Tramite un nuovo approccio per il rilevamento delle proteine plasmatiche associate ai tumori ? stato scoperto un biomarcatore innovativo che potrebbe migliorare la diagnosi dei tumori polmonari in stadio preclinico. Il metodo prevede l’uso dello stesso paziente come elemento di controllo per l’identificazione di livelli elevati di proteine nell’efflusso venoso polmonare che drena il letto vascolare tumorale rispetto al sangue arterioso sistemico. La spettrometria ha consentito di individuare significativi incrementi di CTAP III ed aptoglobina nel sangue venoso polmonare di questi soggetti, di cui la seconda ? gi? stata riconosciuta in precedenza come biomarcatore tumorale. E’ comunque importante inserire questi biomarcatori ematici in modelli multimodali di previsione del rischio di tumori polmonari, ma l’eterogeneit? di questi tumori rende improbabile che il pieno spettro della malattia possa riflettersi solamente in due proteine. (J Clin Oncol online 2009, pubblicato il 13/5)
Alcune ricerche in vivo ed in vitro indicano che le cellule di tumori prostatici umani refrattari agli ormoni vengano portate all’apoptosi con particelle inattivate di virus Sendai. I tumori da cui queste cellule derivano sono refrattari a diverse modalit? terapeutiche, fra cui figurano sia la chemioterapia che la radioterapia, ed in ultima analisi risultano letali: sono quindi necessari nuovi approcci terapeutici. Il virus HVJ-E, impiegato per questa applicazione, ? stato originariamente concepito come vettore per farmaci, ma gli esperimenti condotti sui tumori prostatici hanno dimostrato che queste particelle virali sono in grado di eradicare i tumori primari di per s?: la combinazione di modalit? potrebbe inoltre aumentarne ulteriormente gli effetti. La risposta immune sistemica indotta a seguito dell’iniezione locale del virus potrebbe anche eliminare i tumori metastatici non trattati. (Int J Cancer 2009; 124: 2478-87)
Le donne portatrici di mutazione BRCA tendono a vedere la mastectomia come il miglior modo di ridurre il rischio di tumore mammario e la propria ansia riguardante la malattia. Nonostante la disponibilit? di opzioni meno drastiche, la maggior parte delle pazienti sembrano tendere di pi? verso la chirurgia. Si tratta di una decisione molto personale, che implica diversi fattori, fra cui la sessualit?, la propria immagine personale ed il timore di sviluppare tumori. A volte in presenza di una mutazione BRCA si potrebbe ricorrere allo screening nella speranza di trovare lesioni in fase precoce, ma spesso questo potrebbe rivelarsi solo una misura interlocutoria che conduce all’adozione di strategie preventive. (Cancer online 2009, pubblicato il 9/3)
Le donne in et? premenopausale sottoposte a chirurgia laparoscopica conservativa per endometriomi ovarici presentano un minor tasso di recidiva con sei mesi di terapia a base di GnRH-agonisti che con un approccio basato su un’attesa vigile. Onde ridurre il rischio di recidive, comunque, il GnRH-agonisti andrebbero somministrati per almeno sei mesi dopo l’intervento, in quanto una terapia pi? breve porterebbe a risultati meno ottimali: sei mesi di terapia portano ad un tasso di recidiva a 36 mesi del 5,3 percento, ma gi? ridurre il ciclo di terapia a quattro mesi comporta un aumento del tasso di recidiva che giunge al 39,2 percento. Sono comunque necessari futuri studi prospettici randomizzati per confermare questi dati. (Fertil Steril 2009; 91: 40-5)
Nei pazienti al di sopra dei 75 anni ? sicuro sospendere lo screening del PSA, ma solo in presenza di livelli di PSA entro i tre ng/dl. All’interno di questi limiti, infatti, ? improbabile che il paziente sviluppi un tumore prostatico aggressivo o vada incontro a decesso per questa malattia entro la propria speranza di vita, e pertanto si tratta di pazienti in cui ? ideale sospendere lo screening, consentendo cos? di effettuare un taglio drastico sui costi ed eliminare potenziali danni da ulteriori esami o terapie in una popolazione che difficilmente ne trarrebbe beneficio. Si tratta comunque di conclusioni che derivano da dati osservazionali, compresa la soglia di PSA stabilita, che necessitano quindi di conferme in casistiche indipendenti. (J Urol. 2009; 181; 1606-14)
