ANSA) – ROMA, 4 AGO – E’ stato individuato un nuovo marcatore di sensibilita’ a terapie mirate per il trattamento del tumore del pancreas. Si tratta della proteina hMena+11a, la cui espressione, secondo uno studio dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Ire), caratterizza alcune cellule del carcinoma del pancreas. Ora con l’analisi della proteina nei tumori pancreatici si potra’ prevedere la risposta farmacologia ai trattamenti, selezionando i pazienti che possono beneficiarne.
I pazienti con tumori prostatici non metastatici resistenti alla castrazione (stadio D0.5) trattati con un vaccino sperimentale che colpisce il PSA presentano susseguentemente una risposta clinica a una terapia ormonale di seconda linea. La vaccinoterapia inizia un processo dinamico che si concretizza in risposte immuni dell’ospite che possono essere sfruttate in trattamenti successivi. Questa strategia sembra raddoppiare la sopravivenza dei pazienti. E’ attualmente in fase di sperimentazione un vaccino poxvirale di nuova generazione costituito da PSA e tre molecole co-stimolatorie.
I fibromi uterini, detti anche miomi o pi? tecnicamente leiomiomi, sono i pi? comuni tumori solidi, benigni, delle cellule muscolari dell?utero. I fibromi sono classificati in gradi G secondo i criteri della Societ? Europea di Isteroscopia; i G0 sono fibromi sottomucosi completamente endocavitari, i G1 sono fibromi che si estendono nel miometrio per un 50% della loro estensione, ed i G2 fibromi che si sviluppano per pi? di un 50% nel miometrio e sono prevalentemente intramurali. I fibromi possono essere inoltre singoli o multipli, semplici o a grappolo. In alcuni casi, ? possibile anche che un utero sia fibromatoso senza presentare fibromi. I fibromi sono dovuti ad una crescita anomala di cellule a livello della pelvi femminile e rappresentano la forma di tumore benigno pi? diffuso nelle donne con la frequenza di 1 donna su 3. La crescita dei fibromi dipende dalla stimolazione ormonale del tessuto uterino; i fibromi infatti aumentano di volume dopo somministrazione di contraccettivi contenenti estrogeni, e durante la gravidanza. Tra i fattori di rischio c?? anche la familiarit?. Sintomi Il massimo sviluppo del fibroma si ha durante l?et? fertile con un incidenza massima tra i 35 ed i 40 anni. Nella quasi met? delle donne, lo sviluppo di fibroma avviene in maniera asintomatica. La diversa sintomatologia, che caratterizza i vari tipi di fibromi, dipende dalla localizzazione, dalla dimensione e dall?et? della paziente. Tuttavia il sintomo pi? diffuso ? sicuramente la presenza di un flusso mestruale eccessivo detto anche menorragia o ipermenorrea, che pu? presentarsi come mestruazioni lunghe e/o abbondanti. Il sanguinamento eccessivo uterino ? spesso accompagnato da dolore pelvico dovuto alla compressione che esercita il fibroma sull?utero. La degenerazione in una forma tumorale maligna ? un evento raro. Un altro sintomo associato alla presenza di fibromi ? l?aumentata frequenza urinaria dovuta appunto alla pressione esercita sulla parete della vescica dal fibroma stesso. Un caso particolare ? quello del fibroma in gravidanza. Pur essendo rari, si sono verificati casi di difetto dell?impianto dell?embrione, aborto o parto prematuro. Diagnosi Il campanello d?allarme per la presenza di un fibroma ? certamente la presenza di un sanguinamento mestruale eccessivo. In questo caso le pazienti dovrebbero immediatamente sottoporsi ad una normale visita ginecologica e se necessario, ad una ecografia pelvica che ? in grado di evidenziare oltre alla presenza, anche il numero, le dimensioni e la localizzazione del fibroma. La tecnica diagnostica per eccellenza attualmente ? l?isteroscopia che permette di localizzare i fibromi presenti anche nelle zone pi? nascoste ed eventualmente trattarli. Terapia La terapia viene scelta in base all?entit? del fibroma. Prima di passare all?intervento chirurgico ? bene verificarne l?urgenza. Nei pazienti