Steatosi epatica non alcolica, diagnosi pi? facile

Diagnosi di steatosi epatica non alcolica? Sensibilmente pi? facile col test ematico FibroMax. Lo rivelano i dati preliminari dello studio VARES, presentati al 26? Congresso Nazionale della Societ? Italiana Medicina Generale (SIMG) appena conclusosi a Firenze.
Un semplice esame del sangue, il FibroMax, sui primi 67 pazienti arruolati nello studio VARES (VAlutazione del Rischio Evolutivo del paziente con Steatosi epatica non alcolica in medicina generale) ha evidenziato risultati interessanti, tra cui una steatosi severa nel 30% dei casi, rispetto ad una diagnosi ecografica di steatosi moderata, e una fibrosi di grado avanzato non diagnosticata nel 12% dei pazienti. ?Tutti casi sfuggiti alle analisi di routine”, spiega Ignazio Grattagliano, medico di Medicina generale, collaboratore dell’area gastroenterologica SIMG e coordinatore dello studio Vares. “I dati preliminari dello studio che presentiamo lo confermano: non sempre le indagini standard, come le transaminasi e l?ecografia, sono sufficienti a valutare la gravit? e la progressione della steatosi?. ?La steatosi epatica ? una malattia molto frequente nella popolazione generale”, spiega Enzo Ubaldi, responsabile nazionale dell?area progettuale gastroenterologica della SIMG, “e si manifesta spesso con un lieve rialzo degli enzimi epatici nel sangue (ad esempio ALT), ma la diagnosi ? oggi affidata all?ecografia. ? importante, quindi, individuare i casi che richiedono ulteriori accertamenti e cure da parte dello specialista prima che progrediscano verso forme croniche pi? gravi, quali fibrosi e cirrosi fino al carcinoma epatico, causa di morte nel 3% dei pazienti?. Alfredo Alberti, professore ordinario di Gastroenterologia all?Universit? di Padova, afferma: “La steatosi epatica non alcolica pu? innalzare i costi di gestione del paziente a causa del lungo periodo di latenza preclinico, ma la disponibilit? di un trattamento efficace e sicuro, anche non farmacologico, e la sua semplice valutazione con FibroMax potrebbero rappresentare un guadagno in tutti i sensi”. I 6 centri dello studio arruoleranno in collaborazione con altri medici ricercatori oltre 70 pazienti per centro (et? compresa tra i 18 e i 65 anni) con steatosi epatica non alcolica, diagnosticata con ecografia, per un totale di oltre 400 pazienti. ?Dovranno essere escluse patologie epatiche pi? gravi o neoplasie e infezioni o infiammazioni”, precisa Ubaldi. “Per questo, i pazienti saranno sottoposti ad una serie di esami preliminari, che prevedono un prelievo di sangue per la determinazione dei diversi parametri plasmatici che serviranno a definire meglio la malattia”. “I risultati parziali dello studio, relativi al 12% circa di pazienti che mostrano al FibroTest, analisi compresa nel FibroMax, un grado di fibrosi pi? alto di quello ipotizzato, sono in linea con quanto riportato in precedenti studi”, spiega Grattagliano, “e questo valida ulteriormente il Fibrotest. Ma l?altro dato, quello che riguarda i pazienti con steatosi pi? grave di quanto diagnosticato all?ecografia (30%), se confermato sull?intera popolazione dello studio, ? altrettanto interessante perch? indica sia la necessit? clinica di metodiche di indagine da affiancare all?ecografia sia l?urgenza in questi casi di attuare terapie preventive volte ad evitare l?evoluzione in steatoepatite ed in fibrosi. I pazienti con steatoepatite non alcolica sono, infatti, di interesse specialistico, ma possono essere selezionati gi? dal medico di famiglia, a cui ? affidata la prima diagnosi e la gestione delle forme non complicate. Se la malattia epatica ? ancora in fase iniziale, dieta, esercizio fisico e l?utilizzo di un integratore a base di silibina (estratto del cardo mariano), ad attivit? antiossidante e antifibrotica, in associazione a fosfatidilcolina (che ne favorisce l?assorbimento per via orale) e a vitamina E (ad azione antiossidante e stabilizzatore di membrana), possono contribuire a migliorare la condizione epatica. E lo stesso FibroMax potr? essere proposto in futuro per il follow-up dei pazienti con steatosi epatica non alcolica, analogamente a quanto gi? succede per il monitoraggio della steatosi alcolica o di quella causata da infezione da virus dell?epatite B o C?, conclude Grattagliano.
Fonte: XXVI Congresso Nazionale della Societ? Italiana Medicina Generale, Firenze 2009.

