Cancro colorettale, valore test e sintomi da chiarire

3 Mag 2010 Oncologia

I sintomi e i test diagnostici che possono portare all’identificazione del cancro colorettale, in pazienti con dolore addominale, non sono ancora stati sufficientemente studiati a livello della medicina generale. Eppure il valore predittivo di raccolta anamnestica dei sintomi insieme ai test immunochimici fecali ? buono e dovrebbe essere approfondito con studi di alta qualit?. A questa conclusione giungono Petra Jellema e collaboratori del VU University Medical Center di Amsterdam al termine di una revisione di 47 studi diagnostici in primary care su pazienti che lamentavano sintomi non acuti nei quadranti inferiori addominali. La sensibilit? diagnostica ? risultata elevata per parametri quali et? >= 50 anni (mediana 0,91), test immunochimici delle feci (0,95) e linee guida di riferimento (0,92). Di questi tre fattori solo i test fecali avevano per? anche una buona specificit?. Storia famigliare, (0,91), perdita di peso (0,89) e anemia da carenza di ferro (0,92) sono altres? caratterizzate da elevata specificit? ma scarsa sensibilit?. Nessuno dei 6 parametri presi in considerazione ? stato adeguatamente studiato in medicina generale. Da qui l’invito a procedere verso il chiarimento della valenza diagnostica dei test e dei sintomi nella pratica ambulatoriale.
BMJ 2010; 340: c1269.

 425 total views,  1 views today

Volume tumorale prostatico: nessun valore predittivo

10 Apr 2010 Oncologia

La misurazione del volume tumorale prostatico dopo asportazione radicale della ghiandola non aggiunge alcun valore prognostico rispetto ai parametri patologici valutati routinariamente; pertanto sembra non vi siano reali motivi per continuare a effettuare tale misura sui campioni chirurgici. La conclusione di un recente lavoro effettuato dai dipartimenti di Patologia e di Urologia dell’Universit? Erasmus di Rottterdam (Olanda) ? netta e sembra far piazza pulita di un argomento controverso, ossia se il volume tumorale prostatico possieda appunto un valore prognostico indipendente. Sono stati studiati 344 soggetti, partecipanti all’European randomised study of screening for prostate cancer (Erspc) e sottoposti a prostatectomia; il follow-up medio ? stato di 96,2 mesi. Il volume tumorale, misurato con un metodo morfometrico computer assistito, ? stato considerato come variabile correlata alla progressione dell’antigene prostatico specifico (Psa), alle recidive locali, alle metastasi a distanza e alla mortalit? legata al cancro prostatico. ? cos? emerso che il volume tumorale risulta correlato allo stadio della neoplasia, al punteggio di Gleason, all’invasione della vescicola seminale (Svi) e allo stato dei margini chirurgici ma che, a un’analisi multivariata, n? il volume tumorale n? quello relativo (volume tumorale diviso per quello prostatico) si sono dimostrati elementi predittivi indipendenti di progressione o di mortalit?.

Eur Urol, 2010;57(5):821-9

 462 total views,  1 views today

Tumore della vescica in fase iniziale: nessun beneficio nella sopravvivenza per

8 Apr 2010 Oncologia

Negli Stati Uniti il cancro della vescica rappresenta il tumore con la maggiore prevalenza e anche quello con i costi pi? elevati per il trattamento.
In mancanza di evidenza di alto livello che possa guidare la gestione ottimale di questa patologia, l?aggressivit? del trattamento scelta dai diversi urologi in caso di tumore allo stadio iniziale potrebbe variare notevolmente.

Un gruppo di Ricercatori dell?University of Michigan negli Stati Uniti, ha esaminato le associazioni tra l?intensit? del trattamento iniziale e gli esiti successivi.

Il database Surveillance, Epidemiology, and End Results-Medicare ? stato utilizzato per identificare i pazienti con diagnosi di carcinoma della vescica allo stadio iniziale tra il 1992 e il 2002 ( n=20.713 ) e i medici che hanno scelto il trattamento per ciascun paziente ( n=940 ).