in cui la crescita del fibroma ? molto lenta ed i sintomi sono lievi si pu? procedere con una condotta di attesa, tenendo sotto controllo periodico la paziente, senza effettuare alcuna terapia farmacologica. In casi pi? impegnativi si deve procedere invece con una terapia farmacologica di supporto. L?utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei ( FANS ) o di Acido Tranexamico ( Ugurol ) possono ridurre il sanguinamento eccessivo, evitando quindi il rischio di anemia, ma non hanno alcun effetto sul fibroma che rappresenta la causa primaria del sanguinamento stesso. Per questo motivo, le terapie farmacologiche per il trattamento del fibroma devono necessariamente essere di natura ormonale. Terapie farmacologiche ormonali La terapia ormonale ha lo scopo di intervenire sul meccanismo di produzione ormonale che genera la mestruazione, a questo scopo vengono utilizzati progestinici o estrogeni e progestinici variamente combinati. Gli estroprogestinici oltre all?attivit? anticoncezionale riducono anche la proliferazione endometriale, ma il loro uso ? consigliato solo nei casi in cui si vuole associare alla cura l?effetto anticoncezionale. Pi? utili nel controllo della menorragia si sono rivelati invece gli steroidi agonisti parziali in grado di impedire l?effetto degli estrogeni a livello endometriale. L?assunzione di Danazolo ( Danatrol ) 200mg 2 volte al giorno ? risultata pi? efficace dell?Acido Mefenamico ( Lysalgo ), ma ? associato anche ad un maggior numero di effetti collaterali. I progestinici rappresentano la terapia ormonale pi? utilizzata per ridurre la menorragia. Questi ormoni agiscono provocando atrofia endometriale ed inducendo uno sfaldamento mestruale controllato. I progestinici presentano una migliore efficacia rispetto al Danazolo e all?Acido Mefenamico, nelle donne in cui gli effetti collaterali ( androgenizzazione, aumento di peso ) sono ben tollerati. Generalmente, nei casi di anemia gravi o in preparazione di interventi chirurgici, molto utilizzati sono gli agonisti LHRH che inducono uno stato di menopausa farmacologica, quindi un?arresto del flusso mestruale. La terapia con Leuprorelina ( Leuprolide; Enantone ) ha dato esiti positivi nelle donne con problemi di menorragia in assenza di fibromi. In presenza di fibromi questa terapia ? risultata utile prima dell?intervento chirurgico per ridurre il volume dell?utero e nella fase di recupero postoperatorio. Dispositivi intrauterini con progestinico L?utilizzo di dispositivi intrauterini a base di Levonorgestrel ( Mirena ) ? un?alternativa all?utilizzo classico dei progestinici con in pi? il vantaggio di ridurre notevolmente gli effetti sistemici. Il dispositivo intrauterino agisce producendo atrofia endometriale grazie all?erogazione di 20 mg/die di Levonorgestrel per la durata di 5 anni. Dopo il primo anno una percentuale di donne va incontro ad amenorrea. Da uno studio randomizzato su un consistente numero di pazienti ? risultato che con l?utilizzo del dispositivo a rilascio di Levonorgestrel, il 68% delle donne riesce ad evitare l?intervento chirurgico. L?effetto terapeutico del dispositivo intrauterino ? nella maggior parte dei casi preceduto da un periodo di circa 3 mesi caratterizzato da sanguinamenti irregolari. Terapie chirurgiche Oltre ai notevoli costi associati all?intervento, l?isterectomia, pur essendo la cura pi? certa per i fibromi sintomatici, ? sempre pi? sostituita da altri tipi di interventi mirati alla conservazione dell?organo. Attualmente sono numerose le tecniche alternative all?ablazione totale dell?utero e molto spesso portano a dei soddisfacenti risultati. Tra queste: la miomectomia, la resezione transcervicale del fibroma, l?embolizzazione dell?arteria uterina e la chirurgia a ultrasuoni concentrati guidati in risonanza magnetica. Miomectomia La miomectomia consiste nell?asportazione dei fibromi ed ? la procedura chirurgica meno invasiva per il trattamento dei fibromi, associati ad anormale