Anemia e carenza di ferro nel paziente scompensato

Nella sezione dell’ACP Journal Club dell’ultimo numero degli Annals of Internal Medicine [April 20,2010;152 (8)] viene riportato un interessante commento del lavoro che Stefan Anker et al. hanno pubblicato verso la fine del 2009 sul New Engl J Med (Ferric carboxymaltose in patients with heart failure and iron deficiency. New Engl J Med. 2009;361:2436-48.) relativo ad una problematica clinica che molto spesso sottovalutiamo: una terapia marziale ben condotta pu? migliorare i sintomi nei pazienti con scompenso cardiaco cronico (HF), ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra e carenza di ferro?
Lo studio multicentrico, randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo e condotto con la metodica dell’intention-to-treat, ha avuto un periodo di follow-up di 24 settimane per i risultati di efficacia e di 26 settimane per i risultati di sicurezza ed ha interessato 461 pazienti (et? media 68 anni, 53% di sesso femminile) con scompenso cronico, frazione di eiezione ventricolare sinistra Sono stati valutati la qualit? della vita, le modificazioni della classe funzionale NYHA ed il test del cammino in 6 minuti.
I principali risultati sono riportati in QUESTA tabella acclusa e possono essere cos? sintetizzati:
1.a 24 settimane, il gruppo trattato con Ferro ha migliorato tanto la classe funzionale NYHA, quanto la qualit? della vita (KCCQ punteggio medio 66 vs 59, p<0,001; EQ-5D punteggio medio 63 vs 57, p<0,001); anche i risultati del test di autovalutazione (PGA) e di quello delcammino [maggiore distanza percorsa in 6 minuti (media 313 vs 277 m, p<0,001)] sono risultati migliori
2.i gruppi dei trattati e dei controlli non hanno evidenziato differenze significative per tassi di ricovero o morte a 26 settimane
3.il miglioramento della classe NYHA e nel questionario di autovalutazione erano simili per i sottogruppi di pazienti con o senza anemia (p=0,98 e p=0,51 rispettivamente).
Nel commento, a firma di Robb D. Kociol e di L. Newby Kristin, del Duke Clinical Research Institute di Durham, North Carolina, USA, pur sottolineando che vi sono tutte le basi fisiopatologiche per ritenere appropriato un approccio di questo tipo che dimostrerebbe fra l’altro come il miglioramento non sia imputabile al solo aumento dei livelli di Hb (? stato infatti osservato anche nei pazienti non anemici), si sottolineano tuttavia alcune precisazioni metodologiche relative alla validit? pi? o meno acclarata dei questionari di autovalutazione, alla scarsit? della casistica e alla non uniformit? delle cause dello scompenso che non consentono di consigliare con una adeguata “forza” tale metodologia terapeutica.

Rimane comunque il problema che troppo spesso noi clinici sottovalutiamo gli aspetti di base del paziente, in questo caso un deficit marziale fino all’anemia, concentrandoci unicamente sulla sola problematica emergente.

ACP Journal Club 2010;152(4).

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Alto rischio di TVP dopo cancro prostatico

