Una messa a punto sull’insufficienza renale cronica

L’insufficienza renale cronica (IRC), definita? in base ad una diminuzione del filtrato glomerulare < 60%, ? una patologia emergente con una prevalenza negli Stati Uniti? intorno al 13%. Peraltro solo meno del 2% di tali pazienti arriva ad una terapia sostitutiva della funzione renale (emodialisi,dialisi peritoneale o trapianto renale) in quanto vi ? una elevatissima mortalit? cardiovascolare che aumenta con la diminuzione della funzione renale. Tale elevato rischio cardiovascolare ? dovuto a fattori specifici della IRC, come la anemia, l'iperparatiroidismo secondario con calcificazioni vascolari, la disfunzione endoteliale con deficit funzionale di ossido nitrico per la ritenzione di sostanze (come l'ADMA), antagoniste di tale molecola, la iperattivit? simpatica, lo stato infiammatorio cronico. Inoltre anche i tradizionali fattori di rischio come l'ipertensione la dislipidemia, l'alterato metabolismo glucidico, il fumo sono spesso presenti. La gestione di questi pazienti? richiede un approccio multiplo:
i pazienti con IRC, e in particolare quelli in stadio avanzato, dovrebbero essere regolarmente seguiti da una ?quipe specialistica ?con controllo periodico della funzione renale (ogni tre-sei mesi)
la pressione arteriosa deve essere trattata in maniera da avere valori inferiori a 130/80 e i farmaci di prima scelta dovrebbero essere i bloccanti del sistema Renina-Angiotensina (ACE Inibitori ,Sartani), sempre tenendo per? presente il possibile rischio di peggioramento della funzione renale soprattutto nei pazienti anziani per la possibile presenza di misconosciute stenosi delle arterie renali. Anche beta bloccanti, diuretici dell’ansa e? calcio antagonisti possono essere utilizzati nella terapia, spesso necessariamente? polifarmacologica. E’ richiesta inoltre una restrizione dell’introito di sale
la proteinuria ? il pi? importante fattore di progressione della IRC e pertanto vanno messi in atto tutti i presidi farmacologici in grado di ridurla: ACE Inibitori, Sartani, Antialdosteronici, sempre controllando eventuali effetti collaterali, come la temibile iperpotassiemia. Purtroppo i risultati dello studio ONTARGET hanno sollevato forti dubbi sulla sicurezza della associazione ACEInibitori-Sartani
il controllo glicemico deve essere rigoroso
l’iperparatiroidismo secondario deve essere trattato con chelanti del fosforo, vitamina D, Calciomimetici
la dislipidemia va controllata sino ad avere un livello di LDL <100 mg%
l’anemia della IRC ? dovuta a deficit di produzione di eritropoietina e la sua terapia richiede l’utilizzo di ESA (Erythropoiesis-Stimulating-Agents) come la eritropoietina alfa, beta, darbepoietina, CERA, ma il target di emoglobina dovrebbe essere rigorosamente mantenuto tra 11 e 12 gr%, per evitare effetti collaterali come l’incremento degli eventi cardiovascolari per ?aumentata viscosit? ematica (i dati dello studio TREAT hanno evidenziato i possibili pericoli di un approccio aggressivo nella terapia con ESA). Un adeguato supplemento di ferro? deve essere somministrato quando vi sia ?carenza marziale
i disturbi dell’equilibrio acido base vanno trattati in caso di grave acidosi con l’uso di sodio bicarbonato per via orale. Vi sono ancora aree di incertezza nella terapia della IRC in particolare negli stadi avanzati 3, 4 e 5, come ad esempio la mancanza di dati certi sul target ?di emoglobina da raggiungere e sulla eventuale terapia di doppia inibizione del sistema Renina-Angiotensina, ma in ogni caso nel trattamento dei pazienti con IRC disponiamo oggi di presidi di terapia efficaci che ?vanno utilizzati correttamente al fine di abbattere la elevatissima mortalit? cardiovascolare di questi pazienti.
Abbound H, Henrich WL.?Stage IV Chronic Kidney Disease. New Engl J Med?2010;362(1):56-65

