La pillola toglie densit? all’osso

L’uso di contraccettivi orali pu? condizionare la densit? minerale ossea (BMD, bone mineral density) nelle giovani donne che ne fanno uso per un lungo periodo. Lo sostiene uno studio condotto negli Stati Uniti su 606 donne, tra i 14 e i 30, di cui sono stati valutati l’uso della contraccezione orale, la sua durata, il dosaggio degli estrogeni contenuti nella pillola e la densit? ossea misurata nell’anca, nelle vertebre e nel resto del corpo. Nel campione sono state individuate 386 donne che assumevano la pillola, in media per nove mesi e, nel 38% dei casi, a basso dosaggio di estrogeni (etinilestradiolo <30mcg). Sovrapponendo i dati valutati, i ricercatori hanno notato che nella fascia di et? adolescenziale (14-18 anni) non erano rilevabili differenze di BMD rispetto alle ragazze che non assumevano la pillola, come invece accadeva nella fascia di et? pi? adulta. In particolare, nelle donne tra i 19 e i 30 anni, la densit? ossea, spinale e in tutto il corpo, si riduceva significativamente con il prolungamento dell'uso: il valore medio nei due siti di misurazioni, era pi? basso, rispettivamente del 5,9% e del 2,3%, quando la contraccezione orale superava i 24 mesi, rispetto alle coetanee che non la usavano. Infine, il valore pi? basso di BMD era associato anche alla contraccezione a baso dosaggi ormonale, che restava comunque pi? basso anche con etinilestradiolo 30-35 mcg. (S.Z.) Contraception. 2010 Jan;81(1):35-40

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Cuori a rischio con disfunzione erettile

La disfunzione erettile risulta direttamente associata all’incremento dell’incidenza di malattie cardiovascolari, bench? non sia in grado di migliorare le previsioni riguardanti il loro sviluppo. A renderlo noto ? uno studio apparso su Journal of the American College of Cardiology e condotto presso il New England Research Institutes, Watertown in Massachusetts alla luce del fatto che le due condizioni patologiche condividono gli stessi meccanismi fisiopatologici e sono spesso compresenti. L’indagine prospettica ha preso in considerazione oltre 1.000 uomini d’et? compresa tra 40 e 70 anni, con disfunzione erettile ma senza problemi cardiovascolari o diabete al momento del reclutamento, che sono stati sottoposti a valutazioni della funzionalit? cardiovascolare per quasi 12 anni. In breve, la presenza di disfunzioni erettili ? apparsa correlata all’incidenza di problemi cardiovascolari, dopo le opportune correzioni per et? (harard ratio = 1,42); et? e fattori di rischio tradizionali (hr= 1,41) e “Framingham risk score” (hr= 1,41). ?Nonostante la significativit? dei nostri risultati, va sottolineato che la disfunzione erettile non ? in grado di migliorare le previsioni riguardanti lo sviluppo di malattie cardiovascolari, in aggiunta all’utilizzo di fattori di rischio convenzionali? ha commentato Andre B. Araujo, principale autore dello studio. (L.A.)

J Am Coll Cardiol, 2010; 55:350-356, doi:10.1016/j.jacc.2009.08.058

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Disturbi dispeptici senza lavoro o partner

Divorzio, disoccupazione e fumo rappresentano i fattori di rischio maggiormente associati alla dispepsia funzionale. Si tratta dei risultati di una ricerca, condotta da studiosi italiani e pubblicata su Gastroenterology, che ha consentito di collegare specifici disagi psicologici ai sempre pi? diffusi disturbi digestivi. Maurizio Zagari e Franco Bazzoli del Dipartimento di Medicina Clinica del Policlinico Sant’Orsola di Bologna prendendo in esame circa mille abitanti di due comuni in provincia di Bologna hanno stimato epidemiologia e caratteristiche della dispepsia nella popolazione generale. Secondo gli autori, la patologia colpirebbe circa l’11% degli italiani e sarebbe caratterizzata, nel 67,5% dei casi, da senso di pienezza postprandiale e precoce saziet? e, nel 48,2%, da dolore epigastrico. Soltanto il 15,8% dei pazienti lamenterebbe i due tipi di sintomi. Disoccupazione, divorzio, abitudine al fumo e sindrome dell’intestino irritabile. Queste le quattro condizioni significativamente associate a dispepsia funzionale (or= 5,80; 2,76; 1,74 e 3,38; rispettivamente). Infine, mentre divorziati, disoccupati e individui con intestino irritabile presentano sia sensazioni sgradevoli postprandiali sia dolore epigastrico, nei fumatori i sintomi compaiono solo dopo l’assunzione di cibo. (L.A.)