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Fegato grasso: test sul sangue evidenzia forme di progressione avanzata nel 30% dei pazienti

Un semplice esame del sangue, il FibroMax, sui primi 67 pazienti arruolati nello studio VARES (VAlutazione del Rischio Evolutivo del paziente con Steatosi epatica non alcolica in medicina generale) ha evidenziato risultati interessanti, tra cui una steatosi severa nel 30% dei casi, rispetto ad una diagnosi ecografica di steatosi moderata, e una fibrosi di grado avanzato non diagnosticata nel 12% dei pazienti. ?Tutti casi sfuggiti alle analisi di routine – ha affermato il dottor Ignazio Grattagliano, medico di medicina generale collaboratore area gastro-enterologica Societ? Italiana Medicina Generale (SIMG) e coordinatore dello studio Vares – I dati preliminari dello studio che presentiamo a questo 26? congresso annuale dei medici di famiglia inaugurato oggi a Firenze lo confermano: non sempre le indagini standard, come le transaminasi e l?ecografia, sono sufficienti a valutare la gravit? e la progressione della steatosi?.
?La steatosi epatica, o ?fegato grasso?, ? una malattia molto frequente nella popolazione generale ? ha spiegato il dottor Enzo Ubaldi, responsabile nazionale dell?area progettuale gastro-enterologica della SIMG. Si manifesta spesso con un lieve rialzo degli enzimi epatici nel sangue (ad esempio ALT), ma la diagnosi ? oggi affidata all?ecografia. ? importante, quindi, individuare i casi che richiedono ulteriori accertamenti e cure da parte dello specialista prima che progrediscano verso forme croniche pi? gravi, quali fibrosi e cirrosi fino al carcinoma epatico, causa di morte nel 3% dei pazienti?.
L?accumulo di grasso nel fegato pu? essere indotto dall?abuso di alcol o da infezioni virali, come l?epatite B o C, ma anche pi? semplicemente pu? essere il risultato di uno stile di vita inadeguato o di un diabete non controllato. In questo caso si parla di steatosi epatica non alcolica. Per valutare il grado di salute/malattia del fegato nello studio VARES, supportato da Ibi-Lorenzini insieme a Biopredictive e ai Laboratori Fleming, ? stato adottato il FibroMax, test che dall?elaborazione di diversi parametri ematici fornisce informazioni per quanto riguarda la presenza di steatosi, steatoepatite e fibrosi epatica.
?La steatosi non va sottovalutata perch?, anche se non d? sintomi o alterazioni ematiche evidenti, interessa oltre 20 milioni di italiani, un terzo della popolazione, e se non trattata pu? evolvere verso forme croniche pi? gravi, come la fibrosi e la cirrosi e contribuire all?insorgenza del carcinoma epatico – ha affermato Alfredo Alberti, Professore ordinario di Gastroenterologia all?Universit? di Padova – D?altra parte, la steatosi epatica non alcolica pu? innalzare i costi di gestione del paziente a causa del lungo periodo di latenza preclinico, ma la disponibilit? di un trattamento efficace e sicuro, anche non farmacologico, e la sua semplice valutazione con FibroMax potrebbero rappresentare un guadagno in tutti i sensi?.
I risultati preliminari sui 67 pazienti finora arruolati nello studio VARES sono presentati durante il simposio ?La steatosi epatica: vero o falso problema??, a cui partecipa in qualit? di moderatore e relatore il prof. Antonio Crax? dell?Universit? di Palermo, tra i massimi esperti delle malattie epatiche in Italia. Coordinatori dello studio sono proprio i medici di famiglia, referenti SIMG dell?area gastro-enterologica nei 6 centri dello studio, che arruoleranno in collaborazione con altri medici ricercatori oltre 70 pazienti per centro (et? compresa tra i 18 e i 65 anni) con steatosi epatica non alcolica, diagnosticata con ecografia, per un totale di oltre 400 pazienti.
?Dovranno essere escluse patologie epatiche pi? gravi o neoplasie e infezioni o infiammazioni ? ha precisato il dott. Ubaldi -. Per questo, i pazienti saranno sottoposti ad una serie di esami preliminari, che prevedono un prelievo di sangue per la determinazione dei diversi parametri plasmatici che serviranno a definire meglio la malattia.?
I risultati parziali dello studio, relativi al ?12% circa di pazienti che mostrano al FibroTest, analisi compresa nel FibroMax, un grado di fibrosi pi? alto di quello ipotizzato, sono in linea con quanto riportato in precedenti studi – ha spiegato il dr. Grattagliano – e questo valida ulteriormente il Fibrotest. Ma l?altro dato, quello che riguarda i pazienti con steatosi pi? grave di quanto diagnosticato all?ecografia (30%), se confermato sull?intera popolazione dello studio, ? altrettanto interessante perch? indica sia la necessit? clinica di metodiche di indagine da affiancare all?ecografia sia l?urgenza in questi casi di attuare terapie preventive volte ad evitare l?evoluzione in steatoepatite ed in fibrosi.
I pazienti con steatoepatite non alcolica sono, infatti, di interesse specialistico, ma possono essere selezionati gi? dal medico di famiglia, a cui ? affidata la prima diagnosi e la gestione delle forme non complicate. Se la malattia epatica ? ancora in fase iniziale, ?dieta, esercizio fisico e l?utilizzo di un integratore ampiamente studiato, come il Realsil, a base di silibina (estratto del cardo mariano), ad attivit? antiossidante e antifibrotica, in associazione a fosfatidilcolina (che ne favorisce l?assorbimento per via orale) e a vitamina E (ad azione antiossidante e stabilizzatore di membrana), possono contribuire a migliorare la condizione epatica ? ha concluso Grattagliano -. E lo stesso FibroMax potr? essere proposto in futuro per il follow-up dei pazienti con steatosi epatica non alcolica, analogamente a quanto gi? succede per il monitoraggio della steatosi alcolica o di quella causata da infezione da virus dell?epatite B o C?.

