Fattori predittivi nelle nefropatie

25 Mar 2010 Nefrologia

La stretta interrelazione tra funzionalit? dell?apparato escretore e salute di quello cardiovascolare si arricchisce di due contributi clinici apparsi sul Journal of Nephrology. Il primo riguarda l?indice di resistenza intrarenale (RI) che, come i livelli di cistatina C, nei pazienti con ipertensione essenziale (EHT) rappresentano parametri correlati al danno d?organo. Lo studio ha voluto chiarire se l?RI potesse predire la funzione renale futura determinata dalla cistatina C nell?EHT. Sono stati coinvolti 112 pazienti; la cistatina C ? stata misurata all?inizio dello studio e, nuovamente, 12 mesi dopo. I soggetti sono stati divisi in due gruppi in base al valore dell?RI: pi? basso (<0,7) e pi? elevato (>/=0,7). Dopo 12 mesi, i livelli di cistatina C sono risultati significativamente elevati nel gruppo ad alta RI, mentre sono rimasti immodificati in quello pi? basso. Un?analisi di regressione, utilizzando come covariabili i valori di RI alla baseline, l?et?, la pressione del polso, l?HBA1c, la cistatina C, la proteina C-reattiva e il rapporto albumina/creatinina nelle urine, ha dimostrato che l?RI all?inizio dello studio costituiva la sola determinante indipendente dei cambi di cistatina C correlati al tempo. Queste evidenze suggeriscono che l?RI possa rappresentare un marker di disfunzione renale futura in caso di EHT.

Mortalit? maggiore nei coronaropatici
Il secondo lavoro ? focalizzato sull?innalzamento della mortalit? causato dalla presenza di malattia coronarica nei soggetti con nefropatia cronica. Resta da chiarire il rapporto tra caratteristiche angiografiche e frazione d?eiezione ventricolare sinistra (LVEF), con la mortalit? per tutte le cause nei pazienti neuropatici, a differenti stadi di malattia ma non ancora in dialisi. Lo studio, retrospettivo, ha coinvolto 980 pazienti con malattia renale cronica e sospetta ischemia del miocardio, sottoposti a coronarografia tra il 1995 e il 2004. La valutazione della possibilit? di mortalit? ? stata effettuata utilizzando modelli di regressione proporzionale di rischio. Dei pazienti nefropatici studiati, 445 (45,4%) hanno avuto una diagnosi di coronaropatia comprovata angiograficamente. In questi soggetti i valori di emoglobina, indice di massa corporea e LVEF sono diminuiti con il decrescere del tasso di filtrazione glomerulare (GFR). Impiegando un?analisi di regressione, un ridotto valore della LVEF ? risultato associato in modo indipendente con la nefropatia cronica dopo aggiustamento per et?, sesso, diabete, emoglobina. Un basso valore della LVEF ? poi apparso come l?unico fattore prognostico indipendente nei nefropatici cronici con coronaropatia angiografica e, secondo gli autori, costituisce un elemento predittivo indipendente di mortalit? nei pazienti con malattia renale cronica indipendentemente dalla presenza di malattia coronarica.
(J Nephrol, 2010;23(2):175-80

J Nephrol, 2010;23(2):181-8)

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Ca vescicale non muscolo-invasivo: opzioni di cura

