Angiografia coronarica TC: i pazienti esposti a dosi di radiazioni equivalenti a 600 raggi X al torace

La tomografia computerizzata angiografica ( angio-TC ), che permette la diagnosi della malattia cardiaca, espone i pazienti a dosi di radiazioni equivalenti a 600 raggi X al torace.

Secondo l?American Heart Association, i medici dovrebbero valutare i rischi prima di richiedere test diagnostici come gli angiogrammi mediante tomografia computerizzata.

L?angiografia coronarica TC ? un esame a immagini del cuore, che permette di osservare il deposito di grassi e di calcio a livello delle arterie che forniscono sangue al muscolo cardiaco.

I pazienti a basso rischio di malattia cardiaca e che non presentono sintomi indicativi di malattia coronarica non dovrebbero essere sottoposti ad angiografia TC.

L?esposizione alle radiazioni aumenta la probabilit? di sviluppare un tumore, e il rischio varia da paziente a paziente. Secondo Andrew Einstein della Columbia University, il rischio di tumore in una donna di 60 anni con un?esposizione a uno scan di tomografia computerizzata potrebbe essere di 1 su 700, mentre per un soggetto pi? giovane, soprattutto donna, il rischio potrebbe essere pi? alto. Due esami potrebbero raddoppiare il rischio.

Fonte: Journal of American Medical Association, 2009

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Implicazioni nell’uso nella TAC

In virt? della crescente accessibilit? agli esami e dei continui progressi tecnologici, l’utilizzo della TC nella diagnostica clinica ? significativamente aumentato negli ultimi anni. Molti ricercatori hanno espresso preoccupazioni circa le dosi crescenti di radiazioni ionizzanti a cui sono sottoposti i pazienti durante l’esecuzione di questi esami. Tuttavia, poco si conosce su che cosa pensino i pazienti a questo riguardo.

E’ stato recentemente pubblicato sugli Archives of Internal Medicine uno studio condotto da Caoili EM e collaboratori, del Dipartimento di Radiologia dell’Universit? del Michigan – Ann Arbor, volto a valutare il grado di conoscenza da parte dei pazienti circa le dosi di radiazioni ed i rischi connessi all’esecuzione di un esame TAC. Sono stati distribuiti oltre 750 questionari, ricevendo una risposta nel 38% dei casi. I pazienti coinvolti nell’indagine erano prevalentemente di sesso maschile (57%) ed avevano una et? media di 56 anni. La maggior parte aveva un grado di istruzione medio o elevato. La maggior parte dei soggetti intervistati (83%) aveva discusso con il medico le indicazioni all’esame TAC, ricevendo una spiegazione esauriente e con una perfetta comprensione di quanto spiegato. Tuttavia nei casi in cui l’esame non era stato discusso, 1/3 dei pazienti dichiarava di non averne compreso minimamente le indicazioni. Pur avendo consapevolezza che l’esame TAC ? fonte di radiazioni ionizzanti, la maggior parte dei soggetti intervistati non conosceva per nulla l’entit? della dose assorbita n? i rischi connessi. Comunque oltre il 40% dei soggetti esprimeva il desiderio di conoscere meglio il rapporto tra utilit? dell’esame e rischio ad esso correlato. Nello studio si ? documentato un trend di continua crescita nel coinvolgimento dei pazienti nelle decisioni mediche che li riguardano; ci? coinvolge principalmente i soggetti pi? giovani, con livello di istruzione pi? elevato e di sesso femminile.

Caoili EM et al. Archives of Internal Medicine 2009; 169: 1069

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Stenosi della renale: rivascolarizzare ? inutile

