Nsclc, sulla sopravvivenza pesa la gravità dei sintomi

14 Mag 2012 Oncologia

Il paziente affetto da cancro deve condividere con il clinico le sue preferenze riguardo ai trattamenti e ai rischi connessi. A una migliore sopravvivenza libera da progressione (Pfs) di solito viene dato più valore se i sintomi sono lievi. È quanto dimostra un’esperienza effettuata da un gruppo di ricercatori guidati da John F. P. Bridges, della Johns Hopkins Bloomberg school of public health di Baltimora (Usa), che ha condotto in Gran Bretagna un’indagine online su 100 pazienti affetti da tumore polmonare non a piccole cellule (Nsclc), patologia il cui trattamento richiede decisioni complesse e che necessitano un bilancio rischio/beneficio dal punto di vista del paziente. Scopo della ricerca: identificare i benefici ritenuti sufficienti dai pazienti per compensare i rischi associati alla terapia. Alle domande hanno risposto 89 soggetti (73% maschi), che hanno completato correttamente il questionario. Gli aumenti di Pfs insieme alla riduzione della gravità dei sintomi sono considerati i fattori più importanti, e il cui valore aumenta con il protrarsi del Pfs (rilevate quote crescenti a 4, 5 e 7 mesi). In ogni caso, i miglioramenti del Pfs sono percepiti principalmente come benefici quando i sintomi della malattia sono lievi, peggiorativi quando i sintomi al contrario sono gravi. L’affaticamento è considerato il rischio principale, seguito da diarrea, nausea e vomito, febbre e infezioni, rash cutanei. La somministrazione orale degli agenti terapeutici è preferita alla via infusionale. I pazienti con sintomi lievi o moderati rispetto al valore della Pfs antepongono quelli di un minore rischio dei trattamenti o di una mancata percezione di sintomi gravi.

Lung Cancer, 2012 Feb 27. [Epub ahead of print]

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Pap test, esame salva-vita contro tumore cervice

2 Mag 2012 Oncologia

Il Pap test si può considerare un esame fondamentale per curare le donne con diagnosi di tumore della cervice uterina: nel 92% dei casi invasivi scoperti tramite lo screening, infatti, si ottiene una guarigione. Lo ha verificato uno studio svedese condotto dal Karolinska Institute di Stoccolma, dopo aver seguito 1.230 donne per una media di otto anni dopo la diagnosi di cancro. I ricercatori hanno osservato che questa percentuale era più alta nel 26% rispetto alle donne la cui diagnosi era stata posta perché sintomatiche (66%). Tra queste ultime, inoltre, la quota di guarigione era più alta del 14% tra quelle che avevano eseguito l’esame secondo gli intervalli raccomandati rispetto a quelle che erano arrivate in ritardo allo screening. Un altro dato registrato, che suggerisce l’efficacia del Pap test è quello per cui tre quarti delle 373 donne nel campione decedute a causa del cancro alla cervice, non si erano sottoposte al test negli ultimi anni. Lo screening, secondo Bengt Andrae dell’università di Uppsala, autore dello studio, riduce il rischio di tumore del collo dell’utero e, allo stesso tempo, è anche collegato a un migliore esito delle cure.

BMJ 2012;344:e900

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Tumore prostatico: velocità PSA maggior fattore predittivo di mortalità

2 Mag 2012 Oncologia

Gli uomini con una velocità del PSA superiore a 2 ng/ml/anno presentano un rischio di mortalità tumore prostatico-specifica significativamente superiore rispetto a coloro con qualsiasi altro singolo fattore di alto rischio. Per quanto riguarda i tassi di mortalità tumorale nei pazienti con un singolo fattore di rischio, il rischio di morire di tumore prostatico nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale o terapia radiante ad impulsi esterni risulta sei-nove volte maggiore in presenza di una velocità superiore a due: ciò surclassa qualsiasi altro fattore di rischio, compresa la scala di Gleason. Era stato già dimostrato che la velocità del PSA prima della diagnosi di tumore prostatico predice stadio e grado del tumore ed anche l’intervallo di tempo prima della recidiva. Nei pazienti più a rischio sarebbe opportuno applicare più di un singolo trattamento per ottenere il miglior tasso di cura: le combinazioni possibili comprendono radioterapia e terapia ormonale o chirurgia e terapia neoadiuvante. Un elevato livello di PSA o un alto stadio clinico sulla base degli esami, comunque, non escludono la possibilità di un esito positivo.