Con la terza edizione del World congress on controversies in urology tenutasi a fine febbraio a Barcellona, si ? avuta l’occasione per discutere delle diverse opzioni di trattamento del tumore non muscolo invasivo della vescica. In particolare le linee guida della Societ? europea di urologia (Eau) prevedono, in caso di basso stadio e grado (TaT1), un’instillazione immediata di chemioterapico (Mmc o antracicline) post-TUR. Nel rischio intermedio, oltre a questa (early instillation) ne seguono altre di mantenimento con chemioterapico o Bcg, per almeno 12 mesi. ?L’instillazione immediata post-operatoria di chemioterapico ? indicata in caso di tumore della vescica primario, singolo, papillare con citologia negativa, dove sono dimostrate una sinergia terapeutica con la TUR e una riduzione del 40% del tasso di recidiva? afferma Joan Palou, direttore dell’Urologia oncologica all’Universit? Autonoma di Barcellona. ?Nel caso di tumori multipli, invece, l’instillazione immediata post-operatoria pu? diminuire il numero di instillazioni successive e prevenire l’impianto di microscopiche lesioni resecate. Una sola instillazione non ? efficace nel prevenire le recidive, e solo una chemioterapia di mantenimento consente la riduzione del tasso di recidiva. Un protocollo di mantenimento breve e intensivo di instillazioni nei primi 3-4 mesi ha la stessa efficacia di trattamenti pi? lunghi e meno frequenti. Il protocollo suggerito prevede 4 instillazioni settimanali di mitomicina 40 mg seguite da 5 mensili. In conclusione, secondo quanto emerge da validi studi clinici internazionali, l’instillazione immediata di chemioterapico ? indicata nei tumori singoli mentre in quelli multipli, per ridurre il tasso di recidiva, deve essere effettuata una terapia di mantenimento?.

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Rapporto del Senato degli Stati Uniti: l?uso di Avandia associato a 500 casi di

23 Febbraio 2010 – Nel maggio 2007, una meta-analisi pubblicata sul The New England Journal of Medicine gener? preoccupazione sull?impiego di Avandia ( Rosiglitazone ), un farmaco per il diabete mellito di tipo 2.
La meta-analisi, compiuta da Steven Nissen della Cleveland Clinic dimostr? un aumentato rischio di infarto miocardico tra i pazienti trattati con Avandia.

Nel luglio 2007, un Panel di Esperti dell?FDA, l?Agenzia statunitense per il controllo dei farmaci, conven? nel ritenere che Avandia aumentasse il rischio di eventi ischemici, ma raccomand? di non ritirare il farmaco dal mercato.
L?FDA segu? il consiglio del Panel, non fece ritirare il farmaco, ma inser? un boxed warning nella scheda tecnica di Avandia in cui si sottolineava il possibile rischio di scompenso cardiaco associato al farmaco, un evento questo noto; inoltre fece riportare la descrizione della meta-analisi di Nissen, ma senza esprimere un giudizio.

Il caso Avandia ? stato riaperto a met? febbraio 2010 da una rapporto del Finance Committee del Senato degli Stati Uniti, dopo 2 anni di indagini.
Il rapporto si conclude accusando la societ? produttrice di Avandia, GlaxoSmithKline ( GSK ), di essere stata a conoscenza gi? diversi anni prima della pubblicazione dell?analisi di Nissen, dei rischi cardiaci di Avandia.

Nel rapporto si legge che GSK aveva il dovere di informare i pazienti e l?FDA dei rischi associati ad Avandia; i manager della societ? farmaceutica invece tentarono di intimidire i medici indipendenti, elaborarono strategie atte a minimizzare i dati riguardo al rischio cardiaco di Avandia, a falsificare i dati sostenendo la sicurezza cardiaca del proprio farmaco, ed infine di minimizzare i risultati di riduzione del rischio cardiovascolare di un farmaco concorrente.

Nel report del Senato Usa si accusa anche l?FDA di non aver preso decisioni a salvaguardia della salute dei pazienti e di aver concesso l?autorizzazione all?effettuazione di uno studio con Rosiglitazone ( studio TIDE ), ben sapendo i pericoli che avrebbero affrontato i pazienti.

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Finance Committee del Senato degli Stati Uniti: il farmaco per il diabete Avandi

Il Senate Committee on Finance degli Stati Uniti inizi? le indagini dopo che uno studio, pubblicato sul The New England Journal of Medicine ( NEJM ) nel maggio 2007 a firma di Steven Nissen della Cleveland Clinic, aveva mostrato un?associazione tra l?infarto miocardico e il farmaco per il diabete Avandia ( Rosiglitazone ) di GlaxoSmithKline ( GSK ).

