro sussiste una correlazione fra pressione bassa ed incidenza dell’ictus. Le nefropatie croniche sono un’importante problema per la salute, e l’ictus ? la terza causa di morte negli USA, ma bench? l’ipertensione sia un fattore di rischio di ictus nella popolazione generale, i soggetti in dialisi hanno un rischio di ictus maggiore se la pressione sistolica scende fino ai 130-150 mmHg: ci? ? radicalmente differente, in quanto nei soggetti coronaropatici altrimenti sani maggiore ? il calo della pressione e minore ? il rischio. Ci? non significa che l’ipertensione non vada trattata in questi soggetti, ma potrebbero sorgere problemi se essa viene trattata troppo aggressivamente. Alcuni soggetti con nefropatie croniche potrebbero essere portatori di malattie di base molto gravi, e la pressione bassa potrebbe essere semplicemente un marcatore delle malattie che aumentano il rischio di ictus, ma d’altro canto pu? anche darsi che la pressione finora sia stata diminuita eccessivamente in questi pazienti. E’ dunque necessario uno studio prospettico che esamini i valori pressori target ed i rischio associati al loro raggiungimento o mancato raggiungimento. (J Am Soc Nephrol. 2007; 18: 960-6)

 1,849 total views

Dislipidemia nei pazienti con malattia renale cronica

I pazienti con malattia renale cronica non-dialisi-dipendenti hanno pi? bassi livelli di colesterolo HDL, pi? alti livelli di trigliceridi, apo B, colesterolo IDL remnant, colesterolo VLDL remnant e lipoproteina (a), ed una maggiore proporzione di colesterolo LDL ossidato.

Queste alterazioni sono pi? marcate nei pazienti sottoposti ad emodialisi che spesso manifestano cambiamenti proaterogenici del colesterolo LDL in assenza di aumentati livelli.

I pazienti sottoposti a dialisi peritoneale presentano una pi? grave dislipidemia rispetto ai pazienti in emodialisi.

Nella popolazione di pazienti affetti da malattia cronica renale dialisi-dipendente, il colesterolo totale ? direttamente associato ad aumentata mortalit?.

Il trattamento con le statine ( farmaci ipocolesterolemizzanti inibenti l?enzima HMG-CoA reduttasi ) riduce la mortalit? cardiovascolare nella popolazione generale di quasi un terzo, indipendentemente dai livelli di colesterolo LDL basali o da precedenti eventi cardiovascolari.

Le statine presentano una similare, se non maggiore, efficacia nel modificare il profilo lipidico nei pazienti con malattia renale cronica dialisi-dipendente, sia nei pazienti sottoposti ad emodialisi che a dialisi peritoneale, rispetto ai soggetti con normale funzione renale.

Le statine riducono, inoltre, i livelli della proteina C-reattiva.

Studi osservazionali di ampie dimensioni hanno dimostrato che il trattamento con statine ? associato in modo indipendente ad una riduzione del 30-50% di mortalit? nei pazienti con malattia renale cronica dialisi-dipendente.

 453 total views

Impatto del trattamento con farmaci nell?iperplasia prostatica benigna (BPH) sul

24 Dic 2006 Nefrologia
La componente sessuale dovrebbe esser tenuta in considerazione nella valutazione delle aspettative del paziente nonch? la scelta del farmaco visto che le opzioni di trattamento dell?iperplasia prostatica benigna hanno diversi effetti nell?ambito della sfera sessuale.

Impact of medical treatments for benign prostatic hyperplasia on sexual function
Giuliano F. BJU Int. 2006 Apr;97 Suppl 2:34-8
PubMed

I sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) e la disfunzione sessuale nel soggetto maschio sono in aumento con l?et? e sono elementi fortemente collegati. Varie tipologie di trattamento per BPH e LUTS possono interferire con la sessualit?, con differenze tra classi di farmaci e tra farmaci all?interno della stessa classe.

Gli inibitori della 5 alfareduttasi, finasteride and dutasteride, sono associati ad un maggior rischio della disfunzione erettile (ED), della disfunzione eiaculatoria (EjD) e della diminuzione della libido rispetto al placebo.

Gli alfa1 bloccanti adrenergici (alfuzosina, doxazosina, tamsulosina, terazosina) mostrano una maggior incidenza di diminuzione della libido e la disfunzione erettile risulta molto simile a quella rilevata somministrando placebo; sono per? diversi rispetto all?eiaculazione; la tamsulozina ? associata ad una maggior incidenza di disfunzione eiaculatoria (10%) rispetto ad altri alfa1 bloccanti (0-1%) e a placebo (1%), il che non si pu? mettere in relazione con eiaculazione retrograda o maggior efficacia.

