Nortriptilina pi? efficace della Paroxetina CR nei pazienti con malattia di Park

La malattia di Parkinson ? una comune malattia neurodegenerativa che colpisce fino a un milione di persone negli Stati Uniti.
La depressione ? presente in circa la met? di questi pazienti ed ? associata a un grande numero di esiti negativi per i pazienti e le loro famiglie.
Nonostante ci? ci sono pochi dati per guidare il percorso clinico di cura.

Un gruppo di Ricercatori statunitensi ha condotto uno studio clinico randomizzato e controllato con Paroxetina CR ( Paxil ), Nortriptilina ( Noritren ) e placebo in 52 pazienti con malattia di Parkinson e depressione.

L?esito primario era rappresentato dal cambiamento alla scala Hamilton Depression Rating Scale ( HAM-D ) e la percentuale delle persone depresse che rispondevano al trattamento a 8 settimane.

La Nortriptilina ? risultata superiore al placebo per quanto riguarda i cambiamenti alla scala HAM-D ( P<0.002 ) a differenza della Paroxetina CR.
? stata osservata una tendenza alla superiorit? della Nortriptilina sulla Paroxetina CR a 8 settimane ( p<0.079 ). I tassi di risposta sono risultati favorevoli alla Nortriptilina ( p = 0.024 ): Nortriptilina 53%, Paroxetina CR 11% e placebo 24%. La Nortriptilina, ma non la Paroxetina CR, ? risultata superiore al placebo anche in molti degli esiti secondari inclusi il sonno, l?ansia e la funzione sociale. Entrambi i farmaci sono risultati ben tollerati. In conclusione, seppur riferito a un numero esiguo di pazienti, questo ? il pi? vasto studio controllato su persone con malattia di Parkinson e con depressione.
La Nortriptilina ? risultata efficace nel trattamento della depressione a differenza della Paroxetina CR.

Se confrontate direttamente, il trattamento con Nortriptilina era associato a un maggiore numero di risposte rispetto alla Paroxetina CR.
I risultati suggeriscono che la depressione nei pazienti con malattia di Parkinson ? responsiva al trattamento; e fa sorgere domande sulla ridotta efficacia degli inibitori del doppio riassorbimento ( serotonina e noradrenalina; SNRI ) e degli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina ( SSRI ).

Menza M et al, Neurology 2009;72: 886-892

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Recupero dell’afasia subordinato alla gravit? dell’ictus

20 Ago 2010 Neurologia

Come per il recupero delle funzioni motorie, dopo l’ictus esiste una relazione altamente predittivo e proporzionale in natura tra il miglioramento dell’afasia e la compromissione iniziale. Lo suggerisce un’indagine effettuata da Ronald Lazar e collaboratori della Stroke division, al Columbia university medical center di New York, su 21 pazienti colpiti da ictus di cui ? stata valutata l’afasia mediante la Western aphasia battery (Wab) al momento del ricovero (Wab iniziale) e dopo 90 giorni (Wab a tre mesi). La relazione tra la differenza dei punteggi (ossia il DeltaWab, definito come score Wab a tre mesi meno score Wab iniziale) e Wab iniziale ? stata calcolata mediante analisi di regressione multipla. L’analisi ha evidenziato come il Wab iniziale sia altamente correlato al DeltaWab (R(2)=0,81): ? emersa, inoltre, una relazione proporzionale tra Wab iniziale e DeltaWab, tale che i pazienti riguadagnavano lo 0,73 del recupero potenziale massimo (Wab massimo – Wab iniziale). Gli autori concludono la loro indagine osservando che la comparabilit? del recupero dei deficit motori e del linguaggio suggerisce meccanismi comuni in atto nella riduzione dei deficit neurologici dopo l’ictus: questi meccanismi sono attivi in diversi domini funzionali e potrebbero costituire un target per l’intervento terapeutico.

Stroke, 2010 Jun 10. [Epub ahead of print]

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Muscoli potenti proteggono da demenza

10 Gen 2010 Neurologia

La forza muscolare risulterebbe correlata al rischio di sviluppare Alzheimer e declino cognitivo lieve in individui anziani. Si tratta dei risultati di uno studio prospettico osservazionale apparso su Archives of Neurology che ha considerato oltre 900 persone senza segni di alterazioni cognitive al momento del reclutamento. La forza, misurata a livello di nove gruppi muscolari delle braccia e delle gambe e dei muscoli assiali, ? stata poi espressa attraverso un indice composito. In sintesi, al termine del follow-up durato 3,6 anni, 138 persone hanno sviluppato la malattia di Alzheimer e dopo le opportune correzioni per et?, sesso e livello di educazione, ogni incremento unitario nella potenza muscolare ? risultato associato a un decremento del 43% del rischio di demenza senile (hazard ratio= 0,57). Questa correlazione continua a risultare significativa anche dopo specifici aggiustamenti per indice di massa corporea, attivit? fisica, funzione polmonare, fattori di rischio vascolare, patologie cardiovascolari e livelli di apolipoproteina E4. Infine, aumenti nella forza muscolare sono apparsi associati anche a decremento del rischio di declino cognitivo lieve, condizione patologica che precorre l’Alzheimer (hazard ratio= 0,67). (L.A.)

