Tra le giovani la miglior prevenzione dell’osteoporosi

L’osteoporosi si pu? prevenire a partire dall’infanzia, eppure non sono in molti a saperlo. Il dato emerge da una ricerca svolta dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), secondo il quale solo al nord una esigua minoranza di donne (18%) sa che l’osteoporosi si previene fin da bambini e che l’accumulo di calcio e vitamina D insieme all’attivit? fisica regolare a questa et? ? fondamentale per costruire ossa forti. L’Osservatorio ha deciso di affrontare la questione da una duplice prospettiva che concerne sia l’et? giovanile sia l’et? adulta. ?Per cominciare – spiega Francesca Merzagora, presidente Onda – ? necessario puntare di pi? sul ruolo del pediatra, finora quasi sempre escluso, per sensibilizzare alla prevenzione e a una educazione agli stili di vita sani le future donne?. Ma oltre a un maggiore coinvolgimento dei pediatri, un ruolo chiave deve essere giocato dalle istituzioni. ?? necessario? continua Merzagora ?migliorare la prevenzione primaria delle fratture cercando di consentire la prescrizione dei farmaci antifratturativi nei casi pi? esposti?. Una richiesta per quali pazienti? ?In un documento che abbiamo intenzione di proporre a Governo e Parlamento si parla di donne sopra i 70 anni considerate a rischio elevato. Nel 2008, del resto, ? stata approvata in Senato una mozione promossa da Onda che ha portato all’istituzione di un registro nazionale delle fratture da fragilit??. Il prossimo passaggio, almeno nei nostri auspici, sar? la revisione dei criteri dei pazienti da trattare.

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Aumentato rischio di cancro con la mammografia

3 Apr 2010 Oncologia

Alle donne che hanno una predisposizione ereditaria di sviluppare cancro al seno viene consigliato di sottoporsi periodicamente a mammografia, a partire gi? dall’et? di 20 anni.
Tuttavia, ai vantaggi dimostrati da questo metodo di prevenzione si contrappongono per? i danni causati dalle radiazioni utilizzate nella mammografia.

E? stata condotta una revisione di precedenti studi per esaminare se le radiazioni a bassa dose emesse durante la mammografia rappresentino un rischio per l’insorgenza di tumore al seno nelle donne geneticamente predisposte.

Sono stati esaminati 6 studi che hanno affrontato questa problematica, e utilizzando i dati di questi studi, i Ricercatori sono stati in grado di poter stimare la probabilit? del rischio di insorgenza di tumore alla mammella indotto dalle radiazioni.

I Ricercatori hanno inoltre scoperto che, tra tutte le donne ad alto rischio, il rischio medio di insorgenza di tumore mammario causato dalla bassa dose di radiazioni della mammografia ? 1,5 volte maggiore rispetto alle donne ad alto rischio non-esposte alle radiazioni.

Le donne ad alto rischio esposte prima dei 20 anni, o per coloro che sono state esposte per cinque o pi? volte, a radiazioni presentano una probabilit? 2,5 volte maggiore di sviluppare cancro al seno, rispetto alle donne ad alto rischio ma non esposte a radiazioni a bassa dose.

L’esposizione alle radiazioni ? pi? pericoloso nelle giovani donne rispetto alle donne di et? superiore a causa dell’alto tasso di crescita cellulare.

Secondo C. Marijke Jansen-van der Weide, dell’University Medical Center di Groningen in Olanda, ? importante per le donne pi? giovani e ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno valutare, con l’aiuto del medico, il rapporto rischio/beneficio dello screening mammografico.

Fonte: Radiological Society of North America, 2009

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Screening del tumore della cervice uterina: nuove evidenze a supporto della pratica clinica