Dall?analisi di pi? di 250.000 pagine di documenti ? emerso che la societ? farmaceutica GlaxoSmithKline era a conoscenza gi? da alcuni anni, prima che lo studio fosse pubblicato, del rischio cardiaco associato al proprio antidiabetico. Tuttavia anzich? informare i pazienti e l?Agenzia regolatoria FDA ( Food and Drug Administration ), i manager di GSK seguirono un?altra strategia con l’intenzione di intimidire medici medici indipendenti, di minimizzare o di alterare i risultati che dimostravano come Avandia potesse aumentare il rischio cardiovascolare; inoltre cercarono di confutare i risultati di un farmaco concorrente, Actos ( Pioglitazone ).

Dopo la pubblicazione del lavoro di Nissen, l?FDA, nel luglio 2007, organizz? un incontro con un gruppo di Esperti per discutere sulla sicurezza di Avandia, In questa occasione fu presentata un?analisi che stimava che l?uso di Avandia era associato a un eccesso di 83.000 casi di infarto miocardico a partire dal 1999, anno in cui il farmaco ha ricevuto l’approvazione.
Nel suo rapporto il Finance Committee del Senato statunitense riporta che, gi? nel marzo 2007, in una discussione interna, i Consulenti scientifici di GSK avevano concluso che gli studi riguardanti Avandia ( ADOPT, DREAM, CV Clinical Trials ) mostravano un segnale di rischio per lo scompenso cardiaco e per gli eventi ischemici.

Il 2 di maggio 2007, Nissen della Cleveland Clinic invi? la sua meta-analisi per la pubblicazione al NEJM. Il giornale invi? copie riservate ai propri Esperti per la revisione del materiale ( peer review ).
Di norma queste copie devono rimanere confidenziali e non possono essere divulgate, ma uno di questi revisori, Steve Haffner, invi? il testo del lavoro di Nissen a un dirigente di GlaxoSmithKline.
GSK esamin? la meta-analisi, ma lo statistico incaricato della verifica concluse che i risultati da lui ottenuti erano simili alle conclusioni di Nissen.

Moncef Slaoui, responsabile del settore ricerca di GSK, comunic? ad altri dirigenti di GSK che le meta-analisi condotte sia dall?FDA sia da Nissen nonch? dalla stessa GSK erano giunte alla medesima conclusione riguardo all?aumentato rischio di eventi ischemici, che oscillava tra il 30 e il 43%. Inoltre le analisi di mortalit? effettuate da FDA e da Nissen coincidevano: il rischio ( hazard ratio ) di mortalit? sia per scompenso cardiaco che per eventi ischemici, era, rispettivamente, aumentato del 72% e del 75%.
Questi risultati penalizzavano il prodotto di GSK rispetto ad un altro glitazone, il concorrente diretto del Rosiglitazone, il Pioglitazone che invece nello studio PROactive mostrava benefici cardiovascolari del 6-16% nei pazienti ad alto rischio.

Il 21 maggio 2007, il NEJM pubblic? online la meta-analisi di Steven Nissen, che aveva individuato un legame tra Avandia e l?insorgenza di infarto miocardico.
Nello stesso giorno GlaxoSmithKline emise un comunicato dichiarandosi fortemente in disaccordo con le conclusioni raggiunte da Nissen. Lo studio del cardiologo della Cleveland Clinic era ritenuto basato su un?incompleta evidenza e su una metodologia che anche lo stesso Autore definitiva con limitazioni.

Il timore di pesanti conseguenze prescrittive, indusse i manager di GSK ad imporre la pubblicazione immediata dei risultati preliminari dello studio sponsorizzato dalla stessa GlaxoSmithKline, denominato RECORD, nonostante la riluttanza del RECORD Steering Committee.
Il 5 luglio 2007, nonostante le critiche dei revisori, NEJM pubblic? lo studio RECORD.
Nelle conclusioni, gli Autori dello studio sponsorizzato affermavano che i dati erano insufficienti per provare un legame tra Avandia e infarto del miocardio.

L?obiettivo dei manager di GSK era quello di integrare i dati dello studio RECORD con quelli della meta-analisi di Nissen, in modo da ridurre l?incidenza di eventi ischemici totali dovuti ad Avandia.

