E’ stato sviluppato un sistema innovativo che combina le tecniche d’immagine ecografiche per i tumori con il trattamento mirato ecoguidato mediante chemioterapici incapsulati in micelle. Il sistema favorisce l’assunzione intracellulare dei farmaci, e fornisce un metodo di contrasto forte, duraturo e sicuro per l’ecografia: l’effetto contrasto infatti dura per diversi giorni. E’ stato inoltre dimostrato che la terapia ? efficace, ma la sola iniezione di chemioterapico non ? in grado di rallentare la crescita tumorale: soltanto dopo l’applicazione degli ultrasuoni essa ? stata sospesa o invertita. (J Natl Cancer Inst 2007; 99: 1095-106)
I tassi di tumori mammari con linfonodi micrometastatici apparentemente in aumento potrebbero essere dovuti ad un aumento nell’uso della biopsia del linfonodo sentinella. Bench? questi dati indichino che l’incidenza di alcuni tumori mammari allo stadio precoce sia in aumento, si suggerisce che ci? sia dovuto all’incremento dell’uso di questa tecnica chirurgica. La biopsia del linfonodo sentinella riduce gli effetti collaterali, come il gonfiore del braccio associato alla tecnica tradizionale (la biopsia dei linfonodi ascellari) utilizzata per distinguere i pazienti con metastasi linfonodale dagli altri. La diffusione del tumore ai linfonodi ? un importante fattore nella determinazione dello stadio tumorale: prima dell’uso di questa tecnica, poteva sembrare che le pazienti con avessero alcun segno di malattia a questo livello, che invece per alcune significava diagnosi ad uno stadio meno avanzato. L’incremento dell’uso della mammografia in parte spiega l’incremento dell’incidenza del tumore mammario allo stadio precoce, ed allo stesso modo l’incremento del rilevamento del coinvolgimento micrometastatico linfonodale potrebbe essere attribuibile all’aumento dell’uso della biopsia del linfonodo sentinella. (J Natl Cancer Inst 2007; 99: 1044-9)
Ricercatori della Johns Hopkins University a Baltimora negli Stati Uniti, hanno dimostrato che i livelli della proteina EPCA-2 ( Early Prostate Cancer Antigen-2 ) forniscono una pi? accurata diagnosi di tumore della prostata.
I Ricercatori hanno misurato i livelli di EPCA-2 in 330 pazienti, suddividendoli in gruppi in base alla presenza del tumore della prostata e allo stato del PSA ( antigene prostata-specifico ). ? stato osservato che un livello di EPCA-2 di 30 o pi?, indicava un elevato rischio di carcinoma prostatico, mentre gli uomini senza evidenza della malattia tumorale avevano livelli di EPCA-2 inferiori a 30.
Il 97% dei pazienti che non presentava tumore alla prostata ? risultato negativo al test EPCA-2. Il 77% degli uomini con iperplasia prostatica benigna, che ? spesso associata a falsi positivi all?esame del PSA, ha presentato livelli di EPCA-2 inferiori a 30.
Il 90% dei pazienti con malattia tumorale che si ? diffusa al di fuori della prostata, hanno mostrato livelli di EPCA-2 maggiori di 30.
Il test EPCA-2 ha anche permesso di identificare il 78% dei pazienti noti per avere un tumore alla prostata, nonostante i normali livelli di PSA.
Negli uomini con una predisposizione genetica al tumore prostatico, il consumo di una dieta ricca in acidi grassi omega-3 diminuiscono il rischio di malattia. Lo studio dimostra che gli acidi grassi omega-3 riducono la crescita del tumore prostatico ed aumentano la sopravvivenza mentre quelli omega-6 hanno l’effetto opposto. Le prove del fatto che gli acidi grassi omega-3, comunemente presenti in pesce grasso ed oli di pesce, inibiscono la cancerogenesi, ed in particolare quella del tumore prostatico. A livello clinico, il tumore prostatico si diagnostica di solito in uomini di 60 o pi? anni, e le cellule tumorali proliferano lentamente: la dieta e la chemioprevenzione sono dunque di particolare importanza per la gestione del tumore prostatico. Non ? stato comunque ancora determinato se sia possibile ottenere effetti benefici integrando la dieta con acidi grassi omega-3 nei pazienti che hanno gi? sviluppato la malattia. (J Clin Invest online 2007, pubblicato il 21/6)
I supplementi multivitaminici sono impiegati da milioni di cittadini statunitensi perch? ritenuti produrre benefici per la salute, ma la relazione tra l?impiego di multivitaminici ed il tumore della prostata non ? chiaro.