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Marcatore sierologico di pancreatite autoimmune

? frutto della collaborazione tra ricercatori dell’Universit? di Verona, quella di Genova e l’Istituto Gaslini della citt? ligure l’identificazione di un anticorpo presente nella maggior parte dei pazienti con pancreatite autoimmune e assente in quasi tutti quelli con cancro del pancreas. Tale anticorpo ? diretto contro una particolare porzione della proteina Pbp (Plasminogen binding protein) dell’Helicobacter pylori che presenta una similitudine con una proteina umana, la Ubr2 (Ubiquitin-protein ligase E3 component recognin 2) presente nelle cellule acinari del pancreas. ? un esempio del cosiddetto “mimetismo molecolare”, uno dei possibili meccanismi attraverso cui un agente infettivo pu? indurre una malattia autoimmune. Analizzando una raccolta di campioni sierici dai pazienti, gli autori hanno notato gli anticorpi anti-Pbp che, nel complesso, sono risultati positivi in 33 su 35 soggetti con pancreatite autoimmune (94%) e in 5 su 100 con cancro pancreatico (5%). “Dal punto di vista clinico, questo test ? importante perch? aiuta a discriminare le due patologie” sottolineano i ricercatori. “Alcuni soggetti, infatti, si sottopongono a intervento chirurgico nel sospetto di neoplasia, invece sono affetti da una pancreatite autoimmune che risponde molto bene ai cortisonici”. (A.Z.)

New England Journal of Medicine, 2009; 361:2135-2142

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Nuovo metodo italiano per valutare la cirrosi

Mano a mano che la cirrosi epatica diventa pi? grave, la permeabilit? dell’intestino aumenta. E lo fa in maniera misurabile. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di medicina interna e dell’Istituto di medicina nucleare dell’universit? Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, coordinato da Antonio Gasbarrini, docente di terapia medica. La scoperta rappresenta un importante passo in avanti per diminuire la mortalit? dei pazienti nelle condizioni pi? gravi e avanzate della malattia. Nel fegato di un paziente cirrotico – spiega una nota dell’universit? -??si formano aree cicatriziali che aumentano la pressione portale e di conseguenza dilatano i vasi capillari intestinali. Ed ? proprio a livello dei capillari che, a causa dell’aumento della pressione, aumenta la permeabilit? che provoca il passaggio nel sangue di elementi della flora batterica presente nell’intestino. Fenomeno chiamato ‘traslocazione batterica’.