Un editoriale, pubblicato sempre su NEJM, non solo critic? lo studio RECORD, ma anche gli studi precedenti, DREAM e ADOPT, sponsorizzati sempre da GlaxoSmithKline.
Secondo gli editorialisti, gli studi DREAM e ADOPT erano incentrati su obiettivi di marketing e non avevano invece valutato i rischi o i benefici correlati all?infarto miocardico.
Inoltre, lo studio RECORD presentava diverse debolezze nel disegno e nella conduzione, tra cui la mancanza del cieco quando il trattamento era assegnato; inoltre, cosa assai grave, lo studio non aveva peso statistico per individuare l?infarto miocardico come endpoint.

Secondo il rapporto del Finance Committee, GlaxoSmithKlines sarebbe stata a conoscenza del rischio cardiaco del Rosiglitazone gi? a partire dalla fine del 2004 o all?inizio del 2005.
Alla fine del 2005, GSK pubblic?, in bozza, un?analisi retrospettiva di eventi cardiovascolari sui dati degli studi clinici riguardanti Avandia. Fu allora ipotizzato che la ritenzione idrica potesse contribuire al peggioramento dell?ischemia miocardica nei pazienti ad alto rischio.

Nel 2005, GSK commission? uno studio osservazionale che fu condotto in due fasi: la prima parte nel 2005 e la seconda nel 2006.
Il primo studio interess? 11.586 soggetti; l?hazard ratio per ischemia miocardica fu pari a 1.29, indicando che il Rosiglitazone aumentava il rischio di ischemia cardiaca del 29%, un valore questo statisticamente significativo.
Il secondo studio analizz? 14.237 pazienti; l?hazard ratio fu di 1.31, cio? Avandia aumentava il rischio di ischemia miocardica del 31%.

Conclusioni

Il rapporto del Finance Committee del Senato degli Stati Uniti ha indicato che la societ? produttrice del farmaco antidiabetico Avandia, GlaxoSmithKline, era a conoscenza del rischio cardiaco associato al Rosiglitazone anni prima che tale evidenza diventasse di dominio pubblico.
GSK aveva il dovere di informare i pazienti e l?Agenzia regolatoria FDA, invece i manager di GSK agirono in modo diverso, intimidendo i medici indipendenti, e cercando di minimizzare il fatto che Avandia fosse associato a rischio cardiaco.

Fonte: US Senate Committee on Finance, 2010

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Tumore al seno in fase avanzata positivo per il recettore e resistente all?inibi

? stato ipotizzato che la terapia di deprivazione estrogenica con inibitori dell?aromatasi possa sensibilizzare le cellule del tumore alla mammella positivo per il recettore degli ormoni ( HR ) a basse dosi di terapia a base di Estradiolo.

Ricercatori dell?Washington University School of Medicine, a St Louis negli Stati Uniti, hanno condotto uno studio per determinare se 6 mg al giorno di Estradiolo rappresentassero una terapia valida per le donne in postmenopausa con cancro al seno in fase avanzata, recettore-positivo, e resistente agli inibitori dell?aromatasi.

Lo studio randomizzato di fase 2 ? stato condotto nel periodo 2004-2008, e ha messo a confronto 6 mg vs 30 mg/die di Estradiolo per os.

Le pazienti eleggibili per lo studio avevano tumore mammario metastatico trattato con un inibitore dell?aromatasi con sopravvivenza libera da progressione ( magggiore o uguale a 24 settimane ) o recidiva ( dopo 2 o pi? anni ) di uso adiuvante dell?inibitore dell?aromatasi.

Sono state escluse le pazienti ad alto rischio di eventi avversi legati all?Estradiolo.

Le pazienti sono state esaminate dopo 1 e 2 settimane per valutare la tossicit? clinica e di laboratorio e flare reaction, e in seguito ogni 4 settimane.
Ogni 12 settimane ? stata effettuata una valutazione radiologica del tumore.

Per la risposta del tumore ? stata valutata almeno ua lesione misurabile o 4 lesioni misurabili ( malattia solo ossea ).

Le pazienti sono state randomizzate a ricevere 1 compressa per via orale di 2 mg di Estradiolo 3 volte al giorno o 5 compresse da 2 mg 3 volte al giorno.

