I programmi di screening del cancro colorettale basati sui test immunochimici (iFobt) fecali si caratterizzano per un’elevata performance in termini di sensibilit?, valutata attraverso i tassi di cancro intervallo. Il dato emerge da 5 programmi di screening condotti nella Regione Veneto da Manuel Zorzi dell’Istituto oncologico veneto Irccs di Padova, e collaboratori: il piano utilizzato si ? infatti distinto per i tassi ridotti di tumori non rilevati dallo screening e diagnosticati durante l’intervallo (singolo iFobt, soglia di sensibilit?: 100 ng Hb/ml, intervallo tra gli screening di 2 anni). L’analisi si ? basata su un follow-up di 486.306 anni-persona e i tumori intervallo sono stati identificati in soggetti che avevano avuto un risultato negativo allo screening condotto nel periodo 2002/2007. Globalmente, sono stati diagnosticati 126 tumori intervallo rispetto a 572 tumori attesi. Le incidenze proporzionali erano pari a 15,3% e 31,0% nel primo e secondo anno-intervallo con una sensibilit? episodica globale del 78,0%. La sensibilit? si ? rivelata maggiore per i maschi rispetto alle femmine (80,1% vs 74,8%); non sono state osservate differenze in base all’et?, al sito anatomico o fra i diversi programmi. La sensibilit? di iFobt si ? attestata sull’82,1%.
Nelle donne con cancro mammario metastatico, una durata maggiore della chemioterapia di prima linea si associa a un lieve aumento della sopravvivenza globale e a un incremento sostanziale della sopravvivenza libera da progressione. ? l’esito di una metanalisi e revisione sistematica, condotte da un team italo-australiano che ha visto la partecipazione di oncologi dell’ospedale Galliera di Genova e dell’Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori di Meldola (Forl?-Cesena). L’?quipe ha identificato nella letteratura scientifica finora pubblicata 11 trials randomizzati che hanno valutato sopravvivenza globale e libera da progressione in rapporto alla durata dei cicli chemioterapici. Analizzando i dati delle 2.269 pazienti con tumore al seno metastatico coinvolte nei trial ? emerso che la maggiore durata della chemioterapia di prima linea determina un prolungamento statisticamente significativo della sopravvivenza globale (rapporto di rischio, Hr: 0,91) e un sostanziale aumento della sopravvivenza libera da progressione (Hr: 0,64). Non si sono registrate differenze negli effetti su sopravvivenza globale e libera da progressione fra i sottogruppi definiti in base al tempo di randomizzazione alla terapia, al disegno dello studio, al numero di cicli chemioterapici nel braccio di controllo o a un’eventuale terapia endocrina concomitante.
L’invecchiamento cutaneo fisiologico ? accelerato ed accentuato dall’esposizione al sole il quale rappresenta una condizione predisponente allo sviluppo dei tumori cutanei. In quest’ambito uno dei cardini della prevenzione ? rappresentato dalla limitazione all’esposizione al sole, in particolare nei soggetti a rischio. ? infatti noto che gli ultravioletti rappresentano un fattore determinante per l’induzione alla formazione di tumori cutanei e l’abbronzatura rappresenta una risposta al danno sul DNA cellulare provocato dagli ultravioletti. In questo contesto l’impiego di filtri solari ad alto indice protettivo ? un provvedimento che viene raccomandato in ogni caso dalla maggioranza dei pediatri, anche se esistono discrepanze rispetto al loro impiego ottimale e al loro uso ripetuto. Se si considera che il melanoma ha un’incidenza in aumento negli ultimi anni soprattutto a causa della maggiore abitudine ad esposizioni protratte al sole potrebbe essere un tumore prevenibile con l’uso regolare di creme solari mediante l’applicazione quotidiana alla testa, al collo, braccia e mani. Il Journal of Clinical Oncology ha pubblicato un grande studio randomizzato e controllato, il Nambour Cancer Prevention Trial, che ? stato condotto in Queensland (Australia), una regione con il pi? alto tasso di tumori cutanei del mondo. Lo studio ha valutato il rapporto tra incidenza di melanoma e modalit? di utilizzo della protezione solare. Sono stati randomizzati 1.621 adulti verso un impiego regolare di creme solari oppure verso un uso discrezionale, dimostrando che l’applicazione