Ricercatori del National Cancer Institute a Bethesda negli Stati Uniti hanno esaminato in modo prospettico, l?associazione tra uso di multivitaminici ed il rischio di carcinoma prostatico ( localizzato, avanzato e fatale ).
Sono stati esaminati 295.344 uomini, partecipanti allo studio NIH-AARP Diet and Health Study, che al momento dell?arruolamento non erano affetti da tumore negli anni 1995 e 1996.
Nel corso del periodo osservazionale di 5 anni, la diagnosi di tumore della prostata ha interessato 10.241 uomini, di cui: 8.765 tumori localizzati e 1.467 tumori avanzati.
All?analisi di mortalit? dopo 6 anni di follow-up, ci sono stati 179 casi di tumore della prostata ad esito fatale.
E? stato valutato l?impiego dei multivitaminici.
Nessuna associazione ? stata osservata tra l?impiego dei multivitaminici ed il rischio di carcinoma prostatico localizzato. Tuttavia, i Ricercatori hanno trovato un aumentato rischio di tumori prostatici avanzati e fatali ( RR = 1,32 e RR = 1,98, rispettivamente ) tra gli uomini che hanno riferito di un uso eccessivo di multivitaminici ( pi? di 7 volte alla settimana ) rispetto ai non utilizzatori.
L?incidenza per 100.000 persone-anno per il tumore della prostata avanzato e fatale per coloro che assumevano un multivitaminico pi? di 7 volte alla settimana ? stata di 143,8 e 18,9, rispettivamente, rispetto a 113,4 e 11,4 nei non utilizzatori.
Le associazioni con eccessivo uso dei multivitaminici erano pi? forti negli uomini con una storia familiare di tumore prostatico o che stavano prendendo supplementi a base di micronutrienti come Selenio, beta-Carotene, o Zinco.
I risultati dello studio stanno ad indicare che l?impiego regolare dei multivitaminici assieme ad altri supplementi e l?aumentato rischio di carcinoma prostatico deve essere ulteriormente valutato, ma ? tema di preoccupazione. Lawson KA et al, J Natl Cancer Inst 2007; 99: 754-764
A seguito di un intervento chirurgico conservativo, un ciclo breve di quattro settimane di radioterapia in luogo di uno tradizionale pi? lungo di sei settimane risulta pratico nelle pazienti con tumore mammario in fase precoce. Il presente studio dimostra ulteriormente che l’ipofrazionamento, o la somministrazione di un ciclo di radiazioni con un numero di somministrazioni inferiore, pu? essere praticato in sicurezza senza incrementare gli effetti collaterali acuti. Questa strategia ? pi? conveniente per le donne, e pu? aumentare il numero di pazienti che scelgono la radioterapia quale alternativa per il trattamento del tumore mammario in luogo di altre opzioni. In futuro tale tecnica verr? sviluppata ulteriormente, e verr? investigata la categoria di donne che beneficerebbero maggiormente di questa tecnica. (In J Radiation Biol Phys 2007; 68: 347-53)
LONDRA – Scoperti quattro nuovi geni che predispongono a contrarre tumore al seno. A identificarli sono stati scienziati del Cancer Research Uk, di cambridge, che hanno coordinato un team di ricerca internazionale. I risultati del loro studio sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista scientifica Nature. I ricercatori hanno analizzato il DNA di circa 50 mila donne, la met? delle quali colpita da tumore al seno e l’altra met? sane. I quattro geni che aumentano il rischio di tumore mammario, se ?mutati?, quindi se portatori di cambiamenti rispetto al loro assetto normale, sono: FGFR2, TNRC9, MAP3K1 e LSP1. RISCHIO – I primi due sono ritenuti capaci di aumentare del 20% il rischio di tumore al seno nelle donne che ne portano una sola copia (i geni sono sempre in due copie) mutata, e tra il 40 e il 60% per quelle che hanno entrambe le copie mutate. Gli altri due geni aumenterebbero il rischio del 10% in caso di mutazione in una sola copia Gli scienziati finora conoscevano altri geni responsabili del cancro al seno: i test diagnostici per BRCA1 e BRCA2. I geni appena scoperti sono pi? comuni di questi , ma meno pericolosi. TEST FUTURO – Ora l’obiettivo degli studiosi ? scoprire altri geni associati al tumore al seno per mettere a punto un test unico, capace con un solo esame del sangue, di scandagliare il genoma di ciascuna donna per verificare il, suo eventuale livello di rischio e indirizzare quindi la frequenza delle indagini cui sottoporle per arrivare a una diagnosi precoce tempestiva e a stili di vita adeguati per la prevenzione.Si stima infatti che la predisposizione genetica ?pesi? tra il 5 e il 10 per cento nei casi di cancro mammario; ma la predisposizione ? aggravata in misura molto significativa da stili di vita erronei, come il fumo, da condizioni come l’obesit?, dall’assenza di gravidanze e di allattamento al seno.