I medici sono stati classificati in base all?intensit? del trattamento prescritto ai loro pazienti ( misurata sulla base della spesa media per tumore della vescica riportata a Medicare nei primi 2 anni post-diagnosi ) e sono stati poi raggruppati in quartili che contenevano un numero simile di pazienti.

Sono state valutate le associazioni tra l?intensit? del trattamento e gli esiti, inclusa la sopravvivenza fino alla fine del 2005 e la necessit? di successivi interventi pi? intensi utilizzando modelli di rischio proporzionale di Cox.

La spesa media Medicare per paziente per i medici del quartile di pi? alta intensit? di trattamento ? risultata pi? che raddoppiata rispetto a quella dei medici nel quartile di pi? bassa intensit? ( 7.131 dollari vs 2.830 dollari, rispettivamente ).

I medici che hanno prescritto trattamenti a pi? alta intensit? hanno sottoposto pi? frequentemente i propri pazienti a sorveglianza endoscopica e hanno utilizzato pi? terapie intravescicali e studi per immagini rispetto ai loro colleghi che hanno prescritto trattamenti a minore intensit?.

Tuttavia, l?intensit? del trattamento iniziale non ? risultata associata a un minor rischio di mortalit? ( hazard ratio aggiustato per mortalit? per ogni causa per i pazienti con trattamento a bassa vs alta intensit? = 1.03 ).

Il trattamento iniziale a maggiore intensit? non ha eliminato la necessit? di interventi successivi.
Infatti, la proporzione di pazienti che ha richiesto in seguito interventi maggiori ? risultata pi? elevata per le persone sottoposte a cure iniziali intense che per quelle sottoposte a trattamenti iniziali di bassa intensit? ( 11.0% vs 6.04%; P = 0.02 ).

In conclusione, l?aggressivit? nella gestione del carcinoma della vescica allo stadio iniziale varia notevolmente a seconda del medico.
I pazienti sottoposti a trattamenti di maggiore intensit? non sembrano avere benefici in termini di sopravvivenza e non riescono a evitare successivi interventi medici maggiori.

Hollenbeck BK et al, J Natl Cancer Inst 2009;101: 571-580

 533 total views,  1 views today

Cancro del pancreas e ruolo degli acidi grassi di origine animale

6 Apr 2010 Oncologia

Ricercatori del National Cancer Institute a Bethesda negli Stati Uniti, hanno verificato l?esistenza di un?associazione tra assunzione di grassi e cancro pancreatico esocrino.

Sono stati dati presi in considerazione i dati riguardanti 308.736 uomini e 216.737 donne che hanno completato un questionario di frequenza alimentare nel 1995-1996.

Nel corso di un periodo osservazionale medio di 6.3 anni, diagnosi di tumore pancreatico esocrino ? stata fatta a 865 uomini e a 472 donne ( rispettivamente, 45 e 34.5 casi per 100.000 persone-anno ).

Il rischio di tumore del pancreas ? risultato direttamente collegato all?assunzione di grasso totale ( hazard ratio, HR=1.23; P-trend=0.03 ), grasso saturo ( HR=1.36; P-trend<0.001 ) e grasso monoinsaturo ( HR=1.22; P-trend= 0.05 ), ma non grasso polinsaturo. Le associazioni sono risultate pi? forti per il grasso saturo da fonti alimentari animali ( HR=1.43; P-trend<0.001 ); in particolare, l?assunzione da carne rossa e latticini ? risultata associata in modo statisticamente significativo a un aumento del rischio di carcinoma del pancreas (rispettivamente, HR=1.27 e 1.19 ). Lo studio ha mostrato che i grassi alimentari di origine animale sono associati a un aumento del rischio di tumore del pancreas. Fonte: Journal of National Cancer Institute, 2009

 443 total views,  1 views today

Aumentato rischio di cancro con la mammografia

3 Apr 2010 Oncologia

Alle donne che hanno una predisposizione ereditaria di sviluppare cancro al seno viene consigliato di sottoporsi periodicamente a mammografia, a partire gi? dall’et? di 20 anni.
Tuttavia, ai vantaggi dimostrati da questo metodo di prevenzione si contrappongono per? i danni causati dalle radiazioni utilizzate nella mammografia.

