In pazienti con dolore alla schiena e alle gambe, molti dei test fisici utilizzati per diagnosticare radiculopatia da ernia del disco lombare e selezionare i pazienti da sottoporre a ulteriori specifiche indagini o a chirurgia, risultano poco efficaci se condotti isolatamente. A stabilirlo sono gli autori di una Cochrane review alla luce di 16 studi di coorte (range di pazienti compreso tra 71 e 2.504) e tre studi caso-controllo (30-100 casi). In breve, tutti gli esami fisici eseguiti singolarmente per verificare la presenza di scoliosi, paresi, debolezza muscolare, alterazione dei riflessi e deficit sensoriale sono apparsi poco conclusivi ai fini della diagnosi di ernia del disco lombare. ?Molti dei risultati da noi analizzati derivavano da pazienti sottoposti a chirurgia e, conseguentemente, non possono essere applicati a situazioni di pronto intervento o a gruppi non selezionati di pazienti? ha commentato Dani?lle AWM van der Windt del Department of Primary Care & Health Sciences, Keele University, Staffordshire, UK. ?Tuttavia, a nostro avviso, migliori performance diagnostiche possono essere ottenute dalla combinazione delle diverse indagini fisiche?. ? Cochrane Database of Systematic Reviews 2010, Issue 2.
I diuretici tiazidici sono universalmente riconosciuti come agenti di primaria importanza nella terapia dell’ipertensione, ma non sono esenti da critiche, soprattutto per i loro effetti secondari (ipokaliemia, ipomagnesiemia, iperuricemia). Lo spironolattone, antagonista dell’aldosterone, pu? costituire un’alternativa ai tiazidici anche fuori dalle loro indicazioni principe (iperaldosteronismo primitivo)? In pratica, ha senso usarli nelle forme normoaldosteronemiche? ? quanto ha cercato di stabilire lo studio RENALDO, che in base al rapporto Aldosterone PRA (ARR) ha cercato di predire la risposta allo spironolattone o al tiazidico (Bendrofluometazide, BFZ) in pazienti ad alto rapporto (HARR) o basso rapporto (LARR) aldosterone /PRA. Lo studio, randomizzato, cross-over, ? stato eseguito su 111 pazienti con ipertensione sistolica (PAS media 24h ?>/=140mmHg), trattati sia con spironolattone 50 mg/die o BFZ 2,5 mg/die per 12 settimane per ciascun trattamento. Un obiettivo secondario ? stato quello di confrontare la risposta della pressione diastolica media delle 24 h, della notte, del giorno e clinica in pazienti con HARR e LARR. Alla fine delle 12 settimane, nei pazienti con HARR lo spironolattone ha abbassato la PAS media di 5,01 mmHg in pi? rispetto alla BFZ, ma la sorpresa? ? stata nel vedere che anche in soggetti con LARR la PAS veniva abbassata di pi? con lo spironolattone che con la BFZ, pur se non significativamente (3.4 mmHg). Simile risultato si ? avuto per gli end points secondari. Lo studio ? durato poco (3 mesi) ed i dosaggi di spironolattone e BFZ sono stati piuttosto bassi, per cui necessiterebbero studi a dosaggi pieni; tuttavia ? chiaro che il ARR non predice la risposta pressoria allo spironolattone, che 50 mg di spironolattone sono pi? efficaci di 2,5 mg di BFZ e che quindi lo spironolattone, pur non privo come sappiamo di effetti secondari dosaggio-dipendenti,?pu? essere una valida alternativa ai tiazidici.
