A seguito di un intervento chirurgico conservativo, le donne con tumore mammario tendono ad andare incontro ad esiti migliori se sottoposte a chemioterapia e radioterapia contemporaneamente piuttosto che sequenzialmente. Il trattamento congiunto porta infatti ad un miglioramento della sopravvivenza libera da recidive locoregionali a cinque anni. Il rischio di tossicit? a lungo termine associato a questa strategia ? per? ancora ignoto, ed alcuni farmaci comportano anche il rischio di leucemia secondaria. E’ dunque necessario un monitoraggio dei cambiamenti recentemente introdotti nel trattamento del tumore mammario in stadio precoce. (J Clin Oncol 2007; 25: 405-10)
L’American Cancer Society stima che ogni anno negli Stati Uniti venga formulata la diagnosi di cancro della mammella in 212.920 donne. Lo screening mammografico nella maggior parte di questi casi rappresenta la via migliore per l’individuazione di un tumore in fase iniziale e facilmente curabile, anche se nelle pazienti ad alto rischio con seno denso le lesioni sono pi? facilmente individuabili mediante la Risonanza Magnetica (RM) o l’Esame Ecografico (US). Strumenti che permettono di ovviare, in questi casi, alla perdita di sensibilit? diagnostica della mammografia, ma con il limite di non distinguere in modo efficace le lesioni benigne da quelle maligne. Nella pratica clinica il risultato finale delle procedure diagnostiche delle lesioni mammarie si concretizza nell’esecuzione di un alto numero di biopsie e ci? avviene prevalentemente (80% dei casi) su lesioni benigne.
Una nuova tecnica ad ultrasuoni, che rappresenta l’evoluzione del routinario esame ecografico, potrebbe essere utile nel discriminare le lesioni benigne della mammella da quelle maligne e ridurre il numero di biopsie invasive. Questa procedura, denominata elasticity imaging, misura il grado di compressione dei tessuti in risposta alla pressione e poich? i tumori tendono ad avere una struttura tessutale pi? consistente e un grado di elasticit? differente rispetto alle lesioni benigne, il test potrebbe rappresentare un metodo sicuro e non invasivo per individuare le proliferazioni neoplastiche maligne della mammella.
Nel recente meeting annuale della Radiological Society of North America di Chicago i ricercatori del Northeastern Ohio Universities College of Medicine di Youngstown hanno presentato dei risultati preliminari, ripresi anche da Nature, sui test diagnostici di elasticity imaging correlata con esame ad US convenzionale effettuati su 166 lesioni della mammella identificate e classificate con procedura bioptica in 99 pazienti. Le dimensioni, misurate e confrontate con le due tecniche, hanno evidenziato che le lesioni benigne erano pi? piccole all’elasticity imagingrispetto all’esame US, mentre l’elasticity imaging caratterizzava con un immagine pi? grande le lesioni maligne. Le biopsie ecoguidate su 123 lesioni di 80 soggetti hanno mostrato che l’ elasticity imaging aveva correttamente evidenziato 17/17 lesioni maligne e 105/106 lesioni maligne con una sensibilit? del 100% e una specificit? del 99%.
I risultati ottenuti sulla mammella fanno presupporre che l’elasticity imaging possa avere future possibilit? di impiego anche in altri organi come il fegato, ma questo presuppone una ridefinizione completa del software finora utilizzato. Nell’immediato lo studio ha permesso l’avvio di un trial multicentrico internazionale che a partire dal gennaio 2007 avr? l’obiettivo di valutare la validit? di questa metodica. In conclusione, l’elasticity imaging, se terr? fede al le premesse, potrebbe essere una metodica non invasiva ed altamente specifica per l’identificazione di lesioni neoplastiche della mammella in grado di evitare alle donne pi? della met? delle biopsie che oggi vengono eseguite su lesioni benigne.
Nei portatori cronici di Hbv, alcuni polimorfismi del recettore per gli estrogeni sono associati all’aumento del rischio di carcinoma epatocellulare. Sia nei modelli animali che in quelli umani, la sovraespressione dei recettori per gli estrogeni ? implicata nello sviluppo del tumore epatico. In base ai risultati dello studio, i soggetti geneticamente predisposti a produrre un maggior livello di mRNA del recettore 1 per gli estrogeni sono maggiormente predisposti al carcinoma epatocellulare. Non ? stato per? possibile per il momento stabilire se vi fossero alcuni loci particolari responsabili dell’associazione.
La polemica su trattamento ormonale della menopausa e maggiore incidenza del tumore del seno ha portato in prima piano, in modo pi? netto, il ruolo potenzialmente deleterio dei progestativi associati agli estrogeni minando un concetto comunemente accettato che il progesterone ed i progestativi proteggerebbero dal tumore al seno.
Nelle donne che hanno un gene di sensibilit? al tumore del seno, come il gene BRCA1, esiste un rischio accresciuto di tumore del seno e dell?ovaio.
Questo gene interagisce con il recettore degli estrogeni (RE) e quello del progesterone (RP) direttamente e modula un certo numero d?attivit? transcrizionali del RE e del RP ed anche di funzioni non genomiche del RE. BRCA1 ? un gene suppressore del tumore e questa attivit? di suppressione del tumore ? modificata, diminuita in caso di mutazione.
Un?equipe californiana ha dunque voluto approfondire le relazioni tra il recettore del progesterone e gli effetti del gene BRCA1.
A questo scopo hanno creato un modello di topo deprivato di BRCA1 e di p53 (un altro gene soppressore di tumore che muta frequentemente nel cancro del seno).