sanguinamento uterino e a problemi riproduttivi. Il vantaggio di questa tecnica sta nella conservazione dell?utero anche se permane il rischio di recidiva. Pur essendo risultata sicura ed efficace nel controllo dei disturbi mestruali, il suo effetto sulla fertilit? non ? ancora stato chiarito. Esistono vari tipi di miomectomia in base al diverso tipo di fibroma, tra questi: la miomectomia addominale che ? la pi? utilizzata per i fibromi multipli, la miomectomia laparoscopica, se si ? in presenza di pochi fibromi di piccole dimensioni, e la miomectomia isteroscopica che ? consigliata in caso di fibromi sottomucosi . Ognuna di queste tecniche presenta delle varianti e delle modalit? diverse per il trattamento del fibroma: la miolisi consiste nella distruzione del fibroma mediante uso di corrente elettrica, la cromomiolisi ? simile alla miolisi ma utilizia azoto liquido per bruciare il fibroma, ed infine l?ablazione endometriale usa il calore per rimuovere la mucosa endometriale fino al miometrio, quindi agisce sul sanguinamento eccessivo, ma non ? efficace se il fibroma si trova sulla parete esterna dell?utero. Embolizzazione dell?arteria uterina In presenza di fibromi l?arteria uterina aumenta di calibro e la vascolarizzazione del fibroma diventa maggiore di quella del miometrio. L?embolizzazione dell?arteria uterina consiste nell?iniezione di piccole particelle gelatinose all?interno delle arterie uterine con lo scopo di bloccare il flusso sanguigno e quindi l?apporto di ossigeno ai fibromi. Questo determina la degenerazione e l?involuzione dei fibromi stessi. L?embolizzazione dell?arteria uterina ? una tecnica con minima invasivit?, che permette di non doversi sottoporre ad incisione e di avere un periodo di ricovero ospedaliero molto breve. Possono verificarsi complicanze qualora venga compromesso l?apporto di sangue alle ovaie o altri organi. Chirurgia a ultrasuoni concentrati guidati in risonanza magnetica La chirurgia a ultrasuoni concentrati guidati in risonanza magnetica ? una tecnica molto recente approvata nel 2004 dall?FDA ( Food and Drud Administration ) per il trattamento di donne con fibroma che vogliono conservare intatto il loro utero. Questa procedura consente di localizzare e distruggere i fibromi all?interno dell?utero senza ricorrere ad incisioni, ma utilizzando dosi elevate di onde di ultrasuoni ( HIFU ). I risultati ottenuti sembrano promettenti ma non sono noti gli effetti a lungo termine. Isterectomia L?isterectomia consiste nella rimozione chirurgica dell?utero. Se viene asportato l?intero utero si parla di isterectomia totale, se viene conservato il collo dell?utero si parla invece di isterectomia subtotale. L?isterectomia rimane la tecnica pi? efficace per le donne che vogliono risolvere in maniera definitiva i problemi correlati alla presenza di fibromi uterini. I rischi associati all?intervento sono estremamanete bassi e comuni ad altri interventi chirurgici. Tuttavia bisogna ricordare che, essendo una tecnica definitiva, le donne che si sottopongono a questo tipo di intervento devono essere estremamente sicure ed informate sull?impossibilit? di concepimento. Fonte: 1) Informazioni sui Farmaci, 2002; Mayo Clinic, 2007
La deprivazione androgenica primaria, utilizzata da sola al posto di chirurgia o radiazioni, non migliora la sopravvivenza pi? del trattamento conservativo nella maggior parte degli uomini anziani con tumore prostatico localizzato. Ci? dunque questiona il recente uso comune di questa strategia., , soprattutto considerando i suoi costi ed effetti collaterali significativi. Quando la deprivazione androgenica viene usata in congiunzione con chirurgia o radiazioni, comunque, essa ? davvero in grado di migliorare la sopravivenza complessiva. Essa ? di beneficio in sottogruppi specifici di pazienti, come quelli con tumori poco differenziati, ma necessita di un razionale ben giustificato. (JAMA. 2008; 300: 173-81)