L?endpoint primario era rappresentato dal tasso di beneficio clinico ( risposta pi? malattia stabile a 24 settimane ).
Gli esiti secondari includevano tossicit?, sopravvivenza libera da progressione, tempo al fallimento del trattamento, qualit? di vita e propriet? predittive di flare reaction metaboliche rilevate con PET/TC [ tomografia a emissione di positroni / tomografia computerizzata ] con 18F-Fluorodeossiglucosio.

Il tasso di eventi avversi ( maggiore o uguale a grado 3 ) nel gruppo 30 mg ( 34% ) ? risultato pi? alto che nel gruppo 6 mg ( 18%; P=0.03 ).

I tassi di beneficio clinico erano pari al 28% nel gruppo 30 mg e al 29% in quello 6 mg.

Un aumento stimolato dall?Estradiolo dell?assorbimento di 18F-Fluorodeossiglucosio ( maggiore o uguale al 12%, definito in modo prospettico ) ? risultato predittivo di risposta ( valore predittivo positivo: 80% ).

Sette pazienti con malattia sensibile all?Estradiolo sono state trattate nuovamente con inibitori dell?aromatasi alla progressione dell?Estradiolo e 2 di loro hanno mostrato risposta parziale, mentre 1 ha mostrato malattia stabile, facendo pensare a una nuova sensibilizzazione da deprivazione estrogenica.

In conclusione, nelle donne con cancro al seno in fase avanzata e resistenza acquisita agli inibitori dell?aromatasi, una dose giornaliera di 6 mg di Estradiolo fornisce un tasso di beneficio simile a quello ottenuto con dosi di 30 mg, limitando gli eventi avversi gravi.
L?efficacia del trattamento con dosaggi pi? bassi deve comunque essere ulteriormente esaminato in studi clinici di fase 3.

Ellis MJ et al, JAMA 2009; 302: 774-780

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Gli inibitori della pompa protonica associati a rischio di fratture

Tre studi di ampie dimensioni, retrospettivi, hanno mostrato un?associazione tra inibitori della pompa protonica ed un?aumentata incidenza di fratture.

Uno studio di revisione, canadese, che ha preso in esame il periodo 1996-2004 ha mostrato un aumentato rischio di fratture dell?anca per le persone esposte agli inibitori della pompa protonica per 5 anni o pi?.
Dopo 7 anni o pi? di esposizione agli inibitori della pompa protonica il rischio di fratture dell?anca ? aumentato ulteriormente ( OR=4.55; p=0.002 ).

Una revisione dei dati a partire dall?anno 2000, contenuti nel Danish National Hospital Discharge Registry, ha mostrato che l?esposizione, entro l?anno precedente, agli inibitori della pompa protonica era associato ad un aumentato rischio di fratture ed anche a un pi? grande rischio di frattura dell?anca ( OR=1.45 ).

In modo simile, uno studio statunitense che ha esaminato i dati, dal 1987 al 2003, dell?UK General Practice Database, ha identificato un aumento, statisticamente significativo, delle fratture dell?anca con l?esposizione agli inibitori della pompa protonica per pi? di 1 anno, ed ha anche trovato che il rischio aumenta con l?aumentare della durata della terapia e con la terapia ad alto dosaggio.

Questi studi sono osservazionali e sono pertanto soggetti a confondimento.
Ulteriori studi sono necessari per verificare e per meglio definire l?associazione.

Il meccanismo biologico sottostante a questa associazione non ? noto. Una spiegazione potrebbe essere che l?assorbimento del calcio con la dieta dipende da un basso valore di pH nello stomaco, e poich? gli inibitori della pompa protonica sono potenti inibitori della secrezione acida da parte delle cellule parietali gastriche, la conseguenza ? un innalzamento del pH.
E?anche possibile che altri fattori possano contribuire all?aumento del rischio di fratture.

Il TGA ( Therapeutic Goods Administration ) ha ricevuto solo due segnalazioni di associazione tra una frattura patologica e/o osteoporosi e l?esposizione a un inibitore della pompa protonica; in 1 caso l?inibitore della pompa protonica era il solo farmaco sospettato.
Questa bassa percentuale di segnalazione pu? riflettere un basso indice di sospetto clinico data l?alta prevalenza di fratture dell?anca in Australia e la comune prescrizione degli inibitori della pompa protonica.