 509 total views

Un’altra azione pleiotropa delle statine

Dati recenti riportano fra gli effetti pleiotropi delle statine quelli sulla infiammazione e sulla cascata emocoagulativa. Su tale base di conoscenza i colleghi dell’Albert Einstein Medical Center di ?Philadelphia hanno condotto uno studio retrospettivo interessante su?pi? di 700 pazienti con diagnosi di tumore “solido”, valutando l’incidenza del tromboembolismo venoso in relazione all’utilizzo delle statine e di altre variabili quali la chemioterapia, l’immobilizzazione, la disseminazione metastatica, il fumo e l’uso di ASA. I dati emersi da questa ricerca retrospettiva, pur con tutti i limiti metodologici del caso, sono comunque interessanti:
la frequenza del tromboembolismo venoso (TEV) in questo tipo di pazienti ? risultata essere del 18%
diabete e/o ipertensione non correlavano con una frequenza maggiore del TEV – l’immobilizzazione, la documentata presenza di metastasi e la chemioterapia erano invece fattori molto favorenti il TEV con un OR rispettivamente di 2,52 (95% CI, 1,58-4,01), 2,44 (95% CI, 1,64-3,63)? e 2,07 ( 95% CI, 1,34-3,22)
il fumo (inaspettatamente), l’uso dell’ASA e il trattamento con le statine (per di pi? a dosi standard e senza sostanziale differenza fra i vari preparati) determinavano invece una riduzione del rischio di TEV con una OR rispettivamente di 0,62 ( 95% CI, 0,39-0,98), 0,57 ???(95% CI, 0,34-0,96) e ?0.33 (95% CI, 0,19-0,57).

L’analisi di regressione statistica, includente i vari fattori di rischio o le misure preventive il TEV, ha confermato il dato suggerendo che l’utilizzo delle statine in questa particolare tipologia di pazienti pu? esercitare un effetto protettivo sul TEV.

Khemasuwa?MD et?al. Statins Decrease the Occurrence of Venous Thromboembolism in Patients with Cancer Danai.?AJM 2010;123(1):60-65

 537 total views

Sindrome di Gitelman: pensiamoci

La sindrome di Gitelman? (GS), una variante della sindrome di Bartter, ? un disordine tubulare renale, autosomico recessivo, caratterizzato da ipokaliemia, ipomagnesiemia, ipocalciuria, alcalosi metabolica, iperaldosteronismo e ipotensione. La sua prevalenza ? di 25 casi su 1 milione e la diagnosi viene di solito fatta in ritardo, perch? questi pazienti sono difficili da classificare clinicamente. La causa ? da ricercare in mutazioni inattivanti (ne sono state descritte pi? di 100) nel gene SLC12A3 che codifica il co-trasporto sodio-cloro tiazide sensibile (NCCT). Un perdita tubulare di sodio provoca un iperldosteronismo e conseguente perdita di potassio, ma il meccanismo ? molto pi? complesso, come riferiscono Roser e coll. prendendo lo spunto da due pazienti giunti alla loro osservazione.? La sintomatologia ? piuttosto variabile e pu? essere costituita, a causa dei disturbi elettrolitici, da contrazioni crampiformi, ma anche paralisi flaccida, stanchezza cronica fino alla narcolessia. Il genere maschile ? pi? colpito di quello femminile e la combinazione delle mutazioni? presente in ciascun allele? pu? determinare una variazione del fenotipo. In pratica la GS ? la patologia speculare della S. di Gordon o pseudoiperaldosteronismo tipo II (PAHII) in cui si ha ipertensione, iperkaliemia e acidosi metabolica. La GS ? difficile da trattare. Un ruolo non ben definito rimane ancora quello degli antagonisti dell’aldosterone e degli agenti sul RAS: il difetto tubulare di per s? non pu? essere corretto e la pietra miliare del trattamento rimane la supplementazione di potassio e magnesio.? Ma ? difficile comunque ripristinare i valori normali di potassio e di magnesio, perch? ad alte dosi possono dare intolleranza gastrica e diarrea. Il cloruro di Mg sembra pi? tollerabile dell’aspartato di Mg.

Roser M et al.?Gitelman Syndrome. Hypertension 2009;53(6):893-897

 2,013 total views

HB glicata per la diagnosi di diabete?

Abitualmente la diagnosi di diabete ? effettuata misurando i valori glicemici a digiuno o dopo carico di glucosio per os. Recentemente l’ADA, l’EASD e l’IDF hanno proposto di sostituire questi test con quello dell’emoglobina glicata (International Expert Committee report on the role of the A1c assay in the diagnosis of diabetes. Diabetes Care 2009; 32: 1327). Un valore > 6,5% sarebbe cio? sufficiente di per s? per la diagnosi di DM tipo 2 anche senza l’effettuazione del test della glicemia (anche se quest’ultimo va utilizzato nei casi in cui i valori di emoglobina glicata risultano non chiaramente interpretabili).