regolare di filtri solari con un fattore di protezione > 15 per un periodo di trattamento di 5 anni ha ridotto in modo significativo l’incidenza di melanomi osservati nel corso dei successivi 10 anni di follow-up. In particolare nel gruppo di intervento (uso regolare con riapplicazione di filtri) erano stati diagnosticati 11 melanomi primari contro 22 identificati nel gruppo di controllo (uso discrezionale). Questo risultato dimostra una riduzione del 50% del tasso osservato di incidenza di melanoma in soggetti con uso quotidiano di creme solari (HR 0,50 IC 95% 0,24-1,02; p=0,051), confermando una riduzione notevole e >70% nei casi di melanomi invasivi nel gruppo di intervento rispetto ai controlli ( 3 vs 11; HR 0,27, IC 95% 0,08-0,97; p=0,045) e meno evidente nei casi di melanomi pre-invasivi (8 vs 11; HR 0,73; IC 95% 0,29-1,81; p=0,049). Da questo studio, ambizioso, rigoroso e difficilmente replicabile in tempi brevi, derivano delle indicazioni che sono valide per tutti i soggetti bianchi che vivono in climi temperati in Nord America e in Europa. In particolare vengono fornite istruzioni chiare sull’uso regolare dei filtri solari e sull’importanza della loro riapplicazione in particolari condizioni quali una forte sudorazione, il bagno, o l’esposizione solare prolungata. L’uso regolare della protezione solare dovrebbe diventare d’abitudine nei soggetti ad alto rischio (pelle chiara, lentiggini, tendenza alle scottature, familiarit? ecc.), negli adulti molto esposti e nei bambini. Tuttavia, una strategia mirata alla riduzione dell’incidenza dei tumori cutanei non pu? essere limitata solamente all’indicazione di un utilizzo regolare della protezione solare, ma deve comprendere altri consigli, come quello di evitare l’esposizione eccessiva ai raggi ultravioletti, ricordando ai pazienti di effettuare un regolare auto-esame della cute. Sicuramente si ? aggiunta una prova forte di efficacia su un’indicazione, spesso genericamente considerata dai medici, all’uso regolare e alle modalit? di applicazione dei filtri solari come strumento importante di prevenzione del melanoma. Bibliografia 1. Green AC et al. Reduced Melanoma After Regular Sunscreen Use: Randomized Trial Follow-Up JCO 2011;29:257-263
Nel cancro ovarico epiteliale (Eoc) di stadio I, l’analisi del microRna (miRna) appare promettente ai fini prognostici. In particolare, l’miR-200c ha le potenzialit? di predittore di sopravvivenza e biomarcatore di recidiva. ? l’esito di una multicentrica italiana – coordinata da Sergio Marchini, del dipartimento di Oncologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano – in cui sono stati analizzati retrospettivamente campioni tumorali provenienti da 144 pazienti (29 delle quali colpite da recidiva) con Eoc di stadio I, raccolti da due collezioni indipendenti di tessuto neoplastico (A e B), entrambe?con un follow-up mediano di 9 anni. Gli 89 campioni della collezione A sono stati suddivisi in un set di sperimentazione (51 campioni) per definire le sequenze dei miRna, e in un set di validazione (38 campioni) per confermare tali sequenze. La collezione B (55 campioni), invece, ? stata utilizzata per un set indipendente di testaggio. Dall’analisi con microarray nel set sperimentale ? stata generata l’espressione di 34 miRna associati alla sopravvivenza. Sia nel set sperimentale sia in quello di validazione, la Pcr (reazione a catena della polimerarsi) quantitativa retrotrascrizionale ha confermato che 11 miRna venivano espressi in modo differente nelle donne con recidiva rispetto a quelle senza recidiva. All’analisi multivariata tre di questi miRna (miR-200c, miR199a-3p, miR-199a-5p) sono risultati associati a sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza globale o a entrambe. La Pcr quantitativa retrotrascrizionale nel set test ha poi confermato la downregulation di miR-200c nei casi recidivanti rispetto agli altri, ma non la upregulation di miR-199a-3p e miR-199a-5p. L’analisi multivariata, infine, ha confermato che la dowregulation di miR-200c nel set test era associata alla sopravvivenza globale (rapporto di rischio/hazard ratio, Hr: 0,094) e alla sopravvivenza libera da progressione (Hr: 0,035), in modo indipendente da altre variabili cliniche.