Uno studio randomizzato, con controllo placebo, cross-over su volontari sani ha dimostrato che la somministrazione giornaliera di 0.8 mg di tamsulozina ha diminuito significativamente il volume medio dell?eiaculato almeno nel 90% dei soggetti, e nel 35% ha azzerato l?eiaculazione.

Per contro, non si verificava assenza di eiaculazione nei soggetti trattati con alfuzosina 10 mg (dose giornaliera) o placebo.

I valori della concentrazione di sperma nelle urine, dopo eiaculazione, erano simili nei tre gruppi di trattamento confermando che la disfunzione eiaculatoria con la tamsulozina non era in relazione all?eiaculazione retrograda.

Si potrebbe mettere in relazione all?effetto periferico sulle vescicole seminali e/o sul vaso deferente.
Si potrebbe anche ipotizzare un effetto centrale, dal momento che la tamsulozina mostra grande affinit? ai recettori 5HT1A e D2, entrambi coinvolti nel processo di eiaculazione a livello centrale.

Per concludere, la componente sessuale dovrebbe esser tenuta in considerazione nella valutazione delle aspettative del paziente nonch? la scelta del farmaco visto che le opzioni di trattamento dell?iperplasia prostatica benigna hanno diversi effetti nell?ambito della sfera sessuale.

 1,346 total views

L?Acido Ursodesossicolico non offre alcun beneficio nei pazienti sintomatici per

22 Ott 2006 Nefrologia

L?Acido Ursodesossicolico ( UDCA, Deursil ) e l?alterata motilit? della cistifellea, presumibilmente, riducono il dolore biliare e la colecistite acuta nei pazienti con calcolosi biliare.
Tuttavia, l?effetto dell?Acido Ursodesossicolico in questi pazienti non ? stato studiato in modo prospettico.

Uno studio, condotto in Olanda, ha valutato l?effetto dell?Acido Ursodesossicolico in 177 pazienti altamente sintomatici con calcolosi biliare, che erano in attesa dell?intervento di colecistectomia.

I pazienti sono stati stratificati per numero di coliche nel precedente anno ( meno di 3 = 32 pazienti; 3 o pi? = 145 pazienti ).

La motilit? post-prandiale della colecisti al basale ? stata misurata mediante ultrasuoni in 126 pazienti.

Il 26% ( n = 23 ) dei pazienti che hanno ricevuto Acido Ursodesossicolico ed il 33% ( n = 29 ) di quelli che hanno ricevuto placebo non hanno presentato coliche durante il periodo di attesa ( in media 75 giorni ) prima della colecistectomia.
Il numero di coliche, il dolore biliare non-grave e l?assunzione di analgesici sono risultati comparabili.

Un precedente basso numero di coliche era associato ad una pi? alta probabilit? di rimanere liberi dalle coliche ( 59% versus 23%; p < 0.001 ) senza effetti sul rischio di complicanze. Nei pazienti in cui ? stata valutata la motilit? della colecisti, il 57% ha avuto deboli contrazioni ed il 43% forti.
La probabilit? di rimanere senza manifestare coliche era comparabile tra i pazienti con deboli e con forti contrazioni ( 31% versus 33% ).
Tra coloro che hanno avuto deboli contrazioni, l?Acido Ursodessosicolico ha ridotto la probabilit? di rimanere senza coliche ( 21% versus 47%; p = 0.02 ).

Nel gruppo placebo si sono presentate 3 complicanze pre-operatorie e 2 post-colecistectomia.
Al contrario, tutte e 4 le complicanze nel gruppo Acido Ursodesossicolico si sono presentate dopo colecistectomia.

I dati hanno mostrato che l?Acido Ursodesossicolico non riduce i sintomi biliari nei pazienti altamente sintomatici.
Una precoce colecistectomia ? necessaria nei pazienti con calcolosi biliare sintomatica.

