Paracalcitolo: nuova frontiera nella nefroprotezione

L’analogo della vitamina D Paracalcitolo, somministrato per via orale, potrebbe rappresentare la nuova frontiera nella nefroprotezione, almeno nei pazienti con diabete di tipo 2 con patologia renale cronica (CKD) da lieve a moderata e gi? sottoposti al trattamento con un ACE-inibitore e/o un sartano, specificatamente finalizzato, oltre che al controllo della pressione arteriosa eventualmente necessario, alla riduzione del rischio di degenerazione della funzionalit? renale. A segnalarlo, confermando le indicazioni di diversi trial precedenti, sono i risultati preliminari del VITAL (Selective Vitamin D Receptor Activator (VDRA) for albuminuria lowering study in type 2 diabetic nephropathy; D. de Zeeuw, R. Agarwal, M. Amdahl, D. Andress, P. Audhya, D. Coyne, T. Garimella, H.-H. Parving, Y Pritchett, G. Remuzzi, E. Ritz), studio internazionale randomizzato e controllato, in doppio cieco, intrapreso per verificare la possibilit? di contrastare l’evoluzione della nefropatia diabetica attivando in modo selettivo i recettori della vitamina D e riducendo, in questo modo, l’albuminuria residua (The Selective Vitamin D Receptor Activator for Albuminuria Lowering (VITAL) Study: Study Design and Baseline Characteristics; Lambers Heerspink HJ et al. Am J Nephrol 2009; 30:280-86). I dati preliminari del VITAL sono stati presentati durante il recente congresso dell’American Society of Nephrology (ASN), tenutosi a San Diego dal 27 ottobre al 1? novembre 2009. In particolare, dei 281 soggetti coinvolti, nei trattati con Paracalcitolo capsule per 24 settimane ? stata osservata una riduzione media del rapporto albumina/creatinina urinario (RACU) superiore del 15% rispetto ai controlli. L’azione favorevole ? risultata di tipo dose-dipendente, con un maggior vantaggio per il gruppo che assumeva 2 microg/die di Paracalcitolo (RACU -18% vs placebo; p = 0,053) rispetto a coloro che ne ricevevano soltanto 1 microg/die (RACU -11% vs placebo; p = 0,229). La riduzione aggiuntiva dell’albuminuria veniva progressivamente meno tra 30 e 60 giorni dall’interruzione del trattamento a riprova che l’effetto osservato era legato alla terapia con l’attivatore dei recettori della vitamina D. ?Si tratta di un risultato importante perch? ? noto che per riduzioni dell’ordine del 20% del RACU si ottiene un apprezzabile rallentamento nell’evoluzione della nefropatia?, sottolinea Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Scienze farmacologiche Mario Negri di Bergamo. ?La protezione offerta da Paracalcitolo ? tanto pi? significativa poich? va a sommarsi a quella derivante dalla terapia di base con ACE-inibitori e/o sartani, insufficiente per un’ampia quota di pazienti, e potrebbe rivelarsi vantaggiosa anche per soggetti non diabetici con nefropatie di natura diversa?.

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Nuove regole per la mammografia?