In Europa il carcinoma della vescica colpisce oltre 100.000 persone ogni anno ed ? responsabile di circa 40.000 decessi. Le stime per l’Italia indicano 16.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno tra i maschi e circa 3.500 tra le femmine, con una mortalit? complessiva di oltre 5.000 persone. ?In caso di malattia localmente avanzata o metastatica ? necessario un trattamento chemioterapico, lo standard ? una combinazione contenente sali di platino. Purtroppo anche cos? il controllo della malattia e dei sintomi correlati raramente supera l’anno?, ha spiegato Enrico Cortesi, primario del reparto di Oncologia B del Policlinico Umberto I di Roma, in occasione della Conferenza nazionale Aiom (Associazione italiana oncologia medica) sui “Tumori urologici”, che si ? aperta ieri a Torino. Ora ? disponibile un nuovo chemioterapico – vinflunina – che ha dimostrato di essere efficace dove le cure standard hanno fallito. ?Vinflunina ? il primo farmaco che abbia dimostrato reali benefici clinici nelle persone con tumore alla vescica in progressione da una precedente chemioterapia?, ha detto Joquim Bellmunt, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell’ospedale universitario “Hospital del Mar” di Barcellona, coordinatore degli studi clinici europei che hanno portato alla registrazione del farmaco. Secondo i risultati degli studi, vinflunina in monoterapia prolunga la sopravvivenza dei pazienti di oltre 2,5 mesi, rispetto al trattamento con sola terapia di supporto, con una riduzione del rischio di mortalit? del 22%. Inoltre, il nuovo chemioterapico preserva e migliora la qualit? di vita del paziente.
I tumori neuroendocrini del pancreas hanno una incidenza approssimativamente dell’1.3% e costituiscono il 10% di tutti i casi di cancro pancreatico, sono in aumento e la sopravvivenza a 5 anni ? inferiore al 43%. La streptozocina ? il solo farmaco autorizzato negli US per il trattamento di questo tipo di tumori, ma nelle fasi avanzate il ruolo della chemioterapia ? dibattuto, soprattutto per i notevoli effetti collaterali. Si stanno perci? sperimentando altre vie con nuovi farmaci, ormai in fase 3 e recentemente il NEJM ha dedicato, nello stesso numero, due articoli ai risultati di due trial clinici su due farmaci. Il primo riguarda l’everolimus, che inibisce la rapamicina, una serina-treonin kinasi che stimola la crescita, la proliferazione cellulare e l’angiogenesi. Di 410 pazienti con il tumore in fase avanzata, 207 hanno ricevuto giornalmente 10 mg di everolimus e 203 placebo. I pazienti trattati hanno avuto un periodo libero dalla progressione della malattia significativamente pi? lungo di quelli trattati con placebo e, quello che forse maggiorante conta, il farmaco ? stato nel complesso ben tollerato.?Il secondo studio riguarda l’inibitore della tirosinkinasi sunitinib; siamo quindi nel campo degli inibitori del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) e del Platelet-Derived Growth Factor receptors (PDGFRs). Lo studio ? anch’esso in fase 3, multinazionale, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, condotto su tumori pancreatici neuroendocrini ben differenziati. ? stato condotto su 171 pazienti trattati, in rapporto 1:1, con 37.5 mg di sunitinib o placebo. Lo studio ? stato interrotto per motivi etici perch? nel gruppo placebo si sono verificate pi? morti e maggiori effetti avversi: il sunitinibib ?otteneva un periodo di sopravvivenza libero dalla progressione pi? lungo, una maggiore sopravvivenza totale, e in ultima analisi una risposta obiettiva migliore.
