La chirurgia precoce per i casi gravi di sciatica potrebbe alleviare il dolore pi? rapidamente rispetto al trattamento conservativo con eventuale chirurgia alla bisogna, ma gli esiti ad un anno sono simili. E’ stato anche dimostrato che i pazienti con spondilolistesi degenerativa e stenosi spinale sottoposti a chirurgia presentano esiti migliori nell’arco di due anni rispetto a quelli che non vi vengono sottoposti. La chirurgia del disco lombare viene spesso effettuata su pazienti con una sciatica che non si risolve entro sei settimane, ma la tempistica ottimale dell’intervento non ? nota. Sin dal primo intervento del genere effettuato nel 1934, si ? convenuto che questa opzione dovesse essere offerta solo se i sintomi persistono a seguito di un periodo di terapia conservativa, ma non vi ? consenso su quanto a lungo quest’ultima debba essere tentata prima di ricorrere alla chirurgia. I pazienti che non riescono a gestire il dolore alla gamba sono propensi alla chirurgia, trovano il decorso naturale della ripresa dalla sciatica inaccettabilmente lento e desiderano accelerare la ripresa dal dolore. I pazienti il cui dolore viene invece controllato in modo accettabile possono decidere di posporre l’intervento nella speranza che non sia veramente necessario, senza ridurre le proprie probabilit? di ripresa completa a 12 mesi. Nei pazienti con sciatica persistente, vi ? una scelta ragionevole fra trattamento chirurgico o conservativo, che pi? essere influenzata da avversione al rischio chirurgico, gravit? dei sintomi e volont? di attendere la guarigione spontanea, in quanto la finestra terapeutica non sembra chiudersi rapidamente. (N Engl J Med. 2007; 356: 2239-43 e 2245-56)
I pazienti con osteoporosi e fratture vertebrali da compressione non traumatiche potrebbero trarre significativi benefici da esercizi di potenziamento dei muscoli estensori posteriori. Questi pazienti presentano meno di frequente nuove fratture e vanno incontro a periodi liberi da fratture pi? prolungati rispetto ai pazienti che non effettuano questi esercizi. Con la vertebroplastica percutanea si piazza del cemento osseo nelle vertebre collassate parzialmente o totalmente, ma bench? questa procedura offra un sollievo immediato dal dolore per molti pazienti,. Essa ? anche associata ad un sostanziale tasso di nuove fratture. L’aggiunta dell’esercizio dei muscoli estensori posteriori con training posturale (ROPE) potrebbe estendere i tempi fra gli episodi di frattura nei pazienti sottoposti a vertebroplastica, e dato che essa non comporta particolari rischi, risulta anche sicura per i pazienti medicamente idonei. (Mayo Clin Proc 2008; 83: 54-7)
Un algoritmo composto da 11 variabili cliniche prontamente disponibili offre un semplice mezzo per stratificare il rischio di frattura d’anca nelle donne in et? postmenopausale. Queste fratture sono associate a morbidit?, mortalit? e costi significativi, e l’identificazione delle pazienti a rischio ? un passo verso la prevenzione. Sono ora necessari ulteriori studi per valutare le implicazioni cliniche dell’algoritmo in generale e nello specifico per identificare i benefici del trattamento: la scelta delle pazienti da analizzare e trattare ? basata sulle risorse disponibili e su giudizi sociali e politici, e la conoscenza del livello di rischio consentir? scelte consapevoli nell’equilibrio fra variazioni dello stile di vita ed interventi medici. (JAMA. 2007; 298: 2389-98)
Non vi sono prove a supporto dell’applicazione di consulenze o addestramento nelle tecniche di sollevamento sul posto di lavoro con o senza equipaggiamento per il sollevamento di carichi per la prevenzione del dolore lombare e della conseguente disabilit?. Sono state indicate tecniche specifiche per la riduzione del carico sulla schiena: precedenti studi sugli interventi lavorativi avevano gi? messo in dubbio il ruolo dell’educazione nella prevenzione del dolore lombare correlato al lavoro, ed anche se studi primari non avevano riscontrato alcun effetto dell’addestramento sull’incidenza del dolore alla schiena, ci? poteva essere incidentale o causato dalle piccole dimensioni dei campioni, ma il presente studio conferma questo dato, ponendo in dubbio l’utilit? delle attuali pratiche di consulenza dei lavoratori sulle corrette tecniche di sollevamento. Anche se potrebbero esservi altre ragioni per proseguire in questa pratica, essa non previene comunque il dolore lombare. E’ necessaria una migliore comprensione del legame causale fra l’esposizione a fattori stressanti biomeccanici sul lavoro ed il susseguente sviluppo di dolore lombare per consentire lo sviluppo di nuovi metodi preventivi innovativi. Intanto gli studi clinici randomizzati sul dolore lombare non specifico andrebbero