Nei pazienti con malattia nefrovascolare aterosclerotica, la rivascolarizzazione percutanea delle arterie renali presenta gravi rischi oltre a non aver offerto prove di un effettivo beneficio clinico. ? questo l?esito dello studio Astral (Angioplasty and stenting for renal artery lesions), condotto su 806 pazienti randomizzati a ricevere la terapia medica da sola (tipicamente statine, antiaggreganti piastrinici e antipertensivi) oppure associata alla rivascolarizzazione e i cui risultati sono stati pubblicati sul New England journal of medicine (2009; 361: 1953-1962). L?outcome primario era la funzione renale, valutata dal reciproco dei livelli serici di creatinina. Quelli secondari: pressione arteriosa, tempo intercorso fino al verificarsi di eventi maggiori renali e cardiovascolari, mortalit?. Follow-up mediano: 34 mesi. Durante un periodo di cinque anni, il tasso di progressione della disfunzione renale ? apparso pi? contenuto (e quindi favorevole) nel gruppo rivascolarizzazione rispetto all?altro (95% Ci: -0,002 a -0,13; P = 0,06). Inoltre, il tasso medio serico di creatinina ? risultato di 1,6 micromoli/l inferiore nel primo gruppo rispetto al secondo. Non si sono rilevate tra i due gruppi differenze significative relative alla pressione sistolica, mentre quella diastolica decresceva meno nei rivascolarizzati rispetto agli altri. I due gruppi, infine, avevano tassi simili di eventi renali, eventi cardiovascolari maggiori e morte (hazard ratio: 0,97, 0,94 e 0,90, rispettivamente). Gravi complicanze legate alla rivascolarizzazione, infine, si sono verificate in 23 pazienti, inclusi due decessi e tre amputazioni di dita o arti.
Fonte: New England journal of medicine

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Steatosi epatica non alcolica, diagnosi pi? facile

Diagnosi di steatosi epatica non alcolica? Sensibilmente pi? facile col test ematico FibroMax. Lo rivelano i dati preliminari dello studio VARES, presentati al 26? Congresso Nazionale della Societ? Italiana Medicina Generale (SIMG) appena conclusosi a Firenze.
Un semplice esame del sangue, il FibroMax, sui primi 67 pazienti arruolati nello studio VARES (VAlutazione del Rischio Evolutivo del paziente con Steatosi epatica non alcolica in medicina generale) ha evidenziato risultati interessanti, tra cui una steatosi severa nel 30% dei casi, rispetto ad una diagnosi ecografica di steatosi moderata, e una fibrosi di grado avanzato non diagnosticata nel 12% dei pazienti. ?Tutti casi sfuggiti alle analisi di routine”, spiega Ignazio Grattagliano, medico di Medicina generale, collaboratore dell’area gastroenterologica SIMG e coordinatore dello studio Vares. “I dati preliminari dello studio che presentiamo lo confermano: non sempre le indagini standard, come le transaminasi e l?ecografia, sono sufficienti a valutare la gravit? e la progressione della steatosi?. ?La steatosi epatica ? una malattia molto frequente nella popolazione generale”, spiega Enzo Ubaldi, responsabile nazionale dell?area progettuale gastroenterologica della SIMG, “e si manifesta spesso con un lieve rialzo degli enzimi epatici nel sangue (ad esempio ALT), ma la diagnosi ? oggi affidata all?ecografia. ? importante, quindi, individuare i casi che richiedono ulteriori accertamenti e cure da parte dello specialista prima che progrediscano verso forme croniche pi? gravi, quali fibrosi e cirrosi fino al carcinoma epatico, causa di morte nel 3% dei pazienti?. Alfredo Alberti, professore ordinario di Gastroenterologia all?Universit? di Padova, afferma: “La steatosi epatica non alcolica pu? innalzare i costi di gestione del paziente a causa del lungo periodo di latenza preclinico, ma la disponibilit? di un trattamento efficace e sicuro, anche non farmacologico, e la sua semplice valutazione con FibroMax potrebbero rappresentare un guadagno in tutti i sensi”. I 6 centri dello studio arruoleranno in collaborazione con altri medici ricercatori oltre 70 pazienti per centro (et? compresa tra i 18 e i 65 anni) con steatosi epatica non alcolica, diagnosticata con ecografia, per un totale di oltre 400 pazienti. ?Dovranno essere escluse patologie epatiche pi? gravi o neoplasie e infezioni o infiammazioni”, precisa Ubaldi. “Per questo, i pazienti saranno sottoposti ad una serie di esami preliminari, che prevedono un prelievo di sangue per la determinazione dei diversi parametri plasmatici che serviranno a definire meglio la malattia”. “I risultati parziali dello studio, relativi al 12% circa di pazienti che mostrano al FibroTest, analisi compresa nel FibroMax, un grado di fibrosi pi? alto di quello ipotizzato, sono in linea con quanto riportato in precedenti studi”, spiega Grattagliano, “e questo valida ulteriormente il Fibrotest. Ma l?altro dato, quello che riguarda i pazienti con steatosi pi? grave di quanto diagnosticato all?ecografia (30%), se confermato sull?intera popolazione dello studio, ? altrettanto interessante perch? indica sia la necessit? clinica di metodiche di indagine da affiancare all?ecografia sia l?urgenza in questi casi di attuare terapie preventive volte ad evitare l?evoluzione in steatoepatite ed in fibrosi. I pazienti con steatoepatite non alcolica sono, infatti, di interesse specialistico, ma possono essere selezionati gi? dal medico di famiglia, a cui ? affidata la prima diagnosi e la gestione delle forme non complicate. Se la malattia epatica ? ancora in fase iniziale, dieta, esercizio fisico e l?utilizzo di un integratore a base di silibina (estratto del cardo mariano), ad attivit? antiossidante e antifibrotica, in associazione a fosfatidilcolina (che ne favorisce l?assorbimento per via orale) e a vitamina E (ad azione antiossidante e stabilizzatore di membrana), possono contribuire a migliorare la condizione epatica. E lo stesso FibroMax potr? essere proposto in futuro per il follow-up dei pazienti con steatosi epatica non alcolica, analogamente a quanto gi? succede per il monitoraggio della steatosi alcolica o di quella causata da infezione da virus dell?epatite B o C?, conclude Grattagliano.
Fonte: XXVI Congresso Nazionale della Societ? Italiana Medicina Generale, Firenze 2009.