La “pressione” antibiotica ? certamente uno dei problemi emergenti in Medicina. L’uso empirico di questi farmaci, a volte eccessivo e prolungato nel tempo, ? sicuramente l’elemento pi? importante per la comparsa di resistenze che possono rendere particolarmente difficile la gestione dei pazienti, soprattutto di quelli pi? fragili e gravi. Un gruppo di ricercatori parigini ha impostato un lavoro di ricerca clinica con l’intenzione di verificare se l’utilizzo della procalcitonina in pazienti ricoverati in Terapia Intensiva potesse indirizzare una pi? consapevole ma altrettanto sicura scelta inerente alla cessazione o meno del trattamento antibiotico. Gli end point primari erano rappresentati dalla mortalit? a 30?e 60 giorni (analisi di non inferiorit? con margine del 10%) e il numero dei giorni senza antibioticoterapia dal 28? giorno del ricovero (analisi di superiorit?); lo studio ? stato impostato secondo l’analisi di intention to treat. Sono stati reclutati pi? di 600 pazienti suddivisi secondo una particolare tecnica di randomizzazione rispettivamente nel gruppo A (quello in cui veniva utilizzata la determinazione della procalcitonina per la modulazione terapeutica) che comprendeva 307 pazienti e nel gruppo B che comprendeva 307 pazienti quali controlli. Nove pazienti sono stati esclusi dallo studio. Questi i risultati: la mortalit? al 30? giorno (21,2% [65/307] nel gruppo A vs 20,4% [64/314] nel gruppo B; differenza assoluta 0,8%, 90% CI da -4? a? 6,2), cos? come quella al 60? giorno (30,0% [92/307] nel gruppo A ?vs 26,1% [82/314] nel Gruppo B; differenza assoluta 3,8%, CI da -2 ?a 9,7), non ? risultata significativamente differente per contro, i pazienti del gruppo A erano rimasti un numero di giorni senza il trattamento antibiotico significativamente inferiore rispetto a quelli del gruppo B (14,3 giorni [SD 9,1] vs 11,6 giorni [SD 8,2]; differenza assoluta 2,7 giorni, CI tra 1,4 e 4,1, p <0,0001). Le ovvie conclusioni degli autori sono favorevoli all'utilizzo della determinazione della procalcitonina nello stabilire quando sospendere il trattamento antibiotico nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva. Il cut off di procalcitonina da loro proposto per stabilire la sospensione dell'antibioticoterapia ? di 0,5 microg/L. Lancet?2010;375(9713):463-74.
E’ diventata pratica quasi corrente che, di fronte ad un ittero ostruttivo da neoplasia della testa del pancreas, l’indagine endoscopica (ERCP) non si limiti alle sole finalit? diagnostiche ma venga utilizzata anche a scopo terapeutico (stent biliare), ci? non solo nei pazienti inoperabili, ma anche in quelli per i quali non si ? ancora stabilito se potranno beneficiare dell’intervento chirurgico o meno. Alcuni colleghi chirurghi, endoscopisti, radiologi e biostatisti olandesi hanno voluto verificare se il posizionamento di un drenaggio biliare nei pazienti successivamente sottoposti ad un intervento di cefalopancreasectomia determinasse outcome pi? o meno favorevoli. Dei 202 pazienti arruolati, 96 sono stati indirizzati ad una chirurgia entro la prima settimana dalla diagnosi e 106 hanno invece posizionato uno stent endobiliare per poi essere sottoposti all’intervento entro 4-6 settimane. Pur in assenza di negativi impatti sulla mortalit?, nel gruppo dei pazienti che avevano posizionato il drenaggio biliare la percentuale di complicanze post-intervento definite “serie” sono state significativamente superiori (74%) rispetto al gruppo dei pazienti avviati rapidamente a chirurgia (39%).
Utilizzando i dati del Women’s Health Study, studio che era stato impostato per valutare i rischi/benefici del trattamento sostitutivo nelle donne in post menopausa, Gordon JM e Coll., sulla scorta di precedenti piccole segnalazioni, hanno voluto verificare se la presenza di una cefalea con e senza aura potesse essere considerato un fattore di rischio per l’insorgenza di patologia cardiovascolare. Lo studio, prospettico, di coorte, ha interessato pi? di 27.000 donne di et? superiore ai 45 anni?che, in assenza di documentate patologie CV, avessero nella loro cartella clinica utilizzata per il Women’s Health Study notizie relative alla presenza o meno di cefalea e alla loro situazione metabolica. La cefalea ? stata classificata a seconda della frequenza degli attacchi e, su tale base, delle oltre 3.500 donne cefalalgiche il 75,3% riferiva meno di un attacco al mese, il 19,7% almeno una crisi mensile il 5% uno o pi? attacchi settimanali. Durante i 12 anni di follow up si sono verificati 706 eventi CV ed una prima analisi multivariata ha identificato i seguenti HR di rischio per eventi CV: 1,55 (95% CI 1,22-1,97) per le donne con attacchi emicranici di frequenza inferiore al mese, 0,65 (95% CI 0,31-1,38) per quelle nelle quali la frequenza era almeno mensile, 1,93 (95% CI 0,86-4,33) nel caso in cui le crisi fossero una o pi? la settimana. Una seconda analisi, corretta per le ore di durata della cefalea, ha evidenziato un HR di rischio di 1,81 (05% CI 1,30-2,50) ?per la rivascolarizzazione miocardica e 2,43 (95% CI 1,58-3,74) per l’infarto del miocardio. Importante ? stato l’aumento del rischio di ictus nelle donne con cefalea con aura “attiva” e con almeno una crisi/settimana: HR = 4,25 (1,36-13,29). I dati, anche se non indicativi per la variegata galassia delle patologie cardiovascolari, indicano tuttavia che nelle donne, la cefalea con aura che si manifesti con episodi ricorrenti almeno una volta settimana, ? significativamente associata ad un aumentato rischio di ictus.
