Condivisione sulla gestione delle neoplasie tiroidee

24 Ago 2010 Oncologia

L’Associazione medici endocrinologi (Ame) e l’Associazione italiana della tiroide (Ait) hanno divulgato un documento congiunto per orientare pratica clinica e management dei noduli tiroidei e del cancro della tiroide differenziato. Il Joint statement precisa in primo luogo che le donne in gravidanza con noduli tiroidei dovrebbero essere valutate in maniera simile alle donne non in gestazione: l’unico esame controindicato in gravidanza ? l’impiego diagnostico dei radionuclidi. La biopsia che prevede l’aspirazione con ago fine (FNAb) sotto guida ecografica dovrebbe essere eseguita sui noduli con risultati clinici o ecografici sospetti. La FNAb ? da ripetere in caso di noduli che presentino una crescita progressiva o in presenza di risultati ecografici sospetti. Una terapia parzialmente soppressiva con L-tiroxina (Lt4) va considerata nelle donne gravide che vivono in aeree che espongono al rischio di deficienza di iodio. Le lesioni follicolari richiedono uno stretto follow-up clinico ed ecografico ma in assenza di crescita del nodulo o di reperti ecografici sospetti, la chirurgia dovrebbe essere praticata dopo il parto. Enrico Papini e collaboratori, dell’ospedale Regina Apostolorum di Albano (Roma) e autori del documento Ame /Ait, ricordano inoltre che se un carcinoma tiroideo differenziato (Dtc) viene diagnosticato nel primo trimestre o nelle prime fasi del secondo, la chirurgia pu? essere offerta nel corso del secondo trimestre. Le pazienti che non mostrano evidenza di una malattia aggressiva – suggerisce ancora il documento – dovrebbero essere informate che la chirurgia praticata subito dopo il parto non cambia la prognosi. Nel caso in cui il Dtc sia scoperto durante le ultime fasi del secondo trimestre o nel terzo, la chirurgia dovrebbe essere riservata al periodo post-partum. Il trattamento per Dtc in gravidanza comprende la tiroidectomia totale seguita, nelle pazienti a rischio, da ablazione con iodio radioattivo (Rai). Quest’ultima terapia dovrebbe per? essere praticata dopo il parto. Per quanto riguarda il trattamento con Lt4, si consiglia di iniziare subito dopo la tiroidectomia. L’allattamento al seno dovrebbe essere interrotto sei-otto settimane prima del trattamento Rai che, a eccezione dei casi di malattia aggressiva, pu? essere posticipato fino a 12 mesi dopo la chirurgia. Un’ulteriore gravidanza andrebbe evitata per sei mesi nelle donne che sono state sottoposte a Rai per assicurare la stabilizzazione della funzione tiroidea, confermare la remissione del cancro tiroideo e ridurre il rischio di interruzione di gravidanza.

J Endocrinol Invest, 2010 Jul 13. [Epub ahead of print]

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Vit. B6 e metionina proteggono da ca polmone

19 Ago 2010 Oncologia

I livelli di vitamina B6 e metionina nel siero sono inversamente associati al rischio di cancro polmonare. ? quanto ha stabilito uno studio condotto in collaborazione da un elevato numero di dipartimenti di epidemiologia in tutta Europa, con l’obiettivo di verificare se i fattori correlati al metabolismo del carbonio-1 (ossia le vitamine B2, B6, B9 e B12 pi? la metionina e l’omocisteina), aiutando a mantenere l’integrit? del Dna e a regolare l’espressione genica, potessero influire sul rischio oncologico. A tale scopo gli studiosi si sono basati sui dati dello studio Epic (the European prospective investigation into cancer and nutrition) che aveva coinvolto 519.978 partecipanti di dieci nazioni tra il 1992 e il 2000 (di questi 385.747 avevano donato sangue). Tra questi, entro il 2006, vennero identificati 899 casi di tumore polmonare. Si selezionarono quindi 1.770 controlli, abbinati per et?, sesso, data di nascita e periodo di raccolta dei campioni di sangue. Infine, si misurarono i livelli sierici dei sei fattori del metabolismo del carbonio-1 e della cotinina. Nell’ambito dell’intera coorte Epic, i tassi di incidenza di cancro polmonare standardizzati per et? (della popolazione mondiale, 35-79 anni) sono risultati 6,6, 44,9 e 156,1 per 100.000 persone/anno rispettivamente negli uomini mai fumatori, nei pregressi fumatori e negli attuali fumatori. I valori corrispondenti, nelle donne, sono stati, rispettivamente, 7,1, 23,9 e 100,9. Si ? quindi riscontrato un diminuito rischio di cancro polmonare in caso di elevati livelli sierici di vitamina B6 (Or quarto vs primo quartile: 0,44) e di metionina (Or quarto vs primo quartile: 0,52). Riduzioni del valore di rischio simili e corrispondenti si sono viste nei soggetti mai fumatori, nei pregressi fumatori e negli attuali fumatori, indicando che i risultati non erano dovuti a effetti confondenti della condizione di fumatore. Un rischio neoplastico inferiore si ? notato anche con l’acido folico (B9), ma apparentemente solo nei fumatori pregressi e attuali.

