Scoperti i segni molecolari di aggressività del ca mammario

29 Feb 2012 Oncologia

Sono due le caratteristiche che renderebbero i tumori mammari particolarmente aggressivi: la presenza nelle cellule maligne di mutazioni che trasformano il fattore p53 in un pericoloso promotore tumorale e l’espressione a livelli abnormi di una specifica proteina, l’enzima Pin1. La scoperta, frutto del lavoro dei ricercatori del Laboratorio nazionale Cib e dell’Università di Trieste e resa pubblica sulle pagine di Cancer Cell, permette di caratterizzare meglio la malattia e di predirne l’esito offrendo anche la possibilità di fare previsioni sulla risposta delle pazienti ai trattamenti. «Al tratto molecolare dato dalla combinazione di questi due elementi» spiega un comunicato diffuso dai due centri di ricerca «risulta associato un vero e proprio dirottamento del programma genetico attivo all’interno delle cellule, che porta all’espressione di un gruppo specifico di geni in grado di promuovere l’acquisizione da parte delle cellule tumorali di caratteristiche aggressive e della capacità di migrare e invadere altri tessuti». Lo studio è stato condotto da un team guidato da Giannino Del Sal, professore ordinario di Biologia cellulare presso la Facoltà di medicina dell’Università di Trieste e responsabile dell’Unità di Oncologia Molecolare del Laboratorio nazionale Cib Area Science Park di Trieste, ha una rilevanza clinica particolarmente significativa: «Nei tumori mammari, infatti» prosegue il comunicato «la presenza di livelli eccessivi di Pin1 combinati con quella di mutazioni nel gene per il fattore p53 correla con l’esito infausto della malattia, in base a quanto emerge dall’analisi effettuata dagli studiosi su oltre 200 casi di carcinoma mammario».

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Epatocarcinoma: buoni risultati con la radioembolizzazione

29 Feb 2012 Oncologia

Una “robusta evidenza” promuove la radioembolizzazione per il trattamento del carcinoma epatocellulare, inclusi i casi con malattia avanzata e poche opzioni terapeutiche. Il dato emerge da una multicentrica condotta da Bruno Sangro della Clinica Universidad de Navarra, a Pamplona, e collaboratori dell’European network on radioembolization with Yttrium-90 resin microspheres (Enry). Alla terapia con microsfere di Yttrium-90 sono stati sottoposti 325 pazienti in maggior parte con indice di Child-Pugh di classe A (82,5%), cirrosi (78,5%) e buon performance status secondo l’Eastern cooperative oncology group (Ecog): molti pazienti mostravano malattia multinodulare (75,9%), invasione di entrambi i lobi (53,1%) e/o occlusione della vena porta. Più della metà presentava uno stadio avanzato secondo i criteri di Barcelona clinic liver cancer (Bclc) e un quarto era affetto da un tumore allo stadio intermedio. La sopravvivenza globale mediana si è attestata su 12,8 mesi, ma era variabile in base allo stadio di malattia (Bclc A: 24,4 mesi; Bclc B: 16,9 mesi; Bclc C: 10 mesi). La sopravvivenza ha mostrato una variabilità in relazione allo status Ecog, alla funzione epatica (classe Child-Pugh, ascite, e biliribubinemia totale al basale), al carico tumorale (numero di noduli, alfa-fetoproteina) e alla presenza di malattia extraepatica. Quando sono state considerate nel contesto della stadiazione Bclc, le variabili riguardanti il carico tumorale e la funzione epatica hanno fornito informazioni prognostiche addizionali. I più significativi fattori prognostici indipendenti per la sopravvivenza in base all’analisi a variabili multiple sono risultati lo status Ecog, il carico tumorale (>5 noduli), un valore di international normalized ratio >1,2 e la presenza di malattia extraepatica. Tra gli eventi avversi comuni si segnalano fatigue, nausea e vomito, e dolore addominale. È stato riportato anche un incremento della bilirubina di grado 3 o superiore nel 5,8% dei casi. La mortalità per tutte le cause si è attestata sullo 0,6% a 30 giorni e sullo 6,8% a 90 giorni.

