Lo screening mammografico va incentivato

L’accesso omogeneo allo screening mammografico deve diventare una priorit? del governo nei prossimi anni. ? questo l’accorato appello che ha lanciato Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna onlus, con una lettera aperta presentata al presidente del Consiglio durante il Forum “Screening mammografico, un diritto delle donne, un dovere delle istituzioni”. E che ci fosse bisogno di una presa di posizione forte e improcrastinabile lo confermano tristemente i numeri: in Italia meno del 70% delle donne di et? compresa tra i 50 e i 69 anni, fascia target dello screening mammografico italiano, viene inviato alla mammografia biennale. E delle donne invitate, soltanto la met? scarsa accetta di sottoporsi all’esame. La situazione ? particolarmente drammatica nel meridione, dove la percentuale di donne che ricorre allo screening ? ancora pi? bassa. ?Eppure, i dati nazionali e internazionali dimostrano che nelle donne che partecipano allo screening biennale la riduzione della mortalit? arriva fino al 50%? afferma Francesco Cognetti, direttore del reparto di Oncologia medica dell’Istituto nazionale tumori del Regina Elena di Roma ?a dimostrazione dell’efficacia dei programmi di prevenzione?. In Italia il carcinoma mammario ? il tumore femminile pi? diffuso, e fa registrare ogni anno 38mila nuovi casi, che vanno ad aggiungersi alle oltre 450mila donne che attualmente convivono con la malattia. ?A fronte di questi numeri? conclude Annamaria Mancuso ?il Governo deve farsi carico delle carenze organizzative che interessano troppe zone del Paese, attivando una serie di iniziative e mettendo al centro della politica sanitaria la tutela della salute delle donne?.

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Asa in prevenzione primaria e secondaria

Il lavoro francese, apparso su Gut, ha analizzato l?espressione della ciclossigenasi-2 (Cox-2) negli adenomi colorettali, in relazione all?effetto protettivo gi? dimostrato nei confronti delle loro recidive da basse dosi di Asa. Il trial, randomizzato, controllato e in doppio cieco, ha confrontato la nuova comparsa di adenomi dopo terapia con Asa a basso dosaggio o placebo, effettuando colonscopie di verifica degli esiti dopo 1 e 4 anni. L?espressione della Cox-2 ? stata determinata mediante immunoistochimica su ogni adenoma riscontrato alla colonscopia basale, in modo separato a livello dell?epitelio, dello stroma profondo e sul campione globale. Sono state studiate anche l?architettura, il grado di displasia, la mutazione K-ras, l?espressione di p53 e ciclina D1.

Protezione da adenomi a bassa espressione iniziale di Cox-2

La rilevazione dell?espressione della Cox-2 ? stata possibile in 219 adenomi provenienti da 136 pazienti: 128 adenomi (58%) da 59 soggetti esprimevano la Cox-2 in modo molto marcato. Tale tipo di espressione ?forte? era predominante negli adenomi pi? larghi di 10 mm e in quelli ad alto grado di displasia. L?espressione iniziale di Cox-2 a livello stromale profondo, e non epiteliale, era predittiva di recidiva adenomatosa nell?intera popolazione. L?effetto protettivo dell?Asa si ? osservato principalmente nei pazienti in cui l?espressione iniziale della Cox-2 era bassa (Rr per recidiva in pazienti che assumono Asa con bassa espressione della Cox-2: 0,59;). Non c?era invece un significativo effetto dell?Asa alla fine del trial. In conclusione, la sovraespressione della Cox-2 era frequente e predominava negli adenomi larghi e ad ampio grado di displasia e l?Asa non ha agito in modo preferenziale nei pazienti in cui gli adenomi in fase iniziale esprimevano in modo marcato la Cox-2.