In una recente analisi del problema, pubblicata a inizio dicembre 2009 sul British Medical Journal, Kilpatrick e collaboratori discutono i pro ed i contro che si possono registrare nel seguire questa raccomandazione. I vantaggi offerti dalla A1c sono rappresentati dalla possibilit? di effettuare un solo prelievo anche non a digiuno, dalla limitata variabilit? del valore da un giorno all’altro, dalla stabilit? del campione dopo il prelievo e dalla possibilit? di avere una valutazione del controllo glicemico nelle settimane precedenti il prelievo stesso. Gli svantaggi al contrario sono rappresentati dal fatto che la metodica non ? ancora ben standardizzata in tutti i laboratori; inoltre i valori possono essere modificati in presenza di emoglobinopatie, anemia sideropenica ed insufficienza renale; l’et? e la razza possono determinare ulteriori difficolt? di interpretazione e si possono realizzare delle discrepanze tra i valori glicemici e quelli del test di A1c; inoltre il costo risulta ancora elevato. Occorre ancora considerare che non ? al momento del tutto chiaro se il test della A1c sia altrettanto accurato dei test glicemici (a digiuno e dopo carico) nel predire la comparsa di un danno microangiopatico. Un ulteriore dubbio deriva dal fatto che un certo numero di pazienti (fino al 50-60% secondo alcune stime) con elevati valori glicemici a digiuno ha una concentrazione di A1c < 6.5%. L'uso di questo test nella diagnosi di diabete non faciliterebbe quindi il riconoscimento di quei pazienti che hanno il diabete ma non sanno di essere malati. In conclusione il passaggio dal test glicemico tradizionale a quello della emoglobina glicata per la diagnosi di diabete pu? al momento essere considerato non tanto un passo in avanti, ma forse un passo al momento ancora troppo lungo. Kilpatrick ES et al.?Is haemoglobin A1c a step foreard for diagnosing diabetes.?BMJ 2009;339(10):1288-1290

 653 total views

Approccio multidisciplinare per la funzionalit? sessuale

Oltre agli aspetti puramente fisici della disfunzionalit? sessuale maschile (disturbi del desiderio, dell’eccitamento e dell’orgasmo), un trattamento moderno orientato verso la coppia, prende in considerazione anche gli aspetti psicosociali. La validit? di questo approccio ? supportata da una revisione, condotta da ricercatori tedeschi, della letteratura sulla disfunzionalit? sessuale maschile, sulla sua associazione a patologie sottostanti e sull’impatto nella relazione e nella soddisfazione sessuale. Dalla metanalisi ? emerso che nella valutazione diagnostica ha un’importanza primaria la storia sessuale del soggetto e del partner, considerata nella sua multidimensionalit?. La frustrazione cronica dei bisogni psicosociali di accettazione, sicurezza e vicinanza, ? un importante fattore finora negato nell’eziologia di questo tipo di disturbi. Il loro trattamento, invece, richiede una combinazione di elementi derivanti dalla medicina della sessualit? e dalla psicoterapia fino alla medicina somatica e alla farmacologia. L’obiettivo di questo approccio ? andare incontro, per risolverli, ai bisogni psicosociali cos? da migliorare la funzionalit? sessuale del paziente.

Dtsch Arztebl Int 2009; 106(50): 821-8

 406 total views

Meno errori con etichette pi? chiare

L’utilizzo di un linguaggio pi? semplice ed esplicito nella formulazione delle etichette dei farmaci prescrivibili pu? favorirne una migliore interpretazione da parte dei pazienti, evitando gravi errori nel corso delle terapie. A stabilirlo ? uno studio pubblicato su Archives of Internal Medicine e condotto presso due Istituti accademici e due Centri ospedalieri americani. L’indagine ha riguardato 500 pazienti adulti assegnati a interpretare: etichettature standard di farmaci (tipo 1); spiegazioni riformulate alla luce di un linguaggio semplificato (tipo 2) oppure etichettature prodotte con linguaggio semplice e corredato da immagini (tipo 3). L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla corretta interpretazione delle schede tecniche di nove medicinali valutata attraverso un pannello di risposte dei pazienti. In sintesi, la percentuale di interpretazioni esatte per il tipo 1, 2 e 3 di etichettatura ? risultata pari a 80,3%; 90,6% e 92,1%, rispettivamente. In aggiunta, il tipo 2 e 3 (Or = 2,64 e 3,26, rispettivamente) ? apparsa molto pi? vantaggiosa rispetto a quella di tipo 1. Infine, i pazienti con capacit? linguistiche marginali e scarse hanno ricevuto notevole aiuto dall’inserimento di icone rispetto alle etichette contenenti esclusivamente formulazioni semplificate (Or = 2,59 e 3,22 rispettivamente). (L.A.)