Hepatology, 2011 Jun 30. [Epub ahead of print]

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Ca prostatico: influsso geografico e della storia familiare

19 Feb 2012 Oncologia

Una storia familiare positiva per ca prostatico è fortemente correlata alla diagnosi di ca prostatico, ma solo per uomini non del Nord America. La presenza di una storia familiare positiva sia per ca prostatico sia per ca mammario aumenta in modo significativo rispetto alla storia familiare di solo ca prostatico, indipendentemente dalla regione geografica. Queste osservazioni potrebbero rendere necessaria una revisione degli attuali modi con i quali si utilizzano i dati della storia familiare in termini sia di diagnosi sia di stratificazione del rischio di ca prostatico. È la conclusione di un gruppo di studiosi, guidati da Sthephen J. Freedland, della Duke university school of medicine, di Durham (Usa), giunti a questi risultati mentre erano impegnati nello studio Reduce, il cui scopo era quello di scoprire eventuali bias nelle tecniche di screening che avevano evidenziato tali associazioni tra rischio familiare di ca prostatico e mammario, e in cui, a tal fine, si impiegarono tecniche bioptiche ampiamente indipendenti dal Psa. Ecco quanto emerso dallo studio di 6.415 uomini coinvolti nel protocollo. Una storia familiare di solo ca prostatico risultava associata a un aumento di diagnosi di ca prostatico (Or: 1,47). Nel Nord America, una storia familiare di ca prostatico non era correlata a ca prostatico (Or: 1,02), mentre lo era fortemente al di fuori di tale area geografica (Or: 1,72). Una storia familiare positiva sia per ca prostatico sia per ca mammario (Or: 2,54) ma non solo per ca mammario (Or: 1,04) era associata a un rischio maggiore di ca prostatico rispetto ad assenza di pregressi familiari e indipendentemente da aree geografiche.

J Intern Med, 2011 Dec 28. [Epub ahead of print]

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Cancro ovarico, prognosi migliore da Brca1 e Brca2

15 Feb 2012 Oncologia

Tra le pazienti con tumore epiteliale invasivo dell’ovaio, la mutazione germinale dei geni Brca1 e Brca2 (presente solitamente nel 10% dei casi) si associa a una maggiore sopravvivenza complessiva a 5 anni. In particolare, le donne portatrici del Brca2 hanno una prognosi migliore. Lo ha dimostrato Kelly L. Bolton, della divisione di Epidemiologia e genetica del cancro del National cancer institute di Bethesda (Usa), e collaboratori, tramite un’analisi raggruppata di 26 studi osservazionali sulla sopravvivenza di donne con cancro ovarico. I dati si riferivano a 1.213 portatrici di mutazioni germinali in Brca1 (n=909) o Brca2 (n=304) e di 2.666 non carrier, reclutate e seguite in tempi diversificati, tra il 1987 e il 2010. La mortalità generale a 5 anni (principale misura di outcome) è risultata del 36% per le non carrier, del 44% per le portatrici di Brca1, e del 52% per le portatrici di Brca2. Dopo correzioni per studio e anno di diagnosi, le donne con mutazioni Brca1 o Brca2 hanno evidenziato valori di sopravvivenza più favorevoli rispetto alle non portatrici di mutazione (Hr per Brca1: 0,78; Hr per Brca2: 0,61). Queste differenze nei valori di sopravvivenza non sono state modificate in seguito a ulteriori aggiustamenti per stadio, grado, istologia, ed età alla diagnosi (Hr per Brca1: 0,73; Hr per Brca2: 0,49).