JAMA, 2010; 303(23):2377-85

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Resezione colorettale, mininvasiva pari al cielo aperto

16 Ago 2010 Oncologia

La resezione colorettale laparoscopica con la rimozione simultanea delle metastasi epatiche presenta un outcome simile a quello dell’approccio chirurgico in aperto, con alcuni vantaggi a breve termine. La verifica ? frutto di uno studio coreano che ha rivisto, fra gennaio 2003 e agosto 2008, 40 pazienti consecutivi sottoposti a resezione R0 simultanea di metastasi epatiche sincrone: 20 pazienti sono stati avviati a resezione colorettale laparoscopica e 20 a cielo aperto. Gli autori, Jung Wook Huh e collaboratori del Chonnam national university di Gwangju, riferiscono che nessun paziente trattato con la procedura laparoscopica ? passato alla tecnica a cielo aperto e che non ? stata registrata mortalit? post-operatoria in entrambi i gruppi. La perdita di sangue stimata ? risultata per? significativamente pi? bassa nel gruppo laparoscopia. In questo stesso gruppo la durata dell’operazione era significativamente pi? lunga (358 vs 278 minuti) e il recupero della funzione intestinale era pi? precoce (in media un giorno prima) rispetto al gruppo di confronto. Nessuna differenza significativa si ? osservata per quanto riguarda le complicanze post-operatorie. La sopravvivenza globale si ? attestata sul 58,7% a tre anni e sul 49,2% a cinque anni: il tasso di sopravvivenza globale a tre anni nel gruppo laparoscopia non era significativamente diverso da quello osservato nel gruppo chirurgia a cielo aperto (52,8% vs 61,0%).

Surg Endosc, 2010 Jun 12. [Epub ahead of print]

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Anticorpo monoclonale contro il melanoma

10 Ago 2010 Oncologia

Ipilimumab, anticorpo monoclonale che combatte il melanoma attivando il sistema immunitario contro le cellule tumorali, in uno studio di fase III ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza del 34% in pazienti colpiti dalla patologia in fase metastatica rispetto a quelli trattati con un’altra terapia sperimentale, la vaccinazione peptidica. I dati, appena pubblicati sul New England, sono stati presentati al 46? Congresso Asco (American society of clinical oncology), in corso a Chicago in questi giorni. Ipilimumab, bloccando l’antigene-4 associato ai linfociti-T citotossici (Ctla-4) che a sua volta regola e riduce l’attivazione delle cellule-T, promuove l’attivit? antitumorale; quanto al vaccino usato nello studio, era a base di peptidi derivati dalla proteina melanosomiale, la glicoproteina 100 (gp100). Il trial ha coinvolto 676 persone, provenienti da 125 centri di tutto il mondo, con tumore non asportabile in fase III o IV e progredito durante la terapia contro la malattia metastatica. Questi pazienti sono stati assegnati in modo randomizzato in un rapporto 3:1:1 a ricevere ipilimumab pi? gp 100 (n=403), ipilimumab da solo (n=137) o gp100 da solo (n=136). La sopravvivenza mediana complessiva ? stata di 10,0 mesi nel gruppo ipilimumab pi? gp100 e di 10,1 mesi in quello ipilimumab da solo rispetto a 6,4 mesi dei pazienti trattati con gp100 da solo (Hr per morte: 0,68). In particolare, al follow-up di un anno, il 46% dei soggetti trattati con ipilimumab era vivo (rispetto al 25% di quelli in trattamento con la vaccinazione peptidica) e a due anni la percentuale di sopravvivenza ? risultata del 24%, rispetto al 14% del braccio di controllo. Si possono avere effetti avversi immunocorrelati, ma nella maggior parte dei casi sono reversibili con un apposito trattamento. Alla luce di questi dati, ipilimumab ? da subito disponibile in Italia per uso compassionevole.?