interrotti, in quanto comprendono cos? tanti tipi diversi di dolore lombare che i risultati sono difficili da interpretare. I pi? comuni consigli che vengono dati al paziente di rimanere a lavoro e mantenersi fisicamente attivi per quanto possibile potrebbero non essere adeguati per i soggetti il cui lavoro implica il sollevamento di carichi pesanti e che hanno un’anamnesi di dolore lombare ricorrente e diversi periodi di assenza per malattia: proseguire il lavoro manuale pesante ed incrementare l’attivit? fisica nel tempo libero potrebbe non essere una buona idea in quanto non sono disponibili terapie chiaramente efficaci. Cambiare lavoro e rimanere prudentemente attivi nella vita quotidiana potrebbe essere per questi pazienti il miglior modo di ripredere il controllo di s?. (BMJ online 2008, pubblicato l’1/2)
La presenza di lesioni della sostanza bianca si accompagna a ipertensione, maggior rischio di cadute e difficolt? fisiche e cognitive, che a loro volta possono incidere sugli esiti meccanici di una caduta. Queste le relazioni dimostrate, finch? un gruppo di medici e ricercatori di Padova non ha pensato di analizzare il ruolo delle lesioni cerebrali come fattore di rischio indipendente. La frattura dell`anca ha origine multifattoriale, specie nella terza et?, dove rappresenta un evento drammatico conseguente ad una maggior facilit? alle cadute, per la diminuita prontezza dei riflessi difensivi, abbinata alla minore resistenza ossea. In generale il rischio di fratture che caratterizza gli anziani deriva dai fisiologici deficit neurologici, muscoloscheletrici e sensoriali che compromettono le capacit? individuali di reagire ad una caduta. Aggiungendo, a questo stato di vulnerabilit?, ambienti o comportamenti pericolosi, piuttosto che la presenza di altre disabilit?, diviene molto difficile per l`anziano mettere in atto quei movimenti compensatori capaci di minimizzare il rischio di rottura. L`intento del gruppo di Padova era verificare se le lesioni della sostanza bianca danneggiassero aree chiave per l`integrazione neurale tra gli emisferi, compromettendo proprio la capacit? di evitare le cadute laterali, quelle che con maggior frequenza esitano in una frattura del femore.
Lo studio
All`interno della coorte del Progetto Veneto Anziani, uno studio osservazionale di popolazione effettuato su residenti di Camposanpietro e Rovigo, sono stati selezionati soggetti d`et? uguale o superiore a 65 anni che accettassero di sottoporsi a risonanza magnetica cerebrale. Pi? della met? del campione originario (822 su 1599 persone) ha accettato di partecipare a questa ulteriore indagine. Le immagini della risonanza sono state interpretate da un unico radiologo che ha classificato le lesioni presenti come: focali (una o due localizzate in ogni sito, anche corticali) o diffuse (3 o pi? lesioni sottocorticali o periventricolari). Due soggetti sono stati esclusi perch? le immagini risultavano illeggibili, per gli altri 820 il follow up ? durato 9 anni con due visite di controllo, al quinto e al settimo anno. Tra i test effettuati al reclutamento c`era anche il Mini-mental state examination e un colloquio per definire il livello di disabilit? nelle attivit? quotidiane.
Risultati
Nel corso di tutto il periodo d`osservazione si sono verificati 51 casi di frattura del femore. Incrociando questo dato con quelli raccolti nell`anamnesi, si ? evidenziato un incremento del rischio di rottura del femore nei soggetti con lesioni diffuse alla risonanza magnetica cerebrale. Rispetto ai coetanei senza lesioni della sostanza bianca, il rischio di frattura era 2,7 volte pi? elevato, nella fascia d`et? 65-80 anni; mentre la presenza di lesioni focali in questo stesso gruppo d`et? non mostrava relazioni significative. Nessuna relazione tra rischio di frattura e lesioni, focali o diffuse, ? emersa negli ultraottantenni, probabilmente anche a causa della scarsa numerosit? di questo gruppo di soggetti.
Provvedimenti
Gli autori dello studio concludono che, sulla base di questi dati, sarebbe opportuno istituire dei programmi d`intervento multifattoriale, per diminuire il rischio di cadute negli anziani con lesioni diffuse della sostanza bianca. Tuttavia ? giusto segnalare che lo studio cos? disegnato sconta due limitazioni, che suggeriscono l`opportunit? di confermare i dati con ulteriori trial. Primo: il sottogruppo che si ? autoselezionato, dal pi? ampio campione rappresentativo della popolazione generale over 65enne, era costituito da soggetti pi? sani della media generale, sia dal punto di vista fisico sia da quello cognitivo. In secondo luogo, le lesioni diffuse non sono state ulteriormente classificate secondo un indice di severit?, n? rispetto all`area cerebrale di localizzazione.