29 Mag 2010 Oncologia

Tutti gli uomini con cancro alla prostata hanno un maggior rischio di malattia tromboembolica rispetto alla popolazione generale, ed il rischio di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP) ? “particolarmente elevato” in chi si sottopone a terapia ormonale. Il rischio ? aumentato (quasi raddoppiato) per TVP e PE, ma non per l’embolismo arterioso anche se, per quest’ultimo, i numeri sono piccoli. Questi risultati provengono da una nuova analisi dei dati dello Swedish National Prostate Cancer Register, pubblicata online il 14 aprile sulla rivista Lancet Oncology.
Questo stesso team ha recentemente segnalato, dallo stesso database, che il rischio per malattia cardiovascolare ? aumentato dalle terapie ormonali utilizzate nel cancro alla prostata. Risultati analoghi sono stati riportati da diversi altri studi; all’inizio di quest’anno l’aumentato rischio di malattia cardiovascolare, presente negli uomini con tumore della prostata trattati con terapie ormonali, ? stato evidenziato in un’advisory emanata, nel febbraio 2010, di concerto dall’American Heart Association, American Cancer Society e American Urological Association. Se le terapie ormonali rappresentino un reale fattore di rischio aggiuntivo, alla luce di questi dati non ? possibile dirlo; anche perch?, pur essendosi osservata in corso di terapia ormonale una maggiore incidenza soprattutto di patologie vascolari venose, ed anche in misura minore arteriose, si trattava sempre di pazienti pi? anziani e con malattia neoplastica localmente pi? avanzata e/o metastatica.
Il messaggio principale di questi rilievi ? che gli uomini con cancro della prostata, in trattamento con terapie ormonali, devono essere controllati per le malattie cardiovascolari e, soprattutto, per quella tromboembolica venosa, in quanto sono ad aumentato rischio di entrambe; tuttavia non per questo motivo non si debbono usare questi trattamenti ormonali, in quanto spesso sono l’unica opzione terapeutica nella neoplasia localmente avanzata e metastatica.

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Marker di cancro prostatico: alternative al Psa

Nel 1980, l?avvento del test del Psa determin? una rivoluzione nelle modalit? di rilevazione del cancro prostatico; oggi il suo valore ? controverso. Un recente studio, condotto al Johns Hopkins Hospital di Baltimora (Usa) da Ashley E. Ross e collaboratori, sottolinea l?inaffidabilit? del test in fase postdiagnostica, nell?ambito dei piani di sorveglianza attiva per soggetti con patologia a basso rischio. Sono stati valutati 290 uomini rispondenti ai criteri per il monitoraggio (tra cui densit? del Psa<0,15 ng/mL/cm3 e Gleason score < o =6) mediante due o pi? misure seriali del PSA, tra il 1994 e il 2008. Il follow-up comprendeva una biopsia all?anno di controllo. Mediante analisi Roc sono state calcolate la sensibilit? e la specificit? della Psav (velocit? di aumento del Psa) e del Psadt (tempo di raddoppiamento del Psa) come fattori predittivi di progressione cancerosa e di patologia aggressiva. Un indicatore carente anche nel monitoraggio In tutto 188 uomini (65%) sono rimasti in sorveglianza attiva mentre 102 (35%) hanno evidenziato una progressione del tumore alla biopsia eseguita a un follow-up mediano di 2,9 anni. Il Psadt non ? apparso associato significativamente con i riscontri patologici successivi e il Psav in modo solo marginale. I valori soglia di Psav e Psadt non hanno dimostrato n? elevata sensibilit? n? specificit? per l?avanzamento del cancro. Nei soggetti sottoposti a prostatectomia radicale, inoltre, i due indicatori non sono risultati correlati alla presenza di patologia chirurgica sfavorevole. Pertanto, ? la conclusione, la cinetica postdiagnostica del Psa non predice in modo affidabile una malattia ostile e non andrebbe utilizzata come sostituzione della biopsia annuale nei piani di sorveglianza attiva. Promettenti il Pca 3, il K1-67 e i geni di fusione Sono stati proposti perfezionamenti al test del Psa ma nessuno, anche per motivi pratici, ha trovato la strada di un ampio impiego clinico. Dan Berney, del Centro di oncologia molecolare della Queen Mary University di Londra, su Drug News & Perspectives descrive le alternative al Psa: la pi? promettente ? forse il Pca 3, ossia il prostate cancer gene 3, contenuto ad alti livelli nelle cellule tumorali che lo liberano nell?urina dopo esplorazione digitorettale. Il grado patologico del tumore comunque resta il pi? potente fattore prognostico; molto affidabile ? anche l?estensione della neoplasia nella biopsia. Tra i marcatori tissutali, finora deludenti, spicca la proteina Ki-67, indicatore cellulare di proliferazione. La recente scoperta, nella prostata, di una famiglia di geni di fusione (riarrangiamenti aberranti della struttura del Dna), ha suscitato un ampio dibattito riguardo al loro ruolo prognostico.
(J Clin Oncol, 2010 May 3. [Epub ahead of print]
Drug News Perspect, 2010;23(3):185-94)