Arch Intern Med. 2010 Jan 11;170(1):50-6

 433 total views

Con stop al fumo occhio alla glicemia

Smettere di fumare aumenterebbe il rischio di sviluppare diabete di tipo 2, probabilmente a causa dell’aumento di peso che si verifica in vicinanza dell’interruzione. Si tratta dei dati di uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine, che aggiunge un ulteriore dettaglio alla conoscenza dei meccanismi alla base della correlazione tra fumo di sigaretta e incidenza della patologia diabetica. Aric (Atherosclerosis Risk in Communities) questo l’acronimo dell’indagine prospettica che ha riguardato oltre 10mila individui di mezza et? che, al momento del reclutamento, non erano affetti da diabete. Dopo circa nove anni di follow-up, 1.254 persone sono risultate diabetiche. In aggiunta, durante i primi tre anni di indagine, 380 individui hanno smesso di fumare. Dopo opportune correzioni per et?, razza, sesso, educazione, livelli plasmatici di lipidi e pressione sanguigna, negli individui in precedenza fumatori, in quelli che avevano appena smesso e in coloro che continuavano a fumare, l’incidenza di diabete ? risultata significativamente pi? elevata rispetto ai non fumatori (hazard ratio = 1,22 ; 1,73 e 1,31, rispettivamente). Ulteriori correzioni per variazioni di peso corporeo e conta leucocitaria hanno mostrato un’attenuazione del rischio di sviluppare la malattia diabetica. Infine, analisi a lungo termine hanno evidenziato che il rischio pi? alto si osserva dopo 3 anni (hr= 1,91) e che, da 0 a 12 anni, gradualmente decresce. (L.A.)

Ann Intern Med. 2010 Jan 5;152(1):10-7

 687 total views

Tendinopatia achillea, nessun vantaggio con piastrine

19 Gen 2010 Ortopedia

L’iniezione di plasma arricchito di piastrine (Prp) non migliora gli outcome clinici di pazienti affetti da tendinopatia achillea e sottoposti a riabilitazione terapeutica. Queste le conclusioni di uno studio pubblicato su Jama da alcuni ricercatori olandesi. L’indagine randomizzata e controllata con placebo ? stata condotta presso The Hague Medical Center di Leidschendam e ha coinvolto 54 pazienti di et? compresa tra 18 e 70 anni che presentavano tendinopatia cronica a livello del tendine d’Achille. I partecipanti, in aggiunta all’approccio standard basato su specifici esercizi, hanno ricevuto iniezioni di plasma contenente piastrine oppure iniezioni saline (placebo). Il livello di dolore e le capacit? motorie sono state valutate, dopo 6, 12 e 24 settimane di trattamento, mediante il questionario Visa-A (Victorian Institute of Sports Assessment-Achilles) che utilizza uno score compreso tra 0 e 100, con valori alti corrispondenti a dolore di bassa entit? e migliori performance fisiche. In breve, dopo 24 settimane lo score Visa-A medio ? aumentato di 21,7 punti nel gruppo Prp e di 20,5 nel gruppo placebo. (L.A.)

Jama 2010; 303(2):144-149

 1,251 total views

Pazienti in sovrappeso con steatoepatite non-alcolica: dubbi sull?efficacia di Orlistat

I Ricercatori del Brooke Army Medical Center di Fort Sam Houston negli Stati Uniti, hanno condotto uno studio clinico con lo scopo di determinare se Orlistat ( Xenical ), un inibitore dell?assorbimento dei grassi, in combinazione con un regime dietetico ipocalorico porta a riduzione del peso e miglioramento dell?istologia epatica in soggetti in sovrappeso con steatoepatite non-alcolica.

Cinquanta soggetti sovrappeso ( indice di massa corporea maggiore o uguale a 27 ) con steatoepatite non alcolica determinata mediante biopsia sono stati assegnati in maniera casuale a ricevere una dieta di 1.400 kcal giornaliere pi? Vitamina-E ( 800 UI ) ogni giorno con o senza Orlistat ( 120 mg 3 volte al giorno ) per 36 settimane.