Secondo l?ADRAC ( Adverse Drug Reactions Advisory Committee ) i medici dovrebbero prescrivere la pi? bassa dose efficace per le indicazioni riconosciute e periodicamente rivalutare i singoli casi per determinare la necessit? di continuare la terapia con inibitori della pompa protonica.
Inoltre, i prescrittori dovrebbero essere consci del potenziale rischio cumulativo per i pazienti che assumono pi? di un medicinale noto aumentare il rischio di fratture. Questo rischio dovrebbe essere considerato anche quando si prescrivono farmaci concomitanti noti per aumentare il rischio di cadute.

Fonte: Australian Adverse Drug Reactions Bulletin, 2009

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Inibitori della pompa protonica: l?uso per lunghi periodi pu? causare dipendenza

Ricercatori della Copenhagen University hanno trovato che soggetti adulti sani senza sintomi di reflusso acido, trattati con gli inibitori della pompa protonica, hanno sviluppato sintomi di dipendenza quando hanno interrotto l?assunzione dei farmaci dopo 8 settimane.

Lo studio ha coinvolto 120 adulti sani, che sono stati assegnati ad assumere Esomeprazolo ( Nexium ) 40 mg per 8 settimane e placebo per le ultime 4 settimane, oppure placebo per l?intero periodo di 12 settimane.

All?inizio dello studio, i partecipanti di entrambi i gruppi avevano riportato sintomi gastrointestinali simili, ma tra la 9.a e la 12.a settimana, il 44% di quelli che stavano assumendo Esomeprazolo hanno riferito un aumento dei sintomi, mentre nel gruppo placebo solo il 15% ha riportato un incremento della sintomatologia.
Alla fine dello studio, il 22% dei soggetti assegnati ad Esomeprazolo ha riportato ancora i sintomi, nonostante non venisse pi? assunto l?inibitore della pompa protonica da 4 settimane, contro solo il 2% degli individui assegnati al trattamento con placebo.
I sintomi sono scomparsi dopo 3 mesi dall?interruzione di Nexium.

I Ricercatori hanno ipotizzato che questo effetto rebound fosse con buona probabilit? una risposta alla soppressione acida causata dall?Esomeprazolo, con iperproduzione della gastrina, un ormone che stimola il rilascio acido nello stomaco.

Recentemente diversi studi hanno messo in dubbio la sicurezza degli inibitori della pompa protonica.
Uno studio canadese ha evidenziato un legame tra l?uso nel lungo periodo degli inibitori della pompa protonica e l?aumentato rischio di fratture all?anca, polso o alla colonna vertebrale.

La Society for Cardiovascular Angiography and Interventions ( SCAI ) ha raccomandato ai pazienti che assumono Clopidogrel ( Plavix ) di evitare gli inibitori della pompa protonica dopo l?impianto di uno stent, perch? la combinazione aumenta il rischio di infarto miocardico ( 70% ), di ictus ( 48% ) e di ripetizione della procedura di rivascolarizzazione del 35%.

Inoltre, uno studio canadese ha trovato una connessione tra prescrizione di routine degli inibitori della pompa protonica durante l?ospedalizzazione ed un aumento del rischio ( 30% ) di acquisire polmonite.

Fonte: Gastroenterology, 2009

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Perdita ossea associata agli inibitori dell?aromatasi nelle donne in postmenopausa con tumore al seno trattate con Letrozolo: prevenzione con Acido Zoledronico

Le donne in postmenopausa con tumore del seno trattate con terapia adiuvante con inibitori dell?aromatasi sono a rischio di perdita ossea accelerata e di conseguenti fratture.

