Sm: nessun beneficio con pi? interferone beta-1b

L’incremento delle dosi di interferone beta-1b non si traduce in un aumento dei vantaggi terapeutici in pazienti affetti da sclerosi multipla (Sm) recidivante-remittente. Lo ha stabilito Beyond (Betaferon efficacy yielding outcomes of a new dose), trial multicentrico di recente pubblicazione su Lancet Neurology. A partire da novembre 2003 fino a giugno 2005, circa 2.200 pazienti con Sm recidivante-remittente sono stati suddivisi in 3 gruppi e randomizzati a ricevere ogni giorno, per via sottocutanea, 250 mg, 500 mg di interferone beta-1b oppure 20 mg di glatiramer acetato. In sintesi, i tre gruppi di trattamento non hanno mostrato alcuna differenza sia nell’end-point primario, rappresentato dalla ricorrenza di sintomi neurologici dopo 30 giorni dall’episodio precedente e di durata pari ad almeno 24 ore, sia in quelli secondari, quali l’indice Edss di progressione della malattia e il volume delle lesioni T1. La tollerabilit? dei due farmaci ? risultata paragonabile, anche se nei pazienti trattati con interferone beta 1-b si ? registrato un maggior numero di sintomi influenzali e in quelli trattati con glatiramer acetato sono state pi? frequenti le reazioni all’iniezione del farmaco (L.A.).

The Lancet Neurology, 2009;8 (10): 889 – 97

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Ca mammario controlaterale: rischi da stili di vita

16 Nov 2009 Oncologia

Obesit?, abitudine al fumo e consumo d’alcol rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di carcinoma mammario controlaterale in pazienti con tumori al seno positivi ai recettori estrogenici (Er-positivi). Presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle negli Usa, uno studio caso-controllo ha comparato due gruppi di pazienti con tumore al seno: 365 donne con forme invasive di cancro al seno Er-positivo e carcinomi controlaterali e 726 affette solamente da tumori primari. La ricerca ha permesso di stabilire che l’incremento del rischio di sviluppare tumori controlaterali risulta del: 40% in presenza di un indice di massa corporea (Bmi) pari o superiore a 30, rispetto a un Bmi inferiore a 25; 90% per un consumo di bevande alcoliche pari o superiore a 7 alla settimana, rispetto alla non assunzione di alcol; 120% nei fumatori assidui, rispetto a chi non fuma. Infine, il rischio di carcinomi controlaterali presenta un odds ratio di 7,2 quando il consumo di alcol ? associato a quello di sigarette (L.A.).

Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.23.1597

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Diabete 2: s? alla triplice terapia

L’aggiunta di pioglitazone a terapie a base di metformina e sulfonilurea (o glinidi) pu? migliorare il controllo glicemico in pazienti con diabete di tipo 2. Sono i risultati ottenuti da un gruppo di ricercatori francesi attraverso uno studio multicentrico in doppio cieco, che ha consentito di valutare efficacia e sicurezza di una triplice terapia con metformina, sulfonilurea e pioglitazone in circa 300 pazienti con diabete di tipo 2. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere, per 3 mesi, 30 mg/die di pioglitazone o placebo, in aggiunta a metformina e sulfonilurea (o glinidi). Dopo questo periodo i pazienti hanno continuato a ricevere, per altri 4 mesi, la stessa dose di pioglitazone, nel caso in cui i livelli di HbA1c erano 6.5%. Dopo 7 mesi di osservazione la triplice terapia, rispetto a quella duplice, ha portato i livelli di HbcA1 al valore < 7.0% in una percentuale maggiore di pazienti (44,4% vs 4,9% con valori iniziali di HbA1c <8.5% e 13% vs 0% con HbA1c >/= 8.5%) (L.A.).

Diabetes Obesity Metab 2009; 11:844-854.