Ramond E et al.? N Engl J Med 2011; 364: 501-13 Yao JC et al. N Engl J Med 2011; 364: 514-23
Il cancro (Ca) della prostata viene diagnosticato sempre pi? frequentemente e in pi? del 90% dei casi ? localizzato (stadio I e II): il punto ancora controverso ? se in questi pazienti sia pi? opportuno un trattamento chirurgico precoce o una strategia di attesa vigile. Gi? nel 2008 lo Scandinavian Prostate Cancer Group Study 4 (SPCG-4) forn? un’importante evidenza che la prostatectomia radicale, confrontata con una strategia di controllo, in uomini con Ca localizzato, in stadio T1-T2, ben differenziato o moderatamente ben differenziato e un PSA inferiore a 50 mcg/ml, produceva una migliore sopravvivenza non solo legata al Ca in s?, ma per tutte la cause. Ora, nel numero del 5 maggio 2011 del NEJM viene pubblicata un’estensione del follow-up di altri 3 anni, perci? a 15 anni, e anche questa estensione dello studio conferma i dati precedentemente acquisiti: nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale sono minori le morti legate al Ca prostatico ma anche quelle da tutte la cause, come pure il rischio di metastasi (RR:0.53 95% IC, 0.24-1.14; p?= 0.14). Ma ? importante notare che i benefici della prostatectomia sono risultati pi? evidenti nei soggetti pi? giovani, sotto i 65 anni di et?, quindi con una spettanza di vita maggiore, dove il NNT era di 7; erano invece meno chiari per le persone pi? anziane, dove il NNT era 15. Inoltre i vantaggi erano evidenti nel sottogruppo a basso rischio con scala di Gleason < 7 (questo parametro ? la somma dei 2 pi? comuni pattern istologici o gradi, ed il suo valore ? compreso tra 2 e 10, mentre 7 ? il punto di passaggio tra basso e alto rischio). Ma rimane ancora il dubbio, soprattutto in rapporto ad altri studi, se in soggetti pi? anziani, con basso rischio, la strategia di attesa possa essere sufficiente. I livelli di PSA non sembrano influenzare la prognosi della prostatectomia radicale, mentre importantissima discriminante per la sopravvivenza resta il superamento della capsula: i soggetti con superamento della capsula avevano 7 volte pi? probabilit? di morte per Ca prostatico rispetto a quelli senza superamento della capsula.?
Bill-Axelson A et al. N Engl J Med 2011; 364: 1708 Smith MR (editorial) N Engl J Med 2011; 364: 1770
Esiste una sufficiente certezza che lo screening per il cancro del testicolo non determini benefici. ? la conclusione del documento “Screening for Testicular Cancer – Reaffirmation Recommendation Statement” stilato dall’US Preventive Services Task Force (Uspstf), e che ribadisce un concetto gi? espresso in precedenza, in occasioni di revisioni sistematiche sul tema (nel 2004 e nel 2009). In sintesi, si fa notare che nella maggior parte dei casi questo tipo di tumore ? scoperto incidentalmente dal paziente o dal partner e che non vi sono sufficienti evidenze che uno screening effettuato mediante visita medica o autoesame del paziente, metodiche di cui non sono note la sensibilit?, la specificit? e il valore predittivo positivo in soggetti asintomatici, ?determini una frequenza superiore? o una maggiore accuratezza nel riconoscimento della neoplasia a uno stadio precoce (e quindi pi? curabile). Tenendo poi conto della bassa incidenza del tumore del testicolo e degli outcome favorevoli dei trattamenti (quali orchiectomia, radio/chemioterapia, etc.) con alti tassi di sopravvivenza (circa 90%) anche in caso di malattia avanzata, risulta chiaro che i benefici dello screeening appaiano minimi o nulli. Vi sono anzi potenziali pericoli, determinati dalla comunicazione di risultati falsi positivi, dall’ansia che pu? ingenerarsi nel paziente e da possibili lesioni provocate dai test diagnostici. Quanto riportato dall’Uspstf nel documento si riferisce ai maschi asintomatici sia adulti sia adolescenti.
