Condroitinsolfato modula l’angiogenesi sinoviale nell’artrosi

31 Mag 2012 Ortopedia

Nelle aree infiammate delle membrane sinoviali artrosiche, è espresso un fenotipo proangiogenico caratterizzato da una maggiore presenza di interleuchina-1beta (Il-1beta); quest’ultima induce un disequilibrio tra fattori proangiogenici e antiangiogenici nei fibroblasti sinoviali che il condroitinsolfato tende a normalizzare, evidenziando un nuovo meccanismo d’azione del farmaco nell’artrosi. La scoperta è stata effettuata da un team europeo coordinato da Cécile Lambert dell’Unità di ricerca su osso e cartilagine di Liegi (Belgio), basandosi su biopsie delle aree normale/reattive (N/R) o infiammatorie (I)  della sinovia al momento dell’atto chirurgico. Lo stato infiammatorio è stato stabilito sulla base di criteri macroscopici come vascolarizzazione, formazione di villi e aspetto ipertrofico del tessuto. È stata quindi valutata l’espressione di Cd45, fattore di von Willebrand, e antigene Vegf in entrambi i tipi di biopsia. Si è poi misurata la produzione di Il-6, Il-8, Vegf e trombospondina-1 (Tsp-1). I fibroblasti sono stati messi in colture in assenza o in presenza d Il-1beta e con o senza condroitinsolfato. Si è determinata l’espressione genica di fattori sia proangiogenici, come quello di crescita vascolare endoteliale (Vegf), sia antiangiogenici, tra i quali l’inibitore della crescita vascolare endoteliale (Vegi), la Tsp-1 e la Tsp-2. Si è infine stimata la produzione di Vegi e Tsp-1. L’immunoistochimica ha dimostrato nelle biopsie relative alle aree I, rispetto a quelle delle aree N/R, un aumento di infiltrazione linfocitaria, densità vascolare, ed espressione di Vegf. Si è visto che le cellule sinoviali della zona I, rispetto alle altre, producevano più Il-6, Il-8 e Vegf, ma meno Tsp-1. Si è anche verificato che l’espressione di fattori proangiogenici da parte dei fibroblasti sinoviali veniva stimolato dall’Il-1beta. Il condroitinsolfato, infine, eliminava l’effetto inibitorio esercitato da Il-1beta su fattori antiangiogenici, Vegi e Tsp-1.

Arthritis Res Ther, 2012 Mar 12;14(2):R58

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Fratture atipiche femore, effetto di classe dei bisfosfonati

9 Feb 2012 Ortopedia

Con una comunicazione diretta agli operatori sanitari, l’Agenzia italiana del farmaco ha diffuso importanti informazioni relative al rischio di fratture atipiche del femore associate all’uso dei bisfosfonati. L’ente ha reso noto che, seppur raramente, sono state segnalate, associate a terapia a lungo termine per l’osteoporosi, fratture atipiche del femore. Queste si verificano spontaneamente o dopo un trauma minimo e alcuni pazienti manifestano dolore alla coscia o all’inguine, spesso associato a evidenze di diagnostica per immagini di fratture da stress, settimane o mesi prima del verificarsi di una frattura femorale completa. Questi eventi sono considerati un effetto di classe dei bisfosfonati ed è stata aggiunta, alle informazioni del prodotto, un’avvertenza relativa a questo rischio. Il bilancio complessivo dei benefici e dei rischi dei singoli bisfosfonati nelle indicazioni terapeutiche autorizzate rimane favorevole, ma ribadisce l’Aifa, durante il trattamento con bisfosfonati i pazienti devono essere informati di segnalare qualsiasi dolore alla coscia, all’anca o all’inguine e qualsiasi paziente che manifesti tali sintomi deve essere valutato per la presenza di un’incompleta frattura del femore. La durata ottimale del trattamento con bisfosfonati, conclude il documento, per l’osteoporosi non è stata ancora stabilita. La necessità di un trattamento continuativo deve essere rivalutata periodicamente in ogni singolo paziente in funzione dei benefici e rischi potenziali della terapia con bisfosfonati, in particolare dopo 5 o più anni d’uso.