2 Apr 2010 Oncologia

Il tumore della cervice uterina (CCU) ? per importanza, nei paesi industrializzati, la quarta neoplasia della donna dopo i carcinomi della mammella, del polmone e del colon-retto mentre nei paesi sottosviluppati ? la prima. I programmi di monitoraggio periodico (screening) hanno portato ad una riduzione del numero di nuovi casi del 50 ?60%. La malattia raggiunge il massimo di incidenza nella terza decade di vita e nelle sue fasi precoci ? praticamente asintomatica. Il segno d’allarme ? la piccola perdita ematica genitale, ma spesso in questa fase la diagnosi ? di una malattia che potrebbe essere non pi? in fase iniziale. Il Pap test rappresenta la tecnica che, negli ultimi 50 anni, si ? rivelata pi? efficace negli screening per la prevenzione oncologica. La riduzione della mortalit? per cancro della cervice uterina ? stata di circa il 70% e in gran parte attribuibile all’introduzione del PAP test. Oggi il cancro della cervice uterina ? prevalentemente una malattia delle donne che non effettuano lo screening, in particolare di donne giovani che vivono in regioni con risorse economiche limitate. In queste aree, dove solo il 5% delle donne ha eseguito un PAP test negli ultimi 5 anni, il cancro della cervice rappresenta la seconda causa di morte rispetto al 13? posto dei paesi industrializzati come gli Stati Uniti d’America, dove lo screening ? disponibile per le donne di tutte le et?. Recenti stime sostengono che ci siano ancora nel mondo 500.000 nuovi casi e 240.000 morti per malattia all’anno. Infatti, nonostante il dimostrato successo dello screening, si stima che circa il 50% delle donne con diagnosi di CCU non avevano eseguito il PAP test l’anno precedente la diagnosi e un altro 10% non lo aveva fatto negli ultimi 5 anni prima della diagnosi.
Le linee guida 2009, rilasciate dall’American College of Obstetricians and Gynecologists e pubblicate recentemente sull’ACOG Practice Bulletin, propongono dei cambiamenti alla pratica corrente sulla base di una valutazione rischio/beneficio delle evidenze disponibili e sul follow-up delle donne giovani.
Le seguenti raccomandazioni sono basate su buone e consistenti evidenze scientifiche (Livello A)
? I nuovi orientamenti per la gestione clinica dello screening citologico cervicale raccomandano di proporre alla donna uno screening che dovrebbe iniziare a 21 anni e non all’et? del primo rapporto sessuale. Questa raccomandazione ? basata sull’evidenza di una bassa incidenza di cancro della cervice uterina nelle adolescenti e sui potenziali eventi avversi associati ad un follow up di donne molto giovani quali ansia, morbilit? e sovra trattamento nei casi di test anormali.
? Dai 21 ai 29 anni lo screening ? raccomandato con un intervallo di 2 anni.
? Dai 30 anni le donne che hanno avuto per tre volte consecutive esiti negativi, possono effettuare lo screening con un intervallo di 3 anni. Questa raccomandazione ? sicura e basata sul fatto che, a questa et?, il rischio di sviluppare un CIN3 o un CCU ? basso. Mentre l’esecuzione di PAP test pi? frequenti ? raccomandata in donne con presenza di fattori di rischio come l’infezione da HIV, l’immunodepressione (es. trapianto renale) , oppure in donne con una storia di CIN2, CIN3 o CCU.
? Sono accettabili per lo screening sia le metodiche in fase liquida che tradizionali
? Lo screening pu? essere interrotto nei casi di intervento di isterectomia per indicazioni benigne e senza storia di CIN di alto grado.
? Nelle donne con pi? di 30 anni ? appropriato associare alla citologia il Test HPV DNA
Le seguenti raccomandazioni sono basate su limitate evidenze scientifiche (Livello B)
? Le ragazze adolescenti di et? <21 anni sessualmente attive dovrebbero essere sottoposte a counseling e test verso le malattie sessualmente trasmesse e indirizzate all'uso di metodiche contraccettive efficaci
? Poich? il CCU si sviluppa lentamente e il rischio si riduce con l’et? ? ragionevole sospendere lo screening tra i 65 e 70 anni nelle donne che hanno avuto tre o pi? test consecutivi negativi e nessun test anomalo negli ultimi 10 anni
? Le donne che hanno contratto CIN2, CIN3 o CCU rimangono a rischio per recidiva di malattia per 20 anni dal trattamento e devono essere sottoposte a test annuale per almeno 20 anni
? Le donne che hanno subito un’isterectomia con rimozione chirurgica della cervice e hanno una storia di CIN2 o CIN3 dovrebbero continuare lo screening con intervalli di tempo pi? lunghi, ma senza interruzione.
Le seguenti raccomandazioni sono basate su consensi di esperti (Livello C)
? E’ corretto informare le donne sulla frequenza del test di screening, ma anche sulla opportunit? di eseguire una visita ginecologica annuale anche se non ? prevista l’esecuzione del test
? Le donne vaccinate per HPV16 e HPV18 devono effettuare il test di screening con le stesse modalit? delle donne non vaccinate
Bibliografia
? The American College of Obstetricians and Gynegologists Cervical Cytology Screening ACOG Practice Buletin 2009;109

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Anemia da tumore: meglio evitare le epoetine

1 Apr 2010 Oncologia

La presa di posizione di FDA ( Food and Drug Administration ) ed EMEA ( European Medicines Agency ) rispetto all?uso di Epoetina alfa, Epoetina beta e Darbepoetina alfa per aumentare l?emoglobina nei soggetti affetti da tumore ha sollevato discussioni.

