Ca prostata metastatico, denosumab supera zoledronato

12 Mag 2011 Oncologia

Negli uomini con metastasi ossee da cancro prostatico resistente alla castrazione, l’impiego di denosumab, anticorpo monoclonale diretto contro Rankl (fattore chiave dell’attivazione degli osteoclasti), ? superiore a quello di acido zoledronico nella prevenzione degli eventi scheletrici. Il verdetto scaturisce da uno studio randomizzato in doppio cieco di fase 3 in cui sono stati confrontati i dati di 950 pazienti assegnati a denosumab (120 mg in sottocute) con quelli di altri 951 trattati con un bisfosfonato, l’acido zoledronico (4 mg per via endovenosa), ogni 4 settimane fino all’analisi primaria. Tutti i pazienti coinvolti, per i quali veniva fortemente raccomandata la supplementazione con calcio e vitamina D, non erano stati precedentemente trattati con difosfonati somministrati per via endovenosa. Durante il periodo di studio, il tempo mediano fino alla comparsa del primo evento scheletrico – ovvero frattura patologica, radioterapia, chirurgia ossea e compressione spinale – era di 20,7 mesi nel gruppo denosumab e 17,1 mesi nel gruppo acido zoledronico (rapporto di rischio, Hr: 0,82). Eventi avversi sono stati registrati in 916 pazienti (97%) del gruppo denosumab e 918 pazienti (97%) in terapia con acido zoledronico, mentre gli eventi avversi gravi hanno interessato rispettivamente il 63% e 60% dei soggetti nei due gruppi. Un numero maggiore di eventi di ipocalcemia sono occorsi con denosumab (13%) rispetto al bisfosfonato (6%). L’osteonecrosi della mascella/mandibola ? risultata un problema poco frequente: 2% dei casi con denosumab e 1% con acido zoledronico. Lo studio, che ha visto la partecipazione di 342 centri in 39 paesi, ? firmato in prima istanza da Karim Fizazi, dell’Institut Gustave Roussy presso l’universit? di Parigi Sud (Villejuif).

The Lancet, 2011; 377(9768):813-22

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Un solo test del Psa, prima dei 50 anni, ? predittivo

17 Apr 2011 Oncologia

Un singolo esame del Psa all’et? di 50 anni, o ancora prima, predice la diagnosi di cancro prostatico avanzato fino a trent’anni pi? tardi. L’impiego precoce del test per la stratificazione del rischio permetterebbe di ridurre la frequenza dello screening in un ampio gruppo di uomini a basso rischio e di aumentarla invece in un numero pi? limitato di uomini ad alto rischio. ? possibile che in questo modo migliori il rapporto rischio/beneficio dello screening. Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da ricercatori statunitensi e svedesi, guidati da Hans Lilja, del Memorial Sloan-Kettering cancer center di New York. Lo studio riprende un precedente lavoro degli stessi autori in cui era emerso che un singolo test del Psa all’et? di 44-50 anni ha un elevato potere predittivo di diagnosi di cancro prostatico in una popolazione non sottoposta a screening; con il nuovo lavoro il follow up ? stato prolungato di ulteriori sette anni, permettendo di replicare l’analisi su un set di dati indipendente. Nel dettaglio, sono stati raccolti campioni di sangue da 21.277 uomini svedesi durante gli anni 1974-1986, quando i soggetti arruolati avevano un’et? compresa tra 33 e 50 anni. Al 2006, la diagnosi di carcinoma prostatico ? stata posta in 1.408 partecipanti; ? stata quindi eseguita la misurazione del Psa prendendo i campioni di plasma archiviati di 1.312 di questi casi (93%) e di 3.728 controlli. Al follow up mediano di 23 anni, il Psa al baseline era fortemente associato al successivo cancro prostatico (area sotto la curva 0,72; per tumori avanzati 0,75). Le associazioni tra livelli di Psa e tumore della prostata si sono dimostrate virtualmente identiche nelle analisi effettuate sul set di dati iniziale e di replicazione: l’ 81% di casi avanzati sono stati registrati negli uomini con PSA al di sopra della mediana (0.63 ng/mL in et? compresa tra 44 e 50 anni).