L’apporto di fibre con la dieta non ? associato al rischio di tumore prostatico. Era stato suggerito che le fibre potessero in qualche modo ridurre questo rischio, magari aumentando i livelli circolanti di globulina legante gli ormoni sessuali, ma questa ipotesi ? stata smentita. Bench? un apporto calibrato di fibre, e le fibre derivate dalla frutta, fossero associate a una lieve riduzione del rischio totale di tumore prostatico, e in particolare delle sue forme localizzate, queste associazioni non sono statisticamente significative. Sussiste comunque un’importante correlazione inversa fra apporto calibrato di fibre o fibre derivate dalla frutta e rischio di tumore prostatico ad insorgenza tardiva con diagnosi dai 65 anni in su. Int J Cancer 2009; 124: 245-9
L’aggiunta di taxani alla chemioterapia standard basata sulle antracicline non ha effetti complessivi sulla sopravvivenza libera da malattia nei pazienti con tumore mammario in fase precoce. Si tratta di un dato in contrasto con quelli derivati da altri studi sulla terapia adiuvante, che invece ne avevano indicato un modesto vantaggio in termini di sopravvivenza. In ogni caso, lo status relativo al recettore per gli estrogeni ed all’HER-2 del tumore potrebbe essere in grado di predire la risposta alla terapia con taxani. Le ragioni alla base della mancanza di risultati di questa strategia terapeutica rimangono ignote, ma rimane il fatto che essa non si dimostra pi? efficace di trattamenti pi? convenzionali e meno tossici, e pertanto non andrebbe raccomandata come terapia adiuvante per il tumore mammario. E’ ancora aperto il dibattito su quale sia il reale beneficio dei taxani e quali siano le pazienti che potrebbero goderne. (Lancet. 2009; 373: 1662-3 e 1681-92)
Un numero sempre crescente di studi e di congressi trova come argomento il carcinoma prostatico, la possibilit? di ridurre il rischio, la progressione, le complicanze ed infine la mortalit? legate a questo tumore attraverso una diagnosi precoce ed un programma di screening e prevenzione. Questa attenzione scientifica ? motivata da una forte richiesta clinica legata al sostanziale aumento di incidenza della neoplasia prostatica, un interessamento sempre maggiore ad et? meno avanzate. Quali sono le prospettive e quali gli strumenti attuali per affrontare con efficacia questa neoplasia che rappresenta realmente un problema sociale su larga scala? Esistono delle linee guida, in particolare della Societ? Europea di Urologia (EAU), che possono aiutarci ad organizzare meglio il nostro lavoro nella gestione clinica del paziente con carcinoma prostatico e sostenere , anche da un punto di vista medico-legale, le nostre decisioni. Qual ? l’epidemiologia attuale del carcinoma prostatico e quali i fattori rischio? Il carcinoma prostatico ? considerato ad oggi uno dei maggiori problemi della popolazione maschile in tutto l’ambito medico Rappresenta ormai la neoplasia pi? frequente nel sesso maschile, superando anche il tumore al polmone negli USA ed in Europa. In Europa, si valuta che 2,6 milioni di nuovi casi di carcinoma prostatico sono diagnosticati ogni anno, rappresentando l’11% di tutti i carcinomi maschili in Europa, e rendendosi responsabile del 9% di morti per cancro nell’uomo (EAU). I dati italiani non si discostano dalla media europea ( 14% di tutti i carcinomi maschili). L’incidenza del carcinoma prostatico risulta in continuo e progressivo aumento in questi ultimi decenni. Tale situazione ? imputabile a diversi fattori. ? ben noto che il carcinoma prostatico ? correlato all’et? del paziente. Il progressivo aumento dell’et? media della popolazione generale ed anche maschile (attualmente circa il 7% presenta un’et? superiore a 65 anni con una percentuale prevista al 14% nel 2040) ? sicuramente un fattore importante. Tuttavia le diverse analisi epidemiologiche sottolineano il rapido aumento in incidenza successivo al 1990, dopo quindi l’introduzione dell’antigene specifico prostatico (PSA) nella diagnosi della neoplasia