E? stata condotta una revisione di precedenti studi per esaminare se le radiazioni a bassa dose emesse durante la mammografia rappresentino un rischio per l’insorgenza di tumore al seno nelle donne geneticamente predisposte.

Sono stati esaminati 6 studi che hanno affrontato questa problematica, e utilizzando i dati di questi studi, i Ricercatori sono stati in grado di poter stimare la probabilit? del rischio di insorgenza di tumore alla mammella indotto dalle radiazioni.

I Ricercatori hanno inoltre scoperto che, tra tutte le donne ad alto rischio, il rischio medio di insorgenza di tumore mammario causato dalla bassa dose di radiazioni della mammografia ? 1,5 volte maggiore rispetto alle donne ad alto rischio non-esposte alle radiazioni.

Le donne ad alto rischio esposte prima dei 20 anni, o per coloro che sono state esposte per cinque o pi? volte, a radiazioni presentano una probabilit? 2,5 volte maggiore di sviluppare cancro al seno, rispetto alle donne ad alto rischio ma non esposte a radiazioni a bassa dose.

L’esposizione alle radiazioni ? pi? pericoloso nelle giovani donne rispetto alle donne di et? superiore a causa dell’alto tasso di crescita cellulare.

Secondo C. Marijke Jansen-van der Weide, dell’University Medical Center di Groningen in Olanda, ? importante per le donne pi? giovani e ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno valutare, con l’aiuto del medico, il rapporto rischio/beneficio dello screening mammografico.

Fonte: Radiological Society of North America, 2009

 401 total views,  1 views today

Screening del tumore della cervice uterina: nuove evidenze a supporto della pratica clinica