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Marcatore sierologico di pancreatite autoimmune

? frutto della collaborazione tra ricercatori dell’Universit? di Verona, quella di Genova e l’Istituto Gaslini della citt? ligure l’identificazione di un anticorpo presente nella maggior parte dei pazienti con pancreatite autoimmune e assente in quasi tutti quelli con cancro del pancreas. Tale anticorpo ? diretto contro una particolare porzione della proteina Pbp (Plasminogen binding protein) dell’Helicobacter pylori che presenta una similitudine con una proteina umana, la Ubr2 (Ubiquitin-protein ligase E3 component recognin 2) presente nelle cellule acinari del pancreas. ? un esempio del cosiddetto “mimetismo molecolare”, uno dei possibili meccanismi attraverso cui un agente infettivo pu? indurre una malattia autoimmune. Analizzando una raccolta di campioni sierici dai pazienti, gli autori hanno notato gli anticorpi anti-Pbp che, nel complesso, sono risultati positivi in 33 su 35 soggetti con pancreatite autoimmune (94%) e in 5 su 100 con cancro pancreatico (5%). “Dal punto di vista clinico, questo test ? importante perch? aiuta a discriminare le due patologie” sottolineano i ricercatori. “Alcuni soggetti, infatti, si sottopongono a intervento chirurgico nel sospetto di neoplasia, invece sono affetti da una pancreatite autoimmune che risponde molto bene ai cortisonici”. (A.Z.)

New England Journal of Medicine, 2009; 361:2135-2142

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Nuovo metodo italiano per valutare la cirrosi

Mano a mano che la cirrosi epatica diventa pi? grave, la permeabilit? dell’intestino aumenta. E lo fa in maniera misurabile. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di medicina interna e dell’Istituto di medicina nucleare dell’universit? Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, coordinato da Antonio Gasbarrini, docente di terapia medica. La scoperta rappresenta un importante passo in avanti per diminuire la mortalit? dei pazienti nelle condizioni pi? gravi e avanzate della malattia. Nel fegato di un paziente cirrotico – spiega una nota dell’universit? – si formano aree cicatriziali che aumentano la pressione portale e di conseguenza dilatano i vasi capillari intestinali. Ed ? proprio a livello dei capillari che, a causa dell’aumento della pressione, aumenta la permeabilit? che provoca il passaggio nel sangue di elementi della flora batterica presente nell’intestino. Fenomeno chiamato ‘traslocazione batterica’.

“I batteri intestinali – sottolinea Gasbarrini – hanno una funzione molto importante perch? addestrano il nostro sistema immunitario e facilitano il processo metabolico. Ma sono batteri molto speciali: pi? del 70% di essi non si possono coltivare fuori da quell’ambiente molto estremo. Ed ? proprio per questo che ? fondamentale poter misurare il livello di permeabilit? intestinale, un’alterazione che causa traslocazione batterica ed ? associata al peggioramento della cirrosi epatica”. I ricercatori sono riusciti a misurare la permeabilit? grazie alla medicina molecolare. Ai pazienti sono state somministrate per bocca compresse di una molecola, l’EDTA, marcata con cromo-51. Per dimensioni, questa molecola non dovrebbe attraversare la parete intestinale, ma se la permeabilit? ? aumentata, anche questa molecola riesce a penetrare nell’organismo e finisce nelle urine”.