prostatica. In particolare, maggiore ? l’uso del PSA od un atteggiamento aggressivo nella diagnosi precoce, maggiore ? l’incidenza di carcinoma prostatico in quella popolazione. L’aumento di incidenza del carcinoma prostatico ha permesso anche di meglio analizzare i fattori di rischio per il suo sviluppo. La dieta rimane un fattore di rischio importante; la minore incidenza di carcinoma prostatico nelle popolazioni orientali ? in gran parte secondario all’uso abitudinario di un’alimentazione ricca in prodotti (soia, riso e derivati) ad alto contenuto di sostanze chiamate isoflavonoidi. Queste sostanze sono in grado di agire sui tessuti prostatici proteggendoli dal possibile inizio di processi legati alla carcinogenesi. Una crescente attenzione ? stata rivolta al concetto di familiarit? ed ereditariet? nel carcinoma prostatico. ? stato possibile, infatti, identificare alcuni geni in grado di trasmettere di generazione in generazione un aumentato rischio di sviluppo del carcinoma prostatico. Questo dato permette di identificare una percentuale (intorno al 10-15%) di carcinomi prostatici che si sviluppano su base ereditaria o familiare. Da un punto di vista clinico, il rilevamento nell’anamnesi di una storia familiare positiva per carcinoma prostatico (sia nella famiglia paterna che materna) in uno o pi? parenti (in particolare se sviluppato in et? inferiore a 65 anni) aumenta di 2-3 volte il rischio per quel soggetto di sviluppare un carcinoma prostatico nel corso della sua vita. Altra caratteristica importante, ? la forma ereditaria di carcinoma prostatico che si sviluppa precocemente, una decade prima dell’et? media di sviluppo del carcinoma prostatico sporadico ( 45-55 anni). ? raccomandato uno screening per il carcinoma prostatico? Al momento attuale alcune Societ? Americane (Societ? Americana di Oncologia e di Urologia) raccomandano un programma di screening per il carcinoma prostatico. Non altrettanto avviene per la Societ? Europea di Urologia (EAU). Lo screening per carcinoma prostatico, se raccomandato, deve essere effettuato nel seguente modo: ? inizio a 50 anni (45 anni per popolazioni a maggior rischio su base di razza e familiarit?) ? termine quando l’aspettativa di vita del soggetto ? inferiore a 10 anni ? utilizzo del PSA ed esplorazione rettale Sottolineo come i due metodi considerati per un programma di screening sono semplicemente PSA ed esplorazione rettale, e nessun metodo per immagine (in particolare l’ecografia) viene incluso. Per concludere che lo screening abbia una sua completa efficacia nella pratica clinica e gestione del paziente con carcinoma prostatico, tre risultati devono essere ottenuti: ? aumento di incidenza e diagnosi del carcinoma prostatico ? diagnosi di carcinoma prostatico ad una et? pi? giovane ed a uno stadio pi? iniziale e localizzato di malattia ? riduzione della mortalit? cancro specifica nella popolazione I primi due risultati sono sicuramente gi? stati ottenuti da una politica generale di diagnosi precoce (ed in alcuni paesi, come US, di screening). Con l’utilizzo sempre maggiore del PSA, il numero di diagnosi di carcinoma prostatico ? aumentato, ed a un’et? progressivamente pi? precoce, associate ad uno stadio localizzato alla ghiandola prostatica. Al momento attuale, per?, non esistono dati che permettano di evidenziare un vantaggio in termini di sopravvivenza cancro specifica. Vi sono diversi trial randomizzati (screening si versus screening no) in corso, che potranno rispondere a questa domanda. Al momento attuale alla domanda: “deve essere eseguito un programma di screening per carcinoma prostatico?”, la risposta pi? giusta ?: “non esistono sufficienti dati per rispondere, sia in senso affermativo che negativo”. In particolare, il problema che rimane da definire ? l’entit? del rischio di diagnosi non clinicamente significative (il paziente muore con, e non per il carcinoma prostatico) di carcinoma prostatico nella popolazione sottoposta a screening. Cosa si intende per diagnosi precoce? Se un programma di screening non ? ancora giustificato, in quasi tutto il mondo, compresa Italia, viene