Nel trattamento del cancro rettale resecabile, attraverso rimozione mesorettale totale, la radioterapia preoperatoria a breve termine aggiunta alla chirurgia dimezza la ricorrenza locale a 10 anni ma non c’? un vantaggio importante di sopravvivenza. ? quanto emerge dai risultati dello studio Tme, condotto dal Dutch Colorectal Cancer Group, coordinato da Cornelis J. H. van de Velde, del dipartimento di Chirurgia del Centro medico universitario di Leida (Olanda). Il trial ha coinvolto, tra il gennaio 1996 e il dicembre 1999, 1.861 pazienti con cancro rettale resecabile, assegnati in modo random all’intervento chirurgico (escissione mesorettale totale, Tme) oppure allo stesso intervento preceduto per? da radioterapia 5×5 Gy. La valutazione dei pazienti a distanza di dieci anni ha permesso di constatare che l’incidenza di ricorrenza locale ? stata del 5% nel gruppo radioterapia pi? chirurgia e dell’11% nei pazienti sottoposti soltanto all’intervento chirurgico. L’efficacia della radioterapia ? risultata maggiore con l’aumentare della distanza del bordo anale; nei soggetti sottoposti a radioterapia, inoltre, si ? avuta una ricorrenza globale inferiore e, se operati con margine di resezione circonferenziale negativo, una sopravvivenza cancro-specifica pi? elevata. La sopravvivenza generale, per?, non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi: nei pazienti con tumore mesorettale resecabile di stadio III e con margine di resezione negativo, la sopravvivenza a dieci anni ? stata del 50% nel gruppo che ha ricevuto radioterapia prima dell’intervento e del 40% nel gruppo sottoposto alla sola chirurgia.
La biopsia del linfonodo sentinella nel cancro della tiroide ? una strategia promettente e ha la potenzialit? di evitare la chirurgia linfonodale profilattica fino al 57% dei pazienti con cancro della tiroide che non mostra un coinvolgimento clinico linfonodale. ? questo il risultato che emerge da una revisione sistematica che ha preso in esame i pi? recenti studi sul ruolo della biopsia del linfonodo sentinella nella gestione del cancro della tiroide. Nel dettaglio, sono state incluse nella metanalisi ventiquattro ricerche. I tassi globali di individuazione del linfonodo sentinella si sono attestati sull’83,7% per iniezione del colorante vitale blue dye, 98,4% per mezzo di isotopi radioattivi e 96% per le tecniche combinate. Un linfonodo sentinella positivo ? stato accertato nel 42,9% dei pazienti con tumore tiroideo papillare con un linfonodo sentinella identificato. I tassi globali di falsi negativi per blue dye, isotopi radioattivi e tecniche combinate sono stati, rispettivamente, di 7,7%, 16% e 0%. Un riscontro negativo dell’esame delle sezioni del linfonodo sentinella si ? dimostrato inattendibile nel 12% dei pazienti. La valutazione immunoistochimica del linfonodi sentinella ha evidenziato metastasi linfonodali in un ulteriore 15% di pazienti (7 su 47 linfonodi sentinella). Lo studio ? stato condotto da Sabapathy P. Balasubramanian e?Barney J. Harrison, dell’Unit? accademica di Chirurgia oncologica dell’universit? di Sheffield (GB).