Cancer, 2011; 117(6):1210-9

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Ca mammario linfonodo-negativo, adiuvanti con docetaxel

8 Apr 2011 Oncologia

Anche nel cancro mammario linfonodo-negativo ad alto rischio il regime Tac (docetaxel, doxorubicina e ciclofosfamide) si dimostra in grado di migliorare il tasso di sopravvivenza libera da malattia rispetto alla terapia adiuvante Fac (fluorouracile, doxorubicina e ciclofosfamide). La sostituzione di fluorouracile con il taxano, gi? rivelatasi una mossa vincente nel cancro mammario linfonodo-positivo, ? stata sperimentata da Miguel Mart?n, dell’Hospital general universitario Gregorio Mara??n di Madrid, e collaboratori, su 1.060 donne con cancro mammario e negativit? dei linfonodi ascellari in presenza di almeno un fattore di rischio di recidiva secondo i criteri di St. Gallen del 1998 (studio Geicam 9805). Le pazienti sono state randomizzate a ricevere, dopo la chirurgia, il regime Tac o il regime Fac ogni tre settimane per sei cicli. Dopo un follow-up mediano di 77 mesi, la percentuale di pazienti ancora vive e libere da malattia era superiore nel gruppo Tac (87,6%) rispetto al gruppo Fac (81,8%), cui ha corrisposto una riduzione del rischio di ricorrenza pari al 32%. Il beneficio ? apparso costante, non influenzato cio? dallo status dei recettori ormonali, dalla condizione di menopausa o dal numero dei fattori di rischio. La differenza in termini di sopravvivenza non ha raggiunto per? la significativit? (Tac 95,2%, Fac 93,5%). I tassi di eventi avversi di grado 3-4 si ? attestato sul 28,2% con il regime Tac e sul 17,0% con quello Fac. La tossicit? associata a Tac si ? comunque ridotta quando veniva praticata una profilassi primaria con il fattore di crescita delle colonie di granulociti (G-Csf).?

New Engl J Med, 2010; 363(23):2200-10

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Carcinoma duttale in situ, cure long-term

4 Apr 2011 Oncologia

I risultati dello studio UK/Anz Dcis (Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda cancro mammario duttale in situ), pubblicato sul Lancet nel 2003 e condotto da Joan Houghton, del dipartimento di Chirurgia della Royal free and university college medical school, Londra, avevano mostrato come la radioterapia fosse in grado di ridurre nuovi eventi mammari di carcinoma ipsilaterale invasivo e duttale in situ, mentre non era emersa alcuna utilit? ascrivibile al trattamento con tamoxifene. L’aggiornamento degli esiti della ricerca – coordinata da Jack Cuzick, del Cancer research UK dell’universit? di Londra e pubblicata sempre sul Lancet – dopo un follow-up mediano di 12,7 anni conferma il beneficio a lungo termine della radioterapia ma riporta anche un beneficio di tamoxifen nel ridurre nuovi eventi locali e controlaterali nelle donne con carcinoma duttale in situ (Dcis) dopo chirurgia locale completa. Fra maggio 1990 e agosto 1998, 1.701 donne sono state randomizzate a trattamento con radioterapia e tamoxifen, solo radioterapia, solo tamoxifen o a nessun trattamento adiuvante. Sono stati diagnosticati 376 tumori al seno (163 invasivi, di cui 122 ipsilaterali e 39 controlaterali; 197 Dcis, di cui 174 ipsilaterali e 17 controlaterali; 16 di invasivit? e lateralit? non conosciuta). La radioterapia ha ridotto l’incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (hazard ratio, Hr: 0,41), diminuendo l’incidenza della neoplasia invasiva ipsilaterale (Hr: 0,32) e del DCIS ipsilaterale (HR 0,38), ma senza alcun effetto sul cancro mammario controlaterale (HR 0,84). L’assunzione di tamoxifene ha ridotto l’incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (HR 0,71), diminuendo l’incidenza del DCIS ricorrente ipsilaterale (HR 0,70) e dei tumori controlaterali (HR 0,44), ma senza alcun effetto sulla neoplasia invasiva ipsilaterale (HR 0,95). Durante questo trial non sono stati raccolti dati sugli eventi avversi, con l’eccezione della causa di morte.

Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):21-9

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Ca endometriale: positivo lo screening transvaginale

2 Apr 2011 Oncologia

In postmenopausa l’ecografia transvaginale (Tvs) per lo screening del cancro dell’endometrio ? caratterizzata da una buona sensibilit? e il numero dei falsi positivi pu? essere ridotto riservando l’indagine a gruppi ad alto rischio. Se il ruolo dello screening di popolazione con questa tecnica deve ancora essere approfondito, i risultati ottenuti sono gi? di immediata utilit? per la gestione dell’aumentato spessore endometriale nelle donne in postmenopausa che si sottopongono a scansioni pelviche per ragioni differenti dal sanguinamento vaginale. Sono le conclusioni di Ian Jacobs, dell’Institute for women’s health di Londra, e collaboratori, autori di uno studio caso-controllo svolto sulla coorte coinvolta nello studio Ukctocs (United kingdom collaborative trial of ovarian cancer screening). In tutto, 48.230 donne sono state sottoposte all’indagine, con rilevazione dello spessore e di anomalie dell’endometrio e, dopo un follow-up mediano di 5,11 anni, con eventuale documentazione diagnostica di ca endometriale o iperplasia endometriale atipica (Aeh). Il cutoff ottimale dello spessore endometriale per cancro endometriale o Aeh ? risultato di 5,15 mm, in virt? di una sensibilit? dell’80,5% e di una specificit? dell’86,2%. Considerando un cutoff pari o superiore a 5 mm la sensibilit? e la specificit? sono risultate di 80,5% e 85,7%, attestandosi invece sul 54,1% e sul 97,2% con un cutoff pari o superiore a 10 mm. Inoltre, restringendo l’analisi alle 96 donne con ca endometriale o Aeh senza sintomi di sanguinamento vaginale prima della diagnosi, un cutoff di 5 mm ha permesso di raggiungere una sensibilit? del 77,1% e una specificit? dell’85,8%. Mediante regressione logistica, infine, si ? identificato un 25% della popolazione sotto studio come ad alto rischio; in tale gruppo, in cui ? stato riconosciuto il 39,5% dei ca endometriali e dei casi di Aeh, un cutoff di 6,75 mm ha permesso di ottenere una sensibilit? dell’84,3% e una specificit? dell’89,9%.

Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):38-48

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Tumore al seno, guarigione nel 90% dei casi

1 Mar 2011 Oncologia

Si ? conclusa a Modena l’International breast cancer conference, occasione di incontro per oltre 250 esperti, che si sono confrontati sui progressi terapeutici, diagnostici e chirurgici nella lotta al tumore al seno. Con una conferma: nella maggior parte dei casi si guarisce

?Il congresso ha confermato i progressi che sono stati fatti nella lotta al tumore della mammella con lo screening, con la terapia adiuvante post-operatoria, con i nuovi farmaci e con la caratterizzazione biologica di questo tumore. Il risultato ? che la maggior parte delle pazienti guarisce? lo ha dichiarato Pier Franco Conte, del Dipartimento integrato di oncologia e ematologia, dell’Universit? di Modena e coordinatore dell’International breast cancer conference, a chiusura dei lavori che si sono svolti nei giorni scorsi a Modena. In Italia, infatti, a fronte dei 40mila nuovi casi, si verificano 11mila decessi, con una tendenza in calo di quest’ultimi. ?Oggi la probabilit? di guarire per una donna, a cui venga diagnosticato il carcinoma della mammella, supera oramai il 90%? puntualizza Conte. Gli esperti hanno sottolineato che i dati vanno letti tenendo conto del fatto che sono in crescita i casi nelle donne molto giovani e in quelle che superano i 65 anni di et?, questo a causa dell’aumento della vita media, e della non trascurabile casistica che interessa il genere maschile.

Durante il convegno c’? stato largo consenso sull’attribuire questi risultati anche ai progressi nella diagnosi precoce con screening mammografico, che in alcune Regioni ? stato esteso alla fascia 45-69 anni, e con la risonanza magnetica per donne giovani a rischio di carcinomi ereditari: ?Si tratta di una tecnica di imaging che rileva lesioni molto piccole che sfuggono alla mammografia, ma non va usato come esame diagnostico di routine, perch? si rischia un eccesso di chirurgia pi? invasiva. Mentre oggi i trattamenti chirurgici tendono a essere sempre pi? ridotti? ha commentato Conte. Un altro aspetto su cui si ? aperto il confronto ? il problema dei piccoli studi: ?Le alterazioni genetiche specifiche, che caratterizzano alcuni sottotipi di tumore spiegano perch? ogni tipo di tumore si comporta in modo diverso e con una diversa aggressivit?. E spiega anche la differenza di efficacia dei farmaci: ogni sottotipo ha una diversa sensibilit? alle terapie ormonali o con farmaci molecolari o alla chemioterapia. Ma questo significa trovarsi di fronte a tante patologie diverse che a loro volta sono rare poich? riguardano una piccola parte, 1-2%, delle pazienti? ha spiegato l’esperto ?e questo crea un problema sulla sperimentazione in piccoli campioni che mancano di forza statistica secondo gli attuali parametri. La difficolt? si riflette anche, a livello regolatorio, nelle decisioni sulla rimborsabilit??.