In un interessante ed utilissimo Articolo, uscito sul primo numero di Febbraio di Lancet, si approfondiscono le principali problematiche dell’Embolia Polmonare che si manifesta in gravidanza. Di particolare rilevanza sono certamente quelle relative al percorso diagnostico ed ai provvedimenti terapeutici.
Per quanto riguarda la diagnosi vengono sintetizzati i vantaggi e gli svantaggi delle varie metodiche che possono essere cos? schematizzati:
1- scintigrafia ventilatoria: 1a – vantaggi – bassa esposizione fetale, bassi risultati falsi positivi legati alla gravidanza di per se 1b – svantaggi – non esistono studi in gravidanza e quindi mancano conseguenti regole di decisioni cliniche ad essi correlate,?l’accertamento non offre diagnosi alternative, l’interpretazione ? fortemente legata alla probabilit? clinica pre test
2- TC angiografia: 2a – vantaggi – bassa esposizione fetale, pu? offrire una diagnosi alternativa, ? maggiormente disponibile rispetto alla scintigrafia, vi sono studi che validano la metodica in gravidanza, ? pi? efficace di altri approcci diagnostici 2b – svantaggi – vi sono limitazioni tecniche legate alla gravidanza di per se che richiedono modificazioni artificiose della tecnica di acquisizione dell’immagine e del protocollo di somministrazione del contrasto, la dose radiante per il seno – anche se ? possibile ridurla con particolari accorgimenti – ? elevata; la necessaria somministrazione del MdC iodato pu? avere effetti negativi sulla tiroide fetale, vi ? un alto tasso di diagnosi di embolie subsegmentali il cui rilievo clinico ? incerto
3- RMN: 3a – vantaggi – non espone a nessuna radiazione ionizzante, non evidenzia gli emboli subsegmentali 3b – svantaggi – dati di letteratura e di esperienza insufficienti, il gadolinio passa la placenta e non si ? sicuri circa la sua sicurezza per il feto
4- CUS: 4a – vantaggi – non espone a nessuna radiazione ionizzante e non ? invasiva 4b – svantaggi – possibile bassa sensibilit? nei pazienti senza segni e sintomi di trombosi venosa
Per quanto riguarda la terapia si ribadisce che il trattamento di scelta ? rappresentato dall’utilizzo della LMWH?la cui posologia deve essere adeguatamente modificata in rapporto all’epoca gestazionale in rapporto alle correlate modificazioni della sua clearance. Viene tuttavia sottolineato che anche il trattamento trombolitico, pur gravato da un elevato tasso di emorragie (dal 4 al 14% dei casi), pu? essere utilizzato ove sussistano condizioni di instabilit? emodinamica, di ipossiemia refrattaria o di marcata disfunzione ventricolare destra.
