Quello dell’APOE ? il principale gene di suscettibilit? per il morbo di Alzheimer sporadico ad insorgenza tardiva. Vi ? stata sempre incertezza sull’esistenza di geni con un effetto significativo come quello dell’APOE in questo senso, ma il presente studio dimostra che questo gene rappresenta il pi? significativo driver genetico del morbo di Alzheimer in tutto il genoma. Vi sono anche altri geni il cui effetto si somma a quello dell’APOE, ed essi sono stati identificati sempre nell’ambito del presente studio, che ha scansionato l’intero genoma. Tali indicazioni verranno riportate in articoli successivi. (J Clin Psychiatry 2007; 68: 613-8)
La ricerca di globuli bianchi e rossi nelle urine pu? aiutare a discriminare le forme cardioemboliche di ictus da quelle non cardioemboliche. Conoscere il sottotipo dell’ictus ? importante nella valutazione della prognosi e nella scelta del trattamento ottimale, ma al momento distinguere le forme cardioemboliche dalle altre pu? essere difficile. Date queste difficolt?, nonch? l’elevata e diffusa disponibilit? dell’esame delle urine e gli scarsi costi ad esso associati, la potenzialit? del contributo dell’analisi delle urine alla classificazione dell’ictus cardioembolico necessita di studi di conferma in popolazioni indipendenti. (Arch Neurol 2007; 64: 557-70)
L’esposizione ai pesticidi ? associata al rischio di morbo di Parkinson. Sembra che quest’ultimo non sia una singola malattia, ma un insieme di patologie fenotipicamente simili: una gamma variabile di interazioni genetiche ed ambientali potrebbe produrre queste patologie, e pu? darsi che ogni singolo fattore di rischio influenzi soltanto i soggetti suscettibili. L’associazione fra esposizione a pesticidi e morbo di Parkinson potrebbe essere causale, e la perdita di coscienza di natura traumatica ripetuta ? associata ad un aumento del rischio. L’esposizione a pesticidi, comunque, rappresenta un fattore di rischio potenzialmente modificabile. (Occup Environ Med online 2007, pubblicato il 30/5)
Il mioclono ortostatico contribuisce al declino della deambulazione in alcuni soggetti anziani. Si tratta di una sindrome che i medici dovrebbero riconoscere come una delle molte cause del declino della deambulazione nell’anziano: il presente studio dovrebbe stimolare la ricerca che chiarisca il motivo per cui alcuni anziani perdono la capacit? di camminare. Alcune benzodiazepine risultano utili nel trattamento di queste patologie, ma forse anche altri medicinali possono esserlo. Anche l’eliminazione del mioclono non migliorerebbe del tutto la deambulazione del paziente, e quindi ? particolarmente interessante utilizzare i dati del presente studio come base per scoprire le reali cause di questo fenomeno. (Neurology 2007; 68: 1826-30)
Nei soggetti adulti con danni cerebrali acuti di natura traumatica, il trattamento con progesterone potrebbe migliorare gli esiti, soprattutto in caso di danni moderati. Questa strategia potrebbe risultare utile anche in altri casi di danno neurologico, quali ictus, traumi spinali e sclerosi multipla: attualmente, non esiste alcuna altra terapia che possa essere utile in caso di danni cerebrali da trauma. Il progesterone sembra apportare benefici sia in termini di minore disabilit? che di maggiore sopravvivenza, questi ultimi soprattutto in caso di danni gravi, senza pericolo di effetti collaterali rilevabili. (Ann Emerg Med 2007; 49: 391-402)
Elevati livelli plasmatici di acidi grassi altamente insaturi n-3 promuovono la stabilit? cognitiva negli anziani, e ci? ? particolarmente valido nei soggetti con ipertensione o iperlipidemia. Il consumo di questi acidi, e segnatamente EPA e DHA, protegge dallo sviluppo di demenza e morbo di Alzheimer, ma il loro effetto sul declino cognitivi ha ricevuto finora meno attenzione. L’EPA ha anche propriet? antitrombotiche ed antinfiammatorie, e contrasterebbe anche l’azione proinfiammatoria dell’acido arachidonico, che ? un precursore di citochine ed eicosanoidi proinfiammatori che potrebbero essere associati ad un maggior declino cognitivo. L’assunzione di DHA nella dieta inoltre potrebbe correggere il deficit di DHA nelle membrane fosfolipidiche della corteccia cerebrale nei pazienti con morbo di Alzheimer. (Am J Clin Nutr 2007; 85: 929-30, 1103-11 e 1142-7)
Gli anziani residenti in casa di cura con morbo di Alzheimer che prendono parte ad un programma di esercizio moderato della durata di un’ora due volte alla settimana presentano un declino significativamente pi? lento nella pratica di attivit? quotidiane rispetto a quelli che ricevono terapia medica standard. Il programma di esercizio, comunque, non sembra influire sui disturbi comportamentali, sulla depressione o sui punteggi di valutazione nutrizionale. L’aderenza alle sessioni di esercizio risulta predittiva di variazioni nella capacit? di effettuare le attivit? quotidiane. L’esercizio fisico, inoltre, determina un incremento della velocit? di deambulazione in questi pazienti. (J Am Geriatr Soc 2007; 55: 158-65)
Le attuali lineeguida raccomandano la valutazione dei livelli di proteina C-reattiva ( CRP ) mediante un test ad alta sensibilit? per predire il rischio cardiovascolare.