2 Apr 2010 Oncologia

Il tumore della cervice uterina (CCU) ? per importanza, nei paesi industrializzati, la quarta neoplasia della donna dopo i carcinomi della mammella, del polmone e del colon-retto mentre nei paesi sottosviluppati ? la prima. I programmi di monitoraggio periodico (screening) hanno portato ad una riduzione del numero di nuovi casi del 50 ?60%. La malattia raggiunge il massimo di incidenza nella terza decade di vita e nelle sue fasi precoci ? praticamente asintomatica. Il segno d’allarme ? la piccola perdita ematica genitale, ma spesso in questa fase la diagnosi ? di una malattia che potrebbe essere non pi? in fase iniziale. Il Pap test rappresenta la tecnica che, negli ultimi 50 anni, si ? rivelata pi? efficace negli screening per la prevenzione oncologica. La riduzione della mortalit? per cancro della cervice uterina ? stata di circa il 70% e in gran parte attribuibile all’introduzione del PAP test. Oggi il cancro della cervice uterina ? prevalentemente una malattia delle donne che non effettuano lo screening, in particolare di donne giovani che vivono in regioni con risorse economiche limitate. In queste aree, dove solo il 5% delle donne ha eseguito un PAP test negli ultimi 5 anni, il cancro della cervice rappresenta la seconda causa di morte rispetto al 13? posto dei paesi industrializzati come gli Stati Uniti d’America, dove lo screening ? disponibile per le donne di tutte le et?. Recenti stime sostengono che ci siano ancora nel mondo 500.000 nuovi casi e 240.000 morti per malattia all’anno. Infatti, nonostante il dimostrato successo dello screening, si stima che circa il 50% delle donne con diagnosi di CCU non avevano eseguito il PAP test l’anno precedente la diagnosi e un altro 10% non lo aveva fatto negli ultimi 5 anni prima della diagnosi.
Le linee guida 2009, rilasciate dall’American College of Obstetricians and Gynecologists e pubblicate recentemente sull’ACOG Practice Bulletin, propongono dei cambiamenti alla pratica corrente sulla base di una valutazione rischio/beneficio delle evidenze disponibili e sul follow-up delle donne giovani.
Le seguenti raccomandazioni sono basate su buone e consistenti evidenze scientifiche (Livello A)
? I nuovi orientamenti per la gestione clinica dello screening citologico cervicale raccomandano di proporre alla donna uno screening che dovrebbe iniziare a 21 anni e non all’et? del primo rapporto sessuale. Questa raccomandazione ? basata sull’evidenza di una bassa incidenza di cancro della cervice uterina nelle adolescenti e sui potenziali eventi avversi associati ad un follow up di donne molto giovani quali ansia, morbilit? e sovra trattamento nei casi di test anormali.
? Dai 21 ai 29 anni lo screening ? raccomandato con un intervallo di 2 anni.
? Dai 30 anni le donne che hanno avuto per tre volte consecutive esiti negativi, possono effettuare lo screening con un intervallo di 3 anni. Questa raccomandazione ? sicura e basata sul fatto che, a questa et?, il rischio di sviluppare un CIN3 o un CCU ? basso. Mentre l’esecuzione di PAP test pi? frequenti ? raccomandata in donne con presenza di fattori di rischio come l’infezione da HIV, l’immunodepressione (es. trapianto renale) , oppure in donne con una storia di CIN2, CIN3 o CCU.
? Sono accettabili per lo screening sia le metodiche in fase liquida che tradizionali
? Lo screening pu? essere interrotto nei casi di intervento di isterectomia per indicazioni benigne e senza storia di CIN di alto grado.
? Nelle donne con pi? di 30 anni ? appropriato associare alla citologia il Test HPV DNA
Le seguenti raccomandazioni sono basate su limitate evidenze scientifiche (Livello B)
? Le ragazze adolescenti di et? <21 anni sessualmente attive dovrebbero essere sottoposte a counseling e test verso le malattie sessualmente trasmesse e indirizzate all'uso di metodiche contraccettive efficaci
? Poich? il CCU si sviluppa lentamente e il rischio si riduce con l’et? ? ragionevole sospendere lo screening tra i 65 e 70 anni nelle donne che hanno avuto tre o pi? test consecutivi negativi e nessun test anomalo negli ultimi 10 anni
? Le donne che hanno contratto CIN2, CIN3 o CCU rimangono a rischio per recidiva di malattia per 20 anni dal trattamento e devono essere sottoposte a test annuale per almeno 20 anni
? Le donne che hanno subito un’isterectomia con rimozione chirurgica della cervice e hanno una storia di CIN2 o CIN3 dovrebbero continuare lo screening con intervalli di tempo pi? lunghi, ma senza interruzione.
Le seguenti raccomandazioni sono basate su consensi di esperti (Livello C)
? E’ corretto informare le donne sulla frequenza del test di screening, ma anche sulla opportunit? di eseguire una visita ginecologica annuale anche se non ? prevista l’esecuzione del test
? Le donne vaccinate per HPV16 e HPV18 devono effettuare il test di screening con le stesse modalit? delle donne non vaccinate
Bibliografia
? The American College of Obstetricians and Gynegologists Cervical Cytology Screening ACOG Practice Buletin 2009;109

 438 total views

Anemia da tumore: meglio evitare le epoetine

1 Apr 2010 Oncologia

La presa di posizione di FDA ( Food and Drug Administration ) ed EMEA ( European Medicines Agency ) rispetto all?uso di Epoetina alfa, Epoetina beta e Darbepoetina alfa per aumentare l?emoglobina nei soggetti affetti da tumore ha sollevato discussioni.

I farmaci che stimolano l?eritropoiesi hanno dimostrato di migliorare la qualit? di vita dei soggetti con cancro e di ridurre la necessit? di trasfusioni, ma sono associati a rischio di eventi tromboembolici e a un?attivit? a volte di stimolo sulla crescita tumorale.