New Engl J Med, 2010 Jun 5. [Epub ahead of print]

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Oncogeni, tiroidite e cancro tiroideo

18 Lug 2010 Oncologia

Si ampliano le conoscenze sulle interrelazioni tra oncogeni, tiroidite e cancro tiroideo, grazie anche agli studi dell’unit? di Endocrinologia della Fondazione policlinico di Milano e del dipartimento di Scienze mediche del locale ateneo. ? noto che gli oncogeni dei tumori tiroidei sono in grado di indurre la formazione di un microambiente infiammatorio protumorigeno. Su questa base i ricercatori del capoluogo lombardo hanno voluto studiare pi? a fondo il carcinoma papillare della tiroide (Ptc), associato a fenomeni di autoimmunit?. Sono stati analizzate le caratteristiche cliniche e molecolari e le espressioni di geni correlati all’infiammazione di pazienti affetti da Ptc, con o senza tiroidite associata (gruppo A, n=128 e gruppo B, n=215). Non si sono registrate differenze significative sotto il profilo clinico e prognostico tra i due gruppi, ma il background genetico era molto diverso, con l’oncogene Ret/Ptc1 maggiormente rappresentato nei pazienti con Ptc associata ad autoimmunit? e il Braf(V600E) pi? presente in quelli con sola Ptc. Un riarrangiamento Ret/Ptc ? stato riscontrato anche nel 41% dei tessuti tiroidei infiammati ma non neoplastici, controlateralmente ai tumori con mutazioni sia Ret/Ptc sia Braf. L’espressione dei geni codificanti per CCL20, CXCL8 e l-selectina ? stata significativamente maggiore nei campioni di Ptc rispetto a quelli di tessuto tiroideo normale. Al contrario, le tiroiditi hanno mostrato livelli di espressione di l-selectina anche superiori a quelli del Ptc, ma i valori di CCL20 e CXCL8 erano paragonabili a quanto rilevato nel tessuto normale. Ricapitolando: esiste un differente retroterra genetico tra Ptc a seconda che sia associata o meno un’autoimmunit?; lo stretto legame tra Ret/Ptc1 e tiroidite evidenzia il ruolo decisivo dell’oncoproteina nella modulazione della risposta autoimmune; infine, studi preliminari indicano una maggiore presenza di molecole infiammatorie nei Ptc, suggerendo una relazione proinfiammatoria e non autoimmune tra tiroidite e cancro mammario.

Clin Endocrinol, 2010; 72(5):702-8

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Cancro mammario, polimorfismi e fattori ambientali

17 Lug 2010 Oncologia

Non si hanno molte informazioni circa gli effetti combinati sull’incidenza del cancro mammario da parte dei polimorfismi di suscettibilit? genetica a bassa penetranza e i fattori ambientali (rischio riproduttivo, ambientale e antropometrico). Per questo motivo, Ruth C. Travis e collaboratori dell’Universit? di Oxford e del Million women study, hanno voluto cercare le prove delle interazioni tra gene e ambiente, mettendo in relazione i rischi relativi genotipici per tumore della mammella con altri fattori in un ampio studio prospettico nel Regno unito. Sono state testate tali interazioni in 7.610 donne che hanno sviluppato la neoplasia e in 10.916 controlli senza la malattia, studiando gli effetti di 12 polimorfismi in relazione alle informazioni raccolte in modo prospettico su dieci provati fattori di rischio ambientale: et? al menarca, parit?, et? alla prima nascita, allattamento, stato menopausale, et? alla menopausa, uso di terapia ormonale sostitutiva (Hrt), indice di massa corporea, altezza e consumo di alcol. Al termine del test multiplo, per?, nessuno dei 120 raffronti ha fornito una prova significativa di interazione gene-ambiente. Contrariamente a indicazioni precedenti, si ? avuta qualche minima evidenza che il rischio relativo genotipico fosse influenzato dall’uso dell’Hrt, indipendentemente dal fatto che la malattia fosse ?positiva al recettore per gli estrogeni. La conclusione del team di ricercatori non pu? che essere una sola: i rischi di tumore mammario associati a polimorfismi di suscettibilit? a bassa penetranza non variano in modo significativo in base ai dieci fattori ambientali presi in considerazione nello studio.