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Ca mammario, aspirina riduce metastasi a distanza

Le donne che hanno completato il trattamento per un cancro della mammella in fase iniziale e che prendono l’aspirina hanno un rischio di morte e di metastatizzazione a distanza ridotto di quasi il 50% rispetto alle donne che non l’assumono.?L’affermazione si basa su una analisi specifica dei dati ricavati dal Nurse’s Health Study, un ampio studio prospettico osservazionale che ha coinvolto pi? di 125.000 infermiere americane con lo scopo di studiare i fattori di rischio per il cancro e le malattie cardiovascolari. La sottopolazione studiata comprendeva 4.164 infermiere (di et? compresa tra i 30 ed i 55 anni, nel 1976) cui era stato diagnosticato un cancro del seno in stadio I, II, III e che avevano assunto ASA a vario dosaggio per pi? di 1 anno dal termine di un trattamento chirurgico o radioterapico o chemioterapico. Questi i risultati:
alla fine del follow-up si sono verificati 341 decessi per cancro al seno
usare l’aspirina era associato ad un ridotto rischio di morte del cancro al seno
il rischio relativo aggiustato (RR) per 1 giorno, 2-5 giorni e 6-7 giorni di uso di aspirina a settimana, rispetto al non uso, ? stato pari rispettivamente a 1,07 (95% CI, 0,70-1,63), 0,29 (95% CI, 0,16-0,52) e 0,36 (95% CI, 0,24-0,54; il valore di p per il trend lineare ? risultato <0,001)
questa riduzione del rischio non differisce sensibilmente per stadio della neoplasia, stato menopausale, indice di massa corporea, o stato dei recettori degli estrogeni
i risultati sono stati simili per le recidive a distanza; il RR ? stato dello 0,91 (95% CI, 0,62-1,33), 0,40 (95% CI, 0,24-0,65) e 0,57 (95% CI, 0,39-0,82; test per il trend P = 0,03) per 1,2-5 e da 6-7 giorni di utilizzo di aspirina, rispettivamente.
Gli investigatori pur ammettendo che non ? al momento ancora chiaro il motivo per il quale l’aspirina esplica questi benefici, suppongono che, riducendo l’infiammazione – fattore strettamente associato allo sviluppo del cancro – l’ASA possa portare a questi risultati, anche se l’assunzione di altri FANS non ottiene i medesimi outcome.

Journal of Clinical Oncology 2010;28(9):1467-72.

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Nefropatia ipertensiva, protettivo bicarbonato di sodio

26 Mag 2010 Nefrologia

In caso di nefropatia ipertensiva, che spesso porta a una progressiva perdita della funzione renale nonostante l’adeguato controllo farmacologico della pressione, l’assunzione quotidiana di bicarbonato di sodio per via orale costituisce, insieme all’Ace-inibizione, un’efficace protezione per il rene, complementare al trattamento antipertensivo. ? questo l’esito di una sperimentazione effettuata nei dipartimenti di Medicina interna di due strutture ospedaliere di Temple (Texas), il Texas A&M college of medicine e lo Scott and White healthcare. Ashutosh Mahajan, prima firma del lavoro, e collaboratori avevano gi? scoperto che, dopo due anni di somministrazione per os di citrato di sodio, rallentava il declino della velocit? di filtrazione glomerulare (Gfr) in pazienti la cui Gfr stimata (eGfr) era molto bassa (media: 33 ml/min). Questa volta si ? voluto testare il bicarbonato di sodio in soggetti affetti da nefropatia ipertensiva ma con eGfr ridotta o relativamente conservata (media: 75 ml/min) tramite uno studio prospettico, randomizzato, placebo-controllato e di intervento in cieco. I pazienti, abbinati per et?, etnia, albuminuria ed eGfr, hanno ricevuto ogni giorno un placebo oppure cloruro o bicarbonato di sodio, mentre venivano mantenuti i regimi antipertensivi (compresa l’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina) non potendo derogare dai target pressori loro raccomandati. Dopo 5 anni la velocit? del declino dell’eGfr, valutato misurando nel plasma la cistatina C, era diminuita e l’eGfr risultava pi? elevata nei pazienti del gruppo bicarbonato di sodio rispetto a quelli trattati con placebo o cloruro di sodio.