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Scelte terapeutiche per cancro ovarico

11 Feb 2011 Oncologia

Nelle pazienti con carcinoma ovarico allo stadio IIIC o IV, la chemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia debulking non ? inferiore all’approccio che prevede la chirurgia debulking primaria seguita da chemioterapia. La resezione completa di tutta la malattia macroscopica, quando eseguita come trattamento primario o dopo chemioterapia neoadiuvante, rimane l’obiettivo a prescindere dal momento in cui la chirurgia citoriduttiva venga praticata. Il dato emerge da uno studio clinico condotto dal gruppo guidato da Ignace Vergote degli University hospitals di Lovanio e dell’European organization for research and treatment of cancer headquarters di Bruxelles ed effettuato su 632 pazienti con carcinoma ovarico allo stadio IIIC o IV, carcinoma delle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale primario. La maggioranza di queste pazienti aveva una malattia estesa di stadio IIIC o IV al momento della chirurgia primaria, con lesioni metastatiche di dimensioni maggiori a 5 centimetri di diametro nel 74,5% dei casi e maggiori di 10 centimetri nel 61,6%. Le pazienti sono state trattate con la chirurgia primaria debulking seguita da un regime chemioterapico a base di platino oppure con la chemioterapia neoadiuvante, sempre a base di platino, seguita da chirurgia debulking cosiddetta di intervallo. Dopo l’intervento, i tassi di effetti avversi e la mortalit? hanno mostrato la tendenza a essere pi? elevati in seguito a chirurgia primaria rispetto all’approccio di intervallo. L’hazard ratio per il decesso all’analisi intention-to-treat ? risultata pari a 0,98 nel gruppo avviato a chemio neoadiuvante rispetto a chirurgia primaria seguita dalla chemioterapia mentre l’hazard ratio per la progressione di malattia si ? attestata sull’1,01. In entrambi i gruppi, la rimozione completa di tutta la malattia macroscopica si ? distinta come la pi? forte variabile indipendente nel predire la sopravvivenza globale. Lo studio ? targato European organization for research and treatment of cancer – Gynaecological cancer group e Ncic clinical trials group – a Gynecologic cancer intergroup collaboration.

N Engl J Med, 2010; 363:943-53

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S? a chirurgia profilattica con mutazioni di Brca1 e 2

9 Feb 2011 Oncologia

Nelle donne portatrici di mutazioni dei geni Brca1 e Brca2, la mastectomia profilattica si associa a una riduzione del rischio di cancro mammario. Nella stessa tipologia di pazienti la salpingo-ooforectomia riduce il rischio di cancro ovarico, prima diagnosi di cancro mammario, mortalit? per tutte le cause, mortalit? specifica per tumore al seno e per cancro ovarico. Questi dati sono frutto di una multicentrica prospettica effettuata da Susan Domchek, Abramson cancer center della university of Pennsylvania school of medicine di Philadelphia, e collaboratori, su una coorte di 2.482 donne con mutazioni di Brca 1 e 2 accertate tra il 1974 e il 2008 e seguite fino alla fine del 2009 in collaborazione con 22 centri clinici e di ricerca genetica europei e nordamericani: nessun caso di tumore al seno ? stato diagnosticato tra le 247 donne avviate a mastectomia profilattica rispetto ai 98 casi registrati tra le donne non sottoposte alla procedura chirurgica. Rispetto alle donne non sottoposte a salpingo-ooforectomia a scopo profilattico, le donne avviate all’intervento hanno beneficiato di una riduzione del rischio di cancro ovarico, comprese quelle con pregresso cancro mammario (6% vs 1%, hazard ratio, HR 0,14) e quelle che in precedenza non avevano sviluppato un tumore al seno (6% vs 2%, HR 0,28). La salpingo-ooforectomia ha ridotto anche il rischio di prima diagnosi di cancro mammario nelle portatrici di mutazione di Brca1 (20% vs 14%, HR 0,63) e Brca2 (23% vs 7%, HR 0,36). Sempre rispetto alla donne non trattate con salpingo-ooforectomia profilattica, nelle pazienti sottoposte all’intervento ? emersa un’associazione con la riduzione della mortalit? per tutte le cause (10% vs 3%, HR 0,40), della mortalit? specifica per il cancro al seno (6% vs 2%, HR 0,44) e della mortalit? specifica per il cancro ovarico (3% vs 0,4%, HR 0,21).