I farmaci che stimolano l?eritropoiesi hanno dimostrato di migliorare la qualit? di vita dei soggetti con cancro e di ridurre la necessit? di trasfusioni, ma sono associati a rischio di eventi tromboembolici e a un?attivit? a volte di stimolo sulla crescita tumorale.

Per fornire ulteriori elementi alla discussione un gruppo internazionale di oncologi ha analizzato gli studi pubblicati finora.

E? stata condotta una meta-analisi che ha riguardato 13.933 pazienti con tumore in 5 studi controllati e randomizzati. Un?ulteriore analisi ? stata condotta su 10.441 pazienti sottoposti a chemioterapia da 8 studi controllati e randomizzati.
L?esito valutato era la mortalit? durante il periodo di studio e la sopravvivenza globale.

Nei soggetti con tumore esaminati la somministrazione dei farmaci che stimolano l?eritropoiesi era associata a un aumento della mortalit? durante lo studio ( hazard ratio, HR=1.17 ) e a un peggioramento della sopravvivenza globale ( HR=1.06 ).
Tali dati sono stati confermati anche negli studi che riguardavano solo i soggetti trattati con chemioterapici anche se in maniera meno evidente e senza grandi differenze tra un chemioterapico e l?altro.

La meta-analisi ha confermato i dati emersi finora e il consiglio dell?EMEA ? quello di evitare l?uso delle epoetine nei soggetti con anemia da cancro.
In particolare l?Agenzia regolatoria europea consiglia di ricorrere alle trasfusioni invece che alle epoetine in caso di anemia da tumore, di valutare insieme al paziente se ricorrere alle epoetine dopo aver fatto un bilancio tra rischi e benefici su base individuale, di considerare il tipo e lo stadio del tumore, di valutare il livello dell?anemia, l?aspettativa di vita del paziente e le sue preferenze. ( Xagena2009 )

Bohlius J, Schmidlin, et al, Recombinant human erythropoiesis-stimulating agents and mortality in patients with cancer: a meta-analysis of randomised trials, Lancet 2009; 373: 1532-1542

Fonte: Reazioni ? AIFA, 2009

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Diabete, rischi da Glp-1

La prevalenza del diabete di tipo 2 ? attesa che aumenti con l’epidemia dell’obesit?. Sebbene molte terapie antidiabetiche siano state approvate dall’Fda, nuovi trattamenti sono considerati necessari per conseguire gli obiettivi glicemici, in quanto la funzione beta-cellulare diminuisce con ll tempo nei pazienti affetti da diabete. Il 25 gennaio 2010, l’Fda ha approvato liraglutide, un Glp-1 (peptide-1-simil-glucagone) agonista recettoriale che pu? essere assunto una volta al giorno per migliorare il controllo glicemico in adulti con diabete di tipo 2. L’approvazione ? stata garantita sulla base di considerazioni attente sui benefici del farmaco. Nei trial clinici, quando impiegato in aggiunta ad altri antidiabetici, liraglutide ha portato alla riduzione della concentrazione media di emoglobina glicata da 0,8 a 1,4% rispetto al placebo. Quando paragonato a una monoterapia con una sulfonilurea, liraglutide era associata a un ridotto rischio di ipoglicemia. D’altra parte, vi sono potenziali gravi pericoli. Innanzitutto, dati da roditori suggeriscono che liraglutide ? associata con un rischio accresciuto di iperplasia focale tiroidea a cellule C e a tumori di cellule C, valori la cui rilevanza negli umani ? sconosciuta. L’Fda conclude che l’aumento di carcinoma nei roditori si trasla in un basso rischio per gli umani. Un altro possible rischio ? un accresciuto pericolo di pancreatite dovuto al farmaco; un dato che emerge da rapporti postmarketing comuni a exenatide e sitagliptin, entrambi che agiscono sulla via Glp-1. Una domanda finale ? se sia possibile aumentare il rischio di eventi cardiovascolari da terapie antidiabetiche (un allerta, in tal senso, era stato lanciato dall’Fda nel dicembre 2008): il programma di sviluppo di fase 2 e 3 non ha soddisfatto tale criterio. In ogni caso, l’Fda sostiene che tutti i prodotti sviluppati per il trattamento del diabete, comportano rischi e potenziali problemi richiedono ulteriori studi.