Un’elevata concentrazione di PCR (proteina c-reattiva) ? associata ad una scarsa sopravivenza ed ad una minore probabilit? di risposta del PSA negli uomini con tumori prostatici androgeno-indipendenti (AIPC). Sono in aumento le prove del fatto che l’infiammazione svolge un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione di molti tumori, ma il ruolo dell’infiammazione nella cancerogenesi prostatica e nella progressione dei tumori prostatici non ? stato ancora chiarito. Se quanto osservato verr? confermato, la PCR potrebbe provarsi un utile e facilmente misurabile marcatore prognostico che potrebbe aiutare nel processo decisionale clinico, nelle consulenze per il paziente e nella progettazione e nell’interpretazione degli studi clinici. Elevati livelli di PCR inoltre potrebbero fornire vitali approfondimenti sul ruolo fondamentale dell’infiammazione nella progressione dei tumori prostatici avanzati. (Cancer 2008; 112: 2377-83)
Tramite l’uso di un vettore adenovirale artificiale per la mediazione del trasferimento del gene reporter nelle cellule tumorali prostatiche, ? stato possibile visualizzare le metastasi a carico del linfonodo sentinella tramite PET in un modello murino di tumore prostatico umano. Questo approccio ? in grado di raggiungere il linfonodo sentinella e colpire le cellule metastatiche meglio della rimozione chirurgica convenzionale: il vantaggio principale consiste nella possibilit? di raggiungere i linfonodi pi? probabilmente interessati in modo meno invasivo. L’aggiunta di un antivirale consentirebbe di attivare la distruzione delle cellule tumorali, dato che il gene trasportato dal vettore verrebbe espresso solo da queste ultime. Tecnologie simili potranno presto essere applicate ai melanomi ed ai tumori mammari, dove l’accertamento dello status di un linfonodo sentinella ? anche la componente chiave della pianificazione del trattamento. (Nat Med online 2008, pubblicato l’11/7)
Le pazienti con carcinoma ovarico in stadio I, appartenenti alla classe definita ad alto rischio sono candidabili ad un trattamento adiuvante postchirurgico, in monochemioterapia o polichemioterapia. Le pazienti in stadio II devono ricevere un trattamento chemioterapico adiuvante polichemioterapico.
Stadio IA o IB e grado 1-2: solo chirurgia Una chirurgia conservativa ( ovariectomia monolaterale ) pu? essere presa in considerazione in donne di et? inferiore ai 40 anni, fertili, con desiderio di prole solo in casi estremamente selezionati.
Stadio IA o IB e grado 3 o stadio IC o stadio II senza malattia residua: chirurgia o chemioterapia sistemica.
La chemioterapia sistemica consiste di: Carboplatino + Paclitaxel ogni 3 settimane per 3 – 6 cicli oppure Carboplatino ogni 3 settimane per 6 cicli.
L?analisi combinata di 2 studi clinici controllati ( ICON-1 e ACTION ), oltre a dimostrare l?efficacia clinica delle chemioterapia adiuvante con schemi comprendenti il Platino, suggerisce che nel caso di malattia in stadio I, dopo stadiazione chirurgica ottimale, e basso grado pu? essere presa in considerazione l?ipotesi di non somministrare la chemioterapia adiuvante.
Il carcinoma mammario, oltre ad essere il pi? frequente tipo di tumore nelle donne, ? anche la prima causa di morte per cancro. Il numero delle donne interessate ? molto alto; basti pensare che nel 2002 questo tipo di tumore ? stato diagnosticato a circa 1,15 milioni di donne nel mondo, e circa 410.000 sono morte in seguito alla medesima patologia. Nei Paesi industrializzati il 75% di tutti i carcinomi mammari colpisce donne in postmenopausa e circa l?80% dei casi risulta positivo per il recettore dell?ormone.
Dal punto di vista terapeutico, fino a poco tempo fa il farmaco antiestrogenico Tamoxifene ( Nolvadex ) rappresentava il trattamento di prima scelta per le donne in menopausa con tumore mammario positivo per il recettore dell?ormone, grazie ai suoi effetti di riduzione della recidiva della malattia e sulla mortalit? a 5 anni, in assenza o in presenza di chemioterapia.