Secondo il recente parere di studiosi oltreoceano, solo le donne pi? a rischio devono incominciare a 40 anni a sottoporsi ai controlli mammografici per individuare in maniera precoce l’eventuale presenza di un tumore al seno. Le altre, invece, possono aspettare il compimento dei 50 anni. Questa la principale indicazione inserita dagli esperti americani nell’ultimo aggiornamento delle linee guida Uspstf (U.S. preventive services task force). Altrettanto innovativo un secondo punto inserito nelle nuove raccomandazioni: la mammografia deve avere cadenza biennale. Gli esperti americani hanno, infine, deciso di eliminare l’esplorazione della mammella o autopalpazione. In Italia gli addetti ai lavori non hanno ancora preso una chiara posizione. Ma come devono comportarsi le italiane in tema di prevenzione del cancro alla mammella? Lo abbiamo chiesto a Marco Venturini, direttore del dipartimento di Oncologia, Ospedale Sacro Cuore di Verona nonch? presidente eletto Aiom (Associazione italiana di Oncologia Medica).
Il recente aggiornamento delle linee guida Uspstf introduce significative innovazioni rispetto alla precedente versione?
Assolutamente s?. Il precedente documento Uspstf, risalente al 2002, conteneva, infatti, l’indicazione di effettuare la mammografia a partire dai 40 anni per tutte le donne ma non erano presenti ulteriori precisazioni, nemmeno sulla cadenza. Tra un controllo e il successivo, la donna poteva lasciar trascorrere uno o due anni. Oggi gli esperti americani sono molto pi? rigorosi e, soprattutto, fanno per la prima volta delle distinzioni in base all’et? della donna. In particolare, raccomandano controlli mammografici ogni due anni per le donne tra i 50 e i 74 anni mentre, per quelle tra i 40 e 49 anni, la mammografia viene considerata necessaria come screening soltanto in alcuni condizioni particolari che vanno discusse da parte del medico con la stessa donna.
Gli esperti americani ritengono che la mammografia dovr? essere incominciata a 40 anni solo per alcune categorie di donne, di chi si tratta?
Sono quelle a elevato rischio di sviluppare tumore al seno. Nelle donne tra 40 e 49 anni il beneficio della mammografia ? simile a quello delle donne tra i 50 e 59 anni. In questo secondo gruppo, tuttavia, l’incidenza del tumore della mammella ? pi? alta. Basti pensare che, mentre nel gruppo tra i 40-49 anni, per evitare un decesso per cancro al seno ? necessario fare la mammografia a 1.904 donne, in quello tra i 50 e 59 anni il numero di donne da sottoporre a controllo ? molto inferiore, pari a 1.339. Considerato che l’indagine mammografica pu? portare a ulteriori accertamenti, quali agoaspirati, biopsie e altro, che a loro volta possono dare risultati falsati, ? stato ritenuto utile non consigliare la mammografia di screening a tutte le donne, ma di riservarla ad alcune categorie a maggiore rischio, come per esempio in caso di familiarit? (mamma con cancro al seno) o di precedente tumore all’altra mammella.
Sar? sufficiente per le donne tra i 50 e i 74 anni sottoporsi allo screening mammografico con una cadenza biennale?
S?, soprattutto se si tiene conto che il vantaggio maggiore si ha nel gruppo di donne tra i 60 e 69 anni dove il numero di donne che devono ricevere una mammografia per salvare una donna dalla morte per tumore al seno ? piuttosto basso e pari a 377, contro per esempio 1.904 nelle donne 40-49.
Non si rischier? di non diagnosticare in tempo casi di tumore al seno in donne quarantenni?
Direi di no, perch? nelle quarantenni l’incidenza di tumore della mammella ? relativamente bassa. ? il gruppo delle donne sessantenni, infatti, quello in cui si verificano maggiori casi di carcinoma mammario e, per il quale, quindi, lo screening risulta pi? vantaggioso.
Perch? solo oggi l’autopalpazione viene ritenuta inutile? Il suggerimento all’esplorazione non era supportato da evidenze scientifiche?
Dopo le precedenti raccomandazioni del 2002 sono stati pubblicati due studi scientifici che hanno dimostrato che l’autopalpazione aumenta la percentuale di biopsie e altri approfondimenti diagnostici inutili. Non vi sono attualmente evidenze per raccomandarla di routine.
Come dovranno comportarsi le donne in Italia alla luce delle nuove raccomandazioni Uspstf?
Alle italiane suggerisco di non praticare mai automedicazione, ossia il “fai da te” ma di rivolgersi al proprio medico di fiducia per avere le indicazioni adeguate. ?, infatti, il medico che deve valutare le raccomandazioni e decidere la migliore strategia per la singola

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Giocare d’anticipo sul Parkinson