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Alterazioni della coagulazione indotte da levotiroxina

L’impiego di levotiroxina (L-T4) nella terapia soppressiva dei noduli tiroidei benigni sarebbe in grado di indurre alterazioni del processo di coagulazione. ? quanto stabilito in uno studio prospettico caso-controllo, diretto da Baris Akinci del Department of Internal Medicine della University of Dokuz Eylul, in Turchia, che ha valutato l’effetto di tale farmaco sui livelli plasmatici di alcune molecole proteiche coinvolte nella coagulazione. L’indagine pubblicata su Clinical Endocrinology, ha coinvolto 30 pazienti in premenopausa, affette da gozzo nodulare benigno, e 28 soggetti sani. In breve, il trattamento per un anno con L-T4 ha provocato un aumento della concentrazione plasmatica di fibrinogeno, del d-dimero, del fattore von Willebrand, del fattore tissutale e dell’inibitore dell’attivazione del plasminogeno. Gli autori sottolineano l’importanza di attente valutazioni nell’impiego di levotiroxina in pazienti con problemi alla tiroide allo scopo di tenere sotto controllo il rischio di eventi trombotici (L.A.).

Clin Endocrinol 2009; 71:446-450

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Prostatectomia, approcci ininfluenti sulla funzione

I pazienti sottoposti a prostatectomia radicale in laparoscopia o a cielo aperto possono aspettarsi simili esiti funzionali. ? quanto sostengono ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston che hanno studiato 102 soggetti operati con approccio aperto e 104 con chirurgia mininvasiva. La sintomatologia non ? risultata sostanzialmente differente tra i due gruppi in qualunque momento dei 12 mesi di follow-up. In particolare non si ? registrata alcuna differenza circa il ritorno alla continenza basale dopo 6 e 12 mesi, alla funzione erettile di partenza senza un inibitore della Pde-5 a 12 mesi o a una completa funzionalit? fisica dopo 6 mesi. Passando ai rischi di complicanze, sebbene modesto in entrambi i gruppi, ? apparso significativamente maggiore con la laparoscopia, con un tasso leggermente superiore di ematuria e formazione di linfoceli. “Penso che la laparoscopia sia chiaramente vantaggiosa per i pazienti marcatamente obesi” afferma W. Scott McDougal, coordinatore dello studio. “Occasionalmente, in alcuni pazienti che hanno avuto pregressi interventi chirurgici o traumatismi alla pelvi, si ottengono risultati migliori con l’approccio a cielo aperto”. (A.Z.)

The Journal of urology, 2009; 182:956-966.

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Prudenza sul vaccino anti-A/H1N1 in gravidanza

L’Ordinanza siglata dal Ministero, che definisce la strategia di vaccinazione per fronteggiare influenza pandemica, inserisce le donne in gravidanza tra le categorie con priorit?. Ma la Sigo invita alla cautela
E’ stata definita, con un’ordinanza firmata dal vice ministro Ferruccio Fazio, la strategia di vaccinazione per fronteggiare l’emergenza dell’influenza pandemica. Il provvedimento individua le categorie di persone a cui ? diretta l’offerta della vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1, tra le quali sono state inserite le donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza. In generale, con l’obiettivo di coprire il almeno il 40% della popolazione residente in Italia, la campagna vaccinale sar? rivolta a:
? persone ritenute essenziali per il mantenimento della continuit? assistenziale e lavorativa: personale sanitario e socio-sanitario; personale delle forze di pubblica sicurezza e della protezione civile; personale delle Amministrazioni, Enti e Societ? che assicurino i servizi pubblici essenziali; i donatori di sangue periodici;
? donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza;
? persone a rischio, di et? compresa tra 6 mesi e 65 anni;
? persone di et? compresa tra 6 mesi e 17 anni, non a rischio, sulla base degli aggiornamenti della scheda tecnica autorizzata dall’Emea o delle indicazioni che verranno fornite dal Consiglio Superiore di Sanit?;
? persone tra i 18 e 27 anni, non a rischio.
Giorgio Vittori presidente della Societ? italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) invita, tuttavia, alla cautela sulla vaccinazione delle donne in gravidanza: “E’ necessaria una grande prudenza, anche in ragione del fatto che la sperimentazione sul nuovo vaccino ? solo all’inizio”. Secondo l’esperto, la scelta della vaccinazione va fatta caso per caso, considerando le situazioni in cui i benefici sono superiori ai rischi: “A una maestra in gravidanza – precisa – consiglierei senz’altro la vaccinazione. Ma non la consiglierei a una donna che vive in campagna, con meno rischi di incontrare il virus”. “Il rischio legato all’influenza A, per le donne in gravidanza ? maggiore – ricorda Vittori – questo ? il motivo per cui nell’ordinanza ministeriale le donne sono indicate come categoria prioritaria per la vaccinazione, ma per attuarla ? stato chiesto un parere del Consiglio superiore di sanit?”. Inoltre, specifica che vanno fatte distinzioni sul tipo di vaccino: “Ci sono due tipi di vaccino contro questa influenza: il flu-shot, realizzato con particelle inattivate di virus, che si somministra attraverso un’iniezione e lo spray nasale, fatto con virus attenuato, quest’ultimo non deve essere mai usato in gravidanzaUrologia