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Rottura del crociato anteriore, ricostruzione oltre i 40 anni

2 Gen 2012 Ortopedia

Con il diffondersi dell’attività fisica ad alto livello in età più avanzata, è divenuta frequente la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio, tipica lesione dello sportivo. Se questa avviene sopra i 40 anni, è controverso se sia preferibile un atteggiamento conservativo, soprattutto per timore di un maggiore tasso di complicanze (rigidità, artrofibrosi, infezioni, problemi di guarigione della ferita, malattia tromboembolica), o se optare per l’intervento di ricostruzione. Claudio Legnani, dell’Università di Milano, e collaboratori, hanno stilato una guida per il migliore approccio terapeutico sulla base di una revisione sistematica di 17 articoli. Vari report hanno dimostrato eccellenti risultati con la ricostruzione del crociato negli ultra 40enni, in termini di soddisfazione soggettiva, ritorno all’attività precedente, ridotte complicanze. Alcuni autori citano addirittura ottimi esiti in pazienti di 50 anni e oltre. Sebbene vi siano pochi studi di alto livello, i dati riportati in letteratura suggeriscono che la ricostruzione del crociato possa essere eseguita con successo in pazienti meno giovani motivati e appropriatamente selezionati con instabilità sintomatica del ginocchio e che vogliono tornare a partecipare ad attività ricreative o ad attività sportive che richiedono elevate prestazioni. Per massimizzare l’outcome è fondamentale eseguire la Rm, allo scopo di verificare la presenza di eventuali lesioni multiple ed escludere modificazioni artritiche. I fattori in base ai quali decidere sono: occupazione, sesso, livello di attività del soggetto, quantità di tempo speso nello svolgimento di attività di elevato livello, presenza di lesioni associate nel ginocchio; l’età fisiologica e il livello di attività sono più importanti dell’età cronologica. In generale, si può proporre l’intervento a chiunque desideri ristabilire la pregressa attività, indipendentemente dall’età; la ricostruzione della cinematica del ginocchio, inoltre, riduce il rischio di ulteriori danni, come l’insorgenza di artrosi.

J Orthop Traumatol, 2011 Nov 11. [Epub ahead of print

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Viti riassorbibili prima scelta nelle fratture del calcagno

2 Gen 2012 Ortopedia

Nella stabilizzazione delle fratture del calcagno, le viti riassorbibili presentano pari efficacia e minori effetti collaterali rispetto alle placche metalliche. È quanto emerge da uno studio condotto da Zhang Jingwei, del Sesto ospedale di Ningbo nello Zhejiang (Cina), e colleghi. Il trial clinico randomizzato ha valutato l’esito degli interventi di stabilizzazione in pazienti con fratture intra-articolari del calcagno operati tra il 2007 e il 2009. In 52 pazienti sono state impiegate placche metalliche, mentre nei rimanenti 47 viti riassorbibili. A un anno dall’intervento, la funzionalità dell’articolazione è risultata perfettamente sovrapponibile nei due gruppi. Misurata con l’American orthopaedic foot and ankle society ankle-hindfoot score, una scala che combina le valutazioni del paziente con l’esame obiettivo del chirurgo, ha dato 71,6 per i pazienti che avevano subito l’impianto della placca, 72,3 per quelli in cui erano state impiegate le viti riassorbibili. Analoghi risultati sono stati ottenuti dalle misurazioni con il Foot function index (21,4 per il primo gruppo, 22,7 per il secondo) e con il calcaneal fracture scoring system (73,5 vs 75.1). Differenze significative sono state riscontrate invece nell’incidenza di effetti avversi. Nel primo gruppo si sono registrati sei casi di difficoltà nella cicatrizzazione della ferita, un’infezione profonda e quattro tendiniti. Nel secondo, soltanto un’infezione superficiale della ferita. Dati, che fanno concludere agli autori che le viti riassorbibili siano da preferire nella stabilizzazione delle fratture sia per la minore incidenza di effetti avversi, sia perché non necessitano di rimozione chirurgica.