E’ interessante l’analisi di alcuni colleghi californiani che hanno valutato nel breve periodo gli outcome cardiovascolari (morte o ospedalizzazione per cause CV, procedure correlate a patologia ischemica coronaria o insorgenza di patologia aritmica) in pi? di 35.000 soggetti che nel periodo gennaio 2002 -dicembre 2005 si erano rivolti agli 11 dipartimenti di emergenza del loro stato per una sincope. Le sintetiche conclusioni del loro lavoro possono essere cos? riassunte: problematiche cardiovascolari quali quelle sopra ricordate sono occorse nel 3% dei soggetti visitati per una sincope tali manifestazioni, nella quasi totalit? dei pazienti, sono occorse nei primi 7 giorni dall’evento sincopale indicatori positivi di insorgenza di tali problematiche sono risultati l’et? > ai 60 anni, il sesso maschile, l’anamnesi positiva per uno scompenso congestizio, per una patologia ischemica coronarica o per una valvulopatia indicatori negativi sono al contrario risultati la demenza, la presenza di un pacemaker, precedenti rivascolarizzazioni coronariche ed una patologia cerebro-vascolare nei pazienti di et? < ai 60 anni con nota patologia aritmica e valvolare, il rischio di manifestare outcome CV precoci dopo un episodio sincopale ? risultato significativamente superiore rispetto a quello dei pari et? senza tali problematiche cliniche. Tali conclusioni possono ovviamente aiutare il medico nella miglior gestione del paziente con sincope.
La decisione del Centers for Medicare & Medicaid Services americano di non coprire le spese della “colonscopia virtuale” quale metodica di screening per l’identificazione precoce del tumore del colon,assunta sulla scorta di conclusioni non univoche delle pi? recenti Linee Guida sull’argomento, ha indotto la pubblicazione sull’ultimo numero degli Annals of Internal Medicine di un contributo volto a puntualizzare gli argomenti a favore o contro l’utilizzo di questa metodica.
Interessanti i Key Summary Points:
1.??? L’obiezione che la metodica TC esponga il paziente ad un rischio biologico radiazioni-correlato maggiore di quello che assumerebbe con il tradizionale clisma opaco a doppio contrasto non ? accettabile in quanto il soggetto ? esposto alle stesse dosi radianti per l’una o l’altra metodica utilizzata. 2.??? Pure non accettabile l’osservazione che la TC non riesca ad identificare polipi di piccole dimensioni; anche tutte le altre metodiche di screening non hanno infatti tale capacit?. 3.??? Se da un lato il possibile sospetto di alterazioni extracoliche pu? comportare un pericolo di overdiagnosis, medesimo rischio pu? accadere con la positivit? della ricerca del sangue occulto fecale. 4.??? Se ? del tutto vero che la qualit? della colonscopia virtuale ? dipendente dalla esperienza dell’operatore e di quella dell’istituto radiologico in cui lavora, altrettanto si pu? affermare per quanto riguarda la colonscopia 5.??? Se ? vero che la selezione dei pazienti eleggibili per successive colonscopie, indotta dalla colonscopia virtuale pu? apparire elevata, allo stesso modo tale osservazione vale se si utilizzi la sola retto-sigmoidoscopia o gli altri screening validati dall’ente assicurativo 6.???? E’ tuttavia da rilevare che in un rapporto di analisi costi-efficacia altre metodiche di screening, quali la ricerca del sangue occulto fecale e la stessa indagine endoscopica, offrono risultati attualmente migliori.
In conclusione gli autori, pur riconoscendo una maggior validit? della colonscopia virtuale, raccomandano prudenza e attenzione per non stravolgere l’organizzazione sanitaria, basata su strumenti di screening per il cancro del colon abbastanza efficienti sia in termini assoluti che di costo-beneficio.