Tuttavia, nonostante l?efficacia della terapia a base di Tamoxifene, i tassi di recidiva sono rimasti alti ( circa il 2% per anno a lungo termine ), ed oltre il 30% delle donne va incontro a recidiva entro 15 anni. Il farmaco inoltre causa, in una piccola percentuale di donne, gravi effetti collaterali tra i quali aumento dell?incidenza di tumore dell?endometrio, tromboembolia ed eventi cerebrovascolari.
Queste osservazioni, unite alla rilevanza del problema, hanno portato ad un proliferare di studi clinici con particolare attenzione al confronto tra il Tamoxifene e gli inibitori dell?aromatasi di terza generazione, che sono apparsi offrire significativi vantaggi in termini di efficacia e sicurezza. Oggi, gli inibitori dell?aromatasi sono raccomandati come trattamento adiuvante per le pazienti in postmenopausa con carcinoma mammario di stadio iniziale e positivo per i recettori dell?estrogeno.
Tuttavia, molte le domande sugli inibitori dell?aromatasi non avevano risposta: per quanto tempo perdurano gli effetti positivi o negativi dopo l?interruzione del trattamento ? Qual ? la durata pi? appropriata del trattamento ? Quali sono i benefici del trattamento iniziale con inibitori dell?aromatasi rispetto al trattamento dopo 2 anni con Tamoxifene ?
Lo studio ATAC
Obiettivo dello studio ATAC ( Arimidex, Tamoxifen, Alone or in Combination ) ? stato quello di confrontare l?efficacia e la sicurezza dell?Anastrozolo ( Arimidex ), un inibitore dell?aromatasi, rispetto al Tamoxifene, per 5 anni, come trattamento adiuvante iniziale nei pazienti in postmenopausa con carcinoma mammario positivo per i recettori dell?estrogeno. I dati dello studio clinico hanno evidenziato un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da malattia e del tempo alla recidiva, legato all?uso di Anastrozolo. Il farmaco inoltre ? risultato associato ad una significativa diminuzione degli effetti collaterali gravi in genere conseguenti all?uso del Tamoxifene.
Il periodo di follow-up ? stato di 100 mesi. Questo ? il pi? lungo periodo di osservazione che riguardi studi con inibitori dell?aromatasi.
Da questo studio ? emerso che, con Anastrozolo, i benefici in termini di ricaduta della malattia nelle pazienti positive per i recettori ormonali sono maggiori rispetto a quelli osservati con il Tamoxifene, e sono mantenuti anche dopo il termine del trattamento. La riduzione delle ricaduteche continua nel tempo, rispetto a Tamoxifene, porta a calcolare che le pazienti trattate con Anastrozolo hanno una diminuzione delle ricadute pari al 50% , nel periodo post-trattamento, rispetto alle pazienti non trattate.
I dati relativi alle morti dopo ricaduta hanno mostrato una diminuzione del 9% ( Anastrozolo, n=350; Tamoxifene, n=382 ) e del 10% ( Anastrozolo, n=245; Tamoxifene, n=269 ) nel gruppo totale di pazienti e nel sottogruppo positivo per i recettor i dell?estrogeno, rispettivamente. Queste differenze per? non sono risultate significative a causa del limitato numero di decessi dopo recidiva ed ? dunque necessario un periodo osservazionale pi? lungo per raggiungere l?eventuale significativit?.
Per il 2010 ? previsto un altro step di analisi; per quella data tutte le pazienti avranno raggiunto o superato i 10 anni dalla data della loro iniziale randomizzazione.
Dallo studio non sono emerse differenze significative sulla sopravvivenza totale; questo potrebbe essere dovuto all?eccesso ( non significativo ) di decessi per altre cause senza ricaduta . Tali decessi infatti forniscono il contributo maggiore al calcolo della sopravvivenza totale. L? eccesso di morti per cause diverse dal tumore ? probabilmente casuale ed in particolare non ? stato osservato un incremento di morti per cause cardiovascolari: quest?ultima osservazione costituisce una sorta di rassicurazione rispetto ai dubbi sorti sulla potenziale pericolosit? di altri inibitori dell?aromatasi in termini di aumento dell?incidenza di gravi eventi cardiovascolari.