L’osteoporosi maschile ? una condizione comune, clinicamente importante, ed ancora ampiamente sottostimata.
Una condizione comune: circa il 25-30% delle fratture di femore si verifica nell’uomo. Il progressivo invecchiamento della popolazione si traduce in un aumento dell’incidenza globale e dei costi sanitari, come recentemente dimostrato anche nel nostro Paese.
Una condizione clinicamente importante: la mortalit? associata a fratture ? superiore nell’uomo rispetto alla donna, raggiungendo il 30% un anno dopo frattura di femore. A fronte di questi dati, la consapevolezza del problema ? ancora scarsa, e anche nei casi conclamati (frattura di femore), la percentuale dei pazienti che ricevono un trattamento adeguato ? marcatamente minore rispetto alla popolazione femminile.
La terapia con corticosteroidi prolunga la deambulazione indipendente di pi? di tre anni nei pazienti con distrofia di Duchenne, e diminuisce anche il rischio di scoliosi, bench? questo beneficio giunge al prezzo di un maggior numero di fratture vertebrali e degli arti inferiori. Per giungere quindi ad una decisione informata, pazienti e genitori devono soppesare rischi e benefici della terapia corticosteroidea. Per stabilire il rischio di complicazioni ossee con questa terapia ? necessario raccogliere dati comparativi su fattori come et?, integrazione di calcio e vitamina D, et? all’inizio del trattamento e standardizzazione della metodologia, ed in particolare con l’inclusione del contenuto minerale osseo approssimato per area, altezza in relazione all’et? ed area ossea in relazione all’altezza. (Neurology. 2007; 68: 1607-13)
Dai risultati dello studio REAL, che conferma l’efficacia dei bisfosfonati nel trattamento dell’osteoporosi, emerge la specifica capacit? del risedronato di ridurre il rischio di fratture al femore. Questo ampio studio osservazionale retrospettivo, condotto in oltre 33.000 pazienti ultrasessantacinquenni, ha analizzato gli effetti di due farmaci (risedronato e alendronato) sull’incidenza di fratture non-vertebrali, in particolare quelle a carico del femore. Dai dati ottenuti ? emerso che i soggetti trattati con risedronato presentavano, rispetto a quelli che avevano assunto alendronato, una significativa e precoce riduzione dell’incidenza di fratture non-vertebrali: 19% e 18%, rispettivamente a 6 e 12 mesi. Inoltre, per quanto riguarda le fratture femorali, tale riduzione era pari al 46% gi? dopo 6 mesi di follow-up.
Studi murini suggeriscono che il blocco dell’attivit? del VEGF sopprime il riassorbimento osseo di natura infiammatoria indotto dalla presenza di detriti in soggetti sottoposti a sostituzione articolare. La proliferazione vasale nello sviluppo del deposizionamento dell’impianto ? stata finora ignorata negli studi clinici, e pertanto ? necessario comprendere meglio il ruolo della segnalazione VEGF e dell’angiogenesi in questo fenomeno. Ulteriori informazioni sul ruolo del VEGF potrebbero portare a farmaci nuovi ed innovativi atti a prevenire il deposizionamento dell’impianto, e ci? potrebbe migliorare la longevit? delle articolazioni artificiali e limitare i costi psicologici ed economici a carico del paziente. (J Rheumatol 2007; 34: 27-35)
Il test FRAMO, composto da quattro regole predittive, pu? determinare il rischio di frattura d’anca e di mortalit? nelle donne anziane. Le fratture d’anca sono molto frequenti fra le pazienti anziane, e si tratta di un evento che comporta elevati livelli di morbidit? e mortalit?. Il test FRAMO si ? dimostrato in grado di identificare la maggior parte delle donne che vanno poi incontro a frattura nei due anni successivi, e che potrebbero dunque essere candidate per energiche misure preventive. Dopo la menopausa, qualsiasi sia il livello di rischio, il medico dovrebbe incoraggiare modifiche basilari dello stile di vita per la prevenzione delle fratture, quali l’attivit? fisica regolare, la cessazione del fumo ed una buona nutrizione che includa quantit? adeguate di calcio e vitamina D, ma quando il test FRAMO indica la presenza di un rischio elevato ? possibile valutare anche diversi altri tipi di intervento. (Ann Fam Med. 2007; 5: 48-56)