Vanneman NG et al, Hepatology 2006; 43: 1276-1283

 802 total views,  1 views today

Rene da preservare

20 Ott 2006 Nefrologia
Uno degli effetti del miglioramento della diagnostica per immagini, ? quello di localizzare lesioni che non si stavano cercando: tra i casi pi? frequenti vi ? quello dei piccoli tumori renali. L?aumento di queste diagnosi incidentali, quando la lesione riguarda un solo rene, ha determinato un problema di cui si sono occupati, ultimi in ordine di tempo, uno studio di Lancet Oncology e un commento di Lancet.
Quando solo uno dei reni ? colpito, e la lesione ? piccola, come ? quasi la regola quando viene scoperta per caso, pu? essere sufficiente asportare soltanto il tumore e una porzione del tessuto circostante. E? dagli anni ottanta del resto, che gli interventi di nefrectomia parziale vengono praticati e hanno raggiunto la maturit? tecnica, sia in aperto sia per via laparoscopica.

Parziale non piace

Eppure, nota il commento di Lancet, sono pochi i tumori fino a quattro centimetri, ma anche fino a sette, che vengono trattati cos?. Negli Stati Uniti soltanto il 20%, in Gran Bretagna soltanto il 4%, negli altri casi si ricorre all?asportazione totale del rene, del tessuto fasciale e della ghiandola surrenale ipsilaterale.
Perch?? Le ragioni possono essere diverse: la scarsa dimestichezza del chirurgo con la nefrectomia parziale, effettivamente pi? complessa; oppure, il fatto che l?asportazione completa, eseguita per via mini-invasiva, finisce con l?essere pi? rapida e richiede meno giorni di degenza di un?asportazione parziale eseguita in aperto.
Se le conseguenze dei due interventi fossero identiche, si potrebbe anche approvare questo principio di prudenza che limita il rischio di nuove lesioni.

Conservare ? meglio

Tuttavia, ed ? questo l?oggetto dello studio di Lancet Oncology, non pare che i due approcci abbiano gli stessi risultati. In questa ricerca, infatti sono stati presi in considerazione 662 pazienti trattati al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, con la nefrectomia sia parziale sia totale in presenza appunto di una lesione, su un solo rene, di diametro inferiore ai 4 centimetri. Lo scopo era individuare in quale misura si sviluppava insufficienza renale dopo l?intervento, e se il rischio variava in funzione del tipo di intervento condotto.
Innanzitutto, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti con questo tipo di tumori hanno una funzionalit? renale meno buona di quanto si creda: il 26%, infatti, presentava gi? un?insufficienza.
L?asportazione totale, poi, si rivela un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di un?insufficienza renale grave, cio? con tasso di filtrazione glomerulare inferiore a 45 mL/min per 1,73 mq. Con l?intervento radicale il rischio d?insufficienza aumenta di 11 volte, mentre se si esegue la nefrectomia parziale, nel 95% dei casi non si verifica. Insomma c?? il rischio che, eliminando l?intero organo, il rimedio non sia poi tanto migliore del danno iniziale.

Maurizio Imperiali

(Houston Thompson R. Radical nephrectomy: too radical for small renal masses? The Lancet 2006; 368:823-824
Huang WC et al. Chronic kidney disease after nephrectomy in patients with renal cortical tumours: a retrospective cohort study. Lancet Oncol. 2006; 7:735-40)

 465 total views,  1 views today

Strategie di profilassi per la nefropatia indotta dai mezzi di contrasto

21 Set 2006 Nefrologia

.

La nefropatia indotta dai mezzi di contrasto ? associata a conseguenze cliniche ed economiche, tra cui la prolungata ospedalizzazione, la richiesta di dialisi ed un aumentato rischio di morte.

E? stata compiuta una revisione per mettere in risalto le evidenze nella profilassi della nefropatia indotta dai mezzi di contrasto.

Dall?analisi degli studi ? emerso che importanti fattori di rischio correlati al paziente per la nefropatia indotta dai mezzi di contrasto erano: la malattia renale cronica, il diabete mellito e la disfunzione sistolica ventricolare sinistra.
I fattori di rischio non correlati al paziente erano: mezzo di contrasto ed alta osmolarit?, mezzi di contrasto ionici, viscosit? del mezzo di contrasto e volume del mezzo di contrasto.

Studi clinici di piccole e medie dimensioni hanno fornito sostegno all?uso dell?idratazione, del bicarbonato e di ridotti volumi dei mezzi di contrasto iso-osmolari o a bassa osmolarit? nei pazienti a rischio.
L?N-Acetilcisteina ( NAC ) e l?Acido Ascorbico possono avere un ruolo nei pazienti ad alto rischio.