Il profilo di sicurezza per l?Anastrozolo, stabilito dallo studio ATAC con follow-up a 68 mesi, ? stato confermato anche dopo il prolungamento del periodo di follow-up a 100 mesi.
Mentre l?effetto dell?Anastrozolo e del Tamoxifene sulla percentuale di ricadute da carcinoma mammario si estende oltre il termine del trattamento, l?aumento dell?incidenza delle fratture, osservate con Anastrozolo, sembra essere limitato al periodo di trattamento attivo e non si protrae oltre il suo completamento.
In particolare il numero di eventi avversi gravi, associati al trattamento, si ? mantenuto pi? basso per l?Anastrozolo, rispetto al Tamoxifene, durante tutto il periodo osservazionale e sono risultati simili dopo il termine del trattamento.
E? stata osservata una diminuzione del numero dei tumori dell?endometrio con Anastrozolo. Questo risultato potrebbe essere legato ad un effetto protettivo delle pi? basse concentrazioni di estrogeni o all?aumento dell?incidenza legato al Tamoxifene, o ad entrambe le ragioni.
Il trattamento con Tamoxifene potrebbe anche essere associato ad un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari, che sembrano essere comunque limitati al periodo di trattamento.
E? stata osservata con l?Anastrozolo, rispetto al Tamoxifene, una minore incidenza di vampate di calore, sintomi ginecologici, isterectomie ed eventi venosi tromboembolitici.
In conclusione, lo studio ATAC con un follow-up di 100 mesi, ha fornito ulteriori prove a favore dell?uso per 5 anni dell?Anastrozolo, come trattamento endocrino iniziale per le donne in menopausa con tumore mammario positivo per i recettori dell?estrogeno.
E’ stato dimostrato che, anche se il dosaggio del PSA rimane un importante strumento di monitoraggio, esso non ? efficace nel distinguere i pazienti che svilupperanno tumori prostatici letali da quelli con rischio di progressione della malattia scarso o nullo. Sia il PSA di base che il tasso di variazione del PSA durante i primi due anni di monitoraggio portano con s? informazioni prognostiche, ma comunque, a dispetto dell’estensiva esplorazione di diversi modelli statistici, non ? stato possibile supportare una qualsiasi caratteristica della curva del PSA quale buon elemento classificativo o discriminatorio. Utilizzando il semplice tempo di raddoppiamento del PSA di cinque anni come guida, nel campione esaminato il 36 percento dei tumori letali non verrebbe rilevato ed il 40 percento dei soggetti con tumori indolenti verrebbe trattato inutilmente. Se lo scopo ? individuare le neoplasie letali, il miglior valore soglia per il PSA ai fini del trattamento sarebbe sette ng/ml, ma al prezzo di trattare anche l’80 percento degli uomini con tumori non letali. Molti pazienti con tumori prostatici si sottopongono a trattamenti locali aggressivi senza benefici in termini di sopravivenza, e ci? ha implicazioni problematiche. (J Natl Cancer Inst. 2007; 99: 526-32)
L’aspirina a dosaggio da adulto assunta giornalmente per cinque o pi? anni ? associata ad una riduzione del 15 percento nell’incidenza complessiva dei tumori. Dati epidemiologici indicano che l’uso di aspirina sia associato alla riduzione del rischio di tumori del colon e probabilmente di altri tumori, fra cui quelli della prostata e del seno. L’uso a lungo termine di aspirina a basse dosi, tuttavia, non si ? rivelato in grado di ridurre in modo sostanziale il rischio tumorale. Il potenziale effetto dell’uso giornaliero a lungo termine di dosi maggiori di aspirina sull’incidenza dei tumori era per? rimasto finora incerto. Prima di considerare la riduzione dell’incidenza dei tumori un vero e proprio beneficio attribuibile all’aspirina, comunque, sono necessarie conferme da studi randomizzati di una durata minima di 10 anni. Se tali conferme arriveranno, ci potrebbero essere importanti implicazioni sui dosaggi opportuni e sui soggetti candidati. (J Natl Cancer Inst. 2007; 99: 608-15)