PROGRESSO SIGNIFICATIVO – Si tratta di un progresso ?estremamente significativo? secondo Douglas Easton, direttore dell’unit? di epidemiologia genetica di Cambridge, legata all’organizzazione Cancer Research Uk. ?Ora che conosciamo l’efficacia di questo metodo d’indagine, crediamo che si potranno trovare molto altri geni del cancro mammario?. Non solo: ?Questi metodi sono gi? applicati dal Cancer Research Uk per scoprire i geni che propiziano altri tipi di cancro, compresi quelli alla prostata, all’intestino e al polmone?.
L’aspirina pu? prevenire i tumori colorettali: con un dosaggio minimo di 300 mg/die per circa cinque anni essa infatti riduce la susseguente incidenza dei tumori colorettali del 37 percento in assoluto, ed del 74 percento prendendo in considerazione il periodo compreso fra 10 e 15 anni dopo la fine del trattamento. Questi dati comunque, anche se rafforzati dai precedenti, non sono sufficienti a raccomandare alla popolazione generale l’uso dell’aspirina per la prevenzione dei tumori colorettali: l’aspirina pu? avere effetti collaterali a lungo termine, ed inoltre esistono anche altre strategie preventive, come lo screening. Eventualmente, questa strategia potrebbe essere riservata ai soggetti ad alto rischio, come quelli con parenti con tumori colorettali, oppure quelli con malattie vascolari. Negli USA comunque lo screening dei tumori colorettali ? molto diffuso, ma altrove la possibilit? di utilizzare l’aspirina per la prevenzione di questi tumori potrebbe essere vista diversamente. (Lancet. 2007; 369: 1577-8 e 1603-13)
L’incremento del BMI ? significativamente associato all’intervallo prima del fallimento in termini di PSA a seguito di radioterapia e soppressione androgenica per i tumori prostatici localizzati. Negli uomini con tumore prostatico trattati con radiazioni e terapia ormonale, un incremento nel peso corporeo appare infatti associato ad un maggior rischio di recidive. Tale fenomeno era gi? stato riscontrato precedentemente a seguito di prostatectomia radicale. Attualmente non ? noto se la perdita di peso possa diminuire il rischio di recidive in questi pazienti, e la cosa ? oggetto di indagini tutt’ora in corso. (Cancer 2007; 109: 1493-6)
Un’elevata espressione di VEGF ? correlata ad un aumento dell’angiogenesi ed alla diminuzione della sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con tumori neuroendocrini gastrointestinali di basso grado. Questi tumori presentano un grado molto variabile di aggressivit?, ed il possibile ruolo dell’espressione del VEGF nello sviluppo e nella progressione di questi tumori ? rimasto finora poco chiaro. I risultati del presente studio suggeriscono che la sovraespressione del VEGF promuova la crescita dei tumori neuroendocrini umani , in parte tramite la stimolazione dell’angiogenesi. (Cancer 2007; 109: 1478-86)