27 Nov 2009 Neurologia

La malattia di Parkinson ? apparentemente nota a tutti e nell’immaginario collettivo coincide con il tremore. Nella realt? esistono manifestazioni ancora pi? importanti della malattia, dai dolori alle cadute, dalla lentezza nei movimenti ai muscoli rigidi, fino alla difficolt? a scrivere e vestirsi. Ed esistono segnali premonitori, sottovalutati dalla maggior parte delle persone. Il risultato ? che in Italia il 25% dei malati di Parkinson non sa di soffrirne. Intanto la patologia colpisce 300 mila italiani, uomini una volta e mezzo pi? delle donne, e avanza al ritmo di 6mila nuovi casi all’anno, con un dato sorprendente il Parkinson non riguarda solo gli anziani: un quarto dei pazienti ha meno di 50 anni, uno su 10 ? under 40. Numeri emblematici che sono stati forniti in occasione della prima Giornata nazionale della malattia di Parkinson che si celebrer? sabato 28 novembre con 57 centri specialistici aperti al pubblico. L’evento ? promosso dalla Limpe (Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze). Il dichiarato intento dell’iniziativa ? quello di diffondere la conoscenza della malattia e sensibilizzare sull’importanza di diagnosticarla il prima possibile.
Sintomi non solo motori
I sintomi per cominciare. Il tremore ? quello pi? noto e si manifesta pi? spesso in una mano quando l’arto ? a riposo. Ma non ? il solo. Uno dei segnali pi? comuni ? la micrografia, ossia la scrittura che si rimpicciolisce, mentre altre volte il disturbo d’esordio ? un dolore a una spalla, ove si sviluppa una vera e propria artrosi. Esistono poi una serie di sintomi legati allo svolgersi di pratiche quotidiane: fare fatica ad alzarsi da una sedia, a scendere dalla macchina, a girarsi nel letto, a radersi o a cucire. Oggi inoltre ? noto che una serie di sintomi non motori precedono la comparsa dei disturbi del movimento. A causa dell’interessamento del bulbo olfattorio molti pazienti sentono poco gli odori, in pi? spesso i sintomi motori sono preceduti dalla depressione. Pu? essere sospetta, per esempio, la depressione resistente al trattamento con antidepressivi, se il paziente ha 60 anni e non ne ha mai sofferto prima. Ma anche sintomi banali come la stipsi, se risulta resistente a qualsiasi trattamento o non si riesce a spiegarne la causa e la cosiddetta ipotensione ortostatica, lo sbalzo presso rio quando da seduti ci si alza in piedi, possono precedere i sintomi motori del Parkinson di alcuni anni. Ma come si scopre il Parkinson?
La diagnosi si evolve
La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi. Gli esami strumentali possono essere utili per escludere numerose altre patologie che possono avere gli stessi sintomi della malattia, pur avendo cause differenti. Esiste poi una nuova metodica di immagine funzionale (DaTSCAN) in grado di confermare o escludere la compromissione del sistema dopaminergico, chi ha il Parkinson infatti produce sempre meno dopamina, anche in uno stadio precoce della malattia. Non si tratta di un esame conclusivo nella diagnosi di Parkinson, ma una buona visita neurologica con l’ausilio dell’esame SPECT con DaTSCAN pu? portare a una diagnosi molto accurata. La diagnosi precoce, precisano gli esperti, ? fondamentale, per questo bisogna fare di tutto per abbassare la percentuale di pazienti soprattutto giovani che non sanno di essere malati perch? i sintomi sono leggeri e confondibili con altri e che arrivano a una diagnosi certa con troppo ritardo. Dalla malattia di Parkinson ancora oggi non si guarisce, tuttavia le terapie moderne stanno facendo progressi importanti e arrivare alla terapia per tempo ? cruciale.

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Pazienti che assumono Aspirina a basso dosaggio: la Famotidina previene il danno gastrointestinale

La Famotidina ( Gastridin ) ? in grado di prevenire le ulcere gastriche e le ulcere del tratto intestinale superiore nei pazienti che assumono Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) a basso dosaggio.

Lo studio FAMOUS ( Famotidine for Prevention of Peptic Ulcers in Users of Low-Dose Aspirin ) ha esaminato i benefici prodotti dalla somministrazione di un antagonista del recettore H2 dell?istamina in 404 pazienti in un singolo Centro ospedaliero, che stavano assumendo 75-325 mg/die di Acido Acetilsalicilico con o senza farmaci cardioprotettivi.

I pazienti che al basale non presentavano ulcere o esofagite erosiva, sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Famotidina 20 mg, 2 volte die, oppure placebo.