eseguita e richiesta (Societ? Europea di Urologia) (EAU) una diagnosi precoce per il carcinoma prostatico. Quali sono le linee guida per eseguire una diagnosi precoce? ? inizio a 50 anni (45 anni per popolazioni a maggior rischio sulla base di razza e familiarit?) ? termine quando l’aspettativa di vita ? inferiore a 10 anni ? utilizzo del PSA ed esplorazione rettale ? importante segnalare l’et? a cui iniziare una diagnosi precoce ma ancor pi? l’et? in cui un atteggiamento di diagnosi precoce del carcinoma prostatico non ha pi? senso (aspettativa di vita inferiore a 10 anni). ? importante inoltre sottolineare come, anche per la diagnosi precoce, la raccomandazione ? di utilizzare semplicemente il PSA e l’esplorazione rettale. Ancora una volta la tecnica per immagini nella neoplasia prostatica non svolge un ruolo importante. La sensibilit? e specificit? dell’ecografia prostatica transrettale e della RMN prostatica sono inferiori al binomio PSA ? esplorazione rettale nell’identificazione precoce del nodulo dubbio prostatico. Ancora oggi le richieste di ecografia prostatica a questo scopo sono molte, e spesso non si procede alla biopsia prostatica se anche l’ecografia non conferma il sospetto di neoplasia prostatica. La raccomandazione invece ? precisa: deve essere sufficiente un sospetto sulla base dell’esplorazione rettale o (non necessariamente in entrambe) del PSA per richiedere subito la verifica attraverso la biopsia prostatica. L’ecografia prostatica transrettale non deve essere richiesta a supporto di queste due informazioni, ma solo utilizzata per eseguire la biopsia prostatica. Sottolineo come la diagnosi definitiva di carcinoma prostatico puo’ essere ottenuta solo istologicamente alla verifica bioptica. La biopsia prostatica deve essere sempre ecoguidata e con prelievi multipli (minimo 6 ma crescenti al crescere del volume prostatico). La mancanza di una tecnica per immagine nella diagnostica prostatica ? una lacuna clinicamente rilevante. Speranze vengono dalla risonanza magnetica con spettroscopia. Questa tecnica associa all’indagine morfologica per immagine della RMN, un indagine metabolica del tessuto. In particolare su aree considerate spesso specificamente sospette dalla RMN si esegue un esame spettroscopico attraverso l’analisi di tre sostanze: citrato (associato alla prostata normale ed iperplastica), creatina e colina (associata stati ipermetabolici ed elevato turnover cellulare). Il risultato ? un istogramma dove, nel tessuto prostatico non neoplastico la curva della creatina ha la prevalenza sulle altre, mentre nel tessuto neoplastico la colina e citrato hanno la prevalenza sul citrato. La tecnica ? molto interessante e disponibile gi? in diversi centri italiani, ma la sua validit? nella diagnosi o gestione successiva del paziente con carcinoma prostatico deve essere ancora provata su numeri sufficientemente elevati. Cosa c’? di nuovo sul PSA? In questi ultimi anni il PSA ha subito numerose contestazioni, ma al momento la maggior parte della ricerca non ? rivolta a nuovi marcatori per il carcinoma prostatico, ma su come meglio gestire il PSA. Questo dato sottolinea come il PSA debba essere considerato un buon marcatore (il migliore forse in oncologia) ed utilizzato in maniera estesa nella popolazione maschile oltre 45-50 anni, fino a 70 anni. La novit? sul PSA si basa sulla definitiva fine dello storico cut-off di 4,0 ng/ml. Ancora la maggior parte di risposte di laboratorio indicano come valori di riferimento per il PSA totale 0-4 ng/ml. Un esteso studio ha per la prima volta eseguito biopsie prostatiche nella popolazione maschile anche per valori di PSA considerati prima insospettabili. Il risultato ? stato che circa il 20% dei soggetti con PSA fra 2.5-4.0 ng/ml presentavano un carcinoma prostatico alla biopsia. Questo dato sottolinea come la capacit? del PSA di evidenziare una neoplasia prostatica ? perfettamente uguale nel range fra 2,5 ? 