La biopsia epatica ? stata ripetuta alla settimana 36.

Hanno completato lo studio 23 soggetti nel gruppo Orlistat/dieta/Vitamina E e 18 in quello dieta/Vitamina E.

L?et? media era di 47 anni e l?indice di massa corporea medio di 36,4.
Quattro soggetti soffrivano di diabete.

Il gruppo Orlistat ha perso in media l?8,3% del peso corporeo rispetto al 6,0% del gruppo dieta/Vitamina E ( differenza statisticamente non significativa ).

I gruppi hanno mostrato miglioramenti simili riguardo ai livelli sierici di aminotransferasi, steatosi epatica, necroinfiammazione, insufflazione forzata e punteggi di attivit? della steatosi epatica non alcolica.

Stratificando in base al calo ponderale anzich? in base al trattamento, una perdita maggiore o uguale al 5% del peso corporeo ( n=24 ), rispetto a una inferiore al 5% ( n=17 ), ? risultata correlata a un miglioramento della sensibilit? all?insulina ( P=0,0001 ) e della steatosi ( P=0,015 ).

Confrontando i soggetti che hanno perso una percentuale il 9% o pi? del proprio peso corporeo ( n=16 ) con quelli che ne hanno perso meno ( n=25 ) sono stati osservati miglioramenti nella sensibilit? all?insulina ( P<0,001 ), nei livelli di adiponectina ( P=0,03 ), nella steatosi ( P=0,005 ), nell?insufflazione forzata ( P=0,04 ), nell?infiammazione ( P=0,045 ) e nei punteggi di attivit? della steatosi epatica non-alcolica ( P=0,009 ). Aumenti nei livelli di adiponectina sono risultati strettamente correlati a un miglioramento nell?insufflazione forzata e nei punteggi di attivit? della steatosi epatica non alcolica ( P=0,03 ). Orlistat non ha incrementato la perdita di peso o migliorato i livelli degli enzimi epatici, le misure di resistenza all?insulina e l?istopatologia.
Tuttavia i soggetti che hanno avuto un calo ponderale maggiore o uguale al 5% del proprio peso corporeo in 9 mesi hanno migliorato la resistenza all?insulina e la steatosi, e quelli che hanno raggiunto un calo maggiore o uguale al 9% hanno anche ottnuto miglioramenti nell?istologia epatica.

Harrison SA et al, Hepatology 2009; 49: 80-86

 487 total views

Raddoppio precoce del PSA non affidabile

17 Gen 2010 Urologia

Negli uomini con recidiva biochimica di ca prostatico dopo prostatectomia radicale, il tempo di raddoppio precoce dell’antigene specifico della prostata (ePSADT) basato sui risultati di esami ultrasensibili del PSA non correla bene con il PSADT standard. Questo il risultato di uno studio della Duke university di Durham, North Carolina; tenendo conto che l’ePSADT ? considerato come l’intervallo tra il primo livello rilevabile di PSA pari o inferiore a 0,001 ng/mL fino al primo livello di 0,20 ng/mL o pi? e che lo standard PSADT ? calcolato usando livelli di PSA di almeno 0,20 ng/mL, il dato emerso dal lavoro statunitense ? ritenuto importante in quanto dimostra che per un uomo con un PSA in rapida salita a livelli molto bassi (meno di 0,2 ng/mL), il PSA non necessariamente continua ad aumentare allo stesso ritmo. A questi soggetti, pertanto, andrebbe data l’opportunit? di sottoporsi a radioterapia e non presumere che la malattia sia gi? metastatica e pertanto la radiazione sia inutile, semplicemente a causa di un aumento molto veloce del PSA. Gli autori hanno rivisto i dati relativi a 157 uomini sottoposti a prostatectomia radicale e nei quali erano calcolabili l’ePSADT e il PSADT: nonostante il primo fosse significativamente correlato con il secondo, l’associazione complessiva era modesta o povera. “Solo 39% degli uomini con gli ePSADT pi? brevi (meno di 3 mesi) aveva un PSADT inferiore ai 9 mesi. In ogni caso” concludono “un lungo ePSADT correla bene con un lungo PSADT e ci? ? molto utile per identificare uomini a basso rischio di mortalit? cancro-specifica molto precoce nella recidiva biochimica”. (A.Z.)

BJU Int, 2009;104:1604-1609

 1,625 total views

1 112 113 114 115 116 258

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?