JAMA, 2012; 307(4):382-90

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Prostata, troppa vitamina E aumenta il rischio di cancro

28 Gen 2012 Oncologia

Assumere vitamina E puo’ far aumentare il rischio di cancro alla prostata. E’ questo il risultato di un ampio studio pubblicato oggi sul Journal of the American Medical Association (Jama). La ricerca era iniziata nel 2001 per testare studi precedenti che suggerivano che il selenio e la vitamina E potessero ridurre il rischio di sviluppare alcuni tumori. I ricercatori responsabili del Selenium and Vitamin E Cancer Prevention Trial (SELECT) hanno monitorato lo sviluppo del cancro in 35.533 uomini che hanno assunto selenio, vitamina E o una combinazione di entrambe le molecole. Solo la vitamina E e’ risultata aumentare significativamente il rischio di tumore. ”Per l’uomo medio non sembra esserci nessun beneficio dall’assunzione di vitamina E e, di fatto si e’ rivelata potenzialmente molto nociva”, ha detto il dottor Klein, un esperto di fama internazionale del cancro alla prostata che ha lavorato come coordinatore dello studio. Il cancro alla prostata e’ la piu’ comune forma di cancro negli uomini, dopo i tumori della pelle.

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Screening del tumore alla prostata. pubblicati i risultati su The New England Journal Of Medicine

26 Gen 2012 Oncologia

Nel 2011 il cancro alla prostata si è rivelato il tumore più frequentemente diagnosticato, con circa 240.000 casi èla seconda causa di morte. Dopo un picco nei primi anni 1990, nel 2007 l’incidenza
del cancro alla prostata sembrava diminuita a 165,8 casi per 100.000 uomini e il tasso di mortalità
a 23,5 decessi per 100.000. Tra il 1999 e il 2006, circa il 80% delle diagnosi riguardavano il tumore della prostata. Uno studio pubblicato su “The New  England Journal Of Medicine” ha riconosciuto tra i fattori di rischio più rilevanti: l’età avanzata e una positiva storia familiare, inoltre lo studio ha rilevato che tale forma tumorale è più comune  nella popolazione di colore. L’età media in cui viene fatta la prima diagnosi è intorno ai 67 anni, a 81 anni, invece, insorge  in media la morte tra i pazienti. Tra i dati riportati dallo studio Hoffman nel suo lavoro di screening  evidenzia che il rischio di cancro alla prostata è due volte superiore tra coloro che hanno un parente di primo grado in cui è stato diagnosticato un tumore prostatico. Da recenti studi di autopsie si evince che il 30% degli uomini di età superiore ai 50 anni e il 70% di quelli con più di 70 anni hanno un cancro prostatico non ancora diagnosticato. Il rischio di morte varia da circa l’8% tra gli uomini con tumori ben differenziati al 26% tra quelli con tumori scarsamente differenziati. Negli Stati Uniti la popolazione di colore manifesta un tasso di incidenza più alto e si riscontra una maggiore probabilità di effettuare una diagnosi di cancro alla prostata in fase avanzata rispetto agli uomini di altra etnia. Circa il 90% di questi tumori vengono rilevati mediante attenti screening e si riscontra che dopo l’introduzione dell’ antigene prostatico specifico (PSA), la qualità e l’affidabilità di questi test è cresciuta esponenzialmente.

Bibliografia: Richard M. Hoffman, M.D., M.P.H. Screening for Prostate Cancer. N Engl J Med 2011; 365:2013-2019November 24, 2011

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Aspirina utile anche nel cancro colorettale ereditario