4,0 e 4,0-10,0 ng/ml. Per questo motivo l’atteggiamento rispetto ai valori del PSA totale e rapporto free/total (da eseguire e leggere solo se il PSA totale ? compreso fra 2,5 e 10 ng/ml) ? il seguente: in assenza di sospetti alla esplorazione rettale ? PSA totale <2,5 ng/ml = basso rischio di carcinoma prostatico. Si raccomanda un controllo annuale del PSA ? PSA nel range 2,5 -10.0 ng/ml = rischio intermedio. Un atteggiamento pi? aggressivo (in particolare se presente una storia di familiarit?) puo’ considerare la biopsia in tutti i casi. Un atteggiamento meno aggressivo, volto a ridurre il numero di biopsie non necessarie, stratifica i pazienti in base al rapporto free/total; se il rapporto ? inferiore a 0,25 si richiede la biopsia prostatica; se superiore controllo a 6 mesi intervallo ? PSA >10 ng/ml = alto rischio. Indipendentemente dal valore free/total si raccomanda subito una biopsia prostatica. Un altro dato interessante ottenuto dallo stesso lavoro ? relativo all’influenza degli inibitori della 5 alfa reduttasi sul PSA. Diversi studi avevano gi? sottolineato come un inibitore della 5 alfa reduttasi non riduce la validit? del PSA come marcatore tumorale, perch? la riduzione indotta da queste terapie ? molto costante e pari al 50% ed ? sufficiente moltiplicare il valore nel paziente del PSA X 2, per ottenere il valore reale del PSA totale ed utilizzarlo di conseguenza. Inoltre l’inibitore della 5 alfa reduttasi non altera il rapporto free/total del PSA. Tuttavia a volte nella pratica clinica si tende erroneamente ancora ad interrompere il trattamento medico per utilizzare il PSA. Lo studio ha sottolineato che il PSA non solo non ? influenzato negativamente dalla terapia con inibitore della 5 alfa reduttasi , ma proprio nei pazienti sottoposti a queste terapie, il PSA diviene un marker significativamente superiore per la diagnosi precoce dei tumori prostatici a maggiore aggressivit?. In pratica: se un aumento del PSA ? dovuto ad una concomitante iperplasia prostatica e non ad un carcinoma, la terapia con inibitore della 5 alfa reduttasi produrr? una riduzione del valore del PSA totale del 50% , valore che si manterr? stabile nel follow-up successivo. Al contrario, se l’aumento del PSA ? dovuto ad un carcinoma prostatico, la terapia con inibitori della 5 alfa reduttasi produrr? una riduzione del PSA inferiore al 50 % ed il suo valore tender? successivamente a ri-aumentare nonostante la terapia medica. A che punto siamo nei programmi di prevenzione? Il carcinoma prostatico ha diverse caratteristiche che possono renderlo idoneo ad un programma di prevenzione: ? elevata incidenza, tale da considerare questa neoplasia un problema sociale ? morbilit? legata al suo trattamento ? possibilit? di evidenziare soggetti a maggior rischio di sviluppo ? markers sierici e tissutali Dal 2000 l’attenzione ad un possibile programma di prevenzione nel carcinoma prostatico ? aumentata esponenzialmente. La prima domanda ? su quale popolazione eseguire un programma di prevenzione. Ad oggi pensare di sviluppare un programma di prevenzione su tutta la popolazione maschile potrebbe sembrare gravato da costi troppo elevati e da un numero eccessivo di trattamenti non necessari. Pi? favorevole puo’ sembrare un programma di prevenzione rivolto ad una popolazione selezionata, a rischio aumentato di sviluppo futuro del carcinoma prostatico. Il PSA ancora una volta sembra poter identificare classi di rischio crescente di sviluppo futuro di carcinoma prostatico . Il concetto di familiarit? permette di selezionare altri pazienti a maggior rischio. Alcune lesioni istologiche precoci nella cancerogenesi prostatico (Postinflammatory atrophy PIA) , legate al concetto di infiammazione cronica prostatica come fattore di rischio nello sviluppo futuro del carcinoma prostatico, potrebbero permettere ulteriori selezioni anche da un punto di vista istologico e tissutale. L’et? in cui iniziare un programma di prevenzione varia, in base al farmaco utilizzato ed al suo meccanismo di azione. Sostanze naturali necessitano di diversi anni per poter prevenire il meccanismo di cancerogenesi prostatica, e come tali devono essere iniziate molto precocemente per avere un effetto chemopreventivo sulla prostata. Altri farmaci, ad azione pi? diretta sulla cellula prostatica, possono