Tumore prostatico di alto grado: a volte efficace prostatectomia radicale

30 Nov 2006 Oncologia

Gli uomini con valori di PSA pi? bassi e meno biopsie positive hanno le maggiori probabilit? di trarre beneficio dalla prostatectomia radicale per i tumori prostatici di alto grado. Il presente studio dunque supporta il filone di pensiero secondo cui ? possibile identificare fra questi pazienti coloro che possono essere curati con la sola terapia locale. La possibilit? di identificare coloro che hanno maggiori probabilit? di avere una malattia confinata all’organo o minimamente invasiva sulla base di fattori prognostici preterapeutici permette la selezione di pazienti che possono essere sottoposti ad una soppressione androgenica limitata nel tempo o nulla senza alcun impatto sugli esiti del trattamento. (Urology 2006; 68: 367-70)

 508 total views

Tumore prostatico metastatico: PSA dopo il trattamento predice sopravvivenza

21 Nov 2006 Oncologia

Il livello assoluto di PSA dopo la deprivazione androgenica predice la sopravvivenza nei pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di tumore prostatico metastatico. Bench? la deprivazione androgenica sia la terapia standard in questi pazienti, non vi sono fattori chiari che predicano gli esiti per loro. Il presente studio ha dimostrato che un PSA pari ad un massimo di 4 ng/ml al termine di una terapia della durata di sette mesi ? il pi? potente fattore predittivo del rischio di morte nei pazienti con tumore prostatico D2. Gli autori hanno sottolineato l’eterogeneit? della biologia di questa malattia, e la necessit? di comprendere i fattori determinanti di questa eterogeneit?. I pazienti che non rispondono alla deprivazione androgenica presentano una malattia precocemente indipendente dagli androgeni, ed ? necessario testare chemioterapie o altre innovative terapie sistemiche in questo ambito. (J Clin Oncol 2006; 24: 3984-90)

 509 total views

Quando le cicatrici si formano proprio “l

6 Nov 2006 Oncologia
La malattia di La Peyronie pu? compromettere la vita sessuale del maschio. Diagnosi e cure

di Giuseppe La Pera

La malattia deve il suo nome a Fran?ois Gigot de La Peyronie chirurgo francese alla Corte del Re Sole che la descrisse nel 1643.

Che cosa ??

Per la Peyronie o “Induratio Penis Plastica” s’intende una malattia nella quale si formano dei noduli dentro il pene che determinano dolore all’erezione e deviazione dell’asse. In altre parole il pene durante l’erezione ? storto (anche di 60-90 gradi: penetrazione scomoda e in alcuni casi impossibile). Non ? una malattia infettiva a trasmissione sessuale ma la conseguenza della formazione di una cicatrice sulla guaina che avvolge i corpi cavernosi al di sotto della pelle. Il pene non potendo distendersi in tutta la sua lunghezza si accorcia ed in alcuni casi il processo infiammatorio ingloba le arterie dell’erezione con conseguente impotenza.

Chi colpisce?

La malattia ? apparentemente rara perch? esiste ancora un certa ritrosia da parte degli uomini a farsi visitare e a riferire tempestivamente al proprio medico. In uno studio che ho condotto con l’Istituto Superiore di Sanit? in tutta Italia la prevalenza di questa malattia nella fascia di et? compresa tra i 50 ed i 69 anni ? del 7%. Prima dei 40 anni ? molto rara e prima di questa et? va differenziata dalla deviazione congenita che colpisce i giovani maschi per un asimmetrico sviluppo del pene e non per un processo infiammatorio.

A cosa ? dovuta?

Si sa solo che tutto parte da un processo infiammatorio che determina una cicatrice. In individui predisposti si presuppone un ruolo dei ripetuti microtraumatismi del pene durante il coito. Possibile anche una genesi autoimmunitaria forse legata a particolari assetti cromosomici. In realt? i meccanismi che presiedono la genesi della malattia di La Peyronie non sono ancora del tutto chiari. Recentemente in una ricerca che ho eseguito in tutta Italia, ho messo in evidenzia che la malattia ? pi? frequente tra i fumatori con un rischio ben 5 volte superiore alla popolazione generale.

Cosa fare?

Andare dall’Andrologo. E’ molto importante perch? lo scopo della terapia medica ? di ridurre il pi? possibile la formazione della cicatrice e questo si pu? fare solo nei primi 3, massimo 6 mesi. Una volta che la cicatrice si ? formata ? molto difficile se non impossibile contrastarne gli effetti.