2 Gen 2012 Oncologia

Più di 600.000 persone muoiono annualmente per cancro colorettale e l’aspirina in molti studi osservazionali si è dimostrata efficace nel prevenire questa patologia. Lo studio CAPP1 (Colorectal Adenoma/Carcinoma Prevention Programme) che aveva studiato 200 giovani con poliposi familiare aveva dimostrato un debole effetto positivo dell’aspirina sulla dimensione dei polipi più grandi, precursori del cancro colorettale. Ma mancava un trial randomizzato che avesse il cancro colorettale come endpoint primario. Lo studio CAPP 2, il primo trial su larga scala effettuato su 1.000 pazienti con sindrome di Linch (la forma principale di cancro colorettale ereditario) non aveva inizialmente mostrato risultati significativi dell’aspirina rispetto al placebo, per cui si ritenne necessario estendere i tempi del follow up (FU). Su 861 pazienti assegnati mediante randomizzazione ad aspirina (600 mg di aspirina al giorno per una media di 25 mesi) o al placebo, dopo un FU medio di 55,7 mesi il cancro colorettale (non combinato con l’adenoma) si è sviluppato in meno pazienti con l’aspirina (4%) che col placebo (7% p=0.12) in un’analisi intention-to-treat (ITT) e significativamente meno (p=0.02) in un’analisi prespecificata per protocollo. L’aspirina inoltre, in una analisi ITT rappresentativa di cancri colorettali primari multipli, è risultata in alcuni individui associata ad un ridotto rischio di cancro colorettale (p=0.05). Quindi il risultato è stato chiaro: 600 mg di aspirina al giorno si sono dimostrati un effettivo agente preventivo nel cancro colorettale ereditario, con un risultato sulla prevenzione equivalente al controllo annuale con colonscopia. Rimangono da  stabilire i meccanismi con cui si ottengono questi risultati e la durata ottimale del trattamento. Un punto da definire è soprattutto il dosaggio, perché non è detto che più bassi dosaggi non possano essere efficaci e 600 mg/die di aspirina possono esporre più facilmente a complicazioni (anche se nello studio gli eventi avversi non presentavano differenze tra il gruppo aspirina e il gruppo placebo). Comunque è previsto uno studio CAPP 3 per confrontare gli effetti dei diversi dosaggi di aspirina.

Burn J et al. The Lancet Published Online October 28, 2011  
DOI:10.1016/S0140-6736(11)61049-0

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Screening colorettale, colonscopia e Tc-colongrafia a confronto

2 Gen 2012 Oncologia

Lo studio è una conferma della difficoltà di individuare una metodica alternativa alla classica colonscopia, che si dimostri altrettanto efficace nel rilevare lesioni, ulcerazioni, occlusioni e masse tumorali al colon-retto. Un gruppo di ricercatori olandesi ha invitato persone dai 50 ai 75 anni, selezionate tra gli abitanti nella regione di Amsterdam e Rotterdam, a uno screening per il cancro al colon-retto effettuato attraverso colonscopia o colongrafia tomografica computerizzata (Tc-colongrafia). La scelta dei partecipanti è avvenuta con un algoritmo di randomizzazione rispetto all’età, al sesso e alla situazione socio-economica. Ai soggetti in cui l’esame con la Tc-colongrafia ha identificato lesioni =/> 10 mm è stato proposta anche una colonscopia, mentre a coloro che avevano lesioni più piccole, dai 6 ai 9mm, è stata offerta una procedura di sorveglianza con colongrafia. Il primo dato considerato è stata la partecipazione delle persone invitate, che è stata influenzata dalla diversa invasività delle due procedure: è risultata del 22% (1.276 su 5.924) tra i soggetti assegnati al gruppo colonscopia mentre è salita al 34% (982 su 2.920) nel gruppo colongrafia. L’efficacia della colonscopia è stata però superiore. Tra i partecipanti assegnati a questo esame è stata individuata una neoplasia avanzata nel 9% dei casi, e un carcinoma nell’1% di questi. Nel gruppo Tc-colongrafia, 84 soggetti (il 9%) avevano evidenziato lesioni da 10 mm e oltre: sottoposti a successiva colonscopia, si è visto che 60 (il 6% del totale) avevano una neoplasia avanzata, tra cui 5 (meno dell’1%) un carcinoma. La resa diagnostica è stata dell’8,7% nei partecipanti per la colonscopia e del 6,1 per la colongrafia. Eventi avversi gravi, legati al sanguinamento dopo la polipectomia, si sono verificati in 5 casi in tutto, 2 nel gruppo colonscopia e 3 nel gruppo Tc-colongrafia.