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Prostatite cronica: terapia

I National Institutes of Health ( NIH ) hanno ridefinito la prostatite suddividendola in 4 distinte entit?.

Categoria I: prostatite batterica acuta – ? un?infezione prostatica acuta con un uropatogeno, spesso con sintomi sistemici di febbre, brividi e ipotensione. Il trattamento si basa su antimicrobici e sul drenaggio della vescica poich? la prostata infiammata potrebbe dare origine a un blocco del flusso urinario.

Categoria II: prostatite batterica cronica – ? caratterizzata da episodi ricorrenti di infezioni documentate del tratto urinario con lo stesso uropatogeno e causa dolore pelvico, sintomi urinari e dolore durante l?eiaculazione. Viene diagnosticata sulla base di colture di localizzazione che hanno un?accuratezza del 90% nel localizzare la fonte delle infezioni ricorrenti all?interno del tratto urinario.

Categoria III: prostatite cronica / sindrome da dolore pelvico cronico ( CP/CPPS ) – ? caratterizzata da dolore pelvico per oltre 3 dei 6 mesi precedenti alla diagnosi, sintomi urinari, e dolore durante l?eiaculazione senza infezione documentata del tratto urinario causata da uropatogeni. La sindrome pu? essere devastante, coinvolgendo il 10-15% della popolazione maschile e causa circa 2 milioni di visite ambulatoriali ogni anno. L?eziologia della CP/CPPS ? poco nota ma la malattia potrebbe essere il risultato di un?infezione o di un?infiammazione che ha causato un danno neurologico e che pu? dare origine a disfunzione nel pavimento pelvico sotto forma di aumento del tono dei muscoli pelvici. La diagnosi si basa sulla distinzione di questa patologia dalla prostatite batterica cronica. Se non c?? storia clinica di infezione documentata del tratto urinario causata da un patogeno, dovrebbero essere prese colture dai pazienti nella fase sintomatica. Le colture di localizzazione prostatica ( test dei 4 bicchieri di Meares-Stamey ) potrebbero identificare la prostata come fonte dell?infezione urinaria nella prostatite batterica cronica. Se non c?? infezione, ? probabile che il paziente sia affetto da CP/CPPS.

Categoria IV: prostatite infiammatoria asintomatica – La prostatite infiammatoria asintomatica ?, per definizione, asintomatica e viene spesso diagnosticata casualmente nel corso di indagini per infertilit? o tumore della prostata. Il significato clinico della categoria IV non ? chiaro e spesso il disturbo non viene trattato.

L?obiettivo della terapia ? il sollievo dai sintomi. La prima misura terapeutica ? spesso un ciclo di 4-6 settimane di un fluorochinolone, che porta sollievo nel 50% degli uomini ed ? pi? efficace se prescritto subito dopo l?insorgenza dei sintomi.
La seconda linea di farmacoterapia coinvolge agenti anti-infiammatori per i sintomi del dolore e antagonisti del recettore alfa-adrenergico ( alfa- bloccanti ) per i sintomi urinari.
La terza linea di agenti farmacologici comprende gli inibitori della 5-alfa-rduttasi, glicosaminoglicani, Quercetina, Cernilton e Serenoa repens ( Saw palmetto ).

Per il trattamento dei pazienti refrattari possono essere presi in considerazione trattamenti chirurgici. La terapia transuretrale con microonde per ablazione del tessuto prostatico ha mostrato risultati promettenti.