Gli strumenti diagnostici

Di solito vengono chieste al paziente delle fotografie del pene in erezione per dare modo al medico di accertare l’effettivo grado di incurvamento. Le tecniche che permettono invece di studiare meglio la lesione sono l’ecografia del pene in erezione dopo una puntura a base di prostaglandina, farmaco vasodilatatore che determina un’erezione.

1 – Terapia medica

Va effettuata entro 3-6 mesi dall’inizio della sintomatologia dolorosa o della comparsa dei noduli. Non vi sono in commercio prodotti sicuramente efficaci: le cure mediche si basano solo su prove empiriche.

Nell’armamentario degli andrologi ci sono la vitamina E, gli antinfiammatori e un farmaco non in commercio in Italia ma molto usato in Germania, che si chiama Potaba. L’efficacia di queste terapie ? molto incerta. Vi ? anche una modalit? di somministrazione dei farmaci attraverso la ionoforesi, che consente di concentrare in un unico punto una quantit? di farmaco maggiore: sembrerebbe avere una qualche efficacia, almeno sul dolore e sulla consistenza del nodulo. La modalit? ? quella che usano gli sportivi quando si fanno male o chi ha patologie osteoarticolari. Si utilizzano delle placche attraverso le quali passa una corrente a bassa intensit? che consente al farmaco di essere veicolato solo in quel punto. La somministrare dei farmaci attraverso una puntura diretta sul pene, una volta assai diffusa, ? oggi tendenzialmente abbandonata perch? la puntura, oltre a provocare dolore, pu? determinare la formazione di una nuova cicatrice.

2 – Terapia fisica

Si basa sul laser. Anche questo, se effettuato nei primi mesi dall’insorgenza, pu? avere una certa efficacia. Si stanno sperimentando le onde d’urto, ma oltre ad essere ancora una terapia sperimentale, i pazienti che, negli Usa l’hanno sperimentata, ne hanno avuto scarso beneficio.

3 – Terapia chirurgica

Si potrebbe essere tentati di storcere il naso ma va ricordato che si tratta di persone che hanno una grave invalidit? e che molto spesso non hanno, a causa di questa malattia, rapporti sessuali. La terapia chirurgica ? perci? la sola chance per tornare ad avere rapporti sessuali soddisfacenti ed una relazione di coppia. Anche per le terapie chirurgiche vi sono molte tecniche e a scopo esemplificativo se ne riportano tre tipi che vanno scelti in base al singolo paziente, in quanto ogni tecnica ha i suoi vantaggi e svantaggi e non esiste un intervento ideale.

Il primo intervento si chiama intervento di Nesbit. Sebbene esistano numerose varianti, la tecnica consiste nel correggere la curvatura facendo una sutura dalla parte opposta alla deviazione. E’ una tecnica abbastanza semplice ma pu? comportare in alcuni casi un accorciamento del pene che non sempre ? tollerabile. Il vantaggio sta nella semplicit? e nel fatto che i rischi di impotenza sono molto molto bassi.

La chirurgia della placca ? l’intervento che d? un migliore effetto cosmetico e consente di recuperare la lunghezza del pene ma ha il rischio di provocare l’impotenza, evento che tutti vorrebbero scongiurare. Tanto che oggi si pratica la contemporanea apposizione di due tubicini di silicone soffice per sostenere meglio il pene durante l’erezione.

Infine la terza possibilit? ? quella di impiantare una protesi del pene ma questo intervento in genere viene riservato ai casi in cui, oltre alla deviazione, ? presente anche una impotenza.

Stile di vita

Si consiglia l’abolizione del fumo perch? implicato con i radicali liberi nella formazione della cicatrice. L’alimentazione deve prevedere prodotti che contengono vitamine E. Ad esempio i pomodori.

 4,410 total views,  1 views today

Carcinoma prostatico: la terapia ormonale pu? aumentare l?incidenza di diabete e

4 Nov 2006 Oncologia

Uno studio di Ricercatori dell?Harvard Medical School di Boston ha trovato che il trattamento ormonale aumenta il rischio di diabete e di malattia cardiaca senza migliorare la sopravvivenza negli uomini a cui ? stato diagnosticato carcinoma prostatico.

La terapia del tumore della prostata consiste nel bloccare la produzione di testosterone mediante orchiectomia bilaterale oppure mediante iniezioni di agonisti dell?ormone rilasciante la gonadotropina ( GnRH ).

I farmaci che sopprimono il testosterone, riducono la massa ossea e sono associati ad un aumentato rischio di fratture.
Inoltre, i soggetti trattati con questi farmaci vanno incontro ad obesit? addominale, perdita della massa muscolare e sviluppano resistenza all?insulina.

Lo studio ha riguardato 73.196 uomini di et? uguale o superiore ai 66 anni, ai quali era stato diagnosticato un tumore della prostata tra il 1992 ed il 1999.