L?endpoint primario era rappresentato da nuove ulcerazioni nello stomaco o nel duodeno, o esofagite erosiva a 3 mesi.

Per 82 pazienti ( 33 nel gruppo Famotidina e 49 nel gruppo placebo ) non era disponibile l?esame endoscopico finale, ed ? stato assunto che i risultati fossero normali.

All?analisi intention-to-treat, le ulcere gastriche si sono sviluppate nel 3.4% dei soggetti trattati con Famotidina e nel 15% di coloro che hanno ricevuto placebo ( odds ratio, OR=0.20; p=0.0002 ).

Le ulcere duodenali si sono sviluppate nello 0.5% dei pazienti nel gruppo Famotidina e nell?8.5% nel gruppo placebo, mentre l?incidenza di esofagite erosiva ? stata del 4.4% e del 19%, rispettivamente ( OR=0.05 e OR=0.20; p=0.0045 e p<0.0001 ). Nel gruppo Famotidina sono stati osservati 9 eventi avversi contro i 15 nel gruppo placebo, con 4 di quest?ultimo gruppo ricoverati in ospedale con emorragia gastrointestinale del tratto superiore. Fonte: The Lancet, 2009

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Il referto ecografico fetale non ? infallibile

Quattro malformazioni fetali su dieci non sono visibili, ma spesso i futuri genitori si aspettano troppo da una ecografia. Cos? si moltiplicano le denunce per presunti errori di diagnosi prenatale. “Grazie all’ecografia abbiamo gli occhi puntati sul feto, ma non possiamo vedere tutto. I futuri genitori sono male informati, si aspettano troppo da una ecografia. Ecco perch? aumentano le denunce per mancata diagnosi prenatale. Denunce che poi nel 90% dei casi non portano a alcuna condanna. Bisogna fare chiarezza”. Lo afferma Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Societ? italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale). Giorlandino anticipa cos? i temi del convegno ‘Lo studio morfologico del feto, cosa vedere, cosa refertare, cosa evitare di sbagliare’, che si tiene oggi e domani a Roma. Sulla base di studi europei su sensibilit? ed efficacia dell’ecografia prenatale si ? scoperto che la percentuale di diagnosi corrette per malformazioni fetali non supera, per le pi? importanti, il 60%: insomma quattro malformazioni su dieci non sono visibili con gli strumenti, nonostante siano presenti. E le anomalie pi? piccole non si vedono che nel 20% dei casi. “? bene dire chiaramente – sottolinea Giorlandino – che ? impossibile avere la certezza assoluta che il nascituro sia al riparo da tutte le possibili anomalie fetali quando gli esami prenatali hanno dato esito positivo”. L’ecografo ? uno strumento fondamentale per studiare l’andamento della gravidanza, “ma – avverte il ginecologo – non possiamo dare la certezza che il bambino che verr? al mondo sar? perfetto”. Secondo Giorlandino, il progresso della medicina, specie nella diagnostica, ha fatto alzare il livello di aspettativa dei futuri genitori i quali credono che un’ecografia possa mostrare ogni tipo di eventuale malformazione fetale.

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Scintigrafia ossea utile per quantificare la gonartrosi

Nei pazienti con gonartrosi, le anomalie osservate alla scintigrafia ossea sono fortemente associate a problemi di malallineamento e alla gravit? della sintomatologia dolorosa. Questa la conclusione a cui sono giunti ricercatori dell’University medical center a Durham, North Carolina, dopo aver studiato 308 articolazioni di 159 soggetti con gonartrosi radiografica e sintomatica. I pazienti sono stati sottoposti a scintigrafia ossea con Tecnezio-99m-metilene-bisfosfonato e a radiografia del ginocchio flesso e dell’arto intero. La localizzazione e l’intensit? dell’ipercaptazione del radiofarmaco erano significativamente associate con la direzione e la gravit? del malallineamento del ginocchio e con la localizzazione e la gravit? dell’artrosi ai raggi x. Per esempio, anomalie scintigrafiche del compartimento mediano erano legate a varismo, mentre anomalie laterali erano connesse a valgismo. Inoltre, la captazione del radiofarmaco nel compartimento tibiofemorale, ma non in quello patellofemorale, era significativamente associata con la gravit? dei sintomi (p<0,001). La scintigrafia ossea, concludono gli autori, ? dunque un indicatore sensibile e quantitativo della gonartrosi sintomatica, che si prospetta come un promettente strumento per lo screening e le misure di outcome terapeutico, a un costo inferiore dal 50 al 75% a quello di una Rm (A.Z.). Annals of rheumatic diseases, 2009; 68:1673-1679