L?algoritmo di trattamento presentato in questa revisione prevede un ciclo di 4-6 settimane con antibatterici che potrebbe essere ripetuto se il ciclo iniziale ha dato solievo. Il dolore e i sintomi urinari potrebbero migliorare con antinfiammatori e alfa-bloccanti. Se il sollievo dai sintomi non fosse significativo i pazienti potrebbero ricorrere a biofeedback, mentre opzioni di chirurgia minimamente invasiva dovrebbero essere riservate ai pazienti refrattari agli altri trattamenti.

Murphy AB et al, Drugs. 2009; 69: 71-84

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Nuovi test ematici per tumori gastrointestinali

Due nuovi test ematici hanno fornito risultati promettenti ai fini dell?identificazione precoce dei tumori gastrointestinali. Le innovative procedure, pi? semplici, meno costose e pi? accettabili per i pazienti rispetto alle procedure attuali, quali la colonscopia o la ricerca di sangue occulto nelle feci, sono state presentate a Berlino, in occasione del pi? grande congresso oncologico europeo: l?Ecco 15 ? Esmo 34 (European cancer of organization – European society for medical oncology).

La prima metodica ? stata messa a punto da un?azienda di Liegi (Belgio). Sono stati prelevati campioni ematici da pazienti con cancro colorettale prima di essere sottoposti a chirurgia e da controlli sottoposti a colonscopia; si ? quindi estratto il Dna e si ? verificata la metilazione di due geni, Syne1 e Foxe1, correlata all?avvio e alla progressione del tumore. Studiando 124 soggetti con cancro colorettale e 444 controlli, e utilizzando volumi di plasma compresi tra 0,8 e 4,3 ml, la sensibilit? e la specificit? della combinazione dei due marker ? stata rispettivamente del 58 e del 90%. Valori analoghi si sono avuti in un altro studio che ha coinvolto 69 casi e 242 controlli. ?Questo metodo? afferma Joost Louwagie, della OncoMethylome Sciences di Liegi ?pu? essere usato per uno screening non invasivo con prelievi effettuabili da infermieri o medici di Mg senza necessit? di specifici equipaggiamenti o training?.

? stato sviluppato invece a Berlino un secondo metodo che aiuta a diagnosticare tumori a carico del colon, del retto e dello stomaco e a predire la loro capacit? metastatica. Si sono effettuati prelievi ematici da pazienti con cancro del colon (185), del retto (190), dello stomaco (91) e volontari sani (51). ? emerso che la presenza di Rna messaggero del gene S100A4 (promotore della capacit? metastatica delle cellule cancerose) ? significativamente maggiore nei soggetti con tumore gastrointestinale rispetto ai sani e ancora superiore nei pazienti con metastasi o che le avrebbero sviluppate pi? avanti rispetto a chi non aveva metastasi. ?Attraverso l?identificazione dei casi in cui la malattia progredisce pi? velocemente, speriamo di poter fornire una terapia personalizzata in base alle esigenze del singolo? conclude Ulrike Stein, della Ecrc Charit? Univeristy of medicine di Berlino.

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Evidenze cliniche della maggiore efficacia della Lattoferrina per os rispetto al Solfato ferroso nell?ipoferremia e anemia da carenza di ferro in gravidanza

L?ipoferremia e l?anemia da carenza di ferro rappresentano in gravidanza un serio problema ed un rischio per la salute della madre e del neonato. ? stato condotto uno studio clinico randomizzato, in aperto, con l?obiettivo di valutare l?effetto terapeutico della somministrazione orale della Lattoferrina ( Lattoglobina ) rispetto a quella con Solfato ferroso nella prevenzione e cura dell?ipoferremia e anemia da carenza di ferro in donne in gravidanza.

Sono state arruolate e randomizzate 143 donne con gravidanza non complicata, affette da ipoferremia ed anemia da carenza di ferro, e divise in modo casuale in 3 gruppi:

Gruppo 1: trattamento per os con 100 mg di Lattoglobina, due volte al giorno lontano dai pasti;

Gruppo 2: trattamento per os con una tavoletta contenente 520 mg di solfato ferroso una volta al giorno;

Gruppo 3: gruppo di controllo, comprendente donne che rifiutavano qualsiasi terapia.