Archives of Neurology 2009, 66, 11, 1339-1344

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Giocare d’anticipo sul Parkinson

27 Nov 2009 Neurologia

La malattia di Parkinson ? apparentemente nota a tutti e nell’immaginario collettivo coincide con il tremore. Nella realt? esistono manifestazioni ancora pi? importanti della malattia, dai dolori alle cadute, dalla lentezza nei movimenti ai muscoli rigidi, fino alla difficolt? a scrivere e vestirsi. Ed esistono segnali premonitori, sottovalutati dalla maggior parte delle persone. Il risultato ? che in Italia il 25% dei malati di Parkinson non sa di soffrirne. Intanto la patologia colpisce 300 mila italiani, uomini una volta e mezzo pi? delle donne, e avanza al ritmo di 6mila nuovi casi all’anno, con un dato sorprendente il Parkinson non riguarda solo gli anziani: un quarto dei pazienti ha meno di 50 anni, uno su 10 ? under 40. Numeri emblematici che sono stati forniti in occasione della prima Giornata nazionale della malattia di Parkinson che si celebrer? sabato 28 novembre con 57 centri specialistici aperti al pubblico. L’evento ? promosso dalla Limpe (Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze). Il dichiarato intento dell’iniziativa ? quello di diffondere la conoscenza della malattia e sensibilizzare sull’importanza di diagnosticarla il prima possibile.
Sintomi non solo motori
I sintomi per cominciare. Il tremore ? quello pi? noto e si manifesta pi? spesso in una mano quando l’arto ? a riposo. Ma non ? il solo. Uno dei segnali pi? comuni ? la micrografia, ossia la scrittura che si rimpicciolisce, mentre altre volte il disturbo d’esordio ? un dolore a una spalla, ove si sviluppa una vera e propria artrosi. Esistono poi una serie di sintomi legati allo svolgersi di pratiche quotidiane: fare fatica ad alzarsi da una sedia, a scendere dalla macchina, a girarsi nel letto, a radersi o a cucire. Oggi inoltre ? noto che una serie di sintomi non motori precedono la comparsa dei disturbi del movimento. A causa dell’interessamento del bulbo olfattorio molti pazienti sentono poco gli odori, in pi? spesso i sintomi motori sono preceduti dalla depressione. Pu? essere sospetta, per esempio, la depressione resistente al trattamento con antidepressivi, se il paziente ha 60 anni e non ne ha mai sofferto prima. Ma anche sintomi banali come la stipsi, se risulta resistente a qualsiasi trattamento o non si riesce a spiegarne la causa e la cosiddetta ipotensione ortostatica, lo sbalzo presso rio quando da seduti ci si alza in piedi, possono precedere i sintomi motori del Parkinson di alcuni anni. Ma come si scopre il Parkinson?
La diagnosi si evolve
La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi. Gli esami strumentali possono essere utili per escludere numerose altre patologie che possono avere gli stessi sintomi della malattia, pur avendo cause differenti. Esiste poi una nuova metodica di immagine funzionale (DaTSCAN) in grado di confermare o escludere la compromissione del sistema dopaminergico, chi ha il Parkinson infatti produce sempre meno dopamina, anche in uno stadio precoce della malattia. Non si tratta di un esame conclusivo nella diagnosi di Parkinson, ma una buona visita neurologica con l’ausilio dell’esame SPECT con DaTSCAN pu? portare a una diagnosi molto accurata. La diagnosi precoce, precisano gli esperti, ? fondamentale, per questo bisogna fare di tutto per abbassare la percentuale di pazienti soprattutto giovani che non sanno di essere malati perch? i sintomi sono leggeri e confondibili con altri e che arrivano a una diagnosi certa con troppo ritardo. Dalla malattia di Parkinson ancora oggi non si guarisce, tuttavia le terapie moderne stanno facendo progressi importanti e arrivare alla terapia per tempo ? cruciale.