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Donne con infertilit? secondaria: ruolo dell?infezione da Chlamydia trachomatis

Un gruppo di ricercatori indiani ha condotto uno studio prospettico per valutare il ruolo della Clamidia ( Chlamydia trachomatis ) nell?infertilit? secondaria.

Sono state studiate per la presenza passata o presente di Chlamydia trachomatis 40 donne con infertilit? secondaria e 30 donne sane con gravidanza a termine, di et? simile.
Le donne con infertilit? secondaria sono state arruolate come pazienti nello studio, le donne sane sono state considerate gruppo di controllo.

Con il saggio ELISA ? stata identificata la presenza di immunoglobuline G ( IgG ) per la Clamidia, e un titolo uguale o superiore a 1:320 ? stato considerato positivo.
Sono stati raccolti tamponi endocervicali per coltura su linee cellulari McCoy trattate con Cicloesimide, e il saggio ELISA ? stato utilizzato per identificare l?antigene della Clamidia. ? stata effettuata anche una isterosalpingografia per valutare la perviet? delle tube.

Era attesa una differenza nella prevalenza di infezione da C. Trachomatis nelle donne non fertili del gruppo di studio e in quelle fertili del gruppo controllo.

Gli anticorpi IgG sono risultati presenti nel 55% delle donne con infertilit? secondaria mentre la positivit? ? stata rilevata nel 5,5% dei controlli.

L?occlusione delle tube si ? manifestata nel 63,6% dei casi positivi per anticorpi anti-Clamidia. La sensibilit? degli anticorpi IgG anti-Clamidia come marcatore diagnostico di infertilit? ? stata del 72,7% e la specificit? del 44,4%.
Il 77,2% dei casi positivi per gli anticorpi IgG anti-Clamidia era sintomatico.

Una storia ostetrica sfavorevole ? stata riscontrata nel 72,7% dei casi.
L?infezione attiva ? stata riscontrata nel 30% dei casi con il 3,3% di infezione in corso nel gruppo controllo.

In conclusione, la prevalenza di infezioni da Clamidia nel passato ? risultata statisticamente significativa nelle donne con infertilit? secondaria cos? come quella di infezioni in corso.
La ricerca di anticorpi IgG si ? rivelata un metodo efficace e non invasivo per l?identificazione di Clamidia.
Lo screening di donne con infertilit? secondaria per C. Trachomatis ? fortemente raccomandato per poter attuare interventi terapeutici precoci.

Malik A et al, Fertil Steril 2009; 91: 91-95

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Maggior rischio di tumore del polmone con la rimozione chirurgica delle ovaie

Le donne che si sottopongono ad isterectomia subiscono, spesse volte, anche l?asportazione di entrambe le ovaie.

Ricercatori dell?University of Montreal in Canada, hanno scoperto che le donne, a cui viene asportato chirurgicamente l?utero e sono sottoposte ad ooforectomia, presentano un rischio di tumore polmonare quasi 2 volte maggiore, rispetto alle donne che conservano le ovaie.
Inoltre, queste pazienti vanno incontro ad un aumento del rischio di insorgenza di malattia cardiaca.

Questi risultati concordano con le conclusioni del Nurses?Health Study.

Anche in menopausa, le ovaie sono in grado di produrre estrogeni, seppure in quantit? ridotte.
E? stato osservato che oltre al cuore, gli estrogeni siano in grado di proteggere i polmoni, dove sono stati individuati recettori estrogenici.

Il fumo rappresenta la causa principale di sviluppo di carcinoma del polmone, tuttavia altri fattori possono svolgere un ruolo nel facilitare l?azione dei carcinogeni prodotti dalla combustione della sigaretta.
Nelle donne questi fattori potrebbero essere ormonali.

Lo studio ha esaminato 422 donne a cui era stato diagnosticato un tumore al polmone tra il 1996 e il 1997; i dati sono stati confrontati con quelli di 577 donne che non erano state sottoposte ad asportazione delle ovaie ( gruppo di controllo ).

Di contro, le donne sottoposte ad ooforectomia, oltre che ad isterectomia, hanno una minore probabilit? di sviluppare cancro al seno, ed ovviamente un carcinoma ovarico.

Fonte: International Journal of Cancer, 2009

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Regressione dello spessore intima-media carotideo: Niacina superiore ad Ezetimibe

Il trattamento aggiuntivo alla monoterapia con statine con l?obiettivo di modificare il profilo lipidico pu? comprendere la terapia di combinazione tesa ad aumentare i livelli di colesterolo HDL o ad abbassare ulteriormente i livelli di colesterolo LDL.