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Cancro prostatico, prognosi peggiore nei giovani

21 Nov 2009 Oncologia

Tra i pazienti con cancro della prostata in terapia con deprivazione di androgeni (Adt), i soggetti pi? giovani con malattia ad alto rischio sembrano presentare una prognosi peggiore rispetto ai pi? anziani con patologia simile. ? quanto risulta da uno studio statunitense volto a indagare variabili predittive di secondarismi, basato sul database Capsure (Cancer of the prostate strategic urological research endeavor): su 13.740 uomini con cancro prostatico verificato mediante biopsia dal 1995 al 2007, 4.003 sono stati trattati con Adt dopo la diagnosi, senza evidenza di metastasi all’inizio della terapia. L’et? media degli individui studiati era di 70 anni (range: 39-94 anni); 191 (4,8%) sono andati incontro a una metastasi in un periodo medio di 18 anni dall’inizio dell’Adt. All’analisi multivariata, la categoria di rischio (hazard ratio, 2,58; p<0,001), la percentuale di biopsie positive >33% (Hr 3,36; p <0,003), l'et? < 65 anni alla diagnosi (Hr 2,11, P=0,001) sono state trovate significativamente associate con lo sviluppo di lesioni metastatiche dopo Adt. "Questi fattori prognostici possono aiutare a identificare i candidati ai trial clinici che valutano i trattamenti nei pazienti con malattia resistente all'Adt" concludono gli autori.
BJUI, 2009; 104:1418-1422

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Donne con infertilit? secondaria: ruolo dell?infezione da Chlamydia trachomatis

Un gruppo di ricercatori indiani ha condotto uno studio prospettico per valutare il ruolo della Clamidia ( Chlamydia trachomatis ) nell?infertilit? secondaria.

Sono state studiate per la presenza passata o presente di Chlamydia trachomatis 40 donne con infertilit? secondaria e 30 donne sane con gravidanza a termine, di et? simile.
Le donne con infertilit? secondaria sono state arruolate come pazienti nello studio, le donne sane sono state considerate gruppo di controllo.

Con il saggio ELISA ? stata identificata la presenza di immunoglobuline G ( IgG ) per la Clamidia, e un titolo uguale o superiore a 1:320 ? stato considerato positivo.
Sono stati raccolti tamponi endocervicali per coltura su linee cellulari McCoy trattate con Cicloesimide, e il saggio ELISA ? stato utilizzato per identificare l?antigene della Clamidia. ? stata effettuata anche una isterosalpingografia per valutare la perviet? delle tube.

Era attesa una differenza nella prevalenza di infezione da C. Trachomatis nelle donne non fertili del gruppo di studio e in quelle fertili del gruppo controllo.

Gli anticorpi IgG sono risultati presenti nel 55% delle donne con infertilit? secondaria mentre la positivit? ? stata rilevata nel 5,5% dei controlli.

L?occlusione delle tube si ? manifestata nel 63,6% dei casi positivi per anticorpi anti-Clamidia. La sensibilit? degli anticorpi IgG anti-Clamidia come marcatore diagnostico di infertilit? ? stata del 72,7% e la specificit? del 44,4%.
Il 77,2% dei casi positivi per gli anticorpi IgG anti-Clamidia era sintomatico.

Una storia ostetrica sfavorevole ? stata riscontrata nel 72,7% dei casi.
L?infezione attiva ? stata riscontrata nel 30% dei casi con il 3,3% di infezione in corso nel gruppo controllo.

In conclusione, la prevalenza di infezioni da Clamidia nel passato ? risultata statisticamente significativa nelle donne con infertilit? secondaria cos? come quella di infezioni in corso.
La ricerca di anticorpi IgG si ? rivelata un metodo efficace e non invasivo per l?identificazione di Clamidia.
Lo screening di donne con infertilit? secondaria per C. Trachomatis ? fortemente raccomandato per poter attuare interventi terapeutici precoci.