Per fornire ulteriori elementi alla discussione un gruppo internazionale di oncologi ha analizzato gli studi pubblicati finora.

E? stata condotta una meta-analisi che ha riguardato 13.933 pazienti con tumore in 5 studi controllati e randomizzati. Un?ulteriore analisi ? stata condotta su 10.441 pazienti sottoposti a chemioterapia da 8 studi controllati e randomizzati.
L?esito valutato era la mortalit? durante il periodo di studio e la sopravvivenza globale.

Nei soggetti con tumore esaminati la somministrazione dei farmaci che stimolano l?eritropoiesi era associata a un aumento della mortalit? durante lo studio ( hazard ratio, HR=1.17 ) e a un peggioramento della sopravvivenza globale ( HR=1.06 ).
Tali dati sono stati confermati anche negli studi che riguardavano solo i soggetti trattati con chemioterapici anche se in maniera meno evidente e senza grandi differenze tra un chemioterapico e l?altro.

La meta-analisi ha confermato i dati emersi finora e il consiglio dell?EMEA ? quello di evitare l?uso delle epoetine nei soggetti con anemia da cancro.
In particolare l?Agenzia regolatoria europea consiglia di ricorrere alle trasfusioni invece che alle epoetine in caso di anemia da tumore, di valutare insieme al paziente se ricorrere alle epoetine dopo aver fatto un bilancio tra rischi e benefici su base individuale, di considerare il tipo e lo stadio del tumore, di valutare il livello dell?anemia, l?aspettativa di vita del paziente e le sue preferenze. ( Xagena2009 )

Bohlius J, Schmidlin, et al, Recombinant human erythropoiesis-stimulating agents and mortality in patients with cancer: a meta-analysis of randomised trials, Lancet 2009; 373: 1532-1542

Fonte: Reazioni ? AIFA, 2009

 503 total views

Colonscopia utile contro tutti i tumore del colon?

6 Mar 2010 Oncologia

La colonscopia, da ripetere ogni 10 anni a partire dai 50, ? da considerare la strategia preferibile per lo screening del cancro colorettale nei soggetti a medio rischio, secondo le linee guida dell’American College of Gastroenterology (Am J Gastroenterol 2009; 104:739). Ci? in virt? della potenziale efficacia nel ridurre l’incidenza e la mortalit? di questi tumori. La colonscopia ? pertanto diffusamente utilizzata nella pratica clinica per la diagnosi e prevenzione del cancro colorettale; tuttavia sono ancora incomplete le evidenze sul grado complessivo di protezione e se la protezione stessa sia presente indipendentemente dalla sede anatomica della lesione.

In un recente studio pubblicato da Brenner e collaboratori sul Journal of?National Cancer Institute ? stato valutato se l’aver eseguito una colonscopia nei 10 anni precedenti (o al contrario il non averla eseguita) fosse associato ad una differente prevalenza di tumori colorettali avanzati a seconda dei vari siti anatomici. Lo studio cross-sectional fu condotto in Germania su 3.287 soggetti – di et? superiore ai 55 anni – coinvolti in un programma di screening, nel periodo compreso tra maggio 2005 e dicembre 2007. I risultati raccolti sono di grande interesse pratico:
una neoplasia colorettale avanzata fu individuata in 308 (11,4%) dei 2.701 partecipanti che non avevano effettuato precedentemente una colonscopia, rispetto ai 36 (6,1%) dei 586 partecipanti che avevano effettuato tale indagine endoscopica nei 10 anni precedenti
la protezione nei confronti di una neoplasia colorettale offerta da una precedente colonscopia variava in funzione della sede indagata: cieco e colon ascendente?OR 0,99 (95% CI 0,50-1,97), flessura epatica e colon trasverso OR 1,21 (CI 95% 0,60-2,42), flessura splenica e colon discendente 0,6 (95% CI 0,16-0,82), sigma 0,29 (95% CI 0,16-0,53), retto 0.007 (95% CI 0,02-0,53).
Le conclusioni a cui pervengono gli autori (pur con i limiti del disegno dello studio ed in attesa di un trial randomizzato), sono che la prevalenza di un tumore colorettale avanzato a livello del colon sinistro – ma non a livello del colon destro – ? ridotta in modo significativo nei soggetti sottoposti nei 10 anni precedenti ad una colonscopia. Ci? apre il campo a molteplici considerazioni circa le migliori modalit? da adottare nello screening dei tumori colorettali e sui motivi che rendono la colonscopia meno efficace nella prevenzione dei tumori del colon destro.