I Ricercatori dell?Alberta University ad Edmonton ( Canada ) ritengono che lo sviluppo di un?efficace strategia di profilassi per la nefropatia indotta dai mezzi di contrasto ? stato limitato da una scarsa conoscenza patofisiologica.

Pannu N et al, JAMA 2006; 295: 2765-2779

 567 total views

Ischemia arti inferiori: stimolazione spinale allevia dolore

20 Lug 2006 Nefrologia
La stimolazione del midollo spinale (SCS) riduce il dolore ed aumenta la qualit? della vita nei pazienti emodializzati con ischemia critica degli arti inferiori. L’impianto di un apparecchio SCS nei pazienti con nefropatia terminale potrebbe ritardare la comparsa di lesioni ischemiche a livello cutaneo e l’amputazione. La tempistica dell’impianto dello stimolatore ? di importanza critica per gli esiti clinici, dato che non sono stati osservati benefici importanti nei pazienti con ischemia in stadio pi? avanzato. La malattia occlusiva delle arterie periferiche ? comune nei pazienti con nefropatia terminale: alcuni di essi non sono candidati ad interventi chirurgici o angioplastici primari, e devono essere sottoposti ad amputazione, cosa che pu? essere evitata con l’impianto di uno di questi apparecchi.

 1,127 total views,  1 views today

Insufficienza surrenale: corticosteroidi inalatori ed orali aumentano il rischio

18 Lug 2006 Nefrologia
I corticosteroidi inalatori aumentano il rischio di insufficienza surrenale, e pertanto i pazienti con sintomi sospetti, ed in particolare quelli anche sotto terapia intermittente con corticosteroidi orali, dovrebbero essere valutati. Dato che i sintomi di insufficienza surrenale non sono specifici all’atto della presentazione, i medici dovrebbero mantenere un elevato livello di sospetto in questi pazienti, I sintomi non specifici comprendono affaticamento, astenia, perdita di appetito, perdita di peso e nausea. Va menzionato che i bambini sembrano essere esposti ad un rischio particolarmente elevato di insufficienza surrenale.

 533 total views,  1 views today

Non c?? ancora evidenza per raccomandare la misurazione della proteina C reattiv

11 Mag 2006 Nefrologia
Diversi studi hanno mostrato, in differenti popolazioni, che un incremento modesto del livello plasmatico di proteina C reattiva ( CRP ) entro l?intervallo di riferimento, osservato in individui apparentemente sani, ? un forte predittore di futuri eventi vascolari.

Elevate concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva sono anche correlate ad un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari e di eventi cardiovascolari fatali e non fatali nei pazienti con ictus ischemico.

Queste osservazioni di carattere epidemiologico e clinico indicano che la determinazione delle concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva potrebbe essere utile come elemento aggiuntivo per la valutazione del rischio nella prevenzione primaria e secondaria di malattie cerebrovascolari e potrebbe avere un valore prognostico.

Uno studio coordinato dal Centro per la Medicina Cardiovascolare e Prevenzione della Malattia Cerebrovascolare di Sulmona ha valutato se la proteina C reattiva fosse un predittore indipendente di eventi cerebrovascolari negli individui a rischio e nei pazienti con ictus ischemico, e la sua utilit? prognostica dopo l?ictus.

La proteina C reattiva soddisfa la maggior parte dei requisiti come un nuovo predittore di rischio e predittore prognostico, ma diverse questioni attendono ulteriori conferme e chiarimenti prima che tale marcatore possa essere incluso nelle valutazioni di routine dei pazienti con ictus e nei soggetti a rischio di malattie cerebrovascolari.

Associazioni potenzialmente significative sono state stabilite tra le elevate concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva e l?aumento dell?efficacia delle terapie stabilite, con particolare riferimento alle terapia ipolipidemizzante con statine.

Allo stato attuale, non ci sono sufficienti evidenze per raccomandare la misurazione dei livelli plasmatici di proteina C reattiva nella valutazione di routine del rischio di malattie cerebrovascolari nella prevenzione primaria, poich? sono scarse le evidenze sul fatto che la rilevazione precoce, o un intervento di rilevamento, possa migliorare l?outcome.

Nella prevenzione secondaria dell?ictus, gli elevati livelli plasmatici di proteina C reattiva si aggiungono ai marcatori prognostici esistenti, ma restano da stabilire le opzioni terapeutiche specifiche.

Di Napoli M et al, Stroke 2005; 36: 1316-1329

 611 total views,  1 views today

1 4 5 6 7

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?