Deludente nei diabetici senza storia di cardiovasculopatie

Una metanalisi, condotta da Naveed Younis, del Wythenshawe Hospital di Manchester (UK), e collaboratori, ha valutato i benefici dell?Asa in soggetti con diabete mellito ai fini della prevenzione primaria della malattia cardiovascolare (Cv), ricercando sui database Medline e Cochrane gli studi adeguati. Relativamente alla riduzione del rischio di eventi Cv maggiori nel gruppo Asa rispetto a quello controllo, sei trial, per complessivi 7.374 pazienti con diabete, non hanno evidenziato benefici in termini di mortalit? totale, riduzione del rischio (Rr=0,96), eventi Cv maggiori (Rr=0,90) e infarto del miocardio (Rr=0,95). Inoltre il rischio di sanguinamento maggiore nei pazienti trattati con Asa, rispetto ai controlli, non ? apparso significativo (Rr=2,49). Negli studi esaminati, concludono gli autori, la terapia con Asa non ha ridotto il rischio di eventi Cv; se ? vero che i trial esistenti hanno il limite di basarsi su piccoli numeri di pazienti e ridotte frequenze di eventi, l?uso di Asa non pu? essere raccomandato routinariamente per la prevenzione primaria degli eventi Cv nel diabete.
(Gut, 2010; 59(5):568-9
Expert Opin Pharmacother, 2010 Apr 29. [Epub ahead of print])

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Bpco e marcatori di declino respiratorio

16 Giu 2010 Pneumologia

Sono state identificate nel plasma alcune proteine che permettono di distinguere, tra soggetti adulti fumatori affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), chi ? destinato a un declino rapido, piuttosto che lento, della funzione polmonare. I risultati della ricerca, effettuata da un team di bioingegneri di una societ? di Richmond (Usa), sono apparsi su Analytical and Bioanalytical Chemistry. Il proteoma (ossia l’insieme delle proteine espresse dal genoma) plasmatico di 38 adulti fumatori di mezza et? o pi? anziani, con Bpco di grado variabile, da lieve a moderato e con un declino del Fev1 (volume espiratorio forzato in 1 secondo) classificato come rapido (Rpd, n=20) oppure lento o assente (Slw, n=18), sono stati testati utilizzando un approccio proteomico integrale a elevata capacit? di elaborazione. I dati relativi a peptidi e proteine sono stati analizzati utilizzando tre approcci statistici per superare le ambiguit? correlate all’elevata proporzione di dati persi inerente all’analisi proteomica. I gruppi Rpd e Slw si sono differenziati tra loro per 55 peptidi che sono stati mappati su 33 sole proteine. Di queste, 12 avevano ruoli noti nella cascata del complemento o della coagulazione e, nonostante l’impossibilit? di apportare correzioni per alcuni fattori conosciuti nell’influenzare il declino della funzione polmonare, suggeriscono il loro impiego come potenziali biomarker associati in modo meccanicistico alla velocit? di perdita di funzione polmonare nella Bpco. Per sapere se queste proteine siano la causa o al contrario il risultato di un declino accelerato saranno necessari ulteriori studi.

Anal Bioanal Che, 2010 May 5. [Epub ahead of print]

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La caffeina aiuta il lavoro dei turnisti

La caffeina pu? aiutare i lavoratori soggetti a turni o che lavorano durante la notte a commettere meno errori e, di conseguenza, a ridurre il rischio di eventi avversi quali incidenti stradali, infortuni o errori medici. ? quanto emerge da una revisione sistematica Cochrane di 13 studi clinici relativi agli effetti della caffeina sulla qualit? e sui risultati delle attivit? dei lavoratori soggetti a turnazione, per lo pi? in condizioni di lavoro simulate. La caffeina ? stata somministrata in modi diversi: nel caff?, sotto forma di pillole, attraverso bevande energizzanti o tramite il cibo. La performance ? stata valutata attraverso test neuropsicologici oppure valutando la capacit? di svolgere determinate attivit?, come guidare. La caffeina sembra ridurre gli errori se confrontata con un placebo o con brevi periodi di riposo e aumenta la performance in alcuni test neuropsicologici che coinvolgono la memoria, l’attenzione, la percezione e l’elaborazione di un concetto e di un ragionamento. Nonostante nessuno degli studi clinici abbia misurato gli incidenti sul lavoro, il miglioramento delle prestazioni nei test si potrebbe tradurre in una riduzione del numero dei danni causati dalla sonnolenza. “Sembrerebbe ragionevole assumere che la riduzione degli errori si associ a un minor numero di infortuni” affermano i ricercatori nelle conclusioni dello studio della London School of Tropical Medicine “anche se non possiamo quantificare questa riduzione”. Poich? gli effetti dell’abolizione dei ritmi circadiani varia con l’et?, e quella media dei partecipanti agli studi era compresa tra i 20 e i 30 anni, sembrano necessari ulteriori studi per capire come la caffeina influisca sullo stato di allerta nelle persone pi? anziane. Inoltre vanno effettuati ulteriori confronti tra il ricorso alla caffeina e altri interventi mirati a ridurre gli errori sul lavoro.