Nejm, 2010;362:774-777

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Ca prostatico: strategie preventive a confronto

La finasteride, ai fini della prevenzione del cancro della prostata, deve essere somministrata a tutti gli uomini o soltanto a un sottogruppo ad alto rischio? ? questa la domanda di fondo con cui ? stato effettuato uno studio al dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica del Memorial Sloan-Kettering cancer center di New York. In effetti, l’incidenza del cancro prostatico durante il trattamento con finasteride resta basso, probabilmente anche per il rischio di eventi avversi. Scopo dello studio ? consistito nel determinare se livelli di antigene prostatico specifico (Psa) possano identificare un sottogruppo ad alto rischio per i quali i benefici della finasteride superino i potenziali rischi. A tale scopo, sono stati utilizzati dati dal Prostate cancer prevention trial per definire modelli chemiopreventivi: trattare tutti gli uomini, non trattare nessun uomo, trattare in base al livello del Psa. Su 9.058 uomini, 1.957 sono stati diagnosticati di cancro prostatico nel corso di 7 anni. Con l’endpoint di tutti i tumori, la strategia ottimale ? risultata quella di trattare tutti gli uomini o quasi tutti gli uomini. Per ridurre il rischio di cancro diagnosticato durante l’assistenza routinaria, il trattamento, risulta ottimale trattare soggetti con Psa >1,3 o 2,0 ng/mL. Per esempio, trattare solo gli uomini con Psa > 2,0 ng/ml ha ridotto il tasso di trattamento dell’83% ed ? risultato in un tasso di neoplasia di solo 1,1% maggiore che trattando tutti gli uomini. In conclusione: i medici che sperano di ridurre il rischio di ogni cancro prostatico identificabile mediante biopsia dovrebbero raccomandare la finasteride a tutti gli uomini. I clinici che credono che ci? non sia indispensabile per prevenire tutti i cancri, ma che l’identificazione mediante screening sarebbe desiderabile, farebbero meglio a raccomandare la finasteride solo a un gruppo ad alto rischio.

Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.23.5572

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Vitamina D non ottimale con poco sole

Esporsi al sole, durante l’estate, soltanto per brevi periodi pu? portare i livelli di vitamina D a valori sufficienti (20 ng/ml) ma non ottimali (pari o superiori a 32 ng/ml). ? quanto sottolineano alcuni ricercatori inglesi, in uno studio pubblicato su Journal of Investigative Dermatology, che hanno voluto determinare quanta di questa vitamina viene prodotta in seguito all’esposizione solare suggerita dalle attuali linee guida anglosassoni. Lesley E. Rhodes del Salford Royal NHS Foundation Hospital di Manchester, prendendo in considerazione 120 individui, con pelle di colore chiaro e d’et? compresa tra 20 e 60 anni, hanno simulato un’esposizione solare. In particolare, i partecipanti hanno dovuto indossare t-shirt e pantaloncini corti, cos? da esporre il 35% della superficie corporea ai raggi del sole estivo di mezzogiorno, per 13 minuti al giorno, tre volte la settimana, per sei settimane. Gli autori hanno osservato che i livelli basali invernali di vitamina D erano molto scarsi (inferiori a 5 ng/ml) per il 5% degli individui; insufficienti per il 62,5% e ottimali soltanto per il 2,9%. Al termine della simulazione, il 90% e il 26% dei partecipanti ha raggiunto livelli di vitamina D pari a 20 e 32 ng/ml, rispettivamente. (L.A.)

J Invest Dermatol. 2010 Jan 14. [Epub ahead of print]

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La crioterapia ? associata ad alto rischio di tumore invasivo nelle donne con neoplasia cervicale intraepiteliale

Le informazioni sul rischio nel lungo periodo di recidiva di neoplasia cervicale intraepiteliale ( CIN ) per le donne trattate per CIN sono limitate.

Ricercatori dell?University of California – Davis a Sacramento negli Stati Uniti, hanno identificato 37.142 donne trattate per CIN 1, 2 o 3 nel periodo 1986-2000 ( coorte CIN ) dal database citologia British Columbia Cancer Agency e hanno incrociato i dati con il registro del cancro e con i dati anagrafici.

I trattamenti comprendevano: crioterapia, procedura di escissione elettrochirurgica ad ansa, conizzazione e vaporizzazione o escissione laser.

La coorte di confronto era rappresentata da 71.213 donne con citologia normale e nessuna precedente diagnosi di CIN.