Gastroenterology. 2010 Jan 11. [Epub ahead of print]

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Vitamina D predittore di ca colorettale

2 Mar 2010 Oncologia

Maggiore rischio di carcinoma colorettale con bassi livelli di vitamina D. Queste le conclusioni di un ampio studio osservazionale pubblicato su British Medical Journal e condotto nell’ambito del trial Epic (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) riguardante 520mila individui di dieci Stati europei occidentali. Mettendo a confronto oltre 1.200 casi di tumore del colon-retto con altrettanti controllo, gli autori hanno stabilito che rispetto a concentrazioni di vitamina D comprese tra 50 e 75 nmol/l, livelli inferiori sono associati a un aumento del rischio di cancro colorettale (tasso d’incidenza = 1,32 e 1,28 per livelli <25nmol/l e compresi tra 25,0 e 49,9 nmol/l; rispettivamente) mentre concentrazioni maggiori a una sua diminuzione (tasso d'incidenza = 0,88 e 0,77 per livelli compresi tra 75,9 e 99,9 nmol/l e pari o superiori a 100 nmol/l; rispettivamente). Infine, mentre elevati apporti dietetici di calcio sono risultati correlati a basso rischio di questo tipo di tumori, nessuna influenza ? stata osservata con l'introduzione di vitamina D nella dieta. ?Saranno necessari ulteriori trial randomizzatti per poter definire se incrementando i livelli plasmatici di vitamina D si possa effettivamente ridurre il rischio di carcinoma colorettale? ha commentato Mazda Jenab del Lifestyle and Cancer Group, International Agency for Research on Cancer di Lione (L.A.). BMJ. 2010 Jan 21;340:b5500. doi: 10.1136/bmj.b5500.

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Chirurgia mammaria, meno linfedema con fisioterapia

1 Mar 2010 Oncologia

Interventi fisioterapici precoci possono prevenire l’insorgenza di linfedema secondario a chirurgia per carcinoma mammario. ? quanto pubblicato di recente su British medical journal da Maria Torres-Lacomba del physiotherapy Department, School of physiotherapy, Alcal? de Henares University di Madrid. L’indagine ha riguardato 120 pazienti sottoposte ad asportazione chirurgica di linfonodi ascellari, tra maggio 2005 e giugno 2007. Per un intero anno, le partecipanti sono state randomizzate a un intervento educazionale (gruppo controllo) oppure a uno specifico programma di fisioterapia comprendente linfodrenaggio manuale, massaggio del tessuto cicatriziale ed esercizi della spalla. A tutto questo ? stato abbinato anche l’intervento educazionale. Al termine del follow-up, il 16% delle pazienti ha sviluppato linfedema, di cui il 25% faceva parte del gruppo controllo e il 7% di quello sottoposto a fisioterapia. In conclusione, diagnosi di linfedema sono state quattro volte pi? numerose nel gruppo controllo, rispetto a quello trattato con approccio fisioterapico (fisioterapia/controllo, hard ratio = 0,26). (L.A.)

BMJ. 2010 Jan 12;340:b5396. doi: 10.1136/bmj.b5396.

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Metastasi ossee, scoperto ruolo chiave della relaxina

28 Feb 2010 Oncologia

Secondo uno studio pubblicato su Bone da un gruppo di ricercatori italiani, la relaxina svolgerebbe un ruolo fondamentale nella crescita e differenziamento dei precursori ematopoietici e, probabilmente, nell’invasivit? dei tumori ossei. L’?quipe diretta da Carlo Foresta, professore ordinario di Patologia clinica all’Universit? degli Studi di Padova, ha evidenziato, da un lato, che in pazienti con metastasi ossee sono presenti elevati livelli sierici dell’ormone e, dall’altro, che il recettore Rxfp1 della relaxina ? espresso sia nei progenitori ematopoietici sia negli osteoclasti. In aggiunta, esperimenti in vitro hanno consentito di evidenziare che la relaxina al pari di altri stimolatori, quali Rankl, M-Csf e Pht, ? capace di indurre osteoclastogenesi, a partite da cellule ematopoietiche immature, e di regolare l’attivit? degli osteoclasti. Essendo questi ultimi responsabili della distruzione dell’osso nelle metastasi osteolitiche, secondo gli autori si aprono nuove prospettive riguardanti il ruolo della relaxina nei meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo delle metastasi ossee. (L.A.)

Bone 2010, 46, 504-513

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Steatosi epatica, ok a prognosi con elastografia

In pazienti con steatoepatite non alcoolica, diagnosi accurate e non invasive di fibrosi e cirrosi epatica sono oggi possibili grazie all’elastografia transiente, una tecnica che utilizza un nuovo dispositivo capace di misurare il grado di elasticit? del parenchima epatico, in maniera alternativa alla biopsia. A presentare le caratteristiche d’efficacia e sicurezza della metodica sono alcuni ricercatori cinesi in uno studio appena apparso su Hepatology. Vincent Wai-Sun Wong e collaboratori del Department of Medicine and Therapeutics, The Chinese University of Hong Kong hanno sottoposto a elastografia oppure biopsia oltre 240 pazienti affetti da steatosi epatica non alcoolica. Scopo dell’indagine era verificare, da un lato, l’accuratezza diagnostica dell’elastografia e, dall’altro, la presenza di fattori responsabili di eventuali discordanze tra i due approcci. In breve, la nuova metodica ha consentito diagnosi di danno epatico con una sensibilit? e specificit? del 91% e 75%, rispettivamente, in pazienti con rigidit? del fegato non superiore a 7,9 kPa. I risultati non sono stati influenzati n? dal grado di necroinfiammazione n? da colestasi epatica. Discordanze tra i due esami, attribuibili esclusivamente alla non idoneit? di alcuni campioni istologici, sono state registrate nel 13,4% dei casi analizzati. (L.A.)