Cochrane Database Syst Rev. 2010 May 12;5:CD008508

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Tecniche a confronto per l’incontinenza urinaria

14 Giu 2010 Urologia

Per la terapia chirurgica dell’incontinenza urinaria femminile da stress, le bendarelle retropubiche mediouretrali (Rt) senza tensione (tension-free midurethral tapes) dovrebbero rappresentare la prima opzione, ma in futuro quelle transotturatorie (Tot) verranno utilizzate sempre di pi?. ? quanto emerge da una revisione sistematica con metanalisi di dati comparativi circa il ricorso alle tecniche pi? diffuse quali colposospensione di Burch, fionde (sling) pubovaginali, Rt e Tot, effettuata da Giacomo Novara, della Clinica urologica dell’Universit? di Padova, e collaboratori. Utilizzando Medline, Embase, Scopus, i database Web of Science e il Cochrane Database of Systematic Reviews, sono stati selezionati 39 trial randomizzati controllati, da includere nell’analisi. ? emerso che le donne trattate con RT presentano tassi di cura complessiva (Or: 0,61) e obiettiva (Or: 0,38) – valutati con il test della tosse – significativamente pi? alti di quelle sottoposte a colposospensione o ad applicazione di sling. D’altra parte, con Rt ? superiore il rischio di perforazione della vescica (Or: 4,94). Le pazienti trattate con Rt e sling pubovaginali presentano simili tassi di cura. Tuttavia, nel secondo caso c’? una probabilit? leggermente superiore di sperimentare sintomi da riempimento delle basse vie urinarie (Or: 0,31) e di avere una maggiore frequenza di reintervento (Or: 0,31). Nelle donne in cui si ? impiegato il Rt si registrano tassi di cura obiettiva un poco pi? alti (Or: 0,8) rispetto all’impiego del Tot; i tassi di cura soggettiva comunque sono simili e le pazienti trattate con Tot hanno avuto un rischio molto inferiore di perforazioni vescicali e vaginali (Or: 2,5), ematoma (Or: 2,62) e sintomi da riempimento del tratto urinario inferiore (Or: 1,35). L’eterogeneit? delle misure di outcome e la breve durata dei follow-up, fanno notare gli autori della revisione, limitano la solidit? dei riscontri.

Eur Urol, 2010 Apr 23. [Epub ahead of print]

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Anche i trigliceridi minacciano le coronarie

13 Giu 2010 Cardiologia

Elevati livelli di trigliceridi (Tg) possono essere un’importante causa di morte cardiaca. Lo si deduce dai risultati di una ricerca genetica condotta all’Universit? di Cambridge (Uk) da un consorzio internazionale. Per accertare il nesso causale tra Tg e malattia coronarica, finora incerto, si ? utilizzata la “randomizzazione mendeliana”, ossia lo studio di persone con differenti versioni di un gene noto per influenzare i livelli ematici dei Tg. In particolare, si ? valutato il polimorfismo -1131T>C (rs662799) del promotore del gene dell’apolipoproteina A5 (ApoA5) in relazione alla concentrazione dei Tg e a vari altri fattori di rischio tra cui quello di malattia coronarica. Si ? poi confrontato il rischio di malattia nei casi di concentrazione di Tg geneticamente aumentata (20.842 pazienti con coronaropatia, 35.206 controlli) con quello riportato, a fronte di differenze equivalenti nella concentrazione di Tg circolanti, in studi prospettici (302.430 partecipanti senza malattia cardiovascolare pregressa; 12.785 casi incidentali di coronaropatia durante 2,79 milioni di persone/anno a rischio). -1131T>C non ? apparso significativamente associato ai vari fattori di rischio non lipidici o alla colesterolemia-Ldl, mentre ? risultato modestamente correlato a una minore colesterolemia-Hdl e a livelli maggiormente ridotti o pi? elevati, rispettivamente, di apolipoproteina AI e apolipoproteina B. Al contrario, in presenza dell’allele C si ? rilevata una concentrazione media dei TG del 16,0% o di 0,25 mmol/L, ossia pi? elevata, con una odds ratio per malattia coronarica di 1,18, dato concordante con l’hazard ratio di 1,10 per una concentrazione pi? elevata del 16% di TG rilevata negli studi prospettici. -1131T>C, infine, ? risultato significativamente correlato a concentrazioni pi? elevate di particelle VLdl e a particelle Hdl di dimensioni pi? piccole, fattori che potrebbero mediare gli effetti dei Tg.