I Ricercatori hanno trovato che gli uomini trattati con un agonista GnRH hanno presentato un aumentato rischio di diabete, un aumento del 16% del rischio di malattia coronarica, un rischio aumentato dell?11% di infarto miocardico e un aumento del 16% del rischio di morte cardiaca improvvisa.

Gli uomini sottoposti ad orchiectomia hanno invece presentato un aumento del rischio del 34% di sviluppare diabete, senza alcun effetto sull?incidenza di malattia coronarica, infarto miocardico o morte cardiaca improvvisa.

Fonte: Journal of Clinical Oncology, 2006

 449 total views

Melanoma maligno: ruolo prognostico della survivina

26 Ott 2006 Oncologia
Elevati livelli di survivina in pazienti con melanoma metastatico che hanno ricevuto un vaccino antitumorale polivalente sono associati ad una riduzione della sopravvivenza. Allo stesso modo, una ridotta espressione di tale proteina ? correlata ad un significativo aumento della sopravvivenza stessa. La survivina e la livina sono due membri della famiglia proteica degli inibitori dell’apoptosi, e possono facilitare la progressione aggressiva del tumore e la resistenza alla terapia. Ulteriori studi potrebbero confermare il ruolo di questa proteina inibitrice dell’apoptosi quale potenziale marcatore molecolare surrogato di progressione metastatica dei melanomi.

 730 total views

Tumore pancreatico: livelli adeguati vitamina D diminuiscono il rischio

23 Ott 2006 Oncologia
L’apporto giornaliero di vitamina D ? inversamente associato al rischio di tumore pancreatico. Vi sono prove del fatto che la vitamina D possa influenzare il rischio di tumore pancreatico: studi precedenti avevano suggerito che il recettore per il calcitriolo viene espresso nelle linee cellulari tumorali pancreatiche, mentre il calcitriolo ed i suoi analoghi inibiscono la proliferazione delle cellule tumorali pancreatiche, inducono la differenziazione e promuovono l’apoptosi. Di concerto con la dimostrazione in laboratorio degli effetti antitumorali della vitamina D, i risultati del presente studio indicano un potenziale ruolo per la vitamina D ed i suoi derivati nella prevenzione e nella patogenesi del tumore pancreatico.

 430 total views

Il succo di melograno sembra rallentare la progressione del tumore della prostat

19 Ott 2006 Oncologia

I fitochimici che si trovano nelle piante possono fornire benefici nella prevenzione del tumore soprattutto attraverso le loro propriet? antiossidanti.

Ricercatori della University of California ? Los Angeles ( UCLA ) hanno valutato l?effetto del succo di melograno sulla progressione del tumore della prostata, definita dai valori di PSA ( Antigene Prostata-Specifico ), dopo terapia primaria ( chirurgia o radioterapia ).

I pazienti eleggibili presentavano livelli di PSA > 0.2 e < 5 ng/ml e punteggi Gleason minori o uguali a 7.
I pazienti hanno assunto un bicchiere di succo di melograno al giorno fino a progressione della malattia.

Non sono stati osservati gravi eventi avversi ed il trattamento ? risultato ben tollerato.

Il tempo medio di raddoppiamento dei valori di PSA ? aumentato in modo significativo con il trattamento, passando da una media di 15 mesi al basale a 54 mesi dopo trattamento ( p < 0.001 ). Test in vitro, che hanno confrontato i sieri dei pazienti prima del trattamento e dopo, hanno mostrato che la crescita di cellule LNCaP si ? ridotta del 12% e l?apoptosi ? aumentata del 17%; inoltre, ? stato osservato un aumento del 23% nell?ossido nitrico sierico, e riduzione significativa dello stato ossidativo. Il succo di melograno ha dimostrato di essere in grado di prolungare in modo significativo il tempo di raddoppiamento dei valori di PSA. Pantuck AJ et al, Clin Cancer Res 2006; 12: 4018-4026

 585 total views

Effetto protettivo dell?esercizio fisico e della dieta nei confronti del tumore

17 Ott 2006 Oncologia

L?esercizio fisico volontario ed una dieta ristretta sono in grado di ridurre il numero e la dimensione dei polipi pre-cancerosi nell?intestino di ratti maschi, migliorando la sopravvivenza.

Lo studio ? stato condotto da Ricercatori della University of Wisconsin?Madison, i quali hanno impiegato topi predisposti a sviluppare polipi intestinali ( mutazione del gene APC ).