agire pi? rapidamente ed effettuare un importante azione preventiva anche se utilizzati a partire da et? pi? avanzate (45-50 anni). Per poter dare una risposta reale a queste domande servono studi importanti, multicentrici su grandi popolazioni e su periodi di valutazione lunghi; inoltre randomizzati al trattamento da studiare versus placebo. Questi studi esistono, in parte sono conclusi, in parte sono in corso. Un voluminoso studio di prevenzione sta esaminando vitamine (A ed E) licopeni ed isoflavonodi nella prevenzione del carcinoma prostatico. I risultati sono previsti intorno al 2010. Uno studio sugli inibitori del ciclo-ossigenasi 2 ? stato interrotto precocemente. Due studi utilizzano invece inibitori della 5 alfa reduttasi per la prevenzione del carcinoma prostatico. Il razionale ? l’effetto apoptotico di morte cellulare indotto dal farmaco sulla cellula epiteliale prostatica che, in futuro, potrebbe sviluppare un processo di cancerogenesi. Riducendo l’attivit? proliferativa di queste cellule si riduce anche il rischio di trasformazione neoplastica. Di questi ultimi due trial, ? ancora in corso lo studio con inibitore di entrambe le 5 alfa reduttasi tipo 1 e 2, mentre ? concluso lo studio con inibitore della 5 alfa reduttasi tipo 2. Quest’ultimo studio ha randomizzato pi? di 18000 uomini senza sospetto di carcinoma prostatico a 7 anni di trattamento versus placebo. L’importanza di questo studio ? sottolineata dal fatto che nel Dicembre 2006 la Societ? Europea di Urologia ha considerato necessario sviluppare e successivamente pubblicare su European Urology della raccomandazioni su come utilizzare i risultati di esso. Le raccomandazioni sottolineano l’indipendenza dello studio che risulta in grado di offrire risultati clinicamente significativi. Il risultato ottenuto ? una riduzione del 25 % circa di incidenza di carcinoma prostatico nei soggetti trattati con il farmaco rispetto al placebo. Questa riduzione ? importante e considerata clinicamente significativa per valutare la terapia come efficace, in termini di prevenzione, del carcinoma prostatico. Ma una terapia preventiva viene anche giudicata sulla base della tollerabilit? del farmaco in una popolazione che non ha malattia, ma ? solo a rischio di svilupparla. Nello studio, la terapia con inibitore della 5 alfa reduttasi produceva un aumento, anche se limitato, rispetto al gruppo trattato con placebo, di effetti collaterali legati alla sfera sessuale, ma un miglioramento della sintomatologia legata ad una concomitante iperplasia prostatica e suo rischio di progressione clinica. Le raccomandazioni della Societ? Europea di Urologia affermano: ? il clinico ha il dovere e compito di informare il paziente dei risultati di questo studio ? il paziente deve essere informato della possibilit?, ad oggi, di una terapia in grado di ridurre del 25 % il rischio futuro di sviluppo di un carcinoma prostatico (e quindi di intraprendere un iter diagnostico-terapeutico con conseguenti effetti collaterali) ? il paziente deve, allo stesso tempo, essere informato anche dei possibili svantaggi (sfera sessuale) e vantaggi associati (controllo dell’IPB) di questa terapia. L’affermazione della Societ? Europea di Urologia sono sufficientemente decise per poter utilizzare nella pratica clinica questi dati. In particolare la Societ? invita il clinico a diffondere questa informazione, sia a livello medico che di paziente, e a decidere insieme a lui, adeguatamente informato, l’opportunit? di intraprendere tale terapia preventiva. Data di deposito AIFA 27/04/2009
Il 14 Febbraio 2009 all`Ospedale di Milano-Niguarda si ? svolto il Convegno della Societ? Italiana di Oncologia Ginecologica (SIOG) e della Societ? Lombarda di Ostetricia e Ginecologia (SLOG) sui requisiti minimi in oncologia ginecologica, le novit? che si vorrebbero introdurre in Lombardia rispetto alla cura del tumore ovarico e sullo stato dell?arte in Lombardia rispetto alla prevenzione dell?infezione HPV. Il giorno prima si ? tenuta una conferenza stampa, per anticipare ai giornalisti le principali novit? che sarebbero emerse dal convegno.