Per verificare la validit? dei due approcci sono stati arruolati pazienti con malattia coronarica o a rischio di coronaropatia, che erano da lungo tempo in trattamento con una statina, e che avevano raggiunto livelli di colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl ( 2.6 mmol per litro ) e livelli di colesterolo HDL inferiori a 50 mg/dl per gli uomini o 55 mg/dl per le donne ( 1.3 o 1.4 mmol per litro, rispettivamente ).

I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Niacina a rilascio prolungato ( dosaggio target: 2.000 mg/die; Niaspan ER ) oppure Ezetimibe ( 10 mg/die; Ezetrol, Zetia ).

L?endpoint primario era rappresentato dalla differenza tra i gruppi nel cambiamento, rispetto al basale, dello spessore dell?intima-media dell?arteria carotide comune dopo 14 mesi.

Lo studio ? stato interrotto precocemente, sulla base dell?efficacia, dopo un?analisi prespecificata condotta su 208 pazienti, che avevano completato lo studio.

Il livello medio di colesterolo HDL nel gruppo Niacina ? aumentato del 18.4%, a 50 mg/dl ( p<0.001 ), e il livello medio di colesterolo LDL nel gruppo Ezetimibe si ? ridotto del 19.2%, a 66 mg/dl ( 1.7 mmol per litro ) ( p<0.001 ). La terapia con Niacina ha ridotto in modo significativo il colesterolo LDL e i trigliceridi; Ezetimibe ha ridotto il colesterolo HDL e i trigliceridi. Rispetto ad Ezetimibe, la Niacina ha mostrato una maggiore efficacia riguardo al cambiamento nello spessore intima-media carotideo nell?arco dei 14 mesi. ( p=0.003 ), con una significativa riduzione sia nel valore medio ( p=0.001 ) dello spessore intima-media sia in quello massimale ( p minore o uguale a 0.001 per tutti i confronti ). In modo paradosso, le maggiori riduzioni nei livelli di colesterolo LDL in associazione al trattamento con Ezetimibe sono risultate associate, in modo significativo, ad un aumento dello spessore dell?intima-media dell?arteria carotide ( R=-0.31; p<0.001 ). L?incidenza di eventi cardiovascolari maggiori era pi? bassa nel gruppo Niacina che nel gruppo Ezetimibe ( 1% versus 5%; p=0.04 mediante test del chi-quadrato ). Lo studio ha dimostrato che l?impiego di Niacina extended-release, in associazione ad una statina, causa una significativa regressione dello spessore intima-media carotideo, e che la Niacina ? superiore ad Ezetimibe. Taylor AJ et al, N Engl J Med 2009; Published online

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Eiaculazione prematura, una comune disfunzione sessuale

L?eiaculazione prematura ? una comune disfunzione sessuale negli uomini, ed ? associata a stress per gli uomini stessi e le loro partner.

I fattori alla base dell?eiaculazione precoce non sono ben definiti, ma la serotonina ( 5-idrossitriptamina , 5-HT ) svolge un importante ruolo a livello del sistema nervoso centrale nei complessi meccanismi di regolazione coinvolti nell?eiaculazione.

Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ( SSRI ), come Fluoxetina ( Prozac ), Paroxetina ( Seroxat ), Sertralina ( Zoloft ), e gli antidepressivi triclici Clomipramina ( Anafranil ), aumentano il controllo eiaculatorio e ritardano l?eiaculazione negli uomini affetti da eiaculazione prematura.

Poich? questi farmaci per il loro profilo farmacocinetico trovano indicazione elettiva nel trattamento cronico dei disturbi psichiatrici, il loro impiego nell?eiaculazione precoce potrebbe non essere appropriato, proprio per l?uso episodico richiesto dall?eiaculazione prematura.

E? in sviluppo la Dapoxetina per il trattamento dell?eiaculazione precoce.
La domanda di autorizzazione alla commercializzazione ? stata tuttavia respinta dall?Agenzia Federale statunitense, FDA, nel 2005. Alla base ci sarebbero problemi di sicurezza, poich? la Dapoxetina ? un inibitore della ricaptazione della serotonina.
Sono stati valutati gli inibitori delle 5-fosfodiesterasi per la loro azione anestetica livello topico.
Giuliano F, Hellstrom WJ, BJU Int 2008; Epub ahead of print

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