Lancet, 2010 Jun 2. [Epub ahead of print]

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Ruolo chemio adiuvante nel ca gastrico resecabile

28 Giu 2010 Oncologia

Dopo resezione completa di cancro gastrico, il beneficio della chemioterapia adiuvante basata sulla somministrazione di fluorouracile, a lungo oggetto di discussione, trova conferma dagli esiti di una metanalisi dei risultati di 17 trial clinici, per un follow-up mediano di pi? di 7 anni. Il lavoro, pubblicato su JAMA, ? frutto dell’attivit? del gruppo Gastric (Global Advanced/Adjuvant Stomach Tumor Research International Collaboration) che ha confrontato, nell’ambito di studi clinici randomizzati controllati, l’esito della chemio adiuvante con la sola chirurgia. Sono stati registrati 1.000 decessi tra i 1.924 pazienti assegnati ai gruppi chemioterapia e 1.067 morti tra i 1.857 soggetti trattati con la sola chirurgia. La chemioterapia adiuvante ? risultata associata a un beneficio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale (HR 0,82) e libera da malattia (HR 0,82). Inoltre la sopravvivenza globale a 5 anni ? aumentata dal 49,6% al 55,3% nella popolazione in trattamento adiuvante. Sempre in relazione alla sopravvivenza non ? emersa invece alcuna eterogeneit? significativa? fra i trial clinici o tra i diversi regimi chemioterapici utilizzati (monochemioterapia, chemioterapia combinata con derivati del fluorouracile, mitomicina C, e altre terapia escluse le antracicline). La metanalisi porta quindi un ulteriore argomento a supporto della chemio adiuvante nei pazienti con cancro gastrico resecabile: l’obiettivo ? quello di ridurre la mortalit? per recidiva di malattia, ancora attestata, a seconda delle casistiche, tra il 50 e il 90%.

JAMA, 2010; 303(17):1729-1737.

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Cancro al seno: personalizzazione delle cure

12 Giu 2010 Oncologia

Contro la neoplasia pi? frequente tra le donne, la strategia terapeutica pu? contare oggi su degli approcci terapeutici basati sulla target therapy, terapia mirata in grado di colpire con precisione le cellule tumorali.

Il cancro alla mammella pu? presentarsi in diverse forme, per questo la personalizzazione delle cure rappresenta la sfida pi? impegnativa per l’oncologia. La tipizzazione istologica del tumore e le caratteristiche della paziente possono influire sulla storia clinica del tumore e sulla risposta alla terapia.

Sono circa 38.000 i nuovi casi di tumore al seno diagnosticati ogni anno in Italia. Primato negativo per la Lombardia che ? al primo posto per quanto riguarda la diffusione di questo tumore con 7.400 nuovi casi e oltre 1.500 decessi l?anno, ma molto del primato ? dovuto al primo posto della Lombardia come adesione delle donne ai programmi di screening.

Gli anticorpi monoclonali hanno oggi un ruolo fondamentale nel trattamento di tumore mammario e hanno costituito una svolta nel trattamento delle donne colpite dalla malattia, soprattutto nelle forme pi? aggressive.
La diagnosi precoce consente inoltre di identificare tumori di piccole dimensioni, inferiori al centimetro, spesso non palpabili: la prognosi in questi casi ? decisamente favorevole perch? consente di intervenire precocemente con la pi? adeguata strategia terapeutica.
Non sempre, tuttavia, i tumori di piccole dimensioni sono meno aggressivi: un esempio ? il tumore HER2 positivo, che insorge spesso in donne giovani ed ha uno sviluppo rapido. La terapia adiuvante con Trastuzumab ( Herceptin ) subito dopo l?intervento chirurgico sta cambiando la storia di guaribilit? di queste forme.

Trastuzumab ? il primo anticorpo monoclonale ad essere utilizzato nel trattamento di un tumore solido. Rappresenta la terapia d?elezione per i tumori HER2 positivi, perch? in grado di bloccare le cellule con elevata espressione del recettore HER2.
Trastuzumab induce delle risposte anche come terapia neoadiuvante e, in associazione con la terapia ormonale, nelle fasi di malattia avanzata, quando le metastasi sono diffuse, aumentando la sopravvivenza rispetto alla sola terapia ormonale.

Nelle fasi avanzate di malattia e in tutti i casi di tumore HER2 negativi, l?altra terapia biotecnologica di riferimento ? Bevacizumab ( Avastin ), un anticorpo monoclonale.
Terapia di prima linea per il trattamento del tumore della mammella metastatico, Bevacizumab ? il primo farmaco antitumorale che ha come bersaglio l?angiogenesi.
Nella fase metastatica della malattia, le terapie a bersaglio molecolare, come Bevacizumab, hanno infatti dato un ulteriore contributo riuscendo a controllare la malattia impedendone la progressione. Prevenendo il collegamento del tumore con i vasi sanguigni circostanti, il tumore rimane senza rifornimento di sangue, elemento critico per la sua crescita, sopravvivenza e diffusione.
L?impiego di Bevacizumab in associazione con il chemioterapico Paclitaxel ( Taxol ) raddoppia le possibilit? di sopravvivenza senza progressione di malattia nelle pazienti con tumore della mammella metastatico.