J Natl Cancer Inst 2010;102:89.?
J Natl Cancer Inst 2010;102:70.

 710 total views

Vitamina D predittore di ca colorettale

2 Mar 2010 Oncologia

Maggiore rischio di carcinoma colorettale con bassi livelli di vitamina D. Queste le conclusioni di un ampio studio osservazionale pubblicato su British Medical Journal e condotto nell’ambito del trial Epic (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) riguardante 520mila individui di dieci Stati europei occidentali. Mettendo a confronto oltre 1.200 casi di tumore del colon-retto con altrettanti controllo, gli autori hanno stabilito che rispetto a concentrazioni di vitamina D comprese tra 50 e 75 nmol/l, livelli inferiori sono associati a un aumento del rischio di cancro colorettale (tasso d’incidenza = 1,32 e 1,28 per livelli <25nmol/l e compresi tra 25,0 e 49,9 nmol/l; rispettivamente) mentre concentrazioni maggiori a una sua diminuzione (tasso d'incidenza = 0,88 e 0,77 per livelli compresi tra 75,9 e 99,9 nmol/l e pari o superiori a 100 nmol/l; rispettivamente). Infine, mentre elevati apporti dietetici di calcio sono risultati correlati a basso rischio di questo tipo di tumori, nessuna influenza ? stata osservata con l'introduzione di vitamina D nella dieta. ?Saranno necessari ulteriori trial randomizzatti per poter definire se incrementando i livelli plasmatici di vitamina D si possa effettivamente ridurre il rischio di carcinoma colorettale? ha commentato Mazda Jenab del Lifestyle and Cancer Group, International Agency for Research on Cancer di Lione (L.A.). BMJ. 2010 Jan 21;340:b5500. doi: 10.1136/bmj.b5500.

 467 total views

Chirurgia mammaria, meno linfedema con fisioterapia

1 Mar 2010 Oncologia

Interventi fisioterapici precoci possono prevenire l’insorgenza di linfedema secondario a chirurgia per carcinoma mammario. ? quanto pubblicato di recente su British medical journal da Maria Torres-Lacomba del physiotherapy Department, School of physiotherapy, Alcal? de Henares University di Madrid. L’indagine ha riguardato 120 pazienti sottoposte ad asportazione chirurgica di linfonodi ascellari, tra maggio 2005 e giugno 2007. Per un intero anno, le partecipanti sono state randomizzate a un intervento educazionale (gruppo controllo) oppure a uno specifico programma di fisioterapia comprendente linfodrenaggio manuale, massaggio del tessuto cicatriziale ed esercizi della spalla. A tutto questo ? stato abbinato anche l’intervento educazionale. Al termine del follow-up, il 16% delle pazienti ha sviluppato linfedema, di cui il 25% faceva parte del gruppo controllo e il 7% di quello sottoposto a fisioterapia. In conclusione, diagnosi di linfedema sono state quattro volte pi? numerose nel gruppo controllo, rispetto a quello trattato con approccio fisioterapico (fisioterapia/controllo, hard ratio = 0,26). (L.A.)

BMJ. 2010 Jan 12;340:b5396. doi: 10.1136/bmj.b5396.

 462 total views

1 9 10 11 12 13 34

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?