J Trauma, 2011 Oct 13. [Epub ahead of print]

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Osteoartrosi, conferme sul sodio ialuronato intrarticolare

9 Nov 2011 Ortopedia

L’efficacia e la sicurezza dell’iniezione intrarticolare di ialuronato di sodio per il trattamento dell’osteoartrosi, già evidenziato in diversi trial clinici, si conferma in uno studio osservazionale italiano, condotto nell’ambito della normale pratica medica. La ricerca, coordinata da Calogero Foti dell’università Tor Vergata di Roma, ha coinvolto 47 centri specialistici di fisiatria, ortopedia e reumatologia, nei quali è stata studiata una popolazione di 1.266 pazienti ambulatoriali, caratterizzata da una certa predominanza femminile (66%). L’articolazione più comunemente interessata era quella del ginocchio, mentre la durata mediana maggiore della malattia riguardava l’articolazione del carpo (40-60 mesi). In tutti i casi sono stati somministrati per via intrarticolare 2mL di ialuronato di sodio, una volta alla settimana per 3 settimane. Il tasso di eventi avversi è risultato dello 0,8%; in particolare ne sono stati segnalati 13, dei quali 12 di gravità lieve o moderata; solo 1 paziente ha dovuto abbandonare lo studio, ma non si sono avuti eventi avversi gravi. Una cosomministrazione di anestetico locale è stata richiesta dai pazienti in una quota variabile, fino al 10% dei casi. Si sono registrati significativi miglioramenti ai punteggi della scala Vas (Visual analogue scale), dell’Haq (Health assessment questionnaire) e dell’EuroQoL (Euro-quality of life) questionnaire, indicativi, rispettivamente, di una riduzione del dolore, di una migliorata mobilità articolare e di un’accresciuta qualità di vita.

Eur J Phys Rehabil Med, 2011; 47(3):407-15

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Radicolopatia lombare, caudali epidurali non raccomandate

5 Nov 2011 Ortopedia

Nella radicolopatia lombare cronica le iniezioni epidurali caudali di soluzione salina o di steroidi non sono da raccomandare. La sentenza viene da uno studio multicentrico, in cieco, placebo-controllato, effettuato da un team guidato da Trond Iversen, dell’Ospedale universitario della Norvegia del Nord, a Tromsø. Tra l’ottobre del 2005 e il febbraio del 2009 sono stati valutati 461 pazienti con radicolopatia lombare >12 settimane, di cui 328 sono stati esclusi dallo studio per presenza di varie patologie (tra le quali sindrome della coda equina, pregressa iniezione o chirurgia spinale, trattamento in corso con Fans, indice di massa corporea (Bmi)>30). I partecipanti hanno ricevuto, entro un intervallo di 2 settimane, 2 iniezioni: in un gruppo sottocutanee sham da 2 mL di salina 0,9%, in un altro caudali epidurali da 30 mL di salina 0,9%, in un terzo caudali epidurali di 40 mg di triamcinolone acetonide in 29 mL di salina 0,9%. La misura di outcome primario era il punteggio dell’indice di disabilità di Oswestry, quella di outcome secondario la misura europea della qualità di vita e gli score della scala analogica visuale per il mal di schiena e il dolore alle gambe. Tutti i pazienti erano migliorati dopo gli interventi, ma non si sono trovate differenze statistiche o cliniche fra i gruppi nel tempo. Per il gruppo sham (n=40) il cambio stimato dell’indice di disabilità di Oswestry dal valore basale aggiustato è risultato di -4,7 a 6 settimane, -11,4 a 12 settimane e -14,3 a 52 settimane. Per il gruppo intervento con salina epidurale (n=39) rispetto allo sham le differenze per l’outcome primario sono state di -0,5 a 6 settimane, 1,4 a 12 settimane e -1,9 a 52 settimane; per il gruppo con steroidi epidurali (n=37), infine, le differenze corrispondenti si sono attestate su -2,9, 4,0 e 1,9. L’analisi aggiustata per la durata del dolore alle gambe, della lombalgia e delle assenze per malattia non ha modificato questo trend.