Obiettivo nel trattamento e cura del tumore della mammella ? innanzitutto guarire le donne, ma anche salvaguardarne la qualit? di vita. In questo senso gli anticorpi monoclonali, che hanno come obiettivo specifici bersagli molecolari presenti sulle cellule tumorali o nel circolo sanguigno, permettono di limitare al massimo i numerosi effetti collaterali della chemioterapia.

Fonte: Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori Milano, 2009

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Alto rischio di TVP dopo cancro prostatico

29 Mag 2010 Oncologia

Tutti gli uomini con cancro alla prostata hanno un maggior rischio di malattia tromboembolica rispetto alla popolazione generale, ed il rischio di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP) ? “particolarmente elevato” in chi si sottopone a terapia ormonale. Il rischio ? aumentato (quasi raddoppiato) per TVP e PE, ma non per l’embolismo arterioso anche se, per quest’ultimo, i numeri sono piccoli. Questi risultati provengono da una nuova analisi dei dati dello Swedish National Prostate Cancer Register, pubblicata online il 14 aprile sulla rivista Lancet Oncology.
Questo stesso team ha recentemente segnalato, dallo stesso database, che il rischio per malattia cardiovascolare ? aumentato dalle terapie ormonali utilizzate nel cancro alla prostata. Risultati analoghi sono stati riportati da diversi altri studi; all’inizio di quest’anno l’aumentato rischio di malattia cardiovascolare, presente negli uomini con tumore della prostata trattati con terapie ormonali, ? stato evidenziato in un’advisory emanata, nel febbraio 2010, di concerto dall’American Heart Association, American Cancer Society e American Urological Association. Se le terapie ormonali rappresentino un reale fattore di rischio aggiuntivo, alla luce di questi dati non ? possibile dirlo; anche perch?, pur essendosi osservata in corso di terapia ormonale una maggiore incidenza soprattutto di patologie vascolari venose, ed anche in misura minore arteriose, si trattava sempre di pazienti pi? anziani e con malattia neoplastica localmente pi? avanzata e/o metastatica.
Il messaggio principale di questi rilievi ? che gli uomini con cancro della prostata, in trattamento con terapie ormonali, devono essere controllati per le malattie cardiovascolari e, soprattutto, per quella tromboembolica venosa, in quanto sono ad aumentato rischio di entrambe; tuttavia non per questo motivo non si debbono usare questi trattamenti ormonali, in quanto spesso sono l’unica opzione terapeutica nella neoplasia localmente avanzata e metastatica.

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Aumentato rischio di melanoma cutaneo con l?impiego di estrogeni

4 Mag 2010 Oncologia

Diversi studi hanno mostrato risultati contrastanti riguardo all?associazione contraccettivi orali e sviluppo di melanoma cutaneo.

Uno studio, coordinato da Ricercatori del Leiden University Medical Center in Olanda, ha esaminato la relazione tra uso di Estrogeno e incidenza di melanoma cutaneo.

Sono stati utilizzati i dati di due database, PHARMO e PALGA.
I casi eleggibili erano rappresentati da donne di 18 anni o di et? superiore, affette da melanoma cutaneo primario, nel periodo 1991-2004 e con tre o pi? anni di follow-up prima della diagnosi di melanoma.

In totale, lo studio ha riguardato 778 casi e 4.072 controlli.

Il rischio di melanoma cutaneo ? risultato significativamente associato all?uso di Estrogeno ( maggiore o uguale a 0.5 anni; odds ratio aggiustato, OR=1.42 ).
Questo effetto era dipendente dalla dose cumulativa ( P trend < 0.001 ). Il rischio di melanoma cutaneo era anche significativamente associato all?uso della terapia di sostituzione ormonale ( maggiore o uguale a 0.5 anni; OR=2.08 ) e dei contraccettivi orali ( maggiore o uguale a 0.5 anni; OR=1.28 ). Lo studio ha indicato un aumentato rischio dose-dipendente di melanoma cutaneo con l?uso di estrogeni. Koomen ER et al, Ann Oncol 2009; 20: 358-364

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