“I batteri intestinali – sottolinea Gasbarrini – hanno una funzione molto importante perch? addestrano il nostro sistema immunitario e facilitano il processo metabolico. Ma sono batteri molto speciali: pi? del 70% di essi non si possono coltivare fuori da quell’ambiente molto estremo. Ed ? proprio per questo che ? fondamentale poter misurare il livello di permeabilit? intestinale, un’alterazione che causa traslocazione batterica ed ? associata al peggioramento della cirrosi epatica”. I ricercatori sono riusciti a misurare la permeabilit? grazie alla medicina molecolare. Ai pazienti sono state somministrate per bocca compresse di una molecola, l’EDTA, marcata con cromo-51. Per dimensioni, questa molecola non dovrebbe attraversare la parete intestinale, ma se la permeabilit? ? aumentata, anche questa molecola riesce a penetrare nell’organismo e finisce nelle urine”.

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Tendinite del bicipite: regole utili per la diagnosi e la decisione terapeutica

La tendinite del bicipite ? una affezione infiammatoria che coinvolge il tendine del capo lungo del muscolo bicipite. La tendinosi del bicipite ? causata dalla degenerazione del tendine in soggetti che svolgono attivit? con sollecitazione tendinea ripetuta, piuttosto che riferibile ad un normale processo di invecchiamento. Nella pratica clinica ? facile riscontrare questa condizione che ? stata oggetto di una recente revisione pubblicata sull’American Family Physician e orientata a fornire semplici regole utili al medico di famiglia per una corretta diagnosi e scelta terapeutica.
I pazienti affetti sia da tendinite che da tendinosi del bicipite, accusano un profondo dolore lancinante nella parte anteriore della spalla, provocato o aggravato da sovraccarico ripetitivo nel movimento del braccio. All’esame obiettivo ? rilevabile un punto doloroso, a livello del bicipite, quando il braccio ? posto a 10 gradi di rotazione interna. Gli individui con pi? probabilit? di sviluppare condizioni patologiche del tendine del bicipite sono i giovani adulti dai 18 ai 35 anni che svolgono attivit? sportiva regolare, nuoto, ginnastica e arti marziali. Una lesione secondaria del tendine del bicipite pu? derivare da instabilit? della scapola, delle sue strutture legamentose e da lassit? della capsula anteriore o posteriore. Negli individui pi? anziani, come gli atleti di et? superiore ai 35 anni o soggetti che non svolgono attivit? sportiva con pi? di 65 anni, la tendinite acuta del bicipite pu? essere causata da un uso eccessivo e improvviso, o all’uso ripetitivo che con il tempo determina una tendinosi del bicipite.
La causa pi? comune di tendinosi o tenosinovite del bicipite (infiammazione della guaina tendinea) ? da impingement primario, che si riferisce ad un urto meccanico sotto l’arco coraco-acromiale. Le cause includono l’osteofitosi dell’acromion, l’ispessimento del legamento coraco-acromiale, speroni osteoartrosici con interferenza del tendine del bicipite. La lesione della cuffia dei rotatori o SLAP (anteriore labbro superiore a quello posteriore) accompagna spesso la tendinite e la tendinosi del bicipite. Infatti di conseguenza alla lesione della cuffia il tendine del bicipite si espone all’arco coraco-acromiale che pu? determinare un impingement secondario. Negli atleti di et? superiore ai 35 anni, l’impingement primario da rottura della cuffia dei rotatori ? pi? frequente che negli atleti pi? giovani.
Per la visualizzazione globale del tendine bicipite, l’ecografia ? la procedura di imaging preferibile. Tuttavia, la risonanza magnetica o l’artro-TAC visualizzano meglio il tendine a livello intra-articolare e l’eventuale presenza di processi patologici.
L’iniezione di anestetico locale (ad esempio, lidocaina 1%, con o senza corticosteroide) nella guaina del tendine del bicipite pu? essere diagnostica, nonch? terapeutica e pu? essere utile per alleviare il dolore. Le opzioni di trattamento conservativo per la tendinite del bicipite comprendono riposo, l’applicazione di ghiaccio, analgesici orali come farmaci anti-infiammatori o paracetamolo, terapia fisica o iniezioni di corticosteroidi nella guaina del tendine bicipite.
Le 4 fasi di riabilitazione da attivare in soggetti che fanno attivit? atletica con spalla dolorosa sono:
1. riposo,
2. esercizi di stretching della scapola, cuffia dei rotatori e della capsula posteriore,
3. rafforzamento muscolare
4. programma di lancio progressivamente impegnativo.
L’esercizio fisico pu? essere avviato dopo che la spalla ? indolore. L’obiettivo dello stretching ? quello di ripristinare la gamma di movimenti senza produrre rigidit? o dolore in qualsiasi posizione. Perch? anche una perdita minore di movimento nella parte bassa della schiena e muscoli posteriori della coscia pu? causare uno squilibrio importante della spalla stabilizzante legamenti e la scapola, il programma di stretching deve inoltre avere come obiettivo i tendini del ginocchio e la parte bassa della schiena.
Una volta che la cuffia dei rotatori, rotatori scapolari e gran pettorale, gran dorsale e deltoide sono sufficientemente forti, pu? essere avviato un programma di lancio. Per i soggetti che non fanno attivit? atletica, la riabilitazione ? simile, con meno enfasi del punto 4 (lancio) del programma riabilitativo.
Il clinico dovrebbe prendere in considerazione la chirurgia se il trattamento conservativo non si traduce in un miglioramento dopo 3 mesi, o se vi sono gravi danni al tendine del bicipite. Le opzioni comprendono la rimozione delle strutture che determinano l’impingement primario e secondario, e la riparazione del tendine del bicipite, se necessario. Se la rottura del tendine del bicipite ? <50%, ? indicato il debridement chirurgico.
Per lesioni gravi o rottura, si considera la tenodesi , con l’attaccamento del tendine del bicipite al legamento omerale con ancore di sutura o viti. Questa procedura pu? essere eseguita nei pazienti di et? inferiore ai 60 anni, cos? come in pazienti attivi, atleti, lavoratori manuali, e pazienti che non accettano un rigonfiamento delle masse muscolari al di sopra del gomito. Per i pazienti sedentari > di 60 anni che presentano una rottura del tendine del bicipite, la procedura di scelta ? la tenotomia con rimozione del tendine del bicipite dal legamento gleno-omerale e senza perdita significativa di funzionalit? del braccio.
Bibliografia
? Churgay CA Diagnosis and treatment of biceps tendinitis and tendinosis Am Fam Physician. 2009;80(5):470-6.