In tutte le donne, prima e dopo 30 giorni di trattamento, ? stato controllato il numero dei globuli rossi, la concentrazione dell?emoglobina, del ferro serico totale e della ferritina sierica.

Come atteso, nelle donne che hanno rifiutato il trattamento, dopo 30 giorni i valori di tutti i parametri considerati sono risultati diminuiti, anche se con diversa significativit?.

Nelle donne trattate per 30 giorni con Solfato ferroso ? aumentata significativamente solo la concentrazione dell?emoglobina, mentre il numero dei globuli rossi e la concentrazione del ferro serico totale non sono risultati modificati.
La ferritina sierica, invece, ? diminuita significativamente.

Nelle donne trattate per 30 giorni con Lattoglobina, i valori dei globuli rossi, dell?emoglobina, del ferro sierico totale e della ferritina sierica sono aumentati in modo altamente significativo ( p<0.0001 ). Riguardo alla valutazione della tollerabilit?, le donne trattate con Solfato ferroso hanno lamentato i classici eventi avversi di questa terapia e 8 di esse hanno abbandonato lo studio, mentre nessun effetto indesiderato ? stato riferito dalle donne trattate con Lattoglobina. La Lattoglobina somministrata per os in gravidanze associate a stati di ipoferremia ed anemia da carenza di ferro, ha mostrato di essere molto efficace senza indurre alcun effetto indesiderato. La sua potente azione nel contrastare sia l?ipoferremia che l?anemia da carenza di ferro non pu? essere attribuita solo alla quantit? di ferro apportato dalla Lattoglobina somministrata, peraltro molto inferiore a quella somministrata via Solfato ferroso, ma ad un pi? complesso meccanismo che coinvolge tutti i fattori chiave dell?omeostasi sistemica del ferro.
Paesano R et al, Il Ginecologo, 2008

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Donne in postmenopausa: l?interruzione della terapia estroprogestinica ha ridotto il rischio di carcinoma mammario

8 Nov 2009 Oncologia

In seguito alla pubblicazione nel 2002 dello studio Women’s Health Initiative ( WHI ) sull?uso di estrogeno pi? progestinico, l?utilizzo della terapia ormonale in menopausa ? diminuito sensibilmente negli Stati Uniti.

La successiva diminuzione dell?incidenza di tumore del seno ha fatto pensare a una relazione causa-effetto tra il trattamento ormonale e il carcinoma mammario.
Tuttavia restano dei dubbi sulla causa di questa diminuzione di incidenza.

Sono stati analizzati i risultati dello studio clinico randomizzato WHI, nel quale un gruppo di studio ha ricevuto 0,625 mg di estrogeno equino coniugato pi? 2,5 mg di medrossiprogesterone acetato al giorno e un altro gruppo ha ricevuto placebo.
E? stata inoltre esaminata la tendenza nel tempo della diagnosi di tumore della mammella nella coorte osservazionale dello studio WHI.

Sono state riscontrate meno diagnosi di tumore mammario nel gruppo trattato con estrogeno pi? progestinico rispetto al gruppo placebo nei primi due anni dello studio, ma il numero delle diagnosi ? aumentato nel corso dei 5,6 anni del periodo di intervento.

Il rischio elevato ? diminuito rapidamente dopo che i due gruppi hanno smesso di assumere la terapia dello studio, nonostante una simile frequenza di mammografia.

Nello studio osservazionale, l?incidenza di tumore del seno ? risultata inizialmente doppia nel gruppo trattato con ormoni in postmenopausali rispetto al gruppo placebo, ma questa differenza nell?incidenza ? diminuita rapidamente in circa 2 anni, in coincidenza con le riduzioni anno per anno dell?uso della terapia ormonale combinata.

Durante questo periodo le differenze nella frequenza di mammografia nei due gruppi non sono cambiate.

In conclusione, l?aumento di rischio di carcinoma della mammella associato all?uso di estrogeno pi? progestinico ? diminuito in maniera marcata subito dopo l?interruzione della terapia ormonale combinata e non ? risultato collegato a cambiamenti nella frequenza della mammografia.

Chlebowski RT et al, N Engl J Med 2009; 360: 573-87

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