I risultati di questo studio potrebbero avere rilevanza anche per gli esseri umani.
Infatti , le mutazioni nel gene APC negli uomini sono responsabili della poliposi adenomatosa familiare ( FAP ).
Questa condizione interessa 10.000-15.000 persone nel mondo e nel 95% di questi pazienti si sviluppano polipi nel colon che possono progredire a tumore, generalmente prima dei 40 anni.

Alcuni topi di 7 settimane sono stati assegnati a svolgere esercizio fisico volontario oppure nessun esercizio, per 10 settimane.

Nel corso dello studio, il gruppo non sottoposto ad esercizio fisico ? stato ipernutrito, mentre nei topi che svolgevano esercizio fisico il cibo ? stato limitato a partire dalla quarta settimana.

Alla fine della 10.a settimana, 6 dei 23 topi del gruppo nessun-esercizio fisico sono morti a causa della crescita di polipi e per la risultante anemia; mentre tutti e 24 i topi che hanno compiuto esercizio fisico erano ancora in vita.

E? stato anche osservato che i topi che hanno compiuto esercizio fisico presentavano alti livelli di IGF-1 ( insulin-like growth factor-1 ) e corticosterone.

Lo studio ? stato pubblicato su Carcinogenesis.

Fonte: University of Wisconsin?Madison, 2006

 447 total views

L?uso delle statine non sembra essere associato all?incidenza di tumore mammario

16 Ott 2006 Oncologia

Nonostante osservazioni sperimentali secondo le quali le statine, note anche come inibitori dell?HMGCoA riduttasi, avrebbero attivit? antitumorali, gli studi clinici hanno raggiunto conclusioni discordanti riguardo alla relazione tra impiego di statine e rischio di tumore alla mammella.

Uno studio coordinato da Ricercatori della Pittsburgh University ha esaminato l?esistenza di questa associazione su 156.351 donne in postmenopausa, arruolate nel Women?s Health Initiative.

Durante un periodo di follow-up di 6.7 anni si sono presentati 4.383 casi di tumore mammario invasivo.

Le statine erano usate dal 75% ( n = 11.710 ) delle donne della coorte.

L?incidenza di carcinoma mammario ? stata di 4.05 per 1000 persone-anno tra coloro che hanno fatto uso di statine e 4.28 per 1000 persone-anno tra le non utilizzatrici.

Nei modelli multivariati, l?hazard ratio ( HR ) di tumore alla mammella tra gli utilizzatori di statine rispetto ai non utilizzatori ? stato 0.91 ( p = 0.21 ).

Non ? stato osservato alcun trend di rischio riguardo alla durata dell?uso delle statine, con HR = 0.80 per un impiego inferiore ad 1 anno, HR = 0.99 per un impiego compreso tra 1 anno e meno di 3 anni, HR = 0.94 per un impiego pari o superiore a 3 anni.

Le statine idrofobiche ( Simvastatina, Lovastatina e Fluvastatina ) sono state impiegate da 8.106 donne, e il loro uso ? risultato associato ad un?incidenza di tumore mammario inferiore al 18% ( HR = 0.82; p = 0.02 ).
Mentre l?uso di altre statine ( Pravastatina e Atorvastatina ) o di farmaci ipolipemizzanti diversi dalle statine non era associata all?incidenza di tumore mammario.

Gli Autori hanno concluso che l?uso di statine non era associato all?incidenza di tumore mammario invasivo.
Secondo questo studio, le statine idrofobiche potrebbero essere associate ad una pi? bassa incidenza di tumore alla mammella.

Cauley JA et al, J Nat Cancer Inst 2006; 98: 700-707

 375 total views

Spondilite anchilosante non aumenta rischio linfoma

11 Ott 2006 Oncologia
Il rischio di linfoma maligno non risulta aumentato nei pazienti ricoverati con spondilite anchilosante. Diversamente da quanto accade nell’artrite reumatoide, il rilevamento di un aumento del rischio di linfoma nei pazienti con questa malattia sarebbe stato da considerarsi inaspettato e motivo di allarme. Bench? non sia possibile escludere che ci? accada in qualche sottopopolazione di pazienti con spondilite anchilosante, qualsiasi siano i fattori alla base della differenza fra quest’ultima e l’artrite reumatoide, essi potrebbero fornire importanti informazioni sull’eziologia dei linfomi associati all’artrite reumatoide, a tutt’ora ignota. Potrebbe trattarsi di una differenza nei due processi infiammatori, in cui uno di essi potrebbe essere pi? linfogeno dell’altro, oppure potrebbe trattarsi di una questione quantitativa, con uno stato infiammatorio pi? lieve nella spondilite anchilosante rispetto a quello dell’artrite reumatoide.

 680 total views

1 26 27 28 29 30 34

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?