(Cancer online 2007, pubblicato il 25/5)

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Tumore mammario: rimuovere tre linfonodi sentinella non è abbastanza

30 Apr 2012 Oncologia

Nonostante recenti indicazioni secondo cui la rimozione di tre linfonodi sentinella nelle donne con tumore mammario sia abbastanza per una biopsia, sarebbe necessario rimuovere tutti i linfonodi sentinella per ridurre il rischio dei risultati falsi negativi. La rimozione di più linfonodi, se presenti, aumenta di poco la morbidità, ed aumenta la possibilità di riscontrare tumori. Probabilmente un numero ideale di linfonodi da rimuovere non esiste: è necessario evitare di non riscontrare la malattia se presente, minimizzando al contempo la morbidità. Sono attualmente allo studio nuovi traccianti radioattivi che potrebbero consentire la rimozione di meno linfonodi.

(Arch Surg 2007; 142: 456-60)

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Curare il tumore al seno in gravidanza è possibile

3 Apr 2012 Oncologia

Anche le donne in gravidanza possono curare un tumore al seno, utilizzando tecniche sia chirurgiche sia mediche, ed evitando accuratamente il ricorso a parti prematuri, portando a termine la gravidanza in sicurezza. È quanto è stato pubblicato sulla rivista The Lancet in cui si riporta un lavoro scritto da Frederich Amant – del Breast cancer center al Leuven cancer institute dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio – e colleghi. La stadiazione e il trattamento del cancro mammario durante la gestazione dovrebbero essere definite nell’ambito di un setting multidisciplinare, scrivono gli autori, che proseguono: «sono la biologia del tumore e l’età gestazionale al momento della diagnosi a determinare l’approccio più appropriato. La chirurgia è effettuabile in tutti e tre i trimestri di gravidanza. È possibile ricorrere anche alla radioterapia ma, a seconda della dose ricevuta dal feto, si possono avere outcome scarsi per il nascituro». Pertanto la decisione se ricorrere alla terapia radiante va effettuata su base individuale. «Prove sempre più numerose» si sottolinea «supportano la somministrazione di una chemioterapia a partire dalla 14ma settimana di gestazione in avanti». I più recenti trattamenti contro il carcinoma della mammella potrebbero essere somministrati, ma il tamoxifene e il trastuzumab sono controindicati in gravidanza. Il trattamento del tumore al seno in gravidanza, infine, dovrebbe ridurre la necessità di ricorrere al parto pretermine e al connesso rischio di prematurità del neonato, due tra le maggiori preoccupazioni in questi contesti clinici.

Lancet, 2012; 379(9815):570-9

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Marker prognostico di recidive e metastasi nel Ca prostatico

3 Apr 2012 Oncologia

È stato identificato un nuovo marker tissutale prognostico che, nell’istopatologia del cancro prostatico, riesce a distinguere tra tessuto normale e patologico, predicendo le recidive biochimiche (innalzamenti di Psa) e l’insorgenza di metastasi. Può pertanto essere un utile supporto clinico al decision-making individuale nella gestione della malattia. Si tratta dell’Xpa-210, un marcatore di proliferazione derivato dalla timidina chinasi-1, di cui in realtà era già noto il significato clinico nel cancro renale, mammario e della vescica, ma che finora non era stato mai impiegato in patologia prostatica. Allo scopo di validarne l’uitlità nella gestione del cancro prostatico, Stefan Aufderklamm, dell’università Eberhard-Karl di Tubinga (Germania), e collaboratori, hanno analizzato retrospettivamente campioni tissutali cancerosi e benigni di 103 pazienti (in media, Psa: 9,04 ng/ml e punteggio Gleason: 6) sottoposti a prostatectomia, montati su microarray marcati con Xpa-210. Il punteggio medio di marcatura (mean staining score) è risultato di 0,51 per il tessuto tumorale e di 0,14 per quello benigno. Il tumor staining score è risultato associato in modo significativo al Gleason score e alla stadiazione Tnm. Dividendo il punteggio del tumore per il valore medio, le espressioni più elevate di Xpa-210 sono risultate associate ai tempi più corti prima della comparsa di recidive biochimiche o dello sviluppo di metastasi. Inoltre, la marcatura del tumore si è dimostrata un fattore prognostico di recidiva biochimica indipendente dallo stato di resezione.