Jama, 2010; 304(9):967-75

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Recidiva di cancro ovarico, Ca125 non ha valore predittivo

4 Gen 2011 Oncologia

Il trattamento precoce della recidiva del cancro ovarico, praticato esclusivamente sulla base del riscontro di livelli aumentati di Ca125, non ? supportato da evidenze di beneficio sulla sopravvivenza: pertanto non ? provato il valore della misurazione di routine di Ca125 nel follow-up delle pazienti affette da cancro ovarico che ottengono una risposta completa dopo il trattamento di prima linea. ? piuttosto netto il verdetto ottenuto da Gordon J. S. Rustin del Mount Vernon Cancer centre di Northwood (Regno Unito) e collaboratori al termine di uno studio randomizzato effettuato su 529 pazienti in remissione completa dopo chemioterapia di prima linea a base di platino e con livelli normali di Ca125. I valori del marcatore tumorale sono stati misurati ogni tre mesi. Quando le concentrazioni di Ca125 erano almeno due volte maggiori del limite superiore della norma i pazienti venivano allocati a chemioterapia precoce (n=265) o ritardata (n=264). I pazienti e i centri erano informati della collocazione nel gruppo di trattamento precoce e la terapia veniva iniziata nel tempo pi? rapido possibile, entro 28 giorni dalla acquisizione del valore aumentato di Ca125. I pazienti assegnati al gruppo di trattamento ritardato continuavano a essere sottoposti a misurazioni mascherate del marker e la chemioterapia si instaurava al momento della recidiva clinica o sintomatica. Dopo un follow-up mediano di 56,9 mesi dalla randomizzazione e la registrazione di 370 decessi (186 nel gruppo in terapia precoce, 184 in terapia ritardata), non ? emersa alcuna evidenza di una differenza relativa alla sopravvivenza globale tra i due gruppi (hazard ratio, Hr: 0,98). La sopravvivenza mediana a partire dalla randomizzazione si ? attestata su 25,7 e 27,1 mesi, rispettivamente, per i pazienti in trattamento precoce e ritardato.

Lancet, 2010; 376(9747): 1155-63

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Tumori della cavit? orale e dell?esofago e relazione inversa tra Vitamina-D intr

3 Dic 2010 Oncologia

I dati relativi all?associazione tra Vitamina-D e neoplasie del tratto digestivo superiore sono limitati.

Ricercatori dell?International Epidemiology Institute, a Rockville, negli Stati Uniti, hanno esaminato la relazione tra assunzione alimentare di Vitamina D e carcinoma dell?esofago a cellule squamose ( 304 casi ) e tumore orofaringeo ( 804 casi ) in due studi italiani caso-controllo.

Gli odds ratio ( OR ) aggiustati per carcinoma dell?esofago a cellule squamose e tumore orofaringeo sono stati, rispettivamente, pari a 0.58 e 0.76 per il pi? alto terzile di assunzione di vitamina D.

Utilizzando un gruppo di riferimento costituito da persone nel pi? alto terzile che non avevano mai fumato o erano ex fumatori, gli OR sono stati pari a 8.7 per il carcinoma dell?esofago a cellule squamose e 10.4 per il carcinoma orofaringeo per i forti fumatori nel pi? basso terzile di assunzione di Vitamina-D; in modo simile, rispetto alle persone nel pi? alto terzile di Vitamina-D che bevevano meno di 3 bevande alcoliche al giorno, i corrispondenti OR sono stati pari a 41.9 per il carcinoma dell?esofago a cellule squamose e 8.5 per quello orofaringeo tra i pesanti bevitori nel pi? basso terzile di Vitamina D.

In conclusione, sono state osservate associazioni inverse tra assunzione alimentare di Vitamina D e rischio di tumore dell?esofago a cellule squamose e, forse, di tumore orofaringeo, pi? pronunciate per i forti fumatori e i forti consumatori di alcol.

Lipworth L et al, Ann Oncol 2009; 20: 1576-1581

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