In particolare per quanto riguarda il carcinoma ovarico, sono stati presentati i risultati di uno studio clinico multicentrico e randomizzato, gi? illustrato a Nizza dal professor Vergote, a fine gennaio al Congresso Europeo di Ginecologia Oncologica. Nello studio sono state arruolate 718 pazienti tra Europa e Canada, con tumori dell`ovaio, della tuba e del peritoneo in stadio avanzato, e divise in due gruppi. Il primo gruppo di pazienti ? stato sottoposto subito a intervento chirurgico, mentre l?altro gruppo ? stato operato dopo 3 cicli di chemioterapia. Il “goal” del trattamento del carcinoma ovarico ? l`asportazione completa e ottimale del tumore, unica condizione che consente di ottenere indici di sopravvivenza elevati. Secondo i risultati di questo studio, la sopravvivenza globale delle pazienti ? indifferente se la chirurgia viene effettuata subito o dopo una chemioterapia preparatoria. Le complicanze postoperatorie, la mortalit? e la qualit? di vita delle pazienti sono invece significativamente a favore della chirurgia preceduta da chemioterapia. La percentuale di pazienti in cui si ottiene una asportazione ottimale del tumore risulta significativamente maggiore nel gruppo chemiotrattato prima dell`intervento: nel 53% dei casi il tumore residuo ? assente e nell?82% il tumore residuo ha dimensioni inferiori a 1 cm, contro rispettivamente il 21% e il 46% dei casi nel gruppo di pazienti operate subito.
?Questo studio ci mette di fronte ad un nuova realt? che impone nuove considerazioni nella cura di queste pazienti, – ha detto Luigi Frigerio presidente SLOG e Direttore Ostetricia ? Ginecologia Ospedale Riuniti di Bergamo – permettendoci di personalizzare l`approccio chirurgico in base al rischio operatorio e alla diffusione della malattia in sedi a rischio di complicanze e mortalit??. ?Oggi siamo in grado di operare radicalmente le pazienti con tumore dell`ovaio diffuso all`alto addome o alle anse dell`intestino, – continua Frigerio – ma questo ha un costo in termini di complicanze e qualit? di vita. Per questo uno dei prossimi obiettivi nella cura dei tumori dell`ovaio ? quello di limitare il prezzo di un approccio in prima istanza talora forzatamente aggressivo?.
Elisabetta Lucchesini (Conferenza stampa SIOG e SLOG. Milano, 13 febbraio 2009)
Una revisione della letteratura conferma i benefici derivanti dall’aggiungere la radioterapia alla chirurgia conservativa nel trattamento delle donne con carcinoma duttale in situ: questa strategia infatti riduce in modo sostanziale il rischio di recidiva. Quanto riscontrato conferma le attuali raccomandazioni della maggior parte dei medici per queste pazienti. La maggior parte dei medici raccomanda oggi la chirurgia conservativa per questi tumori, ma comunque gli studi in materia dimostrano che maggiore ? il ruolo della paziente nel processo decisionale, maggiore ? la probabilit? che in ultima analisi si ricorra alla mastectomia: ci? si deve al fatto che la maggior parte delle cognizioni delle pazienti, derivanti eminentemente da internet, riguardano i tumori mammari invasivi, e non il carcinoma duttale in situ. In realt?, in quest’ultimo caso, la differenza in termini di sopravvivenza fra i due interventi ? minima. In pratica, a prescindere dal trattamento scelto, nei 15 anni successivi all’intervento il rischio di mortalit? per altre cause supera quello da tumore mammario. (Cochrane Database Syst Rev online 2009, pubblicato il 5/2)