I pazienti che ricevono una monoterapia a lungo termine con ACE-inibitori (ACE-I), sartani (ARBs) o betabloccanti?(BB) sono meno esposti alla fibrillazione atriale (FA)?di quelli che ricevono solo calcioantagonisti (CCB). ? quanto ha? riscontrato un ampio? studio di Schaer, nel Regno Unito, basato sul General Practice Research Database: su una popolazione di 682.993 pazienti ipertesi che avevano ricevuto almeno una prescrizione di un farmaco antipertensivo (sono stati esclusi quelli a rischio di FA), sono stati identificati 4.661 pazienti ipertesi? con una nuova diagnosi di FA nel periodo 1998-2008. Per ogni caso sono stati identificati pi? di 4 controlli senza FA (18.642).? Rispetto al gruppo di riferimento con CCB si sono ottenuti i seguenti dati: ACEI (OR, 0,75 [95% CI, 0,65 – 0,87]), ARBs (OR, 0,71 [CI, 0,57 – 0,89]), BB (OR, 0,78 [CI, 0,67 – 0,92]). Lo studio, molto importante per numerosit? e durata, presenta delle limitazioni, alcune ammesse dagli stessi autori. Anzitutto non sono stati valutate le variazioni pressorie durante il trattamento, e sappiamo che l’abbassamento della pressione di per se? stesso? diminuisce il rischio di FA; inoltre nello studio ? stato analizzato un subset semplificato di pazienti in monoterapia, e ben sappiamo quanto nel mondo reale siano complessi i pazienti ipertesi e quanto complesse possano essere le terapie antipertensive impostate (in monoterapia rimane solo una minoranza dei pazienti). Comunque questi dati sono un elemento in pi? per aiutarci nella scelta terapeutica perch?, se abbassare la pressione? ? il primo obiettivo per diminuire l’insorgenza della FA, sembra evidente che alcuni farmaci possono avere delle? caratteristiche proprie, indipendenti dall’effetto ipotensivo (ACEI, ARBs, prevenendo per es. la fibrosi atriale). Ci? deve anche far riflettere sull’annoso argomento dei costi dei farmaci: ? noto che gli ARBs sono costosi, ma se sono in grado di evitare un maggior numero di eventi, quali la FA, nel lungo termine possono rivelarsi convenienti.
La colonscopia, da ripetere ogni 10 anni a partire dai 50, ? da considerare la strategia preferibile per lo screening del cancro colorettale nei soggetti a medio rischio, secondo le linee guida dell’American College of Gastroenterology (Am J Gastroenterol 2009; 104:739). Ci? in virt? della potenziale efficacia nel ridurre l’incidenza e la mortalit? di questi tumori. La colonscopia ? pertanto diffusamente utilizzata nella pratica clinica per la diagnosi e prevenzione del cancro colorettale; tuttavia sono ancora incomplete le evidenze sul grado complessivo di protezione e se la protezione stessa sia presente indipendentemente dalla sede anatomica della lesione.
In un recente studio pubblicato da Brenner e collaboratori sul Journal of?National Cancer Institute ? stato valutato se l’aver eseguito una colonscopia nei 10 anni precedenti (o al contrario il non averla eseguita) fosse associato ad una differente prevalenza di tumori colorettali avanzati a seconda dei vari siti anatomici. Lo studio cross-sectional fu condotto in Germania su 3.287 soggetti – di et? superiore ai 55 anni – coinvolti in un programma di screening, nel periodo compreso tra maggio 2005 e dicembre 2007. I risultati raccolti sono di grande interesse pratico: una neoplasia colorettale avanzata fu individuata in 308 (11,4%) dei 2.701 partecipanti che non avevano effettuato precedentemente una colonscopia, rispetto ai 36 (6,1%) dei 586 partecipanti che avevano effettuato tale indagine endoscopica nei 10 anni precedenti la protezione nei confronti di una neoplasia colorettale offerta da una precedente colonscopia variava in funzione della sede indagata: cieco e colon ascendente?OR 0,99 (95% CI 0,50-1,97), flessura epatica e colon trasverso OR 1,21 (CI 95% 0,60-2,42), flessura splenica e colon discendente 0,6 (95% CI 0,16-0,82), sigma 0,29 (95% CI 0,16-0,53), retto 0.007 (95% CI 0,02-0,53). Le conclusioni a cui pervengono gli autori (pur con i limiti del disegno dello studio ed in attesa di un trial randomizzato), sono che la prevalenza di un tumore colorettale avanzato a livello del colon sinistro – ma non a livello del colon destro – ? ridotta in modo significativo nei soggetti sottoposti nei 10 anni precedenti ad una colonscopia. Ci? apre il campo a molteplici considerazioni circa le migliori modalit? da adottare nello screening dei tumori colorettali e sui motivi che rendono la colonscopia meno efficace nella prevenzione dei tumori del colon destro.
J Natl Cancer Inst 2010;102:89.? J Natl Cancer Inst 2010;102:70.