Lancet Oncol, 2011 Nov 14. [Epub ahead of print]

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Radioterapia post-chirurgia conservativa del seno

2 Gen 2012 Oncologia

Dopo chirurgia conservativa del seno, la radioterapia dimezza il tasso di recidiva della malattia e riduce di circa un sesto i decessi da cancro mammario. Questi benefici possono variare poco in proporzione tra differenti gruppi di pazienti, ma i benefici assoluti possono cambiare sostanzialmente in base alle caratteristiche della singola donna ed essere predetti in fase di decisione terapeutica. Sono le conclusioni di una metanalisi condotta dall’Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (Ebctcg) – sostenuto dai britannici Cancer Research e Medical Research Council – sui dati di 10.801 donne, ricavati da 17 trial randomizzati riguardanti il confronto radioterapia vs non radioterapia dopo chirurgia conservativa. La radioterapia nel complesso ha ridotto il rischio a 10 anni di qualsiasi tipo di recidiva (per esempio, locoregionale o a distanza) dal 35,0% al 19,3% e ha diminuito il rischio di morte da ca mammario a 15 anni da 25,2% a 21,4%. In 7.287 donne con malattia linfonodo-negativa confermata istologicamente (pN0) la radioterapia ha ridotto questi rischi da 31,0% a 15,6% e da 20,5% a 17,2%, rispettivamente. In questo gruppo pN0 la riduzione assoluta di recidive variava a seconda di età, grado del tumore, stato dei recettori per gli estrogeni, uso di tamoxifene, estensione della chirurgia; tali caratteristiche sono state usate per predire grandi (=/>20%), intermedie (10%-19%), o basse (<10%) riduzioni assolute di rischio di recidiva a 10 anni. Le riduzioni assolute di morte da cancro mammario a 15 anni in queste 3 categorie predittive sono state 7,8%, 1,1% e 0,1%, rispettivamente. Su 1.050 donne con malattia linfonodo-positiva (pN+) confermata istologicamente, la radioterapia ha ridotto il rischio di recidiva a 10 anni da 63,7% a 42,5% e quello di decesso da ca mammario da 51,3% a 42,8%. Globalmente, si è evitato un decesso entro i 15 anni per ogni 4 recidive evitate entro i 10 anni, e la riduzione di mortalità non si è allontanata in modo sostanziale da questa relazione generale in nessuna delle 3 categorie predittive per malattia pN0 e pN+.

Lancet, 2011; 378(9804):1707-16

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Dagli Usa: serve un nuovo test per salvare la prostata

29 Dic 2011 Oncologia

Si riapre il dibattito sull’utilità per la salute maschile di eseguire il test che misura l’antigene prostatico specifico (Psa). A sostenerne l’assenza di vantaggi è un rapporto della commissione governativa degli Stati Uniti per la medicina preventiva (United States preventive services task force), anticipato dal sito del New York Times. La nuova raccomandazione si basa sull’analisi di cinque sperimentazione cliniche controllate, che hanno monitorato uomini senza distinzione di età. Secondo la commissione, le terapie e i test diagnostici a cui si sottopongono gli uomini a seguito di un esito positivo del test del Psa causano dolori e spese inutili. L’obiezione si inserisce in un dibattito molto acceso in questi anni: «sfortunatamente le evidenze mostrano che questo test non salva la vita agli uomini» spiega Virginia Moyer, a capo della task force «perché non predice le differenze tra i tumori che saranno sintomatici e quelli che non lo saranno. Dobbiamo trovarne un altro». Alcune organizzazioni di pazienti hanno però già criticato la conclusione. Tra i critici ci sono personalità famose, come l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, che hanno già dichiarato che il test ha salvato loro la vita.

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