Lancet, 2010; 375(9726):1634-9

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Estrone alto, anziani a rischio di cancro prostatico

12 Giu 2010 Urologia

Nei soggetti pi? anziani, livelli molto elevati di estrone sono fortemente associati a un rischio aumentato di cancro prostatico incidente. Nessun altro ormone sessuale risulta correlato allo sviluppo successivo di questa neoplasia. ? quanto emerso in uno studio caso-coorte, condotto nell’ambito dell’Osteoportic fractures in men study su soggetti di et? >/= 65 anni residenti in comunit? e reclutati da sei cliniche statunitensi. Dopo un follow-up medio di 4,7 anni, tutti gli uomini con cancro prostatico incidente confermato e un campione casuale dell’intera coorte (sottocoorte; et? media: 73 anni) sono stati selezionati per l’analisi: dopo aver escluso i pazienti con storia di cancro prostatico e quelli che riferivano al basale una terapia con androgeni o antiandrogenica, sono rimasti da studiare 275 casi e 1.652 non-casi con misure complete degli ormoni sessuali. Al basale (prediagnosi) sono stati analizzati i livelli sierici di testosterone, estradiolo, estrone e sex-hormone binding globulin; l’associazione tra tumori incidenti e ogni ormone sessuale ? stata poi calcolata mediante modelli di rischio a regressione proporzionale secondo Cox aggiustati per et?, razza, luogo dello studio, indice di massa corporea e tempo/persona. Si ? cos? evidenziato che, nella sottocoorte, il rischio di cancro prostatico per i soggetti dei tre quartili pi? elevati (>24,9 pg/dL), rispetto a quello degli uomini nel quartile inferiore, era quasi quattro volte superiore (3,93 dopo aggiustamento per la frequenza cardiaca).

Urology, 2010 May 7. [Epub ahead of print]

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Cancro al seno: personalizzazione delle cure

12 Giu 2010 Oncologia

Contro la neoplasia pi? frequente tra le donne, la strategia terapeutica pu? contare oggi su degli approcci terapeutici basati sulla target therapy, terapia mirata in grado di colpire con precisione le cellule tumorali.

Il cancro alla mammella pu? presentarsi in diverse forme, per questo la personalizzazione delle cure rappresenta la sfida pi? impegnativa per l’oncologia. La tipizzazione istologica del tumore e le caratteristiche della paziente possono influire sulla storia clinica del tumore e sulla risposta alla terapia.

Sono circa 38.000 i nuovi casi di tumore al seno diagnosticati ogni anno in Italia. Primato negativo per la Lombardia che ? al primo posto per quanto riguarda la diffusione di questo tumore con 7.400 nuovi casi e oltre 1.500 decessi l?anno, ma molto del primato ? dovuto al primo posto della Lombardia come adesione delle donne ai programmi di screening.

Gli anticorpi monoclonali hanno oggi un ruolo fondamentale nel trattamento di tumore mammario e hanno costituito una svolta nel trattamento delle donne colpite dalla malattia, soprattutto nelle forme pi? aggressive.
La diagnosi precoce consente inoltre di identificare tumori di piccole dimensioni, inferiori al centimetro, spesso non palpabili: la prognosi in questi casi ? decisamente favorevole perch? consente di intervenire precocemente con la pi? adeguata strategia terapeutica.
Non sempre, tuttavia, i tumori di piccole dimensioni sono meno aggressivi: un esempio ? il tumore HER2 positivo, che insorge spesso in donne giovani ed ha uno sviluppo rapido. La terapia adiuvante con Trastuzumab ( Herceptin ) subito dopo l?intervento chirurgico sta cambiando la storia di guaribilit? di queste forme.

Trastuzumab ? il primo anticorpo monoclonale ad essere utilizzato nel trattamento di un tumore solido. Rappresenta la terapia d?elezione per i tumori HER2 positivi, perch? in grado di bloccare le cellule con elevata espressione del recettore HER2.
Trastuzumab induce delle risposte anche come terapia neoadiuvante e, in associazione con la terapia ormonale, nelle fasi di malattia avanzata, quando le metastasi sono diffuse, aumentando la sopravvivenza rispetto alla sola terapia ormonale.