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Il referto ecografico fetale non ? infallibile

Quattro malformazioni fetali su dieci non sono visibili, ma spesso i futuri genitori si aspettano troppo da una ecografia. Cos? si moltiplicano le denunce per presunti errori di diagnosi prenatale. “Grazie all’ecografia abbiamo gli occhi puntati sul feto, ma non possiamo vedere tutto. I futuri genitori sono male informati, si aspettano troppo da una ecografia. Ecco perch? aumentano le denunce per mancata diagnosi prenatale. Denunce che poi nel 90% dei casi non portano ad alcuna condanna. Bisogna fare chiarezza”. Lo afferma Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Societ? italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale). Sulla base di studi europei su sensibilit? ed efficacia dell’ecografia prenatale si ? scoperto che la percentuale di diagnosi corrette per malformazioni fetali non supera, per le pi? importanti, il 60%. E le anomalie pi? piccole non si vedono che nel 20% dei casi. “? bene dire chiaramente – sottolinea Giorlandino – che ? impossibile avere la certezza assoluta che il nascituro sia al riparo da tutte le possibili anomalie fetali quando gli esami prenatali hanno dato esito positivo”. L’ecografo ? uno strumento fondamentale per studiare l’andamento della gravidanza, “ma – avverte il ginecologo – non possiamo dare la certezza che il bambino che verr? al mondo sar? perfetto”. Secondo Giorlandino, il progresso della medicina, specie nella diagnostica, ha fatto alzare il livello di aspettativa dei futuri genitori i quali credono che un’ecografia possa mostrare ogni tipo di eventuale malformazione fetale.