Recenti studi, tuttavia, hanno messo in evidenza che, sebbene gli elevati valori della proteina C-reattiva rappresentino un fattore di rischio cardiovascolare, non sono utili nel predire il rischio di malattia cardiovascolare.
I Ricercatori dell?Erasmus Medical Center di Rotterdam hanno valutato l?importanza della proteina C-reattiva come fattore di rischio e come predittore del rischio di futuri eventi ittali.
Lo studio ha riguardato 6.430 partecipanti al Rotterdam Study che nel periodo 1990-1993 ( basale ) avevano 55 anni o pi?, e non presentavano ictus.
Nel corso di un periodo osservazionale medio di 8.2 anni si sono riscontrati 498 ictus di prima insorgenza.
Gli alti livelli di proteina C-reattiva erano significativamente associati al rischio di ictus totale e al rischio di ictus ischemico.
Tuttavia, aver tenuto conto dei livelli di proteina C-reattiva non ha prodotto miglioramenti nella capacit? di predire individualmente il rischio di ictus.
I dati, se confermati negli uomini rivoluzionerebbero da cima a fondo la ricerca sul diabete: il diabete potrebbe essere tratatto o prevenuto con farmaci attivi sul sistema nervoso Lo studio ? stato eseguito nei laboratori di Hans Michael Dosch e Michael Salter presso l?Hospital for Sick Children in Toronto. “Stiamo lavorando duro per allargare i nostri studi ai pazienti [con diabete di tipo 1], nei quali molti presentano anormalit? salle cellule sensoriali” dichiara Dosch, “ma non sappiamo ancora se queste anormalit? iniziano in vita e se contribuiscono allo sviluppo della malattia.” Comunemente si ritiene che il diabete di tipo 1 ? un problema del sistema immunitario che attacca le cellule sane; questi nuovi dati suggeriscono che queste risposte immunitarie esagerate sono determinate da cellule sensoriali difettose. Queste cellule, chiamate neuroni TRPV1, rispondono all?insulina emettendo potenti segnali chimici, uno dei quali ? una proteina collegata al dolore, detta sostanza P. Il team di Dosch e Salter ha trovato che nel topo diabetico, i neuroni TRPV1 inviano solo un segnale debole, eliminando queste cellule TRPV1, il diabete negli animali scompariva, e iniettando nei pancreas la sostanza P, la maggior parte di essi diventavano liberi da diabete. Secondo i ricercatori i nervi sensoriali difettosi contribuiscono a iniziare e mantenere il diabete in soggetti predisposti. Secondo i ricercatori queste osservazioni aprono nuove vie per le strategie terapeutiche, e i difetti di TRPV1 possono avere un ruolo nelle malattie autoimmuni (ad esempio il Lupus e l?artrite reumatoide). Questi nuovi dati alimentano il sospetto che le malattie autoimmuni abbiano origine da interralazioni tra sistema nervoso e sistema immune. Comunque, non ? ancora chiaro se specifici difetti delle cellule nervose rilevati dal team canadese sia la causa del diabete o semplicemente qualcosa che avviene nei pazienti con il progredire del diabete.
Contrariamente a quanto precedentemente riportato, la terapia antipsicotica non contribuisce al declino cognitivo nei pazienti con morbo di Alzheimer. Bench? la cautela sia comunque necessaria nella prescrizione di questi farmaci ai pazienti con morbo di Alzheimer, l’incremento del deterioramento non risulta dell’entit? precedentemente riportata. Molti pazienti con morbo di Alzheimer vengono trattati anche con antipsicotici, spesso per migliorare i sintomi neuropsichiatrici ad esso associati. Bench? la mortalit? sia pi? elevata in questi casi, essa riflette la maggiore et? e gravit? della demenza di questi pazienti. (J Neurol Neurosurg Psychiatry 2007; 78: 2 e 25-9)