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Sclerosi multipla riduce rischio tumorale

I soggetti con sclerosi multipla presentano una riduzione del rischio oncologico complessivo del 10 percento circa, soprattutto se di sesso femminile, ma potrebbero essere esposti ad un leggero aumento del rischio di sviluppare alcuni particolari tipi di tumore, come quelli cerebrali o degli organi urinari. La riduzione del rischio tumorale osservata potrebbe essere una conseguenza della variazione dello stile di vita o del trattamento susseguente alla diagnosi, mentre l’aumento dei tumori cerebrali potrebbe derivare dall’infiammazione dei tessuti locali, ma il dato potrebbe anche non riflettere un reale aumento del rischio: vi sono infatti prove del fatto che l’aumento della frequenza delle indagini neurologiche in questi pazienti incrementa la probabilit? di una diagnosi tumorale precoce. Quanto agli organi urinari, la sclerosi multipla ne determina l’irritazione cronica, che potrebbe aumentarne il rischio tumorale, anche se in ultima analisi il rischio individuale risulta modesto. E’ possibile comunque che nel complesso almeno parte della riduzione del rischio tumorale derivi dal modo in cui il corpo risponde alla sclerosi multipla: studiare questi pazienti pu? aiutare ad identificare fattori che proteggono dai tumori, che a loro volta potrebbero aiutare a determinare l’eziologia della sclerosi multipla stessa. (Neurology. 2009; 72: 1170-7)

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Alzheimer: delirio accelera declino cognitivo

I pazienti ricoverati in ospedale con morbo di Alzheimer che vanno incontro ad episodi di delirio sono soggetti ad un tasso di declino cognitivo tre volte pi? rapido rispetto agli altri. Se verranno replicati, questi dati potrebbero dare adito a cambiamenti nel modo in cui questi pazienti vengono trattati sia dentro che fuori dall’ospedale per tentare di prevenire il delirio: se si dimostrer? tanto il ruolo causale del delirio che la possibilit? concreta della sua prevenzione, ci? potrebbe garantire una strategia molto efficace per rallentare la progressione della malattia. Onde minimizzare il rischio di delirio, lo staff ospedaliero dovrebbe tentare di creare un ambiente con il giusto livello di stimoli, onde ridurre il rischio di confusione: durante il giorno, ad esempio, andrebbe assicurata un’illuminazione adeguata ed il paziente dovrebbe essere incoraggiato a rimanere sveglio onde mantenere i normali ritmi circadiani. Di notte, al contrario, le procedure mediche andrebbero ridotte al minimo, come anche i livelli di rumore, onde consentire al paziente di dormire. E’ possibile anche diminuire la deprivazione sensoriale fornendo al paziente i propri occhiali e gli eventuali apparecchi uditivi, e si pu? favorire l’orientamento con la presenza di un orologio e di un calendario. I fattori precipitanti del delirio andrebbero monitorati costantemente: fra questi figurano cateteri, malnutrizione, infezioni ospedaliere e cadute. Bench? le cause del delirio siano ad oggi scarsamente comprese, si ipotizza che esso derivi dalla compromissione della barriera ematoencefalica, dovuta possibilmente a citochine infiammatorie, che determina un’alterazione dei neurotrasmettitori. (Neurology. 2009; 72: 1570-5)

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Morbo di Parkinson: comune deficit vitamina D

31 Mar 2009 Neurologia

I pazienti con morbo di Paarkinson hanno maggiori probabilit? di presentare bassi livelli di vitamina D rispetto a quelli sani o anche a quelli con morbo di Alzheimer. Data l’elevata prevalenza dei deficit di vitamina D nei pazienti cronici, era prevedibile che i soggetti con malattie neurodegenerative presentassero minori livelli di vitamina D rispetto a quelli sani, ma le differenze fra gli altri gruppi erano inattese: morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer sono entrambe malattie neurodegenerative, e quindi si pensava di ricontrare gli stessi deficit. La vitamina D ? essenziale per il mantenimento di molte funzioni fisiologiche, ed i potenziali benefici dell’integrazione ne fanno una buona opzione, a prescindere dal potenziale ruolo della vitamina D nelle malattie neurodegenerative. Nell’anziano la questione assume un’importanza particolare, in quanto i deficit di vitamina D sono fortemente correlati ad un’elevata incidenza di cadute, osteoporosi e fratture d’anca, e sono stati associati anche ad un’elevata incidenza di diverse forme tumorali, malattie autoimmuni e cardiovascolari. Ulteriori studi accerteranno anche se la correzione dell’insufficienza di vitamina D possa migliorare i sintomi motori o non motori del morbo di Parkinson. (Arch Neurol. 2008; 65: 1348-52)

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Morbo di Parkinson: comune deficit vitamina D