Lo studio Zometa-Femara Adjuvant Synergy Trial ( Z-FAST ) sta valutando l?efficacia e la sicurezza dell?Acido Zoledronico ( Zometa ) nella prevenzione di tale perdita ossea.
In questo studio multicentrico, le donne in postmenopausa con tumore del seno positivo per il recettore dell?ormone in fase iniziale in terapia adiuvante con Letrozolo ( Femara ) sono state assegnate in modo casuale a ricevere sin dall?inizio o con tempistica ritardata Acido Zoledronico ( 4 mg per via endovenosa ogni 6 mesi ) per 5 anni.

L?endpoint primario consisteva nel comparare il cambiamento dal basale nella densit? minerale ossea ( BMD ) della colonna lombare tra i gruppi al 12? mese; gli endpoint secondari includevano il confronto tra i cambiamenti nella BMD dell?anca, nella BMD della colonna lombare e i marcatori del turnover osseo, l?incidenza di fratture e il tempo alla recidiva.

E? stata compiuta un?analisi a 36 mesi.
A 3 anni, la differenza assoluta nella densit? minerale ossea media della colonna lombare e dell?anca tra i gruppi a inizio immediato e ritardato ? stata del 6.7% e del 5.2%, rispettivamente ( P < 0.0001 per entrambi ). Bench? lo studio non fosse stato disegnato per mostrare l?efficacia contro le fratture, l?incidenza di fratture ? risultata leggermente pi? alta nel gruppo a inizio ritardato ( inizio immediato: 5.7% vs. inizio ritardato: 6.3% ), ma il dato non ha raggiunto la significativit? statistica ( P = 0.8638 ). La piressia ( 9% vs. 2%; P = 0.0002 ) e il dolore osseo ( 13% vs. 6,7%; P = 0.01 ) sono risultati pi? comuni nei pazienti del gruppo a inizio immediato; la tosse ( 4,3% vs. 9%; P = 0.03 ) in quelli del gruppo a inizio ritardato. Non sono state osservate gravi disfunzioni renali o casi di osteonecrosi della mandibola. La recidiva di malattia si ? verificata nel 3% dei pazienti del gruppo a inizio immediato e in 16 di quello a inizio ritardato ( 5.3% ) ( analisi di Kaplan-Meier, P = 0.127 ), con una diminuzione assoluta del 2.3%. In conclusione, il trattamento immediato con Acido Zoledronico ? risultato pi? efficace nel prevenire la perdita ossea legata all?uso di inibitori dell?aromatasi in donne in post-menopausa con cancro al seno allo stadio iniziale rispetto alla terapia ritardata fino al verificarsi di una sostanziale perdita ossea o di una frattura. Fonte: Clinical Breast Cancer, 2009

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Nessuna associazione tra rischio di demenza e una pi? alta aderenza alla dieta mediterranea

Una buona aderenza a una dieta di tipo Mediterraneo ? associata a un minor rischio di mortalit? e di malattie croniche, ma la sua relazione con il decadimento cognitivo non ? ben definita.

Un gruppo di Ricercatori francesi ha studiare l?associazione di una dieta Mediterranea con il cambiamento della performance cognitiva e con il rischio di demenza in persone anziane.

Lo studio prospettico di coorte ha coinvolto 1.410 adulti ( di et? uguale o superiore a 65 anni ) di Bordeaux ( Francia ), inclusi nella coorte Three-City nel 2000-2001 e riesaminati almeno una volta nel corso di 5 anni.

L?aderenza a una dieta mediterranea ( punteggio da 0 a 9 ) ? stata calcolata mediante un questionario di frequenza alimentare e un contatto telefonico a 24 ore.

La performance cognitiva ? stata valutata con 4 test neuropsicologici: MMSE ( Mini-Mental State Examination ), IST ( Isaacs Set Test ), BVRT ( Benton Visual Retention Test ) e FCSRT ( Free and Cued Selective Reminding Test ).

I casi incidenti di demenza ( n=99 ) sono stati validati da un Comitato indipendente di Esperti neurologi.

Dopo aggiustamento per et?, sesso, educazione, stato coniugale, calorie introdotte, attivit? fisica, sintomatologia depressiva, assunzione di 5 o pi? farmaci al giorno, genotipo dell?apolipoproteina E, fattori di rischio cardiovascolare e ictus, un punteggio della dieta Mediterranea pi? alto ? risultato associato a meno errori nel test MMSE ( beta = -0.006; P = 0.04 per 1 punto nel punteggio di dieta mediterranea ).