Kidney Int, 2010 May 5. [Epub ahead of print]

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Fattori di rischio di recidiva di fibrillazione atriale

25 Mag 2010 Cardiologia

principali fattori di rischio per recidive di fibrillazione atriale (Fa) sono un’anamnesi positiva per due o pi? episodi di Fa nei sei mesi precedenti – indipendentemente dalla modalit? di recupero del ritmo sinusale (Rs), spontanea o tramite cardioversione (Cve) – e una bassa frequenza cardiaca durante il Rs. Questo l’esito di uno studio condotto da Marcello Disertori, del dipartimento di Cardiologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, e collaboratori, nell’ambito del trial Gissi-Af (Gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell’infarto miocardico-Atrial fibrillation). Obiettivo della ricerca: raccogliere informazioni utili per la definizione della migliore strategia ai fini della prevenzione secondaria. Sono stati coinvolti 1.442 pazienti in Rs con almeno due episodi documentati di Fa nei sei mesi addietro o dopo Cve nelle ultime due settimane. I soggetti sono stati randomizzati a ricevere valsartan o placebo; tutti gli altri trattamenti per Fa o malattie cardiache sottostanti erano permessi. Gli end point primari erano rappresentati dal tempo intercorso fino alla prima recidiva di Fa e la proporzione di pazienti con pi? di un episodio di Fa durante un follow-up di un anno. Sono state valutate le caratteristiche cliniche ed elettrocardiografiche alla baseline di tutti i pazienti per identificare, mediante un modello Cox multivariato, gli elementi predittivi indipendenti di recidiva di Fa. I fattori di rischio individuati sono risultati gli stessi anche nel caso di pi? di una recidiva. I pazienti trattati con amiodarone, infine, avevano un rischio inferiore per entrambi gli end point, quelli che assumevano diuretici, invece, maggiore.

Am Heart J, 2010; 159(5):857-63.

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Diabetici con stent, antiaggregante doppio

24 Mag 2010 Cardiologia

Per prevenire fenomeni tardivi di trombosi endoluminale, i pazienti diabetici che hanno ricevuto l’impianto di uno stent a eluizione di farmaco possono trarre beneficio dalla somministrazione di una doppia terapia antiaggregante (Dat) prolungata, anche al di l? di quanto raccomandato dalle linee guida. Ne ? convinta un’?quipe di clinici operanti in tre strutture milanesi (le unit? di cardiologia interventistica dell’Istituto scientifico San Raffaele e dell’Emo-Gvm centro-cuore Columbus e l’unit? di terapia coronarica dell’ospedale Niguarda) dopo aver valutato, in una coorte di diabetici “de novo” ad alto rischio, l’effetto prognostico della sospensione di una tienopiridina rispetto alla comparsa successiva di trombosi dello stent (Ts) o di morte da qualsiasi causa. Dal maggio del 2002 al dicembre del 2005 sono stati studiati 542 pazienti consecutivi affetti da diabete mellito (fattore avverso indipendente sull’outcome) e sottoposti all’intervento, ma nell’analisi finale sono stati inclusi soltanto i 217 che non avevano subito in precedenza una rivascolarizzazione percutanea o chirurgica. Il tempo del follow-up ? stato ridotto a 3,5 anni. Per tutti i soggetti studiati sono state raccolte dettagliate informazioni riguardo alla Dat. Su 217 pazienti, 15 sono deceduti (6,9%) e in 9 casi la causa della morte ? stata cardiaca (4,1%). L’incidenza cumulativa della Ts ? risultata pari al 4,6% (10 soggetti); 3 Ts sono state precoci (1,38%), 5 tardive (2,3%) e soltanto 2 molto tardive (0,9%). Sui 10 casi di Ts, 5 sono state accertate mentre 5 sono state considerate probabili. La maggior parte delle Ts (80%) ? avvenuta entro i primi 6 mesi nel corso della Dat, la cui durata media ? stata di 420 giorni. La sospensione della Dat ? stata l’unico fattore predittivo indipendente degli eventi al follow-up (Hr 20,42).