World J Urol, 2011 Oct 4. [Epub ahead of print]

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Calreticulina, potenziale biomarcatore di cancro polmonare

3 Apr 2012 Oncologia

La calreticulina (Crt) è una molecola “chaperone” (ossia implicata nel corretto folding o ripiegamento delle proteine) presente nel reticolo endoplasmatico. Un’èquipe della Quarta università medica militare di Xi’an (Cina) guidata da Rongrong Liu ha dimostrato che la concentrazione di tale sostanza nel siero dei pazienti con cancro del polmone è superiore a quella dei soggetti sani e il suo livello di espressione sulle membrane cellulari del tumore è associato alla classificazione patologica e al grado. Per questo si pensa che la Crt possa costituire un utile marker predittivo e diagnostico. Utilizzando un metodo immunoenzimatico chemiluminescente (Cleia), il team ha scoperto che la Crt in forma solubile (sCrt) era presente in modo significativamente maggiore in campioni di siero di 58 pazienti affetti da cancro polmonare rispetto a 40 individui sani (solo in 9 di questi ultimi era rilevabile). Tra i soggetti con tumore polmonare, la sCrt nel siero era misurabile in quantità inferiori nel cancro polmonare a piccole cellule rispetto all’adenocarcinoma, e in entrambi i casi a dosaggi minori rispetto al carcinoma squamocellulare. Inoltre si è visto che i livelli sierici di sCrt erano maggiori nei pazienti che erano stati sottoposti a chemioterapia rispetto a quanti non avevano effettuato un trattamento chemioterapico. Ulteriori studi di immunoistochimica hanno evidenziato che la Crt è altamente espressa anche nel citoplasma e su altre membrane delle cellule cancerose, mentre è espressa in minime quantità nelle cellule polmonari normali. In modo analogo, il livello di espressione della Crt sulla membrana cellulare del tumore polmonare risulta associata al grado patologico del tumore.

Cancer Immunol Immunother, 2011 Nov 15. [Epub ahead of print]

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Tumore ovarico: quali i test di screening?

12 Mar 2012 Oncologia

Frotte di studenti in medicina si sono formati nella convinzione che il tumore ovarico sia asintomatico. Ma questo è un falso insegnamento. A dispetto della nozione, un tempo comune, che questo tipo di tumore fosse un killer silenzioso, nuove evidenze dimostrano che si possono rintracciare dei sintomi; in particolare molte donne a cui è stato diagnosticato questo tipo di tumore lamentavano, nei tre o quattro mesi precedenti, seri problemi all’apparato gastrointestinale o urinario. Il ritardo nella diagnosi è spesso fatale. Per questo motivo le associazioni dei pazienti sparse nel mondo hanno ingaggiato delle dure battaglie per incentivare o promuovere l’uso di screening che possano permettere la diagnosi precoce.

Ancora una volta una battaglia per la salute, in questo caso delle donne, partita dal basso ha dato i suoi frutti: la settimana scorsa alcune organizzazioni importanti negli Stati Uniti, tra cui la Gynecologic Cancer Foundation, la Society of Gynecologic Oncologists e la American Cancer Society, hanno stilato un documento congiunto in cui si consiglia vivamente a tutti i medici di porre particolare attenzione alle pazienti che riferiscono sintomi persistenti quali sanguinamento, dolore pelvico o addominale, inappetenza, stimolo urinario frequente.

Ma quanto questo documento può davvero essere utile ai medici nella salvaguardia della vita delle proprie pazienti? Un editoriale apparso sull’ultimo numero della rivista The Lancet affronta il tema; molti i dubbi e soprattutto pochi i dati epidemiologici che possano confermare quali potrebbero essere gli esami da usare come strumento di screening. I due migliori candidati, ad oggi, pare siano il dosaggio dell’antigene CA 125 e l’uso degli ultrasuoni transvaginali, per i quali in Inghilterra è stato fatto uno studio preliminare pubblicato proprio sul Lancet nel 1999 in cui si dimostrava un’ottima capacità predittiva dei due esami. Questo studio è stato allargato e i risultati completi si attendono per il 2012.