La performance negli altri test neuropsicologici utilizzati non era, invece, associata in modo significativo all?aderenza a una dieta mediterranea.

Una maggiore aderenza come variabile categoriale ( punteggio da 6 a 9 ) non ? risultata associata a meno errori nel test MMSE e a migliori punteggi nel test FCSRT nell?intera coorte, ma tra gli individui rimasti liberi da demenza nei 5 anni, l?associazione per il gruppo a maggiore aderenza rispetto a quello con minore aderenza ? risultata significativa ( aggiustata per tutti i fattori, per il test MMSE: beta = -0.03; P = 0.04; per il test FCSRT: beta = 0.21; P =0.04 ).

L?aderenza alla dieta mediterranea non era associata a rischio di demenza incidente ( modello completamente aggiustato: hazard ratio, HR=1.12; P = 0.72 ), nonostante la potenza dello studio nell?identificare una differenza fosse limitata.

Dallo studio ? emerso che una pi? alta aderenza a una dieta mediterranea ? associata a un declino cognitivo pi? lento al test Mini-Mental State Examination, ma questo dato non ? consistente con quello degli altri test cognitivi effettuati.
Una maggiore aderenza alla dieta mediterranea non ? associata al rischio di demenza incidente.

F?art C et al, JAMA 2009; 302: 638-648

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La supplementazione con minerali e vitamine aumenta la mortalit? totale e la mortalit? per tumore nelle persone di et? superiore ai 55 anni

Il General Population Nutrition Intervention Trial ha studiato la prevenzione del cancro primario esofageo e gastrico condotto tra il 1985 e il 1991 in Cina su una popolazione di 29.584 adulti mediante l?assunzione giornaliera di supplementazione con vitamine e minerali.

Il trattamento con il fattore D, una combinazione di 50 microgrammi di Selenio, 30 mg di Vitamina-E e 15 mg di Beta-Carotene, ha portato a una diminuzione della mortalit? per qualsiasi causa, del cancro in generale e del tumore gastrico.

Sono stati presentati i dati osservazionali a 10 anni dopo la fine dell?intervento attivo.

Fino al 31 maggio 2001, 276 partecipanti sono stati persi per il follow-up, 9.727 sono deceduti, inclusi 3.242 per cancro ( 1.515 di cancro esofageo e 1.199 di tumore gastrico ).

I partecipanti che hanno ricevuto il fattore D hanno mostrato una minore mortalit? generale ( hazard ratio, HR= 0.95; P = 0.009; una riduzione della mortalit? cumulativa dal 33.62% al 32.19% ) e per tumore gastrico ( HR = 0.89; P = 0.043; riduzione nella mortalit? cumulativa per tumore gastrico da 4.28% a 3.84% ) rispetto ai soggetti che non hanno ricevuto il fattore D.
Le riduzioni sono risultate attribuibili soprattutto ai benefici nei soggetti di et? inferiore ai 55 anni.

Le morti per tumore esofageo tra i pazienti che hanno e non hanno ricevuto il fattore D non sono, in generale, risultate diverse; tuttavia, sono diminuite del 17% tra i partecipanti di et? inferiore ai 55 anni ( HR = 0.83; P = 0.025 ), ma sono aumentate del 14% tra quelli di et? uguale o superiore a 55 anni ( HR = 1.14; P = 0.47 ).

La supplementazione con Zinco e Vitamina-A ? risultata associata a un aumento della mortalit? totale e per ictus; la supplementazione con Vitamina-C e Molibdeno a una diminuzione della mortalit? per ictus.

In conclusione, gli effetti benefici di Selenio, Vitamina E e Beta-Carotene sulla mortalit? sono evidenti fino a 10 anni dopo il termine della supplementazione e sono consistentemente superiori nei partecipanti pi? giovani.
Sono stati osservati anche effetti tardivi di altri regimi di supplementazione.

Qiao YL et al, J Natl Cancer Inst 2009;101: 507-518

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