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Divisi sulla mammografia a partire dai 50 anni

Secondo alcuni esperti americani, lo screening mammografico per diagnosi precoci di cancro al seno non deve essere effettuato prima dei 50 anni. Questa la principale indicazione contenuta nel recente aggiornamento delle linee guida Uspstf
L’aggiornamento delle linee guida linee guida Uspstf (U.S. preventive services task force), in parte dovuto al lavoro di Jeanne S. Mandelblatt del Lombardi Comprehensive Cancer Center di Washington, oltre a innalzare da 40 a 50 anni l’et? minima in cui ? consigliato effettuare per la prima volta l’esame mammografico, invita anche le donne tra i 50 e i 74 anni a sottoporsi a questo tipo di valutazione diagnostica ogni due anni, anzich? ogni anno come, invece, avviene ora. Secondo gli esperti Uspstf, la decisione di iniziare i test mammografici prima dei 50 anni dovrebbe riguardare casi individuali e andrebbe presa alla luce di attente analisi dei vantaggi e dei rischi di tale approccio. A sottolineare come negli Stati Uniti si intenda, da oggi, modificare la strategia di prevenzione e lotta al carcinoma della mammella ?, infine, la decisione della commissione americana di eliminare l’esplorazione della mammella. L’autopalpazione, infatti, non offrirebbe informazioni aggiuntive rispetto all’esame mammografico anche quando eseguita dal medico. Quest’ultimo, quindi, non sar? pi? tenuto a istruire le donne su come effettuarla.

Le nuove indicazioni hanno sollevato un acceso dibattito che vede suddivisa la comunit? scientifica in due schieramenti: da un lato coloro che, come gli autori, ritengono che, pur mantenendo gli stessi vantaggi diagnostici, portando a 50 anni il momento in cui incominciare periodici controlli mammografici, si ridurrebbero soprattutto ansia e risvolti psicologici negativi conseguenti ai falsi-positivi. Sull’altro fronte, molti oncologi secondo cui le raccomandazioni Uspstf farebbero aumentare il rischio di non diagnosticare in tempo molti casi di tumore al seno. “In numerosi studi scientifici ? stato dimostrato, in maniera rigorosa, che lo screening mammografico riduce significativamente l’incidenza di morte per carcinoma della mammella nelle donne di et? compresa tra i 40 e i 74 anni” ha commentato Daniel B. Kopans, professore di Radiologia presso la Breast Imaging Division del Massachusetts General Hospital di Boston. Sul fronte italiano da registrare il parere opposto di Marco Venturini, presidente eletto Aiom, secondo il quale: “Nelle quarantenni l’incidenza di tumore della mammella ? relativamente bassa. ? il gruppo delle donne sessantenni, infatti, quello in cui si verificano maggiori casi di carcinoma mammario e, per il quale, quindi, lo screening risulta pi? vantaggioso”.

Ann Intern Med. 2009 Nov 17;151(10):716-26, W-236

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Dimero D utile per diagnosi di alterazioni venose

L’analisi dei livelli del dimero D consentirebbe diagnosi differenziali delle malformazioni venose. ? quanto stabilito in uno studio che ha coinvolto il Centre Hospitalier Universitaire di Caen e il Center for Vascular Anomalies, Universit? catholique de Louvain di Brussel. L’indagine si ? basata sulla valutazione dei risultati di esami Doppler e di analisi della coagulazione riguardanti 280 pazienti. Malformazioni venose sono state registrate in 195 partecipanti, di cui 83 presentavano livelli elevati del dimero D. La sensibilit? del dosaggio del dimero D? ? apparsa del 42,6%. Negli 85 pazienti non affetti da scompensi venosi, la concentrazione del dimero ? risultata elevata solo in 3 pazienti, con una specificit? del test pari al 96,5%. “Poich? il test per la quantificazione dei livelli del dimero D, oltre a essere estremamente semplice ed economico, risulta altamente specifico per la diagnosi di malformazioni venose, dovrebbe essere inserito di routine nella pratica clinica” ha dichiarato Anne Dompmartin, principale autore dello studio. “Con questo test possono, infatti, essere identificate alterazioni venose nascoste e si pu? discriminare tra malformazioni glomerulari (con livelli normali del dimero) e altre lesioni multifocali”.
Archives of Dermatology 2009, 145, 11, 1239-1244

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Marcatore sierologico di pancreatite autoimmune