Il periodo di follow-up ? proseguito fino alla fine del 2004.

I tassi cumulativi osservati di CIN 2/3 nei primi 6 anni dopo il trattamento sono stati pari al 14% per le donne inizialmente trattate per CIN 3, 9.3% per quelle con CIN 2 e 5.6% per CIN 1.

I tassi annuali di CIN 2/3 sono risultati pi? bassi dell?1% dopo 6 anni.

La diagnosi iniziale, l?et? e il tipo di trattamento sono risultati associati alla diagnosi di CIN 2/3 dopo trattamento, con tassi aggiustati a 6 anni per le donne tra i 40 e i 49 anni compresi tra 2.6% per il trattamento di CIN 1 con procedura a escissione elettrochirurgica ad ansa, e 34% per il trattamento di CIN 3 con la crioterapia.

L?incidenza generale di cancro invasivo ( per 100.000 donne-anno ) ? risultata pi? alta nella coorte CIN ( 37 tumori invasivi ) che nella coorte di confronto ( 6 tumori ).

La crioterapia, rispetto ad altri trattamenti, ? risultata associata al pi? alto tasso di malattia successiva ( odds ratio aggiustato per il tumore invasivo = 2.98 ).

In conclusione, il rischio di CIN 2/3 dopo trattamento ? risultato associato al grado iniziale di CIN, al tipo di trattamento e all?et?.
Il rischio a lungo termine di cancro invasivo ? rimasto pi? alto tra le donne trattate con CIN, in particolare in quelle sottoposte a crioterapia.

Melnikow J et al, J Natl Cancer Inst 2009;101:721-728

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Formazione neonatale, scarsi risultati nei Paesi poveri

L’introduzione di speciali programmi educativi per migliorare l’assistenza neonatale nei Paesi in via di sviluppo, non ha ridotto l’incidenza di decessi dei neonati, alcuni giorni dopo la nascita. ? quanto pubblicato su New England Journal of Medicine, in uno studio che ha riguardato alcune comunit? rurali di sei Stati (Argentina, Repubblica Democratica del congo, Guatemala, India, Pakistan e Zambia). In particolare, due differenti tipi di interventi (Essential newborn care e Neonatal resuscitation program) sono messi in atto in queste regioni per preparare il personale addetto al parto alla cura standard dei neonati, alle tecniche di rianimazione e termoregolazione, all’assistenza dei bimbi sottopeso e alla risoluzione delle comuni malattie neonatali. L’indagine ha permesso di evidenziare che il primo programma educativo non ha diminuito il numero di decessi dei bimbi che si sono verificati, per qualsiasi causa, sette giorni dalla nascita (rischio relativo = 0,99) o subito dopo il parto. Sono stati, tuttavia, registrati minori casi di feti nati senza vita (rischio relativo = 0,69). Il Neonatal resuscitation program, invece, non ha abbassato n? la mortalit? neonatale n? il numero dei feti nati morti (L.A.).

N Engl J Med. 2010 Feb 18;362(7):614-623.

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Appendicite, rischio ascessi postchirurgici con antiacidi

In pazienti con appendicite perforante, l’impiego di antagonisti dei recettori H2 dell’istamina pu? aumentare il rischio di ascessi postchirurgici. Lo stabilisce uno studio prospettico pubblicato su Archives of Surgery. Alcuni ricercatori del Center for Prospective Clinical Trials, Department of Surgery, The Children’s Mercy Hospital, Kansas City, Missouri, hanno condotto un’analisi multivariata per verificare gli effetti di questi antiacidi in circa 100 ragazzi (et? media = 8,6 anni) sottoposti a chirurgia per appendicite perforante, nel periodo compreso tra aprile 2005 e novembre 2006. In breve, gli autori hanno riscontrato una significativa correlazione tra la somministrazione di ranitidina oppure difenidramina e lo sviluppo di ascessi in questi giovani pazienti. In particolare, la percentuale di ascessi, pari al 10% nei ragazzi non sottoposti ad alcuna terapia, ha raggiunto un valore del 17% e 18%, con ranitidina e difenidramina, rispettivamente. Con la combinazione dei due farmaci, si ?, invece, registrata una percentuale del 44% (p = 0,03). ?I nostri risultati suggeriscono che il ricorso a questi farmaci, in pazienti che devono essere operati per appendicite, deve essere valutato molto attentamente? ha commentato Shawn D. St. Peter, principale autore dello studio (L.A.).

Arch Surg. 2010 Feb;145(2):143-6.

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