Hepatology. 2010; 51(2):454-462

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Procalcitonina, biomarker per terapie antibiotiche

Un algoritmo basato sui livelli di procalcitonina consentirebbe di stabilire la reale necessit? di terapie antibiotiche per la cura delle infezioni ospedaliere. Prorata, un trial multicentrico pubblicato su Lancet, ha evidenziato significative riduzioni dell’impiego di antibiotici, nelle Unit? di terapia intensiva, mediante questo nuovo approccio. E, secondo gli autori, ne conseguirebbe un contenimento del fenomeno della resistenza batterica a questi farmaci. Michel Wolff del Service de R?animation M?dicale, Assistance Publique-H?pitaux de Paris, ha reclutato oltre 600 pazienti con sospetta infezione batterica, di et? pari o superiore a 18 anni, e per i quali era stata prevista un’ospedalizzazione di almeno tre giorni. Per 307 pazienti l’assunzione o la sospensione degli antibiotici ? stata stabilita sulla base di un range prestabilito di concentrazioni dell’ormone (gruppo procalcitonina); per altri 314 individui sono, invece, stati adottati i criteri delle attuali linee guida (gruppo controllo). Sebbene la percentuale di decessi a 28 e 60 giorni sia risultata paragonabile per i due gruppi (21,2% vs 20,4% e 30,0% vs 26,1%; procalcitonina vs controllo), con il nuovo metodo il riscorso ad antibiotici ? stato evitato per molti pi? giorni rispetto al controllo (differenza assoluta = 2,7 giorni). (L.A.)

Lancet. 2010 Jan 22. [Epub ahead of print]

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La psoriasi spesso ? male accompagnata

Negli psoriasici vi ? un’elevata incidenza di altre comorbidit?. La conferma arriva da un’indagine appena pubblicata su Journal of Dermatology. Nawaf Al-Mutairi del Department of Dermatology and Venereology, Ahmadi Hospital in Kuwait, ha condotto uno studio caso-controllo allo scopo di confrontare la prevalenza di alcune patologie in oltre 1.800 pazienti psoriasici con quella riscontrata in individui non affetti da questa malattia. Gli autori hanno registrato una percentuale pari al 92,8%, di casi lievi e moderati della malattia e solo del 7% di psoriasi severa. Gli psoriasici erano pi? frequentemente fumatori rispetto ai controlli (51,34% vs 32,51%, rispettivamente). Nelle forme lievi-moderate, in quelle severe e nei controlli, l’incidenza di determinate condizioni patologiche ? risultata significativamente differente. In particolare, per l’artrite infiammatoria si ? osservata una percentuale del 20%, 31% e 10,68%; per patologie coronariche del 4,1%, 8,35% e 1,42%; condizioni di obesit? del 32,5%, 41% e 17%; diabete di tipo 2 del 37,4%, 41% e 16%; ipertensione del 32%, 40,3% e 11,55%; dislipidemia pari al 14,1%, 22,48% e 4,96%; sindrome metabolica del 16%, 26,35% e 6,76%; Copd del 5,36%, 6,98% e 4,03%; cancro pari allo 0,3%, 1,55% e 0,16%. (L.A.)

Journal of Dermatology 2010, 37, 2, 146 – 155

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Ok a profilassi antibiotica prima del cesareo

La profilassi antibiotica, in donne che devono essere sottoposte a parto cesareo, riduce significativamente il rischio di infezioni. Queste le conclusioni di una Cochrane review che ha, tuttavia, messo in evidenza che le conseguenze dell’impiego di antibiotici sul nascituro rimangono ancora tutte da chiarire. Dall’analisi di 86 studi, comprendenti oltre 13mila donne, ? emerso che il ricorso a questi farmaci abbassa il rischio di febbre (rr= 0,45), endometrite (rr = 0,38) e infezioni a livello della ferita (rr = 0,39) per la partoriente. ?Sebbene l’utilizzo di antibiotici sia giustificato dal fatto che le donne possono contrarre infezioni, anche gravi, con una probabilit? 20 volte superiore con il parto cesareo rispetto a quello vaginale e che queste infezioni possono interessare diverse regioni, quali zona pelvica, regione dell’incisione e apparato urinario, bisogna tener conto anche del nascituro? ha commentato F.M. Smaill del Department of Pathology and Molecular Medicine, McMaster University, in Canada. ?In tutti gli studi che abbiamo considerato, i benefici derivanti dalla profilassi antibiotica sono stati giustamente bilanciati con i rischi per la donna, ma nessuno di questi ha valutato le conseguenze sul bambino?.

Cochrane Database Syst Rev. 2010 Jan 20;(1):CD007482

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