? frutto della collaborazione tra ricercatori dell’Universit? di Verona, quella di Genova e l’Istituto Gaslini della citt? ligure l’identificazione di un anticorpo presente nella maggior parte dei pazienti con pancreatite autoimmune e assente in quasi tutti quelli con cancro del pancreas. Tale anticorpo ? diretto contro una particolare porzione della proteina Pbp (Plasminogen binding protein) dell’Helicobacter pylori che presenta una similitudine con una proteina umana, la Ubr2 (Ubiquitin-protein ligase E3 component recognin 2) presente nelle cellule acinari del pancreas. ? un esempio del cosiddetto “mimetismo molecolare”, uno dei possibili meccanismi attraverso cui un agente infettivo pu? indurre una malattia autoimmune. Analizzando una raccolta di campioni sierici dai pazienti, gli autori hanno notato gli anticorpi anti-Pbp che, nel complesso, sono risultati positivi in 33 su 35 soggetti con pancreatite autoimmune (94%) e in 5 su 100 con cancro pancreatico (5%). “Dal punto di vista clinico, questo test ? importante perch? aiuta a discriminare le due patologie” sottolineano i ricercatori. “Alcuni soggetti, infatti, si sottopongono a intervento chirurgico nel sospetto di neoplasia, invece sono affetti da una pancreatite autoimmune che risponde molto bene ai cortisonici”.
New England Journal of Medicine, 2009; 361:2135-2142

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Sla, aggiornate le linee guida

are il punto sui vantaggi offerti ai pazienti affetti da sclerosi amiotrofica laterale (Sla) dalle terapie attualmente disponibili. Questo il principale obiettivo di due lavori apparsi su Neurology che, attraverso un?approfondita analisi di studi pubblicati tra il 1998 e il 2007, forniscono un aggiornamento delle linee guida Sla, la cui ultima versione risale al 1999. In particolare, il primo traccia una panoramica dei trattamenti farmacologici, respiratori e nutrizionali mentre il secondo si focalizza sugli interventi assistenziali per la gestione della sintomatologia e delle alterazioni cognitive e comportamentali dei pazienti Sla.

Come migliorare la qualit? di vita

Pur essendo stati compiuti numerosi sforzi per mettere a punto specifici trattamenti per gli individui affetti da Sla, molti di questi vengono purtroppo ancora poco utilizzati. Questa la valutazione conclusiva di Robert G.Muller, principale autore di entrambi gli articoli apparsi su Neurology. Muller e collaboratori, dopo aver valutato 56 trial, raccolgono, quindi, tutta una serie di raccomandazioni per una migliore e pi? appropriata gestione di questa malattia. In particolare, gli autori suggeriscono, non solo, il ricorso al riluzolo allo scopo di rallentare la progressione della malattia, ma ribadiscono i benefici della gastrostomia endoscopica percutanea per la stabilizzazione del peso del paziente e della ventilazione non invasiva per il trattamento dell?insufficienza respiratoria, entrambi finalizzati non solo a migliorare la qualit? della vita dei pazienti ma soprattutto a prolungarne la durata. In aggiunta, viene sottolineata l?importanza di un inizio precoce della ventilazione non invasiva per incrementare la compliance. ?Ulteriori studi saranno necessari per stabilire il test pi? efficace di funzionalit? respiratoria; il periodo migliore per iniziare la gastronomia endoscopica percutanea e l?effetto di supplementazioni di vitamina D nei pazienti Sla? ha dichiarato Muller.

Analisi della funzioni cognitive

In seguito all?analisi di altri 40 studi di letteratura, gli autori hanno ritenuto opportuno evidenziare, innanzitutto, l?importanza di far riferimento a Centri clinici multidisciplinari nella gestione della sclerosi laterale amiotrofica. In aggiunta, ? stata ribadita l?utilit?, in caso di scialorrea, dell?impiego della tossina botulinica B e dell?irradiazione a basse dosi delle ghiandole salivari. Infine, poich? molti dei pazienti Sla mostrano alterazioni cognitive che, in alcuni casi, possono essere identificate con quelle tipiche della demenza, la valutazione delle funzioni intellettive e di specifici parametri comportamentali rivestono una grande importanza per tali pazienti. ?Le nuove linee guida intendono, oltre che uniformare i medici nella gestione dei pazienti Sla, dare maggiore valore a quanto finora si ? fatto per offrire un vero supporto ai pazienti e ai loro familiari? ha commentato Raymond P. Roos professore di Neurologia presso l?Universit? di Chicago.

(Jama 2009, 302, 21, 2303-2304, Neurology 2009, 73, 1218-1226, Neurology 2009, 73, 1227-1233)

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