Nelle fasi avanzate di malattia e in tutti i casi di tumore HER2 negativi, l?altra terapia biotecnologica di riferimento ? Bevacizumab ( Avastin ), un anticorpo monoclonale.
Terapia di prima linea per il trattamento del tumore della mammella metastatico, Bevacizumab ? il primo farmaco antitumorale che ha come bersaglio l?angiogenesi.
Nella fase metastatica della malattia, le terapie a bersaglio molecolare, come Bevacizumab, hanno infatti dato un ulteriore contributo riuscendo a controllare la malattia impedendone la progressione. Prevenendo il collegamento del tumore con i vasi sanguigni circostanti, il tumore rimane senza rifornimento di sangue, elemento critico per la sua crescita, sopravvivenza e diffusione.
L?impiego di Bevacizumab in associazione con il chemioterapico Paclitaxel ( Taxol ) raddoppia le possibilit? di sopravvivenza senza progressione di malattia nelle pazienti con tumore della mammella metastatico.

Obiettivo nel trattamento e cura del tumore della mammella ? innanzitutto guarire le donne, ma anche salvaguardarne la qualit? di vita. In questo senso gli anticorpi monoclonali, che hanno come obiettivo specifici bersagli molecolari presenti sulle cellule tumorali o nel circolo sanguigno, permettono di limitare al massimo i numerosi effetti collaterali della chemioterapia.

Fonte: Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori Milano, 2009

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Livelli vitamina D inversamente correlati al lupus

Nei pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (Les) le concentrazioni sieriche di 25-idrossicolecalciferolo sono correlate inversamente all’attivit? della malattia, tanto che si comincia a considerare l’opportunit?, in questi casi, di ricorrere alla somministrazione routinaria di vitamina D. Questa l’ipotesi formulata in un lavoro condotto da Howard Amital, del dipartimento di Medicina interna del ‘D’ Meir medical centre di Kfar-Saba (Israele), e collaboratori. Sono stati raggruppati i dati relativi a 378 pazienti provenienti da varie coorti europee e israeliane ed ? stata misurata l’attivit? della loro patologia utilizzando due diversi punteggi: in 278 soggetti lo Sle disease activity 2000 (Sledai-2K) e in 100 l’European consensus lupus activity measurement (Eclam); per consentire la combinazione dei due metodi, e rendere cos? possibile l’effettuazione dei calcoli statistici sull’insieme dei dati, i punteggi sono stati convertiti in valori standardizzati (z-scores). L’ipotesi che si voleva verificare era se la vitamina D fosse in qualche modo correlata all’attivit? del Les. ? risultato che esiste una correlazione negativa significativa tra i livelli ematici di colecalciferolo e i punteggi di attivit? della patologia misurati con le scale Sledai-2K ed Eclam (coefficiente di correlazione di Pearson r = 0,12, p = 0,018).

Ann Rheum Dis, 2010 May 3. [Epub ahead of print]

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Anziani depressi e ipertesi: pi? disabilit? fisiche

10 Giu 2010 Geriatria

La depressione, da sola o in associazione all’ipertensione, nei soggetti pi? anziani ? associata a un grado maggiore di disabilit? funzionale e deficit cognitivo, e tale effetto non ? attribuibile al numero o alla gravit? delle comorbidit?. Questa la conclusione di uno studio osservazionale condotto da Angelo Scuteri, dell’Uo geriatria, Inrca Irccs di Roma, e collaboratori, su 6.180 pazienti ospedalizzati (et?=79,3+/-5,8 anni; 47% uomini). La depressione ? stata valutata mediante la 15-item Geriatric depression scale (Gds), la disabilit? fisica con i punteggi dell’Activities of daily living (Adl) e dell’Instrumental activities of daily living (Iadl), il peggioramento cognitivo attraverso il Mini-mental state examination (Mmse) test, il numero e la severit? delle comorbidit? tramite le medie della physician-administered Cumulative illness rating scale (Cirs). Sul totale dei soggetti studiati il 48,3% era normoteso, il 21,8% normoteso e depresso, il 21,7% iperteso e l’8,2% iperteso e depresso. Sia la depressione che l’ipertensione sono rimaste significativamente associate con la disabilit? funzionale e il peggioramento cognitivo, ma verificando et?, sesso, numero e gravit? delle comorbidit? ? emerso che, mettendo a confronto i controlli normotesi senza depressione, l’ipertensione era associata a una probabilit? significativamente maggiore di andare incontro a una disabilit? funzionale (Or=2,02) o a una riduzione cognitiva (Or=2,21) soltanto in presenza di depressione.

Arch Gerontol Geriatr, 2010 Apr 21. [Epub ahead of print]

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