Am J Cardiol, 2010; 105(10):1395-401

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T3 e T4 elevati: rischio fratture in menopausa

Le donne in postmenopausa con funzione tiroidea vicina ai limiti superiori della norma hanno un elevato rischio di ridotta densit? minerale ossea (Bmd). ? il risultato di uno studio coordinato da Graham R. Williams dell’Imperial college di Londra, che per la prima volta evidenzia come possa incidere sulla salute dell’osso non soltanto una tiroide iperattiva, ma anche una variazione nell’ambito di un normale stato tiroideo in soggetti sani. Lo studio prospettico Opus (the Osteoporosis and ultrasound study) sui fattori correlati alle fratture ha coinvolto 1.278 donne provenienti da cinque diverse citt? europee, tutte sane e nessuna in terapia con farmaci che potessero influenzare la funzione della ghiandola o il metabolismo osseo e minerale. Nel corso dei sei anni dello studio, una funzione tiroidea normale/alta ? risultata associata a ridotta Bmd, aumentata perdita ossea e nuove fratture non vertebrali. In particolare, i livelli pi? elevati di tiroxina (T4) e triiodotironina (T3) libere sono apparsi associati a una Bmd significativamente inferiore all’anca, e i valori pi? alti di T4 libera sono risultati correlati a un’aumentata perdita ossea all’anca. La T3 e la T4 libere sono apparse correlate positivamente l’una con l’altra e negativamente con i livelli di tireotropina (Tsh). Dopo l’apporto di correzioni per et?, indice di massa corporea e Bmd, il rischio di fratture non vertebrali ? aumentato del 20% e del 33% nelle donne con livello pi? elevato, rispettivamente, di T4 e di T3. I valori pi? elevati di Tsh, che si ? rivelato protettivo, hanno ridotto il rischio di tali fratture del 35%.

J Clin Endocrinol Metab, 2010 Apr 21.

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FDA: dubbi sulla sicurezza degli agonisti GnRH, farmaci comunemente usati nel tu

Una revisione preliminare suggerisce che negli uomini trattati con agonisti dell’ormone GnRH, si assiste ad un aumento del rischio di diabete e di alcune malattie cardiovascolari

Secondo un’analisi preliminare e dall’analisi di numerosi studi in corso, da parte della Food and Drug Amministration ( FDA ), l?impiego degli agonisti dell’ormone liberante le gonadotropine ( GnRH ), una classe di farmaci che trova indicazione principalmente nel trattamento degli uomini con tumore alla prostata, ? stato associato un piccolo aumento del rischio di diabete, di infarto miocardico, di ictus e di morte improvvisa.

Sulla base dei risultati iniziali l’ FDA consiglia:

? Gli operatori sanitari devono essere consapevoli di questi potenziali rischi e valutare attentamente i rischi e i benefici degli agonisti del GnRH quando scelgono la terapia per i pazienti con cancro alla prostata.

? I pazienti trattati con un agonista GnRH devono essere monitorati per lo sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari.