BMJ 2011, 343: d5278

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Sciatica, steroidi sistemici poco efficaci e poco tollerati

30 Set 2011 Ortopedia

Gli steroidi sistemici non solo non sono più efficaci del placebo nel trattamento della sciatica, ma sono gravati da maggiori effetti collaterali. Il rapporto tolleranza/efficacia non è pertanto favorevole all’uso di questi farmaci in tale indicazione. È la conclusione di una review sistematica e meta-analisi compiuta da un gruppo di studiosi coordinati da Cécile Roncoroni, del dipartimento Emergenze dell’ospedale Albert Michallon, a Grenoble (Francia). Per effettuare la ricerca sono stati selezionati 7 studi randomizzati placebo-controllo che avevano come obiettivo la valutazione dell’efficacia e della tollerabilità degli steroidi in soggetti con sciatica. Tra i 383 pazienti presi in considerazione, la differenza del tasso di risposta tra chi assumeva placebo e steroidi non si è dimostrata statisticamente significativa (rischio relativo, Rr: 1,22). La percentuale di eventi avversi è stata di 13,3 per i pazienti inseriti nel gruppo steroidi e del 6,6 per quelli nel gruppo placebo (Rr: 2,01). Il ricorso alla chirurgia si è reso necessario in 20 soggetti (15,3%) del gruppo che assumeva steroidi e in 7 (5,7%) di quelli che ricevevano placebo. Infine, nei pazienti ai quali venivano somministrati steroidi sistemici è emersa una tendenza più accentuata al ricorso alla chirurgia spinale (Rr: 1,14). La qualità metodologica ha influenzato marginalmente i risultati e non si sono riscontrati bias di pubblicazione. Rheumatology, 2011; 50(9):1603-11

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Anziani con frattura del femore: dannoso ritardare la chirurgia

28 Set 2011 Ortopedia

Nei pazienti anziani con frattura del femore, ritardare l’intervento chirurgico determina morbilità e mortalità maggiori. Questi aumenti sono in gran parte spiegati da ragioni mediche all’origine del ritardo. Questa la conclusione di uno studio prospettico di coorte coordinato da Maria T. Vidán, dell’ospedale universitario Gregorio Marañon di Madrid, che ha coinvolto 2.250 soggetti anziani ricoverati in ospedale per frattura del femore. Quattro i parametri che i ricercatori spagnoli hanno preso in considerazione: il tempo di attesa prima dell’intervento chirurgico, i motivi di un eventuale ritardo, la mortalità ospedaliera e il rischio di complicanze. L’intervallo di tempo tra ricovero e intervento è stato mediamente di 72 ore. La carenza di sale operatorie disponibili (60,7%) e problemi medici acuti (33,1%) sono stati i principali motivi per ritardi superiori alle 48 ore. I tassi di mortalità in ospedale e di complicazioni sono stati, mediamente, di 4,35% e 45,9%, ma di 13,7% e 74,2% in pazienti clinicamente instabili. Quanto più si è prolungato il tempo che ha preceduto l’intervento, tanto maggiori sono risultati i tassi di mortalità e di complicanze mediche. Dopo aggiustamenti per età, demenza, condizioni croniche e funzionalità, l’associazione tra tempo di attesa prima dell’intervento chirurgico e maggiori morbilità e mortalità è rimasta valida per ritardi superiori alle 120 ore. I rischi si sono attenuati dopo aggiustamento per la presenza di condizioni mediche acute come causa del ritardo. Il rischio di infezione del tratto urinario è rimasto elevato, mentre non sono emerse interazioni tra ritardo ed età, demenza o stato funzionale. Ann Intern Med, 2011; 155(4):234-245