Malik A et al, Fertil Steril 2009; 91: 91-95

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Pi? ca mammari con vita poco sana

I tre principali fattori associati da tempo al rischio di patologie cardiovascolari, quali obesit?, abitudine al fumo e consumo d?alcol, sembrano risultare direttamente correlati anche allo sviluppo di carcinoma mammario controlaterale in pazienti con tumori al seno positivi ai recettori estroginici (Er-positivi). ? quanto stabilito di recente da ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle negli Usa.

Stili di vita pericolosi

I risultati, pubblicati su Journal of Clinical Oncology, riguardano uno studio caso-controllo che ha comparato due gruppi di pazienti con tumore al seno: 365 donne con forme invasive di cancro al seno Er-positivo e carcinomi controlaterali e 726 affette solamente da tumori primari. L?indagine ha permesso di osservare che l?insorgenza di cancro controlaterale, in donne con forme invasive di carcinomi mammari Er-positivi, ? positivamente correlata a condizioni di obesit? e a consumi eccessivi sia di alcol sia di tabacco. In particolare, l?incremento del rischio di tumori controlaterali ? risultato del 40% in presenza di un indice di massa corporea (Bmi) pari o superiore a 30, rispetto a un Bmi inferiore a 25. Nelle donne che consumano sette o pi? bevande alcoliche alla settimana il rischio sembrerebbe aumentare del 90% rispetto a coloro che non assumono alcol e per le fumatrici assidue del 120% rispetto alle pazienti che non fumano. Infine, il rischio di carcinomi controlaterali presenta un odds ratio di 7,2 quando il consumo di alcool ? associato a quello di sigarette.

Interventi possibili per ridurre il rischio

In accordo a precedenti studi di letteratura, riguardanti la correlazione tra sviluppo di alcuni tipi di tumori e stili di vita, questa ricerca ha consentito di confermare l?ipotesi, da tempo avanzata, di una maggiore incidenza di cancro controlaterale in donne affette da tumore al seno che non conducono una vita sana. ?Saranno necessari ulteriori trial clinici randomizzati allo scopo di stabilire con certezza se, in seguito a diagnosi di cancro al seno, l?astensione dal consumo di alcol e di tabacco nonch? l?adozione di diete equilibrate possano rappresentare interventi appropriati per un?efficace prevenzione di tumori mammari controlaterali in pazienti che hanno gi? subito diagnosi di cancro al seno? ha commentato, in un editoriale del giornale, Jennifer A. Ligibel, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston.

Luigia Atorino
(Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.23.1597)

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Cancro prostatico, rischio maggiore da Trichomonas

18 Nov 2009 Urologia

L’infezione sessualmente trasmessa da Trichomonas vaginalis ? associata a un aumentata incidenza di forme avanzate o letali di cancro della prostata. ? quanto risulta da uno studio caso-controllo condotto dall’Harvard school of public health (Hsph) e dal Brigham and Women’s Hospital. Il T. vaginalis, che rappresenta la pi? comune infezione non virale sessualmente trasmessa, pu? risalire lungo l’uretra e contagiare l’epitelio prostatico, causando un’infiammazione sia acuta sia cronica, potenziale fattore di rischio per lo sviluppo della neoplasia. In questo studio, i ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di 673 uomini con cancro prostatico partecipanti al Physicians’ health study e hanno comparato lo stato infettivo basandosi sui livelli di anticorpi anti-T. vaginalis in 673 soggetti pari per et?, fumo e follow-up. L’infezione da T. vaginalis ? risultata associata a un rischio maggiore di due volte di sviluppare un cancro prostatico, di stadio avanzato alla diagnosi, e a un aumento quasi di tre volte di forme neoplastiche potenzialmente letali. Essendo l’infezione facilmente trattabile con un regime antibiotico a basso costo, si suggerisce che il trattamento precoce delle infezioni da T. vaginalis possa essere importante per la prevenzione del cancro prostatico. (A.Z.)

Journal of the national cancer, 2009; published online September 9

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