Quando questi topi sono nullipari, le loro ghiandole mammarie hanno un aumento di proliferazione cellulare (comparabile a quella delle femmine gravide che sono invase da progesterone): le branchie laterali dei canali si accumulano e si sviluppa un?alveologenesi importante.
In questi topi, nelle cellule epiteliali mammarie, i recettori del progesterone a differenza di quelli degli estrogeni sono sovraespressi per via di un difetto nella loro degradazione per opera del proteasoma. Il trattamento di questi topi BRCA1/p53- con l?antagonista del progesterone, il RU486 o mifepristone quando asomministrato precocemente, impedisce questa tumorigenesi mammaria.
siste quindi una relazione stretta tra BRCA1 e recettore del progesterone che lascia pensare che in certe situazioni, in particolare in caso di mutazioni di BRCA1, un trattamento con un anti-progesterone potrebbe essere utile nella prevenzione del cancro del seno.
I dati presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium hanno indicato, in modo definitivo, che la terapia di sostituzione ormonale aumenta il rischio di tumore alla mammella.
Uno studio, compiuto da Ricercatori del Northern California Cancer Center e del Kaiser Permanente, ha mostrato una caduta nel numero del carcinoma mammario in coincidenza della riduzione dell?impiego della terapia di sostituzione ormonale ( HRT ) nelle donne in postmenopausa.
La terapia di sostituzione ormonale ? attualmente raccomandata alla pi? piccola dose possibile per il pi? breve tempo possibile, ed il trattamento non deve essere superiore ai 5 anni.
La terapia di sostituzione ormonale oltre ad aumentare il rischio di tumore mammario aumenta anche il rischio di ictus, di embolia polmonare e di demenza.
Fonte: 29th Annual San Antonio Breast Cancer Symposium, 2006
Un elevato apporto di metionina ? apparentemente associato ad una riduzione del rischio di tumore pancreatico. I danni del metabolismo del gruppo metilico pu? contribuire alle malattie pancreatiche ed alla cancerogenesi, il che suggerisce che i donatori di gruppo metilico come la metionina possano influenzare il rischio di tumore pancreatico. I cibi ricchi di metionina comprendono pesce, pollame, carne, legumi e latticini. Questi dati possono essere molto importanti in quanto il tumore pancreatico presenta un tasso di mortalit? molto elevato. Esiste comunque la possibilit? che i risultati dello studio possano essere minati da fattori interferenti, dietetici o non, e pertanto prima di poter effettuare raccomandazioni cliniche sono necessari altri dati su efficacia e sicurezza. (Gastroenterology 2007; 132: 113-8 e 441-3)
Un approccio genomico per la valutazione dei tumori pu? permettere il trattamento individualizzato delle donne con tumori ovarici allo stadio avanzato. L’eterogeneit? clinica dei tumori ovarici contribuisce alla risposta variabile alla chemioterapia, e non vi sono marcatori genici in grado di predire in modo affidabile la risposta alla terapia e gli esiti. Un approccio basato sui profili di espressione genica che predicono insieme ai dati fenotipici che identificano la deregolazione delle cascate oncogene pu? stratificare i pazienti verso i trattamenti pi? appropriati, il che rappresenta un passo importante verso il trattamento antitumorale personalizzato. Uno dei benefici principali di questo approccio consiste nella capacit? di dirigere la formulazione delle combinazioni terapeutiche sulla base delle informazioni che dettagliano lo stato di attivit? delle suddette cascate. (J Clin Oncol 2007; 25: 517-25)
Le patologie mieloproliferative, fra cui policitemia vera e trombocitemia, hanno un considerevole impatto negativo sulla qualit? della vita: la presente indagine internazionale su un ampio numero di pazienti dimostra che sussistono affaticamento e sintomi correlati alla malattia in misura notevole in tutte le fasi della malattia stessa. Purtroppo gli interventi medici attualmente disponibili per queste patologie hanno uno scarso impatto sul benessere del paziente. Sono attualmente in fase di studio nuove strategie per migliorare la qualit? della vita di questi pazienti, fra cui terapie mirate come gli inibitori della mutazione JAK2, e vie complementari quali l’implementazione di dieta ed esercizio fisico. (Cancer 2007; 109: 68-76)
Le patologie mieloproliferative, fra cui policitemia vera e trombocitemia, hanno un considerevole impatto negativo sulla qualit? della vita: la presente indagine internazionale su un ampio numero di pazienti dimostra che sussistono affaticamento e sintomi correlati alla malattia in misura notevole in tutte le fasi della malattia stessa. Purtroppo gli interventi medici attualmente disponibili per queste patologie hanno uno scarso impatto sul benessere del paziente. Sono attualmente in fase di studio nuove strategie per migliorare la qualit? della vita di questi pazienti, fra cui terapie mirate come gli inibitori della mutazione JAK2, e vie complementari quali l’implementazione di dieta ed esercizio fisico. (Cancer 2007; 109: 68-76)
Gli uomini obesi hanno maggiori probabilit? di essere sottoposti a screening per i tumori prostatici rispetto a quelli di peso normale. L’obesit? ? associata a malattia pi? avanzata ed esiti peggiori negli uomini con tumore prostatico, ma finora la correlazione fra obesit? e screening in uomini dai 40 anni in su era sconosciuta. I maggiori tassi di screening negli uomini obesi suggeriscono che le disparit? negli esiti del tumore prostatico in questi ultimi non derivano da differenze nel comportamento relativo allo screening, ma potrebbero essere correlate a differenze nella biologia tumorale, nelle caratteristiche della performance del test del PSA o a tassi differenti di biopsia prostatica a seguito di un reperto di PSA elevato, ma per dimostrare ci? sono necessari ulteriori studi. (J Urol 2007; 177: 493-8)