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Fratture vertebrali, la Cina raccomanda la vertebroplastica

10 Lug 2011 Ortopedia

Da una meta-analisi effettuata su studi randomizzati, e non, scaturisce, in considerazione dei costi elevati della cifoplastica, una raccomandazione preferenziale per la vertebroplastica (Vp) sulla cifoplastica (Kp) nel trattamento delle fratture vertebrali da compressione di origine osteoporotica. Il lavoro ? stato condotto dal gruppo di Fan Shun-wu del Sir Run Run Shaw hospital, presso l’universit? Zhejiang ad Hangzhou (Cina), su 8 studi che hanno arruolato in totale 848 pazienti. Questi studi hanno posto a confronto le due strategie valutando come outcome primario l’effetto sul dolore (scala analogica visuale), la disabilit? (score sulla disabilit? di Oswestry) e le complicazioni. L’outcome ha dimostrato che Vp ? pi? efficace di Kp nel dare sollievo dal dolore a breve termine (non pi? di 7 giorni) mentre Kp si ? dimostrata superiore in relazione al miglioramento funzionale a medio termine (circa 3 mesi). Non ? emersa alcuna differenza significativa tra i due interventi in termini di analgesia e miglioramento funzionale sul lungo termine. Le due tecniche, infine, comportano i rischi simili di incorrere successivamente in una frattura o a leakage (fuoruscita) di cemento.

Int Orthop, 2011 Jun 3. [Epub ahead of print]

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Fratture femorali atipiche da bisfosfonati

9 Lug 2011 Ortopedia

L’uso a lungo termine di bisfosfonati, la classe di farmaci pi? utilizzata per contrastare l’osteoporosi, sembra associato a fratture atipiche di femore, come emerge da recenti studi che hanno associato la somministrazione prolungata del farmaco a fratture a bassa energia a livello della regione subtrocanterica o della diafisi femorale. Una ricerca compiuta dall’?quipe di Yoram A. Weil, del dipartimento di Ortopedia dell’Hadassah Hebrew university hospital di Gerusalemme, ha indagato sull’outcome dopo intervento chirurgico: nonostante l’osteoporosi iniziale, i risultati dell’esame Dexa possono collocarsi al di fuori del range dell’osteoporosi per il collo del femore. Inoltre, in questi pazienti si verifica un pi? alto tasso di fallimento dell’impianto intramidollare che necessita di chirurgia di revisione. Per lo studio sono stati arruolati 15 pazienti (14 donne e 1 uomo, et? media: 73 anni) che presentavano 17 diversi tipi di fratture atipiche del femore associate a un utilizzo di bisfosfonati superiore a tre anni (in media 7,8 anni). I dati raccolti includevano il tipo di frattura, la durata del trattamento, l’ultimo punteggio della densitometria ossea con tecnica Dexa per il collo del femore e per le vertebre, la tipologia di intervento chirurgico e la necessit? della sua revisione. Nel dettaglio, 14 pazienti presentavano, in seguito a traumi a bassa energia, fratture della diafisi femorale (prossimale e distale) o della regione subtrocanterica inferiore. In 13 soggetti, il T-score medio di densit? minerale ossea relativo alle vertebre lombari era di -3,0, mentre quello medio del collo del femore era di -1,8, con solo 3 pazienti nel range dell’osteoporosi. La guarigione della frattura dopo il primo intervento chirurgico con inserimento di chiodi intramidollari si ? verificata nel 54% dei casi, mentre nel 46% si ? reso necessario un intervento di revisione. Nella totalit? dei casi il trattamento della frattura ha avuto buon esito.

J Trauma, 2011 May 23. [Epub ahead of print]

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