? I fattori di rischio cardiovascolare come il fumo e l’aumento della pressione arteriosa, il colesterolo, la glicemia e il peso corporeo, devono essere gestiti secondo la pratica clinica corrente.

? I pazienti non devono interrompere il trattamento con gli agonisti del GnRH se non sotto la guida dello specialista.

Al momento, l’FDA non ? giunta a nessuna conclusione sulla possibilit? che siano gli agonisti del GnRH a causare un aumento del rischio di diabete e di malattie cardiache nei pazienti sottoposti a terapia con questa classe di farmaci per il trattamento del tumore alla prostata.

I farmaci appartenenti alla classe dei GnRH sono commercializzati con i nomi di: Eligard, Lupron, Synarel, Trelstar, Vantas, Viadur e Zoladex. Ci sono anche disponibili molti prodotti generici.

La prostata fa parte del sistema riproduttivo maschile. Negli Stati Uniti il cancro alla prostata ? il secondo tipo di tumore pi? comune che colpisce gli uomini, seguito dal cancro della pelle, e di solito si verifica negli uomini pi? anziani. Secondo i CDC ( Centers for Disease Control and Prevention ), si stima che nel 2010 saranno diagnosticati 203.415 nuovi casi di carcinomi alla prostata e circa 28.372 uomini moriranno.

Gli agonisti del GnRH sono farmaci che sopprimono la produzione di testosterone, un ormone coinvolto nella crescita del tumore della prostata. Questo tipo di trattamento ? denominato terapia di deprivazione androgenica, o ADT. La soppressione della produzione di testosterone ha dimostrato di ridurre o rallentare la crescita del tumore prostatico.

Alcuni agonisti del GnRh sono usati anche nelle donne per aiutarle a gestire il dolore provocato dall’endometriosi, per migliorare l’anemia associata ai fibroidi uterini prima dell’intervento di isterectomia e in alcuni casi per il trattamento palliativo del tumore mammario in stadio avanzato. Il tempo di utilizzo di questi farmaci, per le donne, non deve superare l’anno, tranne che nel trattamento del cancro al seno. Non sono noti studi analoghi che hanno valutato il rischio di diabete e di malattie cardiovascolari nelle donne trattate con agonisti del GnRH.

Alcuni agonisti del GnRH sono usati anche nei bambini per il trattamento della pubert? precoce centrale. Non sono noti studi che hanno valutato il rischio di diabete e di malattie cardiache nei bambini che assumono agonisti del GnRH.

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FDA: aumentato rischio di danno muscolare con alti dosaggi di Zocor

Sulla base della revisione dei dati di uno studio clinico di ampie dimensioni e di dati di altre fonti, l?FDA ( Food and Drug Administration ) ha informato i medici e i pazienti riguardo a un aumentato rischio di danno muscolare per coloro che assumono il pi? alto dosaggio, approvato, di Simvastatina ( Zocor; in Italia anche Sinvacor, Sivastin ), 80 mg, rispetto ai pazienti trattati con dosaggi pi? bassi e probabilmente con altri farmaci della classe delle statine.

Lo studio sottoposto a revisione ? SEARCH ( Study of the Effectiveness of Additional Reductions in Cholesterol and Homocysteine ).
L?FDA sta anche compiendo una revisione di altri studi clinici, di studi osservazionali, segnalazioni di eventi avversi, e dati sull?uso prescrittivo della Simvastatina per meglio comprendere la relazione tra l?impiego di alti dosaggi di Simvastatina e il danno muscolare.

Il danno muscolare, anche noto come miopatia, ? un noto effetto indesiderato di tutte le statine, farmaci ipocolesterolemizzanti.
I pazienti con miopatia generalmente presentano dolore muscolare, dolorabilit? al tatto o debolezza, e un aumento della creatin-chinasi a livello plasmatico.
Pi? alta ? la dose utilizzata, maggiore ? il rischio di sviluppare miopatia.