Fonte: An experiment in earlier detection of ovarian cancer. The Lancet 2007; 369:2051.

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Cancro ovarico, alimentato da trombocitosi paraneoplastica

12 Mar 2012 Oncologia

Uno studio finanziato dal National Cancer Institute britannico supporta l’esistenza di un circuito paracrino in cui l’aumentata produzione di citochine trombopoietiche nel cancro ovarico e nel tessuto ospite condurrebbe a trombocitosi paraneoplastica, che alimenta la crescita tumorale. A fronte dei molti punti oscuri che permangono nelle conoscenze del meccanismo della trombocitosi paraneoplastica nel tumore dell’ovaio e del ruolo delle piastrine nella crescita tumorale, un team di studiosi inglesi e americani – coordinati da Rebecca L. Stone, della University of Texas, a Houston – ha analizzato i dati clinici relativi a 619 pazienti con tumore epiteliale ovarico per verificare l’esistenza di una associazione tra la conta piastrinica e l’outcome della patologia. La trombocitosi si è associata a una malattia in stato avanzato e a una ridotta sopravvivenza; in queste pazienti, i livelli plasmatici di trombopoietina e di interleuchina-6 (Il-6) sono risultati notevolmente più elevati rispetto alle altre. In un modello murino, l’aumento della sintesi di trombopoietina nel fegato in risposta all’Il-6 di derivazione tumorale è stato identificato come meccanismo soggiacente alla trombocitosi paraneoplastica e anche nelle pazienti analizzate l’Il-6 e la trombopoietina epatica sono apparse associate alla trombocitosi. Un trattamento con anticorpi anti Il-6 ha portato a una significativa riduzione delle piastrine sia nei topi di laboratorio con tumore che nelle pazienti con carcinoma epiteliale ovarico. Inoltre, la neutralizzazione dell’interleuchina-6 ha potenziato l’efficacia terapeutica del paclitaxel nelle cavie murine e ha ridotto la crescita tumorale e l’angiogenesi.

N Engl J Med, 2012; 366(7):610-8

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Cancro ovarico: protettiva la salpingo-ooforectomia bilaterale

29 Feb 2012 Oncologia

La salpingo-ooforectomia bilaterale (Bso) riduce il rischio di cancro ovarico rispetto all’isterectomia e alla conservazione ovarica ma l’incidenza di tumore ovarico è minima in entrambi i gruppi. Lo rivela un nuovo studio – condotto da Vanessa L. Jacoby della university of California di San Francisco, e collaboratori – secondo cui la Bso può non avere un impatto negativo su salute cardiovascolare, rischio di frattura di femore, di cancro o mortalità totale rispetto all’isterectomia e alla conservazione dell’organo. L’indagine prospettica è stata effettuata su 25.448 donne in post-menopausa di età compresa tra 50 e 79 anni arruolate all’interno del Women’s health initiative observational study: le pazienti avevano una storia di isterectomia e Bso o isterectomia con conservazione ovarica in assenza di una storia familiare di cancro ovarico. L’uso corrente o pregresso di estrogeni e/o progestinici era frequente a prescindere dallo status Bso (78,6%). Alle analisi multivariate, Bso non è risultata associata a un aumento del rischio di coronaropatia fatale e non fatale (Hazard ratio, Hr: 1,00), di bypass coronarico e angioplastica coronarica percutanea transluminale (Hr: 0,95), ictus (Hr: 1,04), malattia cardiovascolare totale (Hr: 0,99), frattura di femore (Hr: 0,83) o decesso (Hr: 0,98). Nel corso di un follow-up medio di 7,6 anni, Bso ha anche ridotto il cancro ovarico incidente (0,02% nel gruppo Bso; 0,33% nel gruppo in cui è stato conservato l’ovaio) ma non sono state rilevate significative associazioni con il cancro polmonare, colorettale o mammario.

Arch Intern Med, 2011; 171(8):760-8

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