19 Feb 2009 Neurologia

I pazienti con morbo di Paarkinson hanno maggiori probabilit? di presentare bassi livelli di vitamina D rispetto a quelli sani o anche a quelli con morbo di Alzheimer. Data l’elevata prevalenza dei deficit di vitamina D nei pazienti cronici, era prevedibile che i soggetti con malattie neurodegenerative presentassero minori livelli di vitamina D rispetto a quelli sani, ma le differenze fra gli altri gruppi erano inattese: morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer sono entrambe malattie neurodegenerative, e quindi si pensava di ricontrare gli stessi deficit. La vitamina D ? essenziale per il mantenimento di molte funzioni fisiologiche, ed i potenziali benefici dell’integrazione ne fanno una buona opzione, a prescindere dal potenziale ruolo della vitamina D nelle malattie neurodegenerative. Nell’anziano la questione assume un’importanza particolare, in quanto i deficit di vitamina D sono fortemente correlati ad un’elevata incidenza di cadute, osteoporosi e fratture d’anca, e sono stati associati anche ad un’elevata incidenza di diverse forme tumorali, malattie autoimmuni e cardiovascolari. Ulteriori studi accerteranno anche se la correzione dell’insufficienza di vitamina D possa migliorare i sintomi motori o non motori del morbo di Parkinson. (Arch Neurol. 2008; 65: 1348-52)

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Placche aortiche e ictus ricorrente

Nei pazienti con ictus, la presenza di grandi placche aortiche ? associata ad ipercoagulabilit?, ed entrambe le patologie sono un fattore di rischio di recidiva dell’ictus. Il potenziale embolico di una placca ? composto da qualcosa di pi? del suo mero spessore: placche dello stesso spessore possono avere una composizione differente diversi cofattori associati, come ad esempio l’ipercoagulabilit?, il che potrebbe determinare propensioni molto diverse all’embolia. Per questi pazienti, se si guarda all’attivazione del sistema della coagulazione, l’anticoagulazione sistemica risulterebbe preferibile agli agenti antipiastrinici, ma rimane da dimostrarsi se l’uso dell’anticoagulazione possa di fatto risultare in una riduzione del rischio di ictus recidivante. Prendere decisioni terapeutiche solo sulla base dello spessore della placca comunque potrebbe non essere adeguato: sono necessari ulteriori studi per chiarire se la combinazione fattori di rischio clinici, ecocardiografici e biologici possa aiutare a stratificare pi? accuratamente il rischio di tromboembolia nei pazienti con grave arteriosclerosi dell’arco aortico e determinare l’impatto prognostico di questi marcatori in diversi ambiti clinici. Nel frattempo, l’anticoagulazione orale dovrebbe essere riservata ai pazienti con trombi sovraimposti rilevati tramite ecocardiografia transesofagea. Le indicazioni per l’endoarteriectomia aortica chirurgica dovrebbe essere ristretta a pazienti altamente selezionati con un basso rischio operatorio ed eventi embolici documentati nonostante la somministrazione di un trattamento ottimale. (J Am Coll Cardiol 2008; 52: 855-64)

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Parkinson: modificare DBS favorisce deambulazione

23 Gen 2009 Neurologia

Sono stati riportati buoni risultati con la stimolazione cerebrale profonda del nucleo subtalamico (STN-DBS) a 60 Hz e 30 volt in luogo di 130 Hz e 3 volts nei pazienti con morbo di Parkinson che sviluppano gravi disordini della deambulazione. E’ stato dimostrato che l’incremento del voltaggio ad una frequenza fissa di 130 Hz ha un effetto deleterio sulla deambulazione nei pazienti con morbo di Parkinson che gi? ne lamentano la compromissione dopo diversi anni di STN-DBS, e che la riduzione della frequenza mantenendo invariati i livelli energetici somministrati ha invece un effetto positivo: i maggiori benefici sugli episodi di “blocco” si hanno con una frequenza di 60 Hz ad alto voltaggio. La DBS migliora i sintomi motori, ma vi sono alcuni sintomi, quali le difficolt? di fonazione e deambulazione o i deficit cognitivi, sembrano non rispondere o anche deteriorarsi in alcuni casi. E’ necessario ottimizzare i settaggi onde massimizzare i benefici, come di solito il controllo dei sintomi motori quali rigidit?, tremori e discinesie, e minimizzare gli effetti collaterali, come le difficolt? di fonazione ed equilibrio, a volte gli sbalzi d’umore ed altri ancora. Occasionalmente, ? necessario compromettere una funzione per salvaguardarne un’altra, come ad esempio nel caso della fonazione per il controllo dei tremori, ma con il piazzamento appropriato degli elettrodi questa potrebbe essere fortunatamente pi? l’eccezione che la regola. (Neurology 2008; 71: 76-7 e 80-4)

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