Il rischio di miopatia ? anche aumentato quando la Simvastatina, soprattutto a pi? alte dosi, ? impiegata in associazione a certi farmaci [ controindicazioni assolute: Itraconazolo ( Sporanox ) , Ketoconazolo ( Nizoral ), Eritromicina ( Eritrocina ), Claritromicina ( Klacid ), Telitromicina ( Ketek ), inibitori della proteasi per infezione da HIV ].
La pi? grave forma di miopatia ? detta rabdomiolisi. Si presenta quando una proteina ( mioglobina ) ? rilasciata come conseguenza della distruzione delle miofibrille. La mioglobina pu? danneggiare i reni.
I pazienti con rabdomiolisi possono presentare urine scure o rosse, avvertire senso di affaticamento, in aggiunta ai sintomi muscolari.
Il danno ai reni da rabdomiolisi pu? essere cos? grave che i pazienti possono sviluppare insufficienza renale, con esito talora fatale.

I fattori di rischio noti alla base dello sviluppo di rabdomiolisi comprendono: et? maggiore di 65 anni, bassi livelli di ormone tiroideo ( ipotiroidismo ), e scarsa funzione renale.

La miopatia e la rabdomiolisi sono segnalati come possibili effetti indesiderati nella scheda tecnica della Simvastatina e di altre statine.

Lo studio SEARCH ha preso in esame nel corso di 6.7 anni il numero di eventi cardiovascolari maggiori ( infarto miocardico, rivascolarizzazione, e morte cardiovascolare ) in 6.031 pazienti che stavano assumendo 80 mg di Simvastatina rispetto a 6.033 pazienti che invece assumevano 20 mg di Simvastatina.
Tutti i pazienti nello studio avevano sofferto in precedenza di un infarto miocardico.

I risultati preliminari dello studio SEARCH hanno rivelato che pi? pazienti nel gruppo Simvastatina 80 mg hanno sviluppato miopatia, rispetto ai pazienti nel gruppo Simvastatina 20 mg [ 52 casi ( 0.9% ) contro 1 caso ( 0.02% ) ].
Le analisi preliminari dell?FDA dei dati primari hanno inoltre indicato che 11 pazienti ( 0.02% ) nel gruppo Simvastatina 80 mg hanno sviluppato rabdomiolisi, contro nessun paziente nel gruppo Simvastatina 20 mg.

Nel 2008, l?FDA aveva allertato il pubblico riguardo a un aumentato rischio di sviluppare rabdomiolisi quando i dosaggi maggiori di 20 mg di Simvastatina sono somministrati assieme all?Amiodarone ( Cordarone ).

Nel marzo 2010, l?FDA ha approvato una revisione della scheda tecnica della Simvastatina basata sui risultati ad interim di uno studio clinico in corso, HPS2 ( Heart Protection Study 2 ).
Si afferma che i pazienti di discendenza cinese non dovrebbero assumere Simvastatina 80 mg con dosi modificanti il colesterolo di prodotti a base di Niacina. Inoltre, viene raccomandata cautela quando tali pazienti sono trattati con Simvastatina 40 mg o meno in combinazione con dosi modificanti il colesterolo di prodotti contenenti Niacina.
I risultati ad interim di HPS2 hanno mostrato che l?incidenza di miopatia era pi? alta nei pazienti di discendenza cinese ( 0.43% ) rispetto ai pazienti di discendenza non cinese ( 0.03% ), che stavano assumendo 40 mg di Simvastatina pi? un farmaco modificante i livelli di colesterolo ( maggiore o uguale a 1 g/die ) di un prodotto contenente Niacina. Non ? noto se altri pazienti di discendenza asiatica fossero ad aumentato rischio di miopatia.

Inoltre, l?FDA ha avvisato i medici di evitare la prescrizione di dosi di Simvastatina superiori a 40 mg/die, quando i pazienti assumono Diltiazem ( in Italia: Dilzene, Tildiem ), a causa di un aumentato rischio di miopatia.

Fonte: FDA, 2010

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