L’estensione extracapsulare dei tumori prostatici identificata dalla RM ? un forte fattore predittivo di recidiva metastatica a seguito di radioterapia ad impulsi esterni. L’estensione extracapsulare non ? soltanto una variabile binaria da valutarsi come presente o assente, ma ? anche quantitativa, e pu? essere misurata in modo obiettivo. In base al presente studio, l’unico fattore predittivo indipendente di diffusione metastatica ? il diametro medio dell’estensione extracapsulare. Questa associazione probabilmente riflette l’aggressivit? del tumore o la durata dell’assenza di terapia, che a loro volta sono associati alla probabilit? di diffusione metastatica microscopica. In alternativa, ? possibile che i tumori che si sono estesi molto al di l? della capsula prostatica non vengano trattati adeguatamente con la radioterapia ad impulsi esterni. I pazienti con un’estensione extracapsulare superiore ai cinque millimetri dovrebbero essere candidati per una terapia pi? aggressiva, come un aumento della dose di radiazioni o una deprivazione androgenica pi? prolungata. (Radiology 2008; 247: 141-7)
Misurare i livelli plasmatici di endoglina, un corecettore del TGF-beta1 e beta3, pu? aiutare il medico a sapere prima dell’intervento chirurgico se un paziente con tumore prostatico localizzato abbia di fatto metastasi linfonodali. Bench? sia riconosciuto che la linfadenectomia pelvica possa fornire importanti informazioni per la stadiazione del tumore e la prognosi, non ? ancora chiaro su chi debba essere effettuata questa procedura. Precedenti studi hanno rilevato elevati livelli di endoglina nei pazienti con tumori mammari e del colon in metastasi, ma finora non era mai stato accertato se essi risultassero elevati anche nei pazienti con tumore prostatico. Sono ora necessari ampi studi multicentrici per verificare questi dati. (Clin Cancer Res 2008; 14: 1418-22)
Il trattamento con statine riduce il rischio di carcinoma a cellule renali. Dati da studi su modelli animali ed esperimenti in vitro suggeriscono che gli inibitori della HMG-CoA riduttasi sono in grado di sopprimere la crescita tumorale, ed inoltre ricerche precedenti hanno indicato benefici protettivi contro i tumori vescicali e prostatici con la terapia statinica. Nel presente studio, il trattamento con una statina ? risultato associato ad una riduzione del 48% del rischio di carcinoma a cellule renali, anche dopo approssimazione per et?, sesso, abitudine al fumo ed obesit?. Sono ora necessari studi randomizzati controllati per verificare questi dati e determinare se le statine possano avere un qualche ruolo nella prevenzione e nel trattamento del carcinoma renale.
Un gruppo di Ricercatori dell?University of California a San Francisco ( UCSF ) ha identificato specifici marker in grado di predire se una donna svilupper? il carcinoma invasivo dopo diagnosi iniziale di una forma non-invasiva di tumore mammario.
Quasi il 12-15% delle donne a cui ? stato diagnosticato il carcinoma duttale in situ ( DCIS ), svilupper? un tumore invasivo entro la prima decade dopo lumpectomia. Tuttavia, a causa dell?assenza di predittori attendibili in grado di identificare quali donne svilupperanno in futuro formazioni tumorali, tutte le donne a cui ? stato diagnosticato un tumore DCIS vengono sottoposte allo stesso trattamento.
I Ricercatori dell?UCSF hanno ipotizzato che le cellule capaci di attivare pathway associati alla morte cellulare indotta dallo stress, potrebbero non andare inonctro a trasformazione tumorale, mentre le cellule che bypassano i segnali di stress potrebbero avere una maggiore probabilit? di progredire a forma tumorale.
Sono state valutate le caratteristiche molecolari e la loro associazione con l?outcome ( esito ) in un gruppo di donne a cui era stata fatta diagnosi di DCIS, ed ? stato osservato che l?epressione dei biomarker, indicativa di una risposta a corto-circuito allo stress cellulare, era in grado di predire un carcinoma duttale in situ con outcome non-favorevole. Al contrario, una prognosi libera da malattia, ? risultata associata ad una risposta intatta allo stress cellulare.
Studi meccanicistici hanno indicato che la deregolazione del pathway del soppressore tumorale Rb ? associata al sottotipo basal-like ad alta proliferazione del tumore mammario, e alla recidiva tumorale.
Un nuovo test per il dosaggio di un biomarcatore urinario pu? rilevare i tumori prostatici pi? accuratamente di altri metodi di screening attualmente disponibili, e la combinazione di biomarcatori pu? migliorare le caratteristiche del test. Il test si ? dimostrato superiore a PSA e PCA3, che ? un antigene specifico per il tumore prostatico e rappresenta un promettente marcatore per la diagnosi precoce di questi tumori. Questi biomarcatori aiutano a distinguere il tumore prostatico da ingrossamenti o infiammazioni relativamente benigni della prostata, che sono estremamente comuni. Bench? il PSA abbia significativamente aumentato il rilevamento del tumore prostatico, esso risulta spesso elevato anche in uomini con patologie benigne, ed ha una scarsa specificit? per i tumori maligni della prostata. In origine si pensava che il test urinario avrebbe affiancato quello del PSA, ma probabilmente invece lo soppianter?. (Cancer Res. 2008; 68: 645-9)
I dati disponibili non sono sufficienti per raccomandare lo screening del tumore prostatico con esame rettale digitale (DRE) o misurazione del PSA. Il tumore prostatico ? la neoplasia pi? frequente negli USA, e la terza causa oncologica di mortalit?: DRE e PSA sono i principali test per il rilevamento delle forme asintomatiche della malattia, ma lo screening ? legato a rischi e benefici che i medici dovrebbero descrivere onde massimizzare il consenso informato. L’efficacia dello screening del tumore prostatico ? discutibile negli anziani con comorbidit? e nei soggetti con una speranza di vita inferiore a 10 anni. Posto che il tumore prostatico ? pi? frequente negli uomini ad alto rischio, che le questioni riguardanti il grado tumorale devono ancora essere risolte e che non vi sono ancora prove a favore dello screening nei soggetti ad alto rischio, sono necessari ulteriori studi per stabilire l’efficacia e l’et? ottimale per lo screening del tumore prostatico nelle popolazioni ad alto rischio. (Am J Prev Med. 2008; 34: 164-70)
Mangiare grandi quantit? di pompelmo, e con un?alta frequenza, pu? aumentare il rischio di tumore alla mammella.
Studi hanno indicato che il pompelmo inibisce il citocromo P450 3A4 ( CYP3A4 ), che ? anche coinvolto nel metabolismo degli estrogeni, aumentando la concentrazione plasmatica dell’estrogeno ed il rischio di tumore alla mammella.
I Ricercatori dell’University of Southern California a Los Angeles hanno condotto uno studio epidemiologico per verificare l’esistenza di un’associazione tra consumo di pompelmo e rischio di tumore alla mammella.
Tra le 50.000 donne in postmenopausa esaminate, 1.657 casi di tumore mammario erano disponibili per l’analisi.
Il 50% circa delle donne che hanno partecipato allo studio ha fatto uso di pompelmo, mentre il 7% ha assunto pi? di un quarto di pompelmo al giorno.
I Ricercatori hanno trovato che le donne che hanno assunto le pi? alte quantit? di pompelmo ( un quarto di pompelmo al giorno ) presentavano un rischio del 30% pi? elevato di sviluppare tumore alla mammella, rispetto alle donne che non ne facevano consumo.
ANSA) – GENOVA, 24 GEN – Combinazioni geniche possono predire se un tumore della vescica andra’ o no incontro alla recidiva dopo l’asportazione per via endoscopica. Uno studio dell’Ist ha individuato una combinazione di 38 geni presenti quasi solamente nei tumori che hanno recidivato dopo breve tempo. I risultati dello studio saranno presentati al Congresso Americano di Urologia e dovranno essere confermati su numeri piu’ grandi di pazienti. Rappresentano tuttavia un progresso nel trattamento di questo tipo di tumori.
Una dieta a basso contenuto in grassi pu? ridurre il rischio di carcinoma ovarico nelle donne sane in postmenopausa, sulla base dei risultati del Women?s Health Initiative ( WHI ) Dietary Modification Trial.
I Ricercatori hanno riscontrato che dopo 4 anni, le donne che hanno ridotto la quantit? di grassi nella dieta presentavano un rischio, ridotto del 40%, di sviluppare carcinoma ovarico, rispetto alle donne che hanno seguito una dieta normale.
I benefici dell?intervento di cambiamento dietetico, richiedono diversi anni prima di diventare evidenti.
Il tumore dell?ovaio colpisce quasi 1 donna su 60 negli Stati Uniti, nel corso della vita, ed ? associato ad alta mortalit?.
Lo studio WHI Dietary Modification ha coinvolto 48.835 donne sane in postmenopausa, che sono state seguite in media per 8,1 anni, con l?obiettivo di verificare se una dieta a basso contenuto di grassi fosse in grado di ridurre il rischio di tumore e di malattia cardiovascolare.
Quasi 20.000 donne nel gruppo d?intervento hanno ricevuto il supporto del counseling con l?obiettivo di ridurre l?assunzione di grassi, pari al 20% delle calorie, e di sostituire le calorie fornite dai grassi con quelle di vegetali, frutta e grano. Il gruppo controllo, costituito da quasi 30.000 donne, ha ricevuto solamente materiale educazionale sulla dieta da seguire.
Le donne in entrambi i gruppi, all?inizio dello studio, assumevano, in media, pi? del 35% delle calorie dai grassi.
Alla fine del primo anno, nel gruppo dieta a basso contenuto di grassi, in media, il 24% delle calorie proveniva dal grasso ( circa l?11% meno rispetto alle donne nel gruppo dieta normale ).
Al termine dello studio, nelle donne nel gruppo dieta a basso contenuto di grassi, il 29% delle calorie, in media, proveniva dal grasso, rispetto al 37% nel gruppo dieta normale.
Le donne nel gruppo dieta a basso contenuto di grassi ha aumentato il consumo dei vegetali, frutta e cereali.
I Ricercatori hanno osservato che le donne, che all?inizio dello studio avevano la pi? alta assunzione di grasso con la dieta e che hanno ridotto l?assunzione nel corso dello studio, presentavano un rischio di tumore dell?ovaio pi? basso. Inoltre, sebbene nessun effetto sia stato riscontrato nell?incidenza di tumore endometriale, i nuovi risultati hanno indicato una piccola riduzione nel rischio generale di tumore tra le donne che hanno assunto meno grassi con la dieta ( dato statisticamente non significativo ).
Lo studio sulla dieta a basso contenuto di grassi, ? uno degli studi clinici randomizzati, di cui si compone il Women?s Health Initiative. Due studi sono stati disegnati per chiarire il ruolo della terapia ormonale ( Estrogeno + Progestinico, Estrogeno da solo ). Entrambi gli studi sono stati interrotti prima della loro naturale conclusione, a causa dell?aumentato rischio di ictus, trombosi, e tumore della mammella. Nei due studi non ? stata riscontrata riduzione del rischio di malattia cardiaca. Un altro studio ha esaminato gli effetti della supplementazione a base di Calcio e di Vitamina D sulle fratture ossee correlate all?osteoporosi, e sul tumore del colon-retto. Lo studio ha trovato che la supplementazione fornisce un modesto beneficio nel preservare la massa ossea e nel prevenire le fratture dell?anca in alcuni gruppi di donne sane in postmenopausa, specialmente nelle donne di et? superiore ai 60 anni, ma non previene altri tipi di fratture o il tumore colorettale.
L’assunzione di statine come farmaco ipocolesterolemizzante da parte di pazienti anziani potrebbe ridurre il loro rischio di sviluppare un tumore. Lo suggerisce uno studio retrospettivo condotto da ricercatori di Boston, appena pubblicato sulla versione online del Journal of the National Cancer Institute. ?Alcuni dati di laboratorio avevano indicato che le statine possono inibire la moltiplicazione delle cellule tumorali?, afferma il coordinatore dello studio Wildon Farwell. ?Eppure, un ruolo preventivo di questi farmaci rispetto ai tumori non ? mai stato descritto con sicurezza, forse perch? le osservazioni in proposito riguardavano soprattutto popolazioni giovani, seguite per un tempo troppo breve?. I ricercatori hanno quindi preso in considerazione l’eventuale associazione tra statine e cancro in un gruppo di pazienti anziani partecipanti al Veterans Affairs New England Healthcare System: alcuni dei soggetti scelti per lo studio utilizzavano farmaci ipertensivi ma non ipocolesterolemizzanti, mentre altri assumevano statine. Ebbene: in questi ultimi l’incidenza di malattie tumorali ? risultata significativamente pi? bassa che tra i pazienti del primo gruppo, con un effetto dose-dipendente. ?Prima di decidere di assegnare alle statine un ruolo preventivo contro il cancro, occorre per? confermare